Maturità economica
L'espressione 'maturità economica' non è del tutto univoca: essa può indicare una fase di intenso sviluppo economico successiva a un periodo di crescita, o una fase che si estende fino all'inizio del declino. Nel suo Stages of economic growth W.W. Rostow, a proposito dello sviluppo economico, distingue quattro stadi: lo stadio delle precondizioni, il 'decollo' (il 'balzo' della crescita, secondo la terminologia di Gerschenkron), una fase di transizione verso la maturità e, infine, lo stadio del consumo di massa di alto livello, che, probabilmente, corrisponde alla maturità. Il testo non fa riferimento al declino economico, ma tratta brevemente della 'post-maturità'. Alfred Marshall sostenne che il commercio e l'industria tedeschi crescevano più rapidamente di quelli inglesi perché erano più giovani e "un giovane cresce molto velocemente" (v. Marshall, 1920, p. 139). Negli anni venti Keynes affermò che la Gran Bretagna era dominata dagli uomini della terza generazione, alludendo al luogo comune secondo cui, nel campo degli affari, nell'arco di tre generazioni si torna al punto di partenza. "In ogni famiglia che si rispetti c'è la generazione che costruisce una fortuna, la generazione che la mantiene e la generazione che la sperpera. Da questo punto di vista le società non sono molto diverse dalle famiglie" (v. Cipolla, 1970, p. 12).
Subito dopo la seconda guerra mondiale, in seguito alla rivoluzione keynesiana in economia e allo spostamento dell'attenzione dalla quantità di moneta e dai prezzi alla spesa, si manifestò uno spiccato interesse per la maturità economica, intesa come fase caratterizzata da mancanza di opportunità di investimento, rallentamento della crescita e stagnazione economica. Negli Stati Uniti il principale rappresentante di questo punto di vista fu Alvin Hansen, in Europa Josef Steindl, che espose la propria concezione in Maturity and stagnation in American capitalism (1952). L'incremento della domanda dei consumatori e del potere d'acquisto, che erano stati repressi dalla guerra, produsse un''età dell'oro' di rapida crescita economica, stimolata inizialmente dai consumi, anziché dagli investimenti come nel modello keynesiano, e fece sì che la nozione di maturità fosse accantonata. Con il rallentamento dei primi anni settanta e i rilevamenti econometrici riguardanti il presunto declino economico imminente della Gran Bretagna, il concetto di maturità tornò alla ribalta; con tale concetto si intendeva, diversamente da Rostow, una fase caratterizzata da perdita di capacità innovativa, incrementi di produttività decrescenti, minore capacità di adattamento a perturbazioni esterne. Il vocabolario economico incominciò a includere parole come 'arteriosclerosi'.
Uno stadio ulteriore nel dibattito sulla maturità si raggiunse quando fu posta la questione se gli Stati Uniti, che dopo la seconda guerra mondiale avevano svolto, per la durata di una generazione, un ruolo di primo piano nell'economia mondiale, stessero attraversando una fase di declino. Due erano le argomentazioni a favore di questa tesi: la prima di un economista, la cui teoria era incentrata sulle 'coalizioni distribuzionali', o gruppi di interesse che, perseguendo i propri vantaggi privati, impediscono la approvazione di interventi di interesse pubblico (v. Olson, 1982); la seconda di uno storico, che, attribuendo il declino della Spagna al fatto di aver sostenuto, nella guerra degli Ottant'anni (1568-1648), uno sforzo militare eccessivo con risorse limitate, nel tentativo di domare la rivolta olandese, suggeriva che gli Stati Uniti si fossero sottoposti a uno sforzo militare altrettanto eccessivo negli anni settanta e ottanta di questo secolo (v. Kennedy, 1987).Una delle questioni più dibattute era se gli altri paesi industrializzati stessero semplicemente recuperando terreno rispetto agli Stati Uniti o se uno o più di tali paesi si accingesse, in effetti, a superarli.
Un tipico modello di crescita di un paese (in origine, ad esempio, una città-Stato che si espandeva territorialmente) prevede il passaggio dal commercio, associato in diversa misura all'agricoltura e all'industria - generalmente cantieristica e, soprattutto, tessile -, allo sviluppo e all'espansione industriali e, quindi, alla finanza; quest'ultima transizione, tipica dei paesi più avanzati, porta dalla produzione e commercializzazione di beni e servizi al commercio di capitali. La finanza richiede meno energia e comporta meno rischi delle attività commerciali e industriali, e in genere conferisce maggior prestigio. Una volta diventati ricchi, i mercanti, gli industriali e specialmente i banchieri si trasferiscono in campagna per condurvi una vita da nobili in castelli, ville sontuose, grandi tenute. Spesso c'è chi lascia l'attività imprenditoriale privata per assumere una carica pubblica: membro del Gran Consiglio a Venezia, giudice di pace o membro del Parlamento in Gran Bretagna, officier o financier per la riscossione delle tasse per la Corona in Francia. Nelle città mercantili come Amsterdam e Amburgo ciò non accadeva: i figli venivano incoraggiati a restare nel campo degli affari e ad Amburgo alle figlie era vietato sposare gli Junkers, i membri dell'aristocrazia prussiana.
Gli storici dell'economia non concordano sull'interpretazione da dare al trasferimento nelle campagne (per esempio il trasferimento da Venezia all'entroterra): per alcuni si tratta di un sintomo di declino, per altri di un accorto adattamento a nuove condizioni economiche. Per Adam Smith i mercanti che acquistavano le tenute erano "i migliori valorizzatori della terra", ma in Spagna i nobili castigliani facevano incetta di terre per poi comportarsi da proprietari assenteisti, spremendo dai propri amministratori un reddito da spendere in consumi vistosi. È stato detto che l'industria e il commercio mantengono un uomo più attivo che non la vita del gentiluomo di campagna o del finanziere (v. McNeill, 1974, p. 227), e un banchiere-editore ha scritto: "I banchieri hanno molto tempo libero. Se sono occupati c'è qualcosa che non va" (v. Bagehot, 1873). È dubbio che questa affermazione sia ancora sostenibile nel XX secolo, ora che i mercati finanziari sono non di rado frenetici. La finanza è spesso un gioco fine a se stesso, con una forte componente di speculazione e di azzardo, e l'azzardo è un valore aristocratico che acquista importanza con il declino economico.
Spesso si distingue troppo nettamente fra cause interne e cause esterne del declino economico: in realtà le une sono collegate alle altre. Un paese nel pieno della crescita economica supererà rapidamente una perturbazione che risulterebbe estremamente nociva in una fase di maturità. Nella Spagna del XVI secolo tutte le ferite si rimarginavano (cfr. Earl Hamilton, cit. in Braudel, 1979). Un paese in rapida crescita, con grandi capacità di ripresa - come la Gran Bretagna nel XIX secolo - supera le difficoltà; viceversa un paese nella fase della maturità economica - come la Gran Bretagna nella tarda età vittoriana e nell'età edoardiana - ne resta colpito. Le condizioni interne influiscono sulla maturità e determinano il modo in cui un paese risponde agli eventi esterni.
La teoria classica dello sviluppo prende in considerazione la terra, il lavoro, il capitale e l'attività imprenditoriale, che sono i fattori principali della crescita economica ma non gli unici: a essi vanno aggiunti il cambiamento tecnologico, forse la capacità di adattamento delle istituzioni e l'istruzione, intesa come attività di formazione del capitale umano, contrapposto al capitale fisico costituito dagli impianti, dalle attrezzature e dalle scorte.
Il concetto di terra è molto ampio: comprende risorse di tutti i tipi, alcune delle quali cambiano nel corso dello sviluppo, mentre altre restano immutate e non adattabili al variare delle condizioni. Nelle prime fasi della crescita economica il terreno coltivabile viene ampliato, al crescere della popolazione, disboscando, bonificando paludi, prosciugando polder, e quindi dà luogo a rendimenti decrescenti. Nella sua fase matura l'economia subisce i danni derivati dalla deforestazione, dall'esaurimento delle risorse minerarie, dall'eccessivo sfruttamento dei terreni a pascolo, com'è accaduto con la mesta spagnola (allevamento delle pecore) e sulle colline greche e italiane (allevamento delle capre). I veneziani, gli abitanti della Biscaglia e gli inglesi dovettero andar lontano a procurarsi il legname per costruire le navi. Mentre la posizione geografica delle risorse non cambia, la loro utilità economica può cambiare. Talvolta, al crescere delle dimensioni delle navi, i porti sui fiumi venivano posti in disuso anche se non si erano interrati: è ciò che è accaduto nell'antica Roma, ad Aigues-Mortes, a Siviglia, a Bruges, ad Anversa. La torba olandese (usata nella costruzione di mattoni, di forni per ceramiche, nelle fabbriche di birra e nelle distillerie), originariamente a buon mercato in quanto estratta da giacimenti poco profondi e situati in prossimità di canali navigabili, divenne costosa quando la si dovette estrarre da giacimenti più profondi e lontani dai corsi d'acqua. In epoca moderna il porto di Hampton Roads negli Stati Uniti è stato tagliato fuori dalle rotte delle superpetroliere e delle grandi navi da carico (per il trasporto di carbone e minerali di ferro), i cui pescaggi arrivano a 90 piedi, a causa di una galleria stradale che corre sotto la Chesapeake bay, in prossimità della sua imboccatura, a una profondità di 60 piedi.
Alla mancanza di risorse fu imputato soprattutto il declino dell'economia inglese nella tarda età vittoriana. Il processo Bessemer per la produzione dell'acciaio - messo a punto nel 1856 - fu prontamente adottato nelle fabbriche francesi e tedesche, ma non in Gran Bretagna, dove pure era stato inventato, per la scarsa disponibilità di minerali di ferro privi di fosforo (questo ostacolo fu superato solo nel 1878 con l'introduzione del processo Gilchrist-Thomas che impiegava minerali contenenti fosforo). Si è detto che gli inglesi tardarono ad adottare i macchinari agricoli non per pigrizia degli agricoltori o per la difficoltà di decidere se l'investimento dovesse essere fatto dal proprietario o dal fittavolo, ma a causa delle dimensioni ridotte dei campi. E ancora: la mancata sostituzione delle carrozze ferroviarie da 10-12 tonnellate per il trasporto del carbone e delle merci con quelle da 40 tonnellate adottate altrove è stata imputata non al fatto che le carrozze appartenessero a proprietari diversi né a problemi inerenti al diritto di transito, ma alla brevità dei percorsi, alla scarsa capienza dei depositi e alla necessità di consegne tempestive. Il dibattito scaturì dall'introduzione della cliometria - una metodologia storica che, facendo ricorso a variabili stimate statisticamente, impiega modelli matematici nello studio del passato, e in particolare dello sviluppo economico, allo scopo di appurare se i mercati e gli imprenditori abbiano agito efficientemente. La conclusione, che sarà discussa più avanti, è che gli imprenditori furono ostacolati dalla mancanza di risorse (v. McCloskey, 1973).
Il lavoro influisce sulla maturità economica in diversi modi: attraverso i fattori demografici, la produttività del lavoro e la pressione eccessiva che i salari elevati esercitano sui profitti.I fattori demografici sono numerosi: l'invecchiamento della popolazione attiva, i tassi di ingresso nel e di uscita dal mercato del lavoro, la perdita di manodopera giovanile e qualificata attraverso le emigrazioni, in particolare le emigrazioni verso paesi in rapida crescita, come quelle degli ebrei sefarditi verso Venezia e Amsterdam, degli ugonotti verso l'Olanda, la Svizzera e l'Inghilterra, di grandi masse di italiani verso l'Argentina e il Nordamerica dopo il calo del prezzo del grano in Europa negli anni ottanta del secolo scorso.
La produttività, misurata in base alla quantità di prodotto per lavoratore, aumenta nelle prime fasi della crescita e diminuisce o aumenta più lentamente durante la maturità, a causa dell'obsolescenza delle competenze fra i lavoratori più anziani, delle difficoltà di riqualificazione e della rigidità dei salari nelle industrie in declino, dove la disoccupazione è ritenuta preferibile all'accettazione di salari più bassi, almeno nel breve periodo. Anche le corporazioni e i sindacati possono opporre resistenza all'introduzione di nuove tecniche.Il declino dell'Olanda nel XVIII secolo è stato imputato ai salari troppo elevati che compressero i profitti nel settore dei trasporti marittimi, nella cantieristica e soprattutto nel settore tessile a Haarlem e a Leida. I salari erano elevati a causa delle tasse ingenti che gravavano sugli articoli da cui dipende il costo della vita - abitazioni, mobili, capi d'abbigliamento -, in quanto i reggenti, reclutati tra i mercanti, si opponevano all'introduzione di tasse sulle esportazioni e le importazioni e sul reddito.
Il capitale è stato indicato come concausa di declino economico nella misura in cui, anziché essere impiegato nel commercio e nell'industria, lo si utilizza per effettuare prestiti all'estero. Questa tesi è contestata da quanti osservano che i tassi di interesse praticati in Olanda, in Inghilterra e in Francia nel XVII secolo e alla fine del XIX erano bassi, e negano che in quei paesi l'industria fosse troppo poco remunerativa per meritare investimenti interni. Alcuni prestiti, come quello francese alla Russia zarista o quello tedesco al Medio Oriente, avevano una forte motivazione politica. I tassi di interesse esteri erano maggiori di quelli interni, ma i rischi inerenti alla concessione di prestiti a governi stranieri possono non essere stati valutati adeguatamente. I mercati dei capitali offrivano l'opportunità di ritirare capitali dall'industria per investirli in fondi fiduciari, ritenuti meno rischiosi. Nel 1929 a New York la grande quantità di nuove emissioni azionarie determinò in larga misura un passaggio di proprietà delle imprese e solo in minima parte diede luogo a investimenti in nuovi impianti e macchinari. Oggi si sostiene che l'eccessiva attenzione riservata alle quotazioni delle azioni delle società rende i managers troppo interessati ai profitti di breve periodo, a scapito delle opportunità di investimento a lungo termine.
Molti economisti e alcuni storici dell'economia credono fermamente che gli operatori economici tendano a ottimizzare in continuazione i propri redditi. Da ciò derivano la fiducia nell'efficienza dei mercati concorrenziali e il rifiuto delle accuse rivolte agli imprenditori di determinare fallimenti del mercato agendo meccanicamente, evitando i rischi al fine di preservare l'impresa di famiglia per i discendenti e trascurando gli affari per concedersi un alto tenore di vita o darsi alla vita pubblica. Esistono esempi lampanti di imprese che declinarono rapidamente: la Marshall di Leeds, che nel 1848 era la più importante impresa specializzata nella filatura del lino, fallì negli anni ottanta del secolo scorso, alla terza generazione (v. Rimmer, 1960); la Archibald Kendrick & Sons, Ltd., un'altra impresa familiare, pur senza rinnovarsi produsse reddito per tutti i membri della famiglia per mezzo secolo, fino al 1950, quando, passata la gestione nelle mani della nuova generazione, fallì (v. Church, 1977). Prima delle guerre napoleoniche i mercanti di lana di Leeds esportavano soprattutto in Europa; la necessità di spostarsi sui mercati del Nordamerica portò alla nascita di nuove imprese e al fallimento di molte delle vecchie (v. Wilson, 1971). La rapida crescita economica della Germania e degli Stati Uniti nell'ultimo decennio del secolo scorso potrebbe essere considerata un 'recupero' nei confronti dell'economia inglese, se non fosse per il fatto che essa interessò industrie nuove - l'industria elettrica, quella chimica, quella automobilistica -, settori in cui l'Inghilterra non era all'avanguardia e in cui, quindi, spesso operavano industriali stranieri.
Gli econometristi hanno difeso gli imprenditori inglesi sostenendo che essi operavano al meglio date le circostanze del momento; ma i loro test econometrici facevano uso di modelli statici anziché di modelli dinamici, i quali prevedono che si faccia fronte alle difficoltà economiche sviluppando nuove tecnologie. Braudel (v., 1977) si dichiarò sorpreso dal fatto che non vi fossero state strozzature nella rivoluzione industriale inglese del 1760-1820. In realtà si sbagliava: si determinano sempre delle strozzature nell'ambito di una crescita squilibrata, se non che una economia dinamica le supera, mentre l'economia matura dell'età vittoriana non era in grado di superarle.
Un sociologo, studioso della Francia, ha sostenuto che i borghesi francesi, una volta arricchitisi, incominciavano a frequentare gli ambienti aristocratici e perdevano interesse per gli affari; ma se dilapidavano un patrimonio, tornavano a lavorare fino a reintegrarlo, per poi darsi nuovamente alla vita oziosa (v. Pitts, 1964). Ciò non sembra essere vero per tutti i paesi.
Gli storici francesi ritengono che lo sviluppo economico sia guidato per molti versi da mentalités, o valori sociali (in tedesco Zeitgeist, lo spirito dell'epoca). Questa idea non è accettata universalmente, soprattutto da quegli economisti e da quegli storici dell'economia che preferiscono ricondurre i fenomeni economici a cause economiche. Tra i valori aristocratici spicca l'audacia in battaglia, nello sport, nei salotti, nell'arte, nella musica e, al giorno d'oggi, persino nella guida automobilistica.Allorquando diventano ricchi, i borghesi sono spesso tentati di imitare l'aristocrazia o l'élite, specialmente nei consumi vistosi. Agli inizi dell'età moderna i ricchi borghesi italiani spendevano patrimoni per l'acquisto di oggetti d'arte e di dimore grandiose. Simon Schama ha evidenziato il contrasto, nella società olandese del XVII secolo, tra il lusso dei consumi e la semplicità calvinista. Un punto di forza della società inglese era la disponibilità della piccola nobiltà ad accogliere nuovi membri, soprattutto quelli della seconda generazione: un punto di forza sotto il profilo sociale, ma non, forse, sotto quello economico, in quanto induceva i giovani a sperperare la ricchezza anziché accumularla. In Francia la noblesse d'épée (la nobiltà di spada) nutriva un grande disprezzo per la noblesse de robe (la nobiltà creata dal re per servigi finanziari resi alla Corona). In Prussia gli Junkers cercarono di impedire agli uomini d'affari di accedere ai ranghi della nobiltà acquistando Gutherrschaften (proprietà terriere) tramite istituzioni quali il fedecommesso e la manomorta, al fine di conservare le proprietà nell'ambito familiare.
Il teorema di Ronald Coase afferma che le istituzioni si adattano ai cambiamenti che intervengono nella situazione economica a meno che ciò non comporti costi di transazione esorbitanti. C'è il rischio che il teorema si risolva in un truismo che afferma semplicemente che quando le istituzioni non riescono ad adattarsi è perché i costi di transazione sono troppo elevati. Ma la teoria dell'invecchiamento economico che fa seguito a una maturità vigorosa asserisce che le società sviluppano rigidità, abitudini sedimentate, ritardi culturali, che impediscono loro di adattarsi a nuove situazioni o di creare nuove istituzioni.Alcune istituzioni funzionano meglio in una data fase del ciclo di vita di una nazione che in altre. Le corporazioni, per esempio, si rivelarono efficienti nel primo periodo della loro esistenza, in quanto allora presiedevano alla formazione professionale e al controllo di qualità, ma disastrose in seguito, poiché osteggiarono la diluizione degli standard, sostennero il monopolio, scoraggiarono l'adattamento. Schumpeter plaudì ai monopoli sulla base dell'ipotesi che i loro profitti elevati stimolassero l'investimento e la formazione di capitale. Ma un uso alternativo dei profitti monopolistici è il consumo vistoso. Il sociologo David Riesman sostiene che negli Stati Uniti la tendenza a emulare gli eroi della produzione è stata soppiantata dalla tendenza a emulare gli eroi del consumo. Nel 1981 gli economisti americani si sorpresero nel constatare che una massiccia riduzione delle imposte non aveva determinato un aumento del risparmio, ma un aumento dei consumi di lusso: abitazioni sempre più grandiose, yachts, abiti costosi, viaggi all'estero.
Un'istituzione che cambia a mano a mano che la conoscenza si diffonde è quella dell'intermediazione, sia nel commercio - la sostituzione del commercio diretto bilaterale con quello indiretto attraverso centri commerciali come Venezia, Anversa, Amsterdam, Londra - sia in campo finanziario - la sostituzione dell'intermediazione attuata attraverso depositi e prestiti bancari con la vendita diretta di debito da parte delle grandi società ai grandi accumulatori di risparmi, come le compagnie di assicurazioni e i fondi pensione. La disintermediazione può essere ostacolata in una economia che invecchia. In un'economia in rapido sviluppo gli spedizionieri e i grossisti vengono scavalcati da società che assumono al proprio interno le attività di distribuzione e vendita sui mercati esteri e nazionali attraverso l'integrazione verticale. Nelle economie che invecchiano questi intermediari possono restare al loro posto e impedire il cambiamento tecnologico che deriverebbe da un contatto diretto tra venditori e acquirenti, in cui l'acquirente manifestasse le proprie preferenze e il venditore dichiarasse quali prodotti potrebbe offrire a un prezzo economico. Per troppo tempo in Inghilterra i mercanti costituirono una remora allo sviluppo dei settori delle macchine utensili e dei tessuti di cotone. Due economisti americani imputano il ritardo accusato dall'economia inglese alla lentezza con cui si procedette all'integrazione verticale (v. Elbaum e Lazonick, 1987).
Lo Stato è un'istituzione cruciale per la vita economica. Adolph Wagner, un economista tedesco, ha formulato la legge secondo cui la presenza dello Stato aumenta inesorabilmente a mano a mano che la vita economica diventa più complessa. Molto dipende anche da come lo Stato è organizzato, se, cioè, si tratta di uno Stato federalista o pluralista, oppure centralista. In circostanze normali il pluralismo o il decentramento sono preferibili, perché moltiplicano le possibilità di invenzione e di innovazione e consentono di correggere gli errori più rapidamente. D'altronde, in tempi di crisi, come in caso di guerra o di grave depressione economica, o quando sull'economia grava il peso di una politica di ricostruzione o del risarcimento di danni di guerra, il decentramento rappresenta un ostacolo, perché ciascuna parte costituente tende a lasciare agli altri la responsabilità di affrontare i problemi. La struttura decentrata delle Province Unite olandesi costituì un vantaggio durante la rapida crescita del XVII secolo e un serio inconveniente durante la guerra napoleonica del XVIII secolo (v. Schama, 1977). La struttura federale del Reich tedesco, istituita dalla Prussia nel 1871, si rivelò un fattore negativo, in quanto responsabile dell'iperinflazione degli anni venti, contro cui nulla poté l'eroico tentativo di centralizzazione della finanza fatto da Matthias Erzberger nel 1919 (v. Feldman, 1993). Il passaggio da una struttura federale a una struttura più centralizzata è difficile in un fase avanzata della vita di una nazione. Nelle prime fasi, invece, è facile, come dimostra il caso del Federal Reserve System negli Stati Uniti, organizzato nel 1913 nella forma di mercati monetari e finanziari separati, e poi concentrato a New York e a Washington, sotto la pressione esercitata dalla guerra, nel biennio 1917-1918.Moses Abramovitz (v., 1989) ha considerato l'istruzione come un indicatore della 'capacità sociale' necessaria per tenere il passo dello sviluppo economico. La semplice somma degli anni di scuola - dalle elementari ai corsi postuniversitari - può, in alcuni casi, essere un indicatore un po' troppo grossolano, data la varietà degli orientamenti scolastici. L'istruzione classica impartita nelle università di Oxford e di Cambridge era considerata appropriata per chi intendesse darsi alla vita pubblica, intraprendere, in particolare, la carriera accademica, quella militare, quella ecclesiastica, quella giuridica. Le grandes écoles francesi erano molto più cartesiane e rigorose. L'istruzione tecnica impartita in Germania nelle Hochschulen ha contribuito alla formazione di una forza lavoro altamente qualificata. A partire dalla seconda guerra mondiale i corsi postuniversitari di specializzazione in gestione aziendale si sono diffusi dagli Stati Uniti in Europa, e possono controbilanciare, nelle società mature, il crescente interesse per la storia, la letteratura, le arti visive e le arti drammatiche.
Come nel ciclo di vita umano, le forze interne della crescita e dell'invecchiamento agiscono anche in una nazione, e come in una persona il processo di sviluppo può essere perturbato da un trauma - per esempio una malattia -, analogamente il processo di sviluppo di un paese o di una regione può essere alterato da svariati fattori esterni: una guerra, nuove scoperte, disastri come terremoti ed epidemie, la concorrenza straniera.
La guerra può agire come una serra su un paese giovane, accelerandone la crescita, mentre di un paese in via di invecchiamento affretta il declino. Inoltre può produrre conseguenze non previste, come l'introduzione della giornata lavorativa di otto ore in Europa nel 1918, o il miglioramento della dieta della classe operaia inglese, durante la seconda guerra mondiale, a causa del razionamento. Negli Stati Uniti le due guerre mondiali stimolarono le invenzioni. La seconda dimostrò anche che le distruzioni di capitali non erano particolarmente nocive per il processo di sviluppo: le perdite venivano recuperate velocemente. In un primo momento si pensava che la perdita delle colonie avrebbe indotto una recessione economica nella madrepatria; viceversa per la madrepatria perdere le colonie equivalse a liberarsi di un peso. I francesi non godettero di tale vantaggio, in quanto, preoccupati della sorte della loro lingua, decisero di conservare stretti rapporti con le ex colonie e di continuare a sovvenzionarle. La guerra e i mutamenti demografici possono produrre vari risultati. McNeill ha sostenuto che la rapida crescita demografica del XVIII secolo ha determinato l'esportazione di beni dall'Inghilterra e di soldati dalla Francia. Per alcuni le ripercussioni della guerra sono diverse a seconda che determinati interessi sopravvivano o vengano screditati e rimpiazzati (v. Olson, 1982). La vittoria aumenta la rigidità, perché rafforza l'autorità dei leaders che hanno guidato il paese durante la guerra, mentre la sconfitta favorisce l'inizio di una nuova fase politica sotto la guida di nuovi leaders (v. Postan, 1967). La straordinaria crescita economica del Giappone e della Germania dopo gli anni cinquanta si spiega in questo modo. Le sconfitte, comunque, non sono tutte uguali. Al termine della prima guerra mondiale l'esercito tedesco non si era ancora ritirato dai paesi che aveva invaso e gli Junkers, i contadini, i sindacati, i pubblici funzionari, gli industriali costituivano "coalizioni distribuzionali" (l'espressione è di Olson) ancora intatte, ciascuna intenta a sottrarsi all'onere di contribuire alla ricostruzione e alle riparazioni di guerra. Il risultato fu l'iperinflazione. La seconda guerra mondiale distrusse gli Junkers come gruppo sociale, con lo spostamento verso ovest, sulla linea Oder-Neisse, dei confini della Germania; le organizzazioni contadine e i sindacati erano stati neutralizzati dai nazisti; i pubblici funzionari e gli industriali si erano screditati per aver sostenuto il regime nazista e perso la guerra. Un piano di riforma monetaria come quello adottato con successo nel 1948 non avrebbe funzionato negli anni 1920-1923 - nonostante fosse un piano brillante sia sotto il profilo economico sia sotto quello politico -, perché allora ciascun gruppo cercava di far gravare la propria quota di perdita sulle spalle di altri (v. Feldman, 1993). Gli economisti credono nella buona politica; gli storici dell'economia tengono conto del contesto entro cui si attua una determinata politica e della risposta della società.
Il periodo che va dal 1950 al 1971 (o al 1973) è stato chiamato in Gran Bretagna 'età dell'oro', in Francia gli anni dal 1945 al 1975 'i trent'anni gloriosi'. In tale lasso di tempo dapprima l'Europa e il Giappone recuperarono terreno nei confronti degli Stati Uniti, e poi il Giappone e la Germania si posero all'avanguardia nel campo dell'invenzione e dell'innovazione (ma non dal punto di vista del reddito pro capite). Mokyr cita uno storico della scienza, D.S.L. Cardwell, secondo il quale nessun paese è mai stato all'avanguardia in campo tecnologico per più di due o tre generazioni. Mokyr rendendosi conto del fatto che la legge di Cardwell è empirica, senza alcuna base teorica, cerca di ovviare a questo inconveniente in una serie di articoli (v. Mokyr, 1990 e 1994). La rigidità istituzionale potrebbe non estendersi alle invenzioni, ma alle loro applicazioni economiche nell'innovazione sì.Altri paesi cercano di sopravanzare, e non semplicemente di raggiungere, quelli all'avanguardia, utilizzando mezzi non sempre moralmente ineccepibili. La storia pullula di casi di comportamento scorretto: furti di tecnologia, usi illeciti di marchi e brevetti, 'adescamento' di personale specializzato straniero. I nuovi concorrenti sono accusati dai detentori ormai maturi di un primato economico (Venezia, Firenze, Haarlem e Leida nelle Province Unite, la Gran Bretagna nei confronti della Germania, gli Stati Uniti nei confronti del Giappone) di essere troppo intraprendenti, di lavorare troppo duramente, di abbassare gli standard produttivi, di essere sleali. Il fatto è che i paesi maturi sono lenti a rispondere a nuove condizioni, a nuovi prodotti, a nuovi mercati, mentre i paesi più giovani reagiscono rapidamente. Keynes era impressionato dalla 'fluidità' dimostrata dagli Stati Uniti persino durante la depressione degli anni trenta (v. Skidelsky, 1994, p. 271); di rimando Roberto Lopez lodò l'"adattabilità, la versatilità, la 'leggerezza' e la 'mancanza di inerzia'" degli uomini d'affari genovesi del XVI secolo (cit. in Braudel, 1979). In fase di maturità economica le doti elencate da Lopez si trasformano nelle caratteristiche opposte: rigidità, pesantezza, inerzia.
Le società commettono errori. La Spagna sbagliò a impegnarsi nella guerra degli Ottant'anni, Luigi XIV sbagliò a finanziare "troppi castelli e troppe guerre", Napoleone e Hitler sbagliarono a perseguire le proprie mire espansionistiche, i reggenti olandesi sbagliarono a imporre tasse sui prodotti che determinavano il costo della vita, la Gran Bretagna sbagliò nel voler conservare a oltranza la propria egemonia, gli Stati Uniti sbagliarono a protrarre il proprio ruolo di 'poliziotti internazionali'. Comunque, a parte gli errori, può una buona politica economica contribuire a prolungare la maturità economica rinviando l'inizio del declino? Lo stesso problema sorge in medicina. Nel passato, spesso, la non somministrazione di medicine si è rivelata più salutare della migliore delle medicine.
Uno scienziato politico, Henry Nau, distingue una "prospettiva orientata alla scelta", in cui un paese è libero di scegliere il corso da seguire, da una "prospettiva strutturalista", in cui il destino di una nazione è tracciato da una serie di eventi praticamente inevitabili. Come i medici specialisti anche gli economisti prediligono determinati toccasana per rafforzare la salute economica e la ricchezza nazionali. Nel XIX secolo la formula era 'sistema monetario aureo, libero scambio, bilanci in pareggio'. La farmacopea odierna è più complessa e fra i rimedi comprende i liberi mercati e le libere tariffe, la politica monetaria, la politica dei redditi, la pianificazione industriale e la politica fiscale, specialmente gli incentivi e i deterrenti fiscali che influiscono sui consumi, sugli investimenti, sul risparmio, sui vari settori industriali. L'adattabilità si può ottenere - si sostiene - incentivando l'istruzione, la formazione, la riqualificazione professionali. Tuttavia le esperienze fatte non sono incoraggianti. Gli Stati Uniti sono rimasti delusi più volte di seguito dalle politiche keynesiane, dalla politica monetaria, da misure come la riduzione delle tasse che fu adottata nel 1981 per incrementare i risparmi, gli investimenti, il reddito nazionale e il gettito fiscale, e invece produsse disavanzi nel bilancio federale e nella bilancia dei pagamenti. Le politiche economiche funzionano bene o male a seconda della risposta del sistema economico. Le tariffe doganali spesso contribuiscono allo sviluppo dei paesi giovani proteggendo le industrie appena nate, ma è improbabile che sortiscano lo stesso effetto nel caso dei paesi vecchi. I sostenitori della prospettiva orientata alla scelta, che esortano a scongiurare il declino intervenendo attivamente nell'economia, devono chiedersi se una società matura possa esprimere una volontà univoca, date le coalizioni distribuzionali di Olson e la rigidità istituzionale in genere.
La storia presenta diversi casi di capacità di ripresa. Quando l'illuminismo raggiunse la Spagna dalla Francia alla fine del XVIII secolo, malgrado una forte resistenza da parte della nobiltà e del clero, si ebbe un periodo di grande energia e vitalità economica, cui mise bruscamente termine la guerra napoleonica (v. Herr, 1958). Negli Stati Uniti le grandi imprese e le società multinazionali - come la Ford, la General Motors, la Sears Roebuck, l'IBM -, dopo aver perso la propria posizione competitiva a causa del calo di produttività, intrapresero una drastica ristrutturazione, sfoltendo specialmente i quadri di medio livello, che erano aumentati eccessivamente. Questo processo solleva problemi sociali. Come la disoccupazione in Europa, anche il malcontento sociale, quale quello scoppiato in Francia nel maggio-giugno del 1968, può essere una conseguenza dell'incapacità di trovare spazi per quadri qualificati e per neolaureati con forti aspettative.
(V. anche Economia; Ristagno economico; Sviluppo economico).
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