Medicina
La m. è una disciplina che studia, grazie al contributo di varie scienze e tecnologie, la fisiopatologia umana con lo scopo di mantenere lo stato di salute, prevenire le malattie, curarle o guarirle quando possibile. Il contributo di numerose aree specialistiche ha reso l'approccio diagnostico e terapeutico nell'ambito della m. assai variegato e complesso, con il differenziarsi, anche a livello istituzionale, di specializzazioni e competenze orientate per organo o apparato (per es., allergologia, epatologia, cardiologia, endocrinologia, immunologia clinica, urologia, ginecologia ecc.). Aspetto fondamentale nella m. è la metodologia clinica, che segue le linee operative del metodo scientifico, ricorrendo a integrazione di conoscenze per definire problemi specifici che possono richiedere anche immediata risoluzione. È opportuno distinguere la m. sperimentale dalla m. clinica. Nel contesto della m. sperimentale la ricerca ha la finalità di acquisire conoscenze generali con ricadute nella diagnostica e terapia, mentre nella m. clinica lo scopo fondamentale è rivolto alle problematiche presenti nel singolo individuo, alle condizioni biologiche che hanno permesso l'estrinsecarsi dei fenomeni morbosi e al motivo per il quale l'andamento clinico ha avuto una determinata evoluzione nel corso del tempo. L'atto medico è pertanto legato a obiettivi ben definiti, riassumibili in momenti fondamentali: a) descrizione e identificazione del quadro morboso; b) approccio eziopatogenetico per interpretare segni e sintomi; c) formulazione diagnostica della malattia o della sindrome; d) elaborazione di una prognosi con scelta dell'intervento terapeutico per modificare l'evoluzione del decorso. La formulazione diagnostica è il momento critico conclusivo di una procedura osservativo-logica che consente la definizione di una malattia. Per raggiungere una diagnosi si seguono diversi approcci: il più comune consiste nella diagnosi nosografica (classificazione paradigmatica di un processo morboso), mentre la diagnosi fisiopatologica ha lo scopo di collegare con completezza i momenti evolutivi di un quadro morboso per interpretare la malattia alla luce delle implicazioni biologiche. Le conoscenze scientifiche non consentono tuttavia sempre la diagnosi fisiopatologica in grado di ripercorrere il decorso o la storia naturale di una malattia. Gli strumenti della semeiotica medica e l'evolvere delle conoscenze permettono del resto di formulare vari tipi di diagnosi (eziologica, morfologico- funzionale, istopatologica) in rapporto alle tecnologie disponibili e alle procedure attuabili caso per caso. Tuttavia, non è sempre possibile raggiungere una conclusione valida in grado di comprendere completamente i fenomeni che si osservano; in questa circostanza si elabora una diagnosi descrittiva, che va intesa per definizione come provvisoria, talora risolvibile solo nel controllo del decorso. Al parallelo evolvere delle conoscenze diagnostiche si è accompagnato un consistente progresso delle terapie che, a loro volta, sono il frutto di conoscenze integrate (dalle biotecnologie alla chimica farmaceutica, all'impiego di nuovi approcci chirurgici e di radioterapia). In questo insieme di acquisizioni fisiopatologiche e capacità di intervento va inquadrato il momento storico della m. all'inizio del 21° sec., per una comprensione dell'atto medico alla luce di una potente espansione di opportunità, che tuttavia non è sempre gestibile con piena cognizione di causa e capacità risolutiva.
Il metodo operativo nella medicina clinica
Le conoscenze biomediche hanno consentito la descrizione di patologie a diversi livelli di struttura anatomica o funzione biologica (genetica, biochimica, cellulare, tessutale), modificando nel contempo la stessa interpretazione del concetto di malattia. Questo è da intendersi come risultato definitorio verso il quale convergono le caratteristiche proprie di un quadro morboso, valutate secondo un'interpretazione che scaturisce da acquisizioni e progressi in discipline di base. La malattia può anche intendersi quale concetto teorico dinamico, modificabile nel tempo in funzione di nuove conoscenze. Questo affinamento si verifica sia per un quadro morboso descrivibile con chiarezza definitoria (per es., ulcera, neoplasia, infiammazione, danno d'organo) sia nell'ambito di forme patologiche non distinguibili, almeno in prima approssimazione, quali entità autonome. Aspetti culturali e antropologici giocano inoltre un ruolo importante sulla percezione del concetto di malattia, posto al centro di numerose riflessioni, anche nell'ambito della filosofia della scienza, per arrivare a una descrizione compiuta del termine. La m. è fortemente condizionata dalla variabilità individuale, ma non può sfuggire all'esigenza fondamentale di qualsivoglia indagine scientifica: definizione dell'oggetto studiato, riproducibilità dell'esperimento, generalizzazione dei dati acquisiti.
In tal senso la m. contemporanea si basa su una doppia valenza: da un lato cerca di limitare il rischio errore che è presente nell'alta variabilità/varietà individuale, dall'altro deve agire operando sul singolo individuo secondo parametri polivalenti (scientifici, etici, psicologici, di criticità temporale, di urgenza, di monitoraggio). Inoltre l'agire medico è inserito in un contesto di istituzioni sociali (sia pubbliche sia private) le quali costituiscono uno strumento di natura organizzativa ed economica assolutamente necessario e non eludibile per le finalità, a livello individuale e di popolazione, del contenimento della spesa nonché di un efficace risultato. La stessa complessità di gestione delle conoscenze mediche ha generato problemi altrettanto importanti nell'ambito della bioetica, nel rapporto medico/persona malata, nell'approccio alle strutture preposte all'assistenza nei diversi momenti durante i quali essa si espleta (m. preventiva, igiene, m. d'urgenza, sicurezza nelle attività di lavoro, protezione della maternità, incremento dell'età media di vita, gestione dei problemi geriatrici e così via). Nella m. clinica non risulta sempre possibile, nonostante l'espandersi delle conoscenze, inquadrare il singolo malato con esaustiva cognizione di causa; nasce pertanto un vero problema relativo alla natura scientifica della metodologia clinica. Infatti se la tendenza delle conoscenze scientifiche che vengono acquisite su base sperimentale è quella della generalizzazione, è il singolo caso che va preso in esame dal medico alla luce di leggi o di teorie che nel momento storico considerato possono essere ritenute attendibili e validate. In sostanza nelle scelte operative della metodologia clinica la struttura delle conoscenze generali va intesa come fulcro che rende possibile l'interpretazione del quadro morboso a sé considerato. Il punto cruciale consiste nella valutazione critica dei dati. Il clinico, nell'elaborare ipotesi diagnostiche, non tiene soltanto in considerazione ciò che è falso (e che quindi va eliminato) ma tende ad avere il maggior numero di informazioni che siano in grado di confermare una determinata ipotesi per concludere l'iter diagnostico. Pertanto alla semeiotica classica, necessaria per interpretare segni e sintomi (anamnesi ed esame fisico), si è affiancato un insieme di tecniche di laboratorio e di analisi dell'immagine (imaging) che forniscono un ampliamento delle opportunità diagnostiche, ma anche obbligano a una selezione di indagini e di test che siano realmente informativi per lo specifico problema da risolvere. All'inizio di un'indagine clinica, per es., solitamente non vengono prescritti singoli esami di laboratorio, ma esiste un approccio di routine il quale include un numero di analisi-base; solamente alcune di esse sono in grado di indirizzare in modo significativo verso la diagnosi corretta. In altre circostanze può essere un singolo valore alterato a generare il sospetto, del tutto occasionale, di una patologia ben definita. L'evoluzione della radiologia ha inoltre arricchito le aree più avanzate sia della m. sia della chirurgia, rendendo possibili indagini su organi e su apparati con dettagli di accuratezza descrittiva che hanno eliminato in gran parte procedure invasive e dolorose. Come avviene per i test di laboratorio il corredo disponibile di studi radiologici non può essere applicato in modo indiscriminato, tanto per i costi quanto per il reale beneficio clinico. Inoltre lo studio dei problemi biomedici non consente una netta demarcazione tra m. sperimentale e m. clinica, che, da scienza di osservazione e descrittiva si è andata trasformando, con il progredire delle conoscenze, in disciplina capace di affrontare con metodologia rigorosa i meccanismi patogenetici dei processi morbosi e dell'efficacia nell'azione dei farmaci. Alla luce della complessità dei parametri che debbono essere gestiti durante la definizione di un quadro diagnostico, e con il fine di superare l'approccio empirico alla decisione terapeutica, sono stati proposti vari metodi di indagine sia per limitare il rischio dell'osservazione aneddotica sia per affrontare l'interpretazione dei dati osservazionali o sperimentali con rigore statistico. In questo contesto si afferma il ruolo di tre parametri fondamentali che aiutano a razionalizzare le procedure: la m. che è basata sull'evidenza delle prove (EBM, Evidence-Based Medicine), l'elaborazione di linee guida, e infine l'adozione di modelli operativi probabilistici nelle scelte decisionali sia per la diagnosi sia per le opzioni di terapia. L'agire medico si è fondato per molto tempo sul binomio conoscenza-esperienza, binomio nel quale il fattore conoscenza presenta comunque limiti sfumati (per es., dati acquisiti dalla letteratura, approcci logico-deduttivi, talora elaborazioni fondate solamente su esperienza personale). È stato pertanto necessario superare il limite intrinseco della soggettività interpretativa nel rapporto tra agire medico ed espansione delle conoscenze in eccezionale crescita. Per accedere a un conoscere oggettivo si è poi aggiunta la facilità con la quale, per via elettronica, risulta possibile consultare le riviste scientifiche: non più biblioteca cartacea ma formazione on line.
La EBM si inserisce in questo percorso partendo da modelli che sono stati elaborati nell'ambito dell'epidemiologia clinica, e arrivando ad applicazioni dirette per l'assistenza e la cura delle malattie. In realtà si incrocia in questo insieme la rivoluzione nata con gli studi clinici randomizzati, che esprimono la necessità primaria di confrontare in modo oggettivo un determinato trattamento in gruppi di popolazioni nei quali, scegliendo casualmente l'insieme degli individui da esaminare a cui somministrare un certo prodotto ed escludendone altri, si evitano o riducono significativamente i rischi di errore interpretativo. L'assunto pratico deriva in sostanza dal superamento della conoscenza soggettiva per approdare a una visione controllata. D'altro canto, gestire i dati di migliaia di riviste (ben oltre 14.000) che generano tra i cinque e i sei milioni di articoli per ogni anno è questione ardua, che deve essere valutata anche nel contesto della qualità della produzione esaminata. Nei primi anni Novanta del 20° sec. si è sviluppata un'iniziativa nota come Cochrane Collaboration, che ha la finalità di tenere aggiornate le diverse informazioni relative all'area biomedica, analizzando anche pubblicazioni 'minori' non necessariamente recensite in biblioteche elettroniche. La Cochrane Collaboration è una delle risposte che si è tentato di dare per una lettura critica delle sperimentazioni descritte in letteratura; infatti la sola EBM, non adeguatamente gestita, è di accesso non immediato e spesso di difficile elaborazione. Allo scopo di filtrare i dati sono nate pubblicazioni dedicate nelle quali si forniscono ai professionisti sul campo i risultati che possono dare efficacia alla loro competenza. Le linee guida, da ultimo, rappresentano il risultato finale, ma costantemente in progress, per arrivare a un'applicazione pratica, sia di natura diagnostica sia di natura terapeutica. Le linee guida raccolgono raccomandazioni da tenere presenti in situazioni cliniche generalizzabili e dalle quali il medico può o deve discostarsi, se necessario, in rapporto alla specifica evoluzione del caso clinico, come previsto in genere dalle stesse linee guida. La loro elaborazione si fonda sul lavoro di istituti con riconosciuta autorevolezza: società scientifiche, centri di ricerca, comitati ad hoc, organizzazioni sanitarie con livelli di competenza noti. Le procedure per il documento finale vengono dichiarate secondo una precisa e condivisa metodologia. Il prodotto conclusivo delle linee guida è in generale la valutazione di dati secondo i principi formali della EBM. Essa si basa su un preliminare etico secondo il quale l'agire in m. deve utilizzare unicamente quanto deriva dalla conoscenza scientifica e non da approcci intuitivi o occasionali. Ne consegue infatti che il beneficio di una corretta gestione EBM è riscontrabile nella prescrizione di una terapia che sia accettata o proposta secondo modelli di studi sperimentali randomizzati e controllati (v. oltre). Le premesse storiche della EBM (grazie al lavoro di D. Sackett e di B. Haynes), all'inizio degli anni Settanta, e gli approfondimenti di A. Cochrane consentiranno ulteriori progressi e successivamente verranno introdotte indagini di natura sistematica (meta-analisi). La meta-analisi non costituisce una procedura atta a dare una sintesi descrittiva dell'evidenza clinica, essa è piuttosto un iter di analisi e giudizi su conoscenze acquisite da diverse fonti: può essere considerata come sintesi quantitativa di vari trials che, mediante opportune procedure statistiche, integra i dati ottenuti da più studi tra loro indipendenti che vengono combinati incrementandone accuratezza e precisione. Dalla metà degli anni Settanta gran parte delle conoscenze in m. deriva da sperimentazione su casistiche che hanno un medesimo fine rispetto a specifiche patologie. I risultati di questi lavori possono essere tra loro discordanti o convergenti, parzialmente discordanti o solo in parte convergenti. Il problema nasce dalla spiegazione che può essere fornita per interpretare la diversità dei risultati ottenuti. In sostanza l'accumulo di conoscenza si accompagna a una maggiore difficoltà di gestione operativa e la correttezza di quest'ultima non può limitarsi soltanto a una revisione periodica dei risultati, ma deve arrivare a una sintesi quantitativa delle informazioni ottenute mediante studi comparativi. Pertanto la formazione di un processo conoscitivo in m. necessita di vari livelli di controllo e verifica; sulla base di questi livelli e sulla caratteristica degli studi compiuti, le linee guida esprimeranno una determinata forza di raccomandazione. L'origine di una raccomandazione sarà tanto più forte quanto maggiore è il livello degli studi clinici concordanti e svolti secondo criteri di indagine statistica ottimale (trials randomizzati, 'doppio cieco'). La forza di raccomandazione sarà tanto minore quanto più marcata è la contraddittorietà dei risultati ottenuti, anche in relazione alla qualità del disegno sperimentale adottato. Nella pratica clinica l'applicazione e implementazione delle linee guida sono argomenti in evoluzione critica: infatti è stato osservato come il valore applicativo delle linee guida non sia sempre facilmente operante a letto del malato e in grado di migliorare l'azione del medico. Sono stati identificati diversi fattori che possono determinare una limitazione nell'applicare le direttrici di linee guida. Alcuni di questi risultano legati a una non sempre efficace trasmissione dei dati informativi (i sanitari possono ignorarne l'esistenza), a una difficoltà di percezione sul significato dei risultati proposti (incertezza del medico nel recepire concetti a volte nuovi o non sufficientemente delucidati), a vari aspetti di demotivazione non di rado correlabili alla stessa routine di lavoro. Non trascurabili sono anche i fattori che emergono da problemi di natura etnico-culturale e insiti nella struttura bioantropologica della popolazione considerata per formulare le stesse linee guida da estendersi su vasta scala. Nel contesto delle difficoltà esposte si aggiungano elementi di disaccordo sulla struttura di quanto contenuto nelle stesse linee guida: rigidità-semplificazione eccessiva dei dati che vengono esposti; difficoltà nel gestire autonomamente il singolo caso nel contesto delle diverse realtà istituzionali (costo/beneficio e appropriatezza degli interventi); possibile complicazione del rapporto tra medico e persona malata nell'adozione di criteri talora non facilmente e neanche immediatamente condivisibili. Un elemento ulteriore di criticità è legato al rischio, per il sanitario, di andare incontro a problemi medico-legali (malpractice degli autori anglosassoni), che sono diventati uno dei parametri non secondari nell'indirizzo di scelte diagnostico-terapeutiche della m. contemporanea. Alla luce delle esperienze maturate dai primi anni Novanta, sembrano comunque emergere indicazioni sul fatto che la probabilità di applicazione di linee guida è tanto maggiore quanto più alto è il coinvolgimento, nella fase preparatoria, di chi deve utilizzarle.
Il processo decisionale in diagnostica e terapia
La capacità decisionale in ambito diagnostico e/o terapeutico è il risultato di un processo analitico-interpretativo, processo che coinvolge diversi livelli di competenza convergenti su un percorso definibile solo parzialmente a priori. Molte decisioni mediche vengono prese in condizioni di dubbio o incertezza, stato nel quale una valutazione delle probabilità di un evento costituisce la base di riferimento. Le decisioni in m. quindi implicano la stima di probabilità sull'esistenza di una certa condizione patologica e di quanto può derivarne (prognosi, scelta terapeutica, scelta nell'ambito del rapporto rischio/beneficio). In m. clinica è entrata nell'uso comune l'espressione inglese medical-decision making (MDM). Tre differenti approcci sono possibili nell'ambito MDM: euristica, uso di algoritmi, procedure bayesiane. Nei sistemi fondati sull'euristica il procedimento o metodo di approccio è un percorso basato su intuito e in un certo senso sullo stato momentaneo delle circostanze osservate e la diagnosi, dal canto suo, scaturisce dal confronto fra i sintomi in valutazione e quanto presente nella memoria del clinico. Nei sistemi che fanno ricorso ad algoritmi (procedimento algoritmico) viene simulato il cosiddetto expert thinking, con uso di modelli per decisioni multiple che hanno la finalità di migliorare sensibilità e specificità della procedura diagnostica. Quando i dati vengono raccolti in rapporto a ciascuna delle ipotesi diagnostiche ragionevolmente considerate, con attribuzione di un parametro numerico che descrive l'importanza degli elementi, si effettua allora un approccio per probabilità. Quest'ultimo approccio utilizza un'elaborazione applicativa del teorema di Bayes, strumento di calcolo che individua le probabilità per le varie ipotesi effettuate sui dati osservati. Il teorema di Bayes costituisce un aspetto fondamentale dell'approccio soggettivista alle probabilità. La formula utilizzata propone un meccanismo di apprendimento dall'esperienza: assumendo alcune conoscenze a priori su un evento con dati acquisibili da un esperimento si perviene a una buona conoscenza dell'evento (probabilità a posteriori). Tale procedura, pur con i suoi limiti, formula una stima più accurata rispetto ad altri metodi, ma implica la definizione di parametri predittivi che possono essere acquisiti partendo solo dalla valutazione di un numero ampio di individui malati. Giungere a una diagnosi e valutare le opportune scelte terapeutiche impone quindi, oltre a una conoscenza di base, la capacità di effettuare una valutazione discriminativa che pone a confronto diagnosi probabili e diagnosi possibili. Pertanto l'iter percorribile implica la formulazione di un'ipotesi con raccolta orientata di dati che vanno inseriti nell'osservazione specifica del singolo caso e/o nell'ambito di margini, anche cronologici, accettabili per le decisioni. Del resto, se da un lato il rigore e il metodo possono essere ineccepibili, dall'altro lato, in assenza di elementi EBM validati, o in mancanza di metodologie di laboratorio e di imaging, il giudizio del medico clinico non può non basarsi su una soggettività derivata da conoscenza ed esperienza.
Di particolare rilievo è l'estesa diffusione di test diagnostici che devono comunque sempre essere presi in esame in rapporto a una loro riconosciuta potenza di informazione (l'accuratezza deve essere sempre studiata con i parametri della specificità e della sensibilità proprie del metodo preso in esame). Nell'agire medico la raccolta delle informazioni non concerne unicamente reperti clinici singolarmente intesi ma anche le loro peculiarità nel tempo ed eventuali relazioni di causa-effetto. I sistemi di raccolta dei dati in generale non possono per definizione trascurare le caratteristiche dell'informazione derivata dall'anamnesi. La conclusione diagnostica si formalizza al termine di una fase di assemblaggio dati dopo la quale la decisione del medico, pur avendo in considerazione il livello di evidenza stimato e/o della prevalenza di una malattia, è strutturata sulla propria competenza (parametro nel quale l'integrazione di esperienza e conoscenza assume un valore essenziale). In tal senso si conclude, per es., che i sistemi informatici che aiutano nella diagnosi clinica e che forniscono risultati in automatico, debbono essere sempre utilizzati con prudenza evitando rigidità interpretative. Un esempio pratico, fra i molti che sono possibili, riguarda nella comune attività medica l'esecuzione di un 'semplice' elettrocardiogramma: procedura di routine che, con gli strumenti più aggiornati, genera in alcuni elettrocardiografi un tracciato con commento diagnostico. Spesso l'automatica rigidità di questo commento è fuorviante per il non cardiologo e pertanto il giudizio deve essere sempre convalidato dalla scelta finale dello specialista per le malattie del cuore. Le decisioni terapeutiche, insieme al monitoraggio, devono in ogni caso essere riferite all'ipotesi diagnostica e al quadro di rischio (pericolo di morte, malattia nosologicamente definita, sindrome). D'altro canto esistono particolari contesti decisionali nei quali la raccolta dati non è possibile con completezza e non fornisce una discriminante utilizzabile (pronto soccorso, urgenza critica, emergenza in guardia medica) per impostare una diagnosi completa. In tal caso la linea d'intervento risulta in gran parte obbligata: valutazione delle priorità, analisi di conseguenze possibili a breve e medio termine, consapevolezza del rapporto costo/beneficio, appropriatezza e tempestività delle decisioni. Per ridurre l'errore in MDM esistono elementi di supporto che integrano il sistema di valutazione con un approccio bayesiano oppure con ldi algoritmi predefiniti; in particolare risulta estremamente utile prendere in esame i test che esprimono l'opzione per una diagnosi alternativa piuttosto che insistere su indagini coerenti con una diagnosi dubbia.
Evoluzione dei metodi diagnostici
Nella metodologia clinica ha assunto grande rilievo l'integrazione fra tecnologie usate per la diagnosi, capacità di predizione del rischio, gestione delle informazioni acquisite nel contesto delle scelte individuali da effettuare per il malato. Uno dei settori di ricerca più importanti per questo approccio di diagnostica anticipatrice riguarda la medicina predittiva, scaturita dagli studi di genetica (genetica predittiva). Attraverso lo studio dei caratteri ereditari e la loro distribuzione si possono individuare aspetti fondamentali sulle proprietà di specie e di popolazione (v. dna; genoma). Con il termine di genetica predittiva si fa riferimento, in modo particolare, a quelle caratteristiche genetiche che, opportunamente valutate, consentono di formulare una previsione del rischio di ammalare nell'ambito di un certo gruppo di patologie. Le indagini genetiche predittive analizzano il soggetto interessato e ne possono individuare la predisposizione a contrarre alcune malattie. È bene precisare che il livello di predizione va rapportato al rischio di ammalarsi significativamente più elevato rispetto a quanto osservabile nella popolazione generale.
In sostanza, non può essere stabilito con certezza se un individuo con quel determinato carattere si ammalerà, quando e con quale gravità clinica. Nell'ambito della patologia neoplastica, per es., i test genetici di predizione hanno un significato di potenziale utilità per programmare indagini di controllo mirate nel corso del tempo. Infatti gli individui portatori del rischio hanno una consapevolezza della loro condizione che rappresenta una specie o una sorta di preallarme capace di anticipare l'estrinsecarsi dell'evento sfavorevole o di coglierne l'incipiente presenza con l'attuazione di pratiche di diagnosi precoce e/o curative. La m. genetica predittiva implica importanti problemi etici per l'uso che se ne può fare, anche con conseguenze legali e giuridiche. Infatti le analisi che evidenziano un certo livello di rischio non coinvolgono unicamente la persona per la quale è stato fatto il test, ma anche la sua famiglia e i discendenti sui quali, di solito, si può eseguire lo stesso tipo di studio. La diffusione indiscriminata di test genetici predittivi è da considerare rischiosa e contraria al principio di beneficenza. Allo stato delle conoscenze il ricorrere ad approcci di genetica predittiva ha significato se si hanno gli strumenti reali per attuare una terapia, mettere in pratica un'azione profilattica o quando devono essere prese decisioni in merito alla procreazione. Negli altri casi ne possono derivare implicazioni complesse: quali, per es., percezione anomala del rischio di ammalarsi e condizionamento psicologico nella propria qualità della vita, possibile discriminazione sociale se i dati non vengono rigorosamente tenuti segreti a difesa della privacy, limitazione delle opportunità lavorative. In ambito lavorativo e assicurativo le implicazioni possono essere quelle di più immediata conseguenza; d'altro canto, ai classici modelli di check up elaborati con lo scopo di conoscere precocemente un evento morboso, modelli il cui valore pratico è stato in parte ridimensionato, si è affiancata l'attuazione di indagini screening (v. oltre). Le varie forme di giudizio diagnostico sono legate frequentemente a situazioni nelle quali l'approccio all'interpretazione dei dati non consente una chiara lettura nosografica o fisiopatologica. Pertanto sono validi i percorsi che usufruiscono di informazioni che hanno valore dirimente, non basato unicamente su anamnesi, indagini di laboratorio, studi radiologici o funzionali: è questo il caso della diagnosi istopatologica (valutazione con varie modalità del tessuto prelevato con biopsia). Nella pratica clinica l'indagine istopatologica è diventata di fondamentale importanza perché, con l'ausilio di tecniche opportune (immunofluorescenza, radioimmunologia, istochimica, impiego di anticorpi monoclonali), è stato possibile riconsiderare degli aspetti della lesione biologica con una valenza non solo diagnostica ma anche prognostica. È procedura comune, in assenza di sintomi oppure di alterazioni bioumorali precise o caratterizzanti un definito quadro morboso, che la m. clinica ricorra con sempre maggiore frequenza alla biopsia. Esistono, per fare un esempio, linfoadenopatie che non hanno giustificazione infettiva o infiammatoria e che, come si verifica per il caso di linfomi, possono fornire inizialmente quale unico elemento che può generare sospetto proprio l'ingrandimento modesto di un linfonodo (tipica può essere la sede ascellare o laterocervicale). In questo caso la diagnosi di linfoma viene fornita dall'esecuzione della biopsia e dall'indagine istopatologica. Un altro aspetto che ha una forte conseguenza pratica consiste nella diagnosi eziologica in corso di malattie infettive (diagnosi microbiologica). In tale circostanza la combinazione di segni e sintomi, anche se fortemente indicativa, può non essere sufficiente per rendere del tutto chiaro il quadro morboso: effettuare un prelievo del sangue in condizioni di sterilità e valutare al contempo se in coltura si sviluppano germi significa identificare il bersaglio per la terapia (situazione tipica è la sepsi in corso di un'endocardite). L'esecuzione di un antibiogramma permette di identificare il giusto farmaco per il trattamento del malato e si ottiene un'alta probabilità di guarigione; in altre circostanze il medico deve seguire criteri meramente epidemiologici. La situazione tipica è quella della sindrome influenzale: se un individuo si ammala con i segni e i sintomi dell'influenza, il medico non può per ogni caso stabilire che si tratta del determinato virus causa di quella particolare epidemia in atto, perché il singolo caso potrebbe invece essere provocato da un altro agente patogeno anch'esso virale (sindrome influenzale oppure similinfluenzale, ma non influenza). In altre circostanze ancora, più complesse, si può ricorrere a un tentativo per approssimazione definito criterio ex-adjuvantibus. In sostanza, di fronte all'impossibilità di far diagnosi, si utilizza un farmaco che è potenzialmente efficace in un certo spettro di patologie. Se il farmaco funziona ci si può approssimare meglio alla diagnosi e talora riuscire nella sua definizione, tuttavia si tratta di una metodologia in qualche modo estrema e che, talvolta, può indurre molti errori di valutazione.
Nella breve sintesi sui modelli di approccio diagnostico si comprende come esista una storia naturale di ogni processo morboso (malattia) e come da esso derivi l'importanza della diagnosi precoce in un adeguato contesto spazio-temporale. Il significato di diagnosi precoce richiede tuttavia una definizione che ne rafforzi il valore operativo: per es., con diagnosi precoce si potrebbe voler descrivere l'identificazione di una malattia nelle sue iniziali fasi di sviluppo (ma dove va collocato l'inizio?), oppure definire diagnosi precoce la possibilità di scoprire un evento patologico prima però che compaiano i sintomi. Ne deriva che la possibilità di intervento terapeutico è funzione della fase cronologica nella quale si riesce a individuare il marcatore (marker) di un determinato evento morboso. L'esempio più semplice e più immediato riguarda la patologia neoplastica, ma altrettanto importante può essere il quadro biochimico del diabete prima che i danni causati all'organismo siano di difficile gestione e/o irreversibili. In questo contesto vanno inseriti i progressi dei nuovi metodi diagnostici, che sono proposti dalle diverse tecnologie, allo scopo di fornire alla m. clinica l'opportunità di anticipare le conseguenze del danno anatomo-fisiologico irreversibile.
Diagnostica strumentale. - I metodi della diagnostica strumentale riguardano la possibilità di fornire varie informazioni su parametri funzionali o anatomici. Nell'ambito radiologico si ottengono immagini precise ad alta risoluzione, con diversi approcci. Alla radiografia standard, ancora valida per esaminare ossa, apparato respiratorio, cuore, tubo digerente e apparato renale, si sono affiancate diverse altre tecniche che utilizzano acquisizione di immagine ed elaborazione con adeguati software. La tomografia computerizzata (TC, originalmente definita tomografia assiale computerizzata, TAC) utilizza raggi X che identificano aree anatomiche (con e senza mezzo di contrasto) la cui immagine viene sottoposta a elaborazione e confronto. Le capacità del software, applicate alla definizione delle immagini ottenute dai raggi X, consentono approfondimenti in grado di identificare anche minime differenze rispetto a condizioni di normalità e, al contempo, possono fornire indicazioni diagnostiche risolutive. Un grande progresso nella gestione dell'imaging, la cui evoluzione si è andata delineando nell'ultimo ventennio del 20° sec., è rappresentato dall'impiego degli ultrasuoni e dall'applicazione dell'ecografia. Gli ultrasuoni emessi da una sorgente convergono sugli organi in studio e ne vengono riflessi secondo modalità diverse, che sono in rapporto alla loro struttura anatomica. L'immagine che si ottiene si genera dall'eco delle frequenze di ritorno, in funzione della diversa lunghezza d'onda. Un derivato di grande impiego è la tecnica definita eco-Doppler, che è usata prevalentemente per lo studio di flussi vascolari (venosi e arteriosi). L'eco-Doppler ha una capacità di descrizione dinamica, che consente all'osservatore di poter rilevare rallentamenti del flusso ematico come anche altre alterazioni (per es., vascolarizzazione di noduli tiroidei sospetti). Un'altra metodica è la risonanza magnetica nucleare (RMN) che consente di ottenere immagini grazie alla proprietà degli atomi di idrogeno presenti nel tessuto esaminato di orientarsi secondo una stessa direzione quando si applica un campo magnetico. Nel ritorno allo stato fisico precedente, quello dell'applicazione del campo magnetico, viene rilasciata energia che adeguatamente captata da un sistema di rilevazione permette, grazie a opportuni programmi, di definire un'immagine dettagliata, con acquisizioni cumulative in grado di fornire un insieme orientato (frontale, trasversale, sagittale) e una ricostruzione tridimensionale dell'oggetto. Gli sviluppi dell'imaging (v. diagnostica per immagini) si sono agevolmente e ben integrati con le metodiche della chirurgia contemporanea. In tal modo, con strumentazione 'dedicata' e sistemi di ottica ad alta tecnologia, è possibile affrontare lo studio di apparati e organi non altrimenti raggiungibili se non mediante interventi traumatici (v. chirurgia).
Diagnostica di laboratorio. - La diagnostica di laboratorio ha avuto un importante salto di qualità alla fine degli anni Ottanta, periodo nel quale le tecniche di laboratorio erano possibili per un certo insieme di test sierologici, con circoscritta valutazione di aspetti cellulari e biochimici, spesso condizionati da metodiche non prive di limitazioni. Un aspetto critico nello studio delle cellule, per es., riguardava la loro conservazione in generale, la capacità di conservazione a specifiche temperature, nonché la difficoltà di organizzare standard di riferimento soddisfacenti. Quando si parla di diagnostica di laboratorio bisogna definire i confini di applicazione che si intendono mantenere. Infatti dalle biotecnologie sono derivati approcci e strumentazioni di grande importanza pratica, frutto della collaborazione tra diverse competenze (fisica medica, immunologia, biochimica, informatica). Tra le metodiche che utilizzano tecnologie combinate una fondamentale è l'ELISA (Enzyme Linked Immuno-Sorbent Assay). È il test comunemente definito immunoenzimatico: l'esecuzione si basa su un anticorpo che riconosce un determinato bersaglio e su un sistema di rilevazione che aggancia un enzima al suo substrato. Una volta che è avvenuta la reazione, si può osservare il cambiamento cromatico che viene letto in sistema automatico. Dalla biologia molecolare sono derivate le applicazioni che si basano sulla possibilità di analizzare sequenze di acido nucleico come la PCR (Polymerase Chain Reaction), o altri approcci indotti come il DNA fingerprinting.
Un altro progresso fondamentale nella diagnostica di laboratorio è consistito nell'uso degli anticorpi monoclonali. Due ricercatori, G. Koehler e C. Milstein, nel 1974-75 sono stati in grado di utilizzare le cellule di un particolare tumore (il mieloma murino) per produrre, grazie alla tecnica di ibridazione, una cellula linfocitaria B, capace di sintetizzare e quindi secernere un anticorpo diretto verso l'antigene specifico utilizzato per stimolare la produzione degli anticorpi stessi. In pratica l'ibridoma utilizza la capacità di replicazione indotta dalla neoplasia e quella del riconoscimento antigenico propria della risposta linfocitaria. Poiché gli anticorpi monoclonali (nel linguaggio comune vengono definiti con l'acronimo MoAb, ossia Monoclonal Antibodies) riconoscono un singolo antigene, appare evidente la loro funzione pratica (prevalentemente diagnostica ma anche terapeutica). Infatti con i MoAb si possono riconoscere caratteristiche di cellule somatiche nella loro evoluzione e maturazione, e cogliere le proprietà di membrana o quelle citoplasmatiche che evidenziano, per es., una degenerazione neoplastica. Un impiego fondamentale in ematologia è la tipizzazione di alcune forme tumorali come i linfomi e le leucemie. Con anticorpi monoclonali si studiano anche le cellule linfocitarie e in corso di diverse patologie è possibile controllarne le variazioni e la distribuzione quantitativa. Un uso comune è il calcolo dei linfociti T CD4+ in corso di malattia da HIV (v. immunologia). Il virus responsabile dell'AIDS infatti distrugge le cellule linfocitarie che hanno una caratteristica di membrana riconoscibile da un particolare anticorpo monoclonale rivolto verso la struttura nota come CD4 (CD, Cluster of Differentiation). Con una strumentazione adeguata con sistemi di immunofluorescenza si contano i linfociti CD4+ per unità di volume e si può calcolare il livello di deficit. In caso di presenza di AIDS, per es., se il malato ha valori di linfociti T CD4+ nel sangue al di sotto di 200/mm3 significa che è a serio rischio di infezione perché gravemente immunodepresso. Aspetti in evoluzione nella diagnostica di laboratorio riguardano le tecnologie che, in continuo progresso (v. sonde molecolari; proteoma; bioinformatica), sono sempre più utilizzate non soltanto per le ricerche di base ma trovano anche applicazione nella quotidiana pratica medica.
Evoluzione delle terapie
A partire dalla metà del 20° sec. la m. ha conseguito sostanziali progressi terapeutici che hanno riguardato la farmacologia (v. farmaci intelligenti), la chirurgia, la radioterapia e, in particolare, l'adozione di terapie integrate. I successi ottenuti con gli antibiotici e i farmaci antinfiammatori, l'uso razionale degli steroidi, l'introduzione di molecole come pure di vaccini (v. vaccini intelligenti) derivati da biotecnologie, la chirurgia dei trapianti, l'impiego di approcci meno aggressivi (microchirurgia, chirurgia endoscopica, chirurgia mininvasiva) per trattare diverse patologie, sono solo una parte del bagaglio culturale del quale dispone la m. per il controllo di diverse forme morbose. Tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec. la possibilità di ottenere molecole funzionalmente attive e ben tollerate ha permesso di perfezionare la terapia sostitutiva (per es., l'uso dell'insulina nel diabete oppure vari ormoni per le malattie endocrine), mentre un settore nel quale la farmacologia ha fornito un contributo fondamentale riguarda gli psicofarmaci (sono state infatti sintetizzate diverse sostanze in grado di agire sul sistema nervoso e modularne le reazioni psichiche: farmaci antidepressivi, ansiolitici, molecole di impiego nelle psicosi; v. depressione; schizofrenia). Le cure antineoplastiche (v. tumori e cancro) hanno consentito una gestione migliore delle diverse forme di cancro, grazie all'azione integrata di varie competenze (sistemi di chemioterapia, chirurgia e radioterapia). Tra i settori della chirurgia che hanno ottenuto i maggiori successi si ricordano la cardiochirurgia, la pneumochirurgia, la neurochirurgia (v. cardiopatia; chirurgia). Molti successi della chirurgia sono dovuti non soltanto al perfezionamento delle tecniche operatorie ma anche alla disponibilità di molecole facilmente gestibili in anestesiologia, molecole in grado di mantenere il malato in condizione di tollerare lunghi interventi senza conseguenze indesiderate al risveglio. I progressi dell'immunologia di base e dell'immunologia clinica hanno permesso di rivoluzionare, almeno in parte, il trattamento di malattie altrimenti non curabili e a prognosi infausta (v. immunologia; citochine). I farmaci immunosoppressori hanno modificato radicalmente la prognosi e la qualità di vita nelle malattie autoimmuni (v. autoimmunità) e consentito la sopravvivenza dei tessuti trapiantati. Prodotti combinati che sfruttano sia tecnologie farmaceutiche sia la biologia della risposta immunitaria sono molecole che trovano largo impiego in particolari condizioni patologiche: si tratta degli anticorpi monoclonali assemblati con frammenti murini. Tra le malattie che hanno tratto giovamento in quest'area di applicazione si ricordano l'artrite reumatoide, il morbo di Crohn, l'artrite psoriasica, ma anche alcuni tumori e malattie allergiche (v. allergia). Un'evoluzione ulteriore grazie a complesse metodiche di biologia molecolare ha permesso di realizzare anticorpi del tutto umanizzati, cioè privi della componente murina. Nell'ambito delle terapie d'avanguardia l'uso delle cellule staminali ha rappresentato un nuovo modello concettuale, dal quale scaturiscono conseguenze eccezionali per il trattamento di malattie degenerative, neoplastiche, dismetaboliche. Il dibattito in bioetica sull'impiego di cellule staminali (v. staminali, cellule) è stato ed è argomento di profondi conflitti di natura etico-culturale, ma i numerosi progressi sulla possibilità di disporre di materiale genetico non utilizzando soltanto componenti di provenienza embrionale dovrebbe consentire, almeno in parte, il superamento di alcuni dei conflitti in questione.
Grandi progressi sono stati compiuti anche nella farmacologia del dolore, con l'immissione di analgesici e anestetici sempre più efficaci (v. terapia del dolore). Nell'ambito dell'uso dei prodotti biologici (per es., le trasfusioni ematiche o derivati del sangue), grazie anche a una disciplina di controllo rigorosa sulle modalità di raccolta e lavorazione del materiale acquisito definita da organismi internazionali come l'EMEA (European Agency for the Evaluation of Medicinal Products), sono utilizzabili flaconi con altissimo indice di sicurezza, tanto per la tolleranza quanto per il rischio di trasmissione delle malattie infettive. L'impiego delle immunoglobuline per via endovenosa ad alte dosi, per es., è insostituibile in soggetti con deficit di produzione anticorpale ma anche in malattie autoimmuni con disregolazione grave e danno di diversi tessuti (per es., polineuropatie, miastenia gravis, piastrinopenie, l'anemia emolitica, polimiosite/dermatomiosite; per approfondimenti v. farmaci intelligenti). Un altro settore di grande interesse ha riguardato l'uso di alcune caratteristiche delle sorgenti laser che hanno permesso applicazioni medico-chirurgiche in vari settori (oftalmologia, dermatologia), il cui impiego, nei casi di provata efficacia rispetto ad altre tecniche o altri approcci, ha determinato utili progressi di relativamente facile gestione (v. laser).
Medicina e salute
La definizione di m. e, in parte, le sue finalità mutano nel corso del tempo sia in funzione del progresso tecnico sia in rapporto alla percezione del suo ruolo sociale e individuale. Se all'inizio del 21° sec. il percorso, inquadra senz'altro la m. come ricerca continua, tuttavia non si deve prescindere dal suo significato pratico che si concretizza nell'atto clinico, mirato a ripristinare la salute. È pertanto essenziale che l'intervento operativo non prescinda mai dal rapporto medico/malato. Tuttavia se lo scopo della m. è stato percepito storicamente come azione per guarire, l'evoluzione delle conoscenze ha imposto un'azione mirata sull'individuo anche per impedire che si ammali. Sono così derivate nuove priorità che hanno cambiato la professione del medico e il suo rapporto con le istituzioni.
L'uso sempre più frequente del termine biomedicina, sia per quanto concerne l'attenzione a pratiche diagnostiche sia per quanto riguarda l'introduzione di aggiornati strumenti terapeutici, è indicativo delle nuove modalità culturali e lessicali che delineano l'atto clinico. Infatti strette competenze di m. clinica o derivate da altre discipline si sommano in aree di indagine che non mirano unicamente allo studio del singolo paziente ma si ampliano su fenomeni di popolazione (epidemiologia, farmacologia, igienistica, dietologia, m. della salute) o verso indagini di base (biologia molecolare, genetica, tecniche di laboratorio, immunochimica, studio delle cosiddette malattie rare). Ne consegue che il medico clinico ha competenze su limitate aree di patologia, prevalendo per necessità scientifica l'integrarsi di varie competenze. D'altro canto, se è noto, per es., il successo della prevenzione che è messa in atto con le campagne vaccinali (eliminazione del vaiolo, lotta alla poliomielite e così via) è altrettanto consistente l'osservazione che la m. si è trasformata in disciplina non solo di prevenzione di danno biologico ma anche di miglioramento dello stato di salute, finalizzato a preservare le caratteristiche somatiche, rallentando l'invecchiamento o interessandosi, per es., degli aspetti estetici (v. cosmetologia). Non va dimenticato tuttavia una sorta di paradosso socioeconomico che distingue il mondo affluente e ricco dai Paesi in via di sviluppo ovvero economicamente depressi. In queste nazioni l'atto clinico è ancora m. curativa per risolvere le esigenze più elementari di sopravvivenza.
Medicina ed economia
I costi di gestione per garantire prevenzione, cura e assistenza hanno avuto una grande espansione e incidono in modo rilevante sul prodotto nazionale lordo (v. sanità) di tutti i Paesi. È nata pertanto una linea di studio mirata a definire i limiti degli interventi programmatici che una società può permettersi in rapporto alla cosiddetta domanda di salute. In questo contesto il ruolo della grande diffusione di notizie, la maggior parte delle quali gestite senza appropriato filtro, genera con frequenza non realistiche speranze di risolvere problemi umani drammatici. Quindi si è magnificata una serie di azioni (dalla diagnosi predittiva al riconoscimento di un rischio di malattia fino alla sua profilassi potenziale e cura) che spesso non corrispondono, soprattutto nel breve termine, alla reale possibilità di attuare interventi terapeutici: un esempio dolente riguarda gli studi sulla preparazione dei vaccini anti HIV (AIDS e patologie correlate). A partire dagli anni Ottanta del 20° sec. vi è stato un susseguirsi di annunci che predicevano la preparazione di un vaccino efficace in tre-cinque anni dall'annuncio stesso, quando era ragionevolmente prevedibile che la messa a punto del vaccino, la sua sperimentazione, la diffusione e i costi avrebbero dovuto far stimare tempi più lunghi. È verosimile che il vaccino anti HIV avrà una sua realizzazione, ma la malattia è stata gestita con diversa efficace strategia ricorrendo a farmaci antiretrovirali che hanno posto altri complessi problemi di controllo medico e di spesa. Gli impegni finanziari per l'assistenza sanitaria prevedono costi multipli che vanno dall'amministrazione degli ospedali all'acquisto di farmaci, dalla lunghezza delle degenze in corsia all'appropriatezza dei ricoveri e delle prestazioni diagnostico-terapeutiche. Ne deriva che un'importante responsabilità grava sulle decisioni miranti a stabilire i confini che rendono operativi interventi politici oppure programmi in area sanitaria. In ogni caso, sempre nei Paesi economicamente avanzati, al di là dello squilibrio esistente sulla distribuzione delle risorse, c'è stato un indubbio beneficio per la qualità della vita e un suo allungamento, mentre si è assistito a un marcato ridimensionamento della natalità. Questo aspetto dei cambiamenti sociali, unitamente a una maggiore diffusione della cultura medica, ha generato grande attenzione sulle malattie croniche e degenerative, patologie che possono essere senz'altro controllate ma che implicano una spesa altissima per lungo tempo, nella maggior parte dei casi non sostenibile dal singolo paziente, e che la gestione pubblica si assume.
Disease management
La necessità di definire con coerenza un equilibrio tra efficacia dell'azione clinica e ottimizzazione delle risorse, nella logica di un progressivo miglioramento della qualità dei servizi sanitari e soprattutto dell'integrazione fra diverse aree di competenza, ha dato corpo a un modello assistenziale denominato disease management (DM). Questo metodo di gestione nasce come approccio al problema malattia nel suo insieme, con la finalità di migliorare sia il lavoro della m. clinica sia il complesso dei servizi che vengono proposti al cittadino, nell'ottica di una spesa sostenibile. Con il DM si cerca essenzialmente di evitare o prevenire una serie di fattori sfavorevoli che vanno dalla frammentazione della cura all'inappropriatezza dei trattamenti o al discostarsi da linee guida condivise dalla comunità scientifica. Con il DM vengono utilizzate nuove strategie per gestire, in generale, le malattie croniche, consentendo al modello assistenziale il miglioramento continuo di qualità. Il momento esecutivo prevede l'elaborazione di un programma adeguato alla gestione di una patologia definita; il programma in sostanza genera un protocollo diagnostico-terapeutico condiviso dai vari operatori sanitari nei diversi livelli di competenza, vale a dire: medico di base, infermiere, medici specialisti, farmacisti, amministrazione sanitaria. In questo gruppo viene a collocarsi lo stesso malato, che svolge un ruolo di interazione a più livelli. Un protocollo condiviso si fonda su linee guida riconosciute valide (nazionali e/o internazionali) e viene inserito nell'ambito della struttura attiva con conoscenza delle risorse effettivamente utilizzabili. Il sistema usa una banca dati e prevede una fase di educazione e formazione degli operatori (team specialistico). I sistemi di verifica e revisione della qualità vengono periodicamente attivati per una valutazione che impiega indicatori di struttura, processo ed esito. In tale contesto il rapporto cittadino/utente - strutture/operatori/servizi sanitari si modifica con il malato inserito all'interno di componenti che interagiscono fra loro e alle quali l'interessato può accedere con modalità omogenee. Il DM, pur nel rischio che il sistema possa parzialmente essere condizionato o sbilanciato dal controllo dei costi e non dalla obiettiva necessità d'assistenza del paziente, ha numerosi punti a favore. Infatti, attraverso l'elevata appropriatezza e qualità delle prestazioni, il tempo d'attesa per la prestazione stessa dovrebbe tendere a ridursi, i costi vengono controllati e si ottiene una migliore fruibilità del servizio. I protocolli di DM sono utili, tra i possibili esempi, nei programmi di screening. Un programma di screening si rivolge a una popolazione a rischio che viene invitata presso una struttura sanitaria a eseguire un definito esame (test cosiddetto di primo livello). Gli individui contattati aderiscono volontariamente. È ovvio che il momento iniziale riguarda un'iniziativa della struttura sanitaria la quale assicura l'onere di prendere in carico il destinatario dell'invito. Attuare un programma di screening ha significato se un bersaglio definito concerne malattie a grande diffusione che hanno consistente impatto sociale e per le quali esistono validate prove scientifiche per cui lo screening stesso rappresenta un intervento efficace (per es., in grado di abbassare la mortalità). Nel piano di screening è evidente che il rapporto tra operatore e cittadino non è quello consueto tra malato e medico. Si tratta infatti di gestire una popolazione sana sulla quale intervenire d'anticipo per patologie ad alto rischio. In genere uno screening per tumori della mammella o del colon retto può essere considerato efficace nell'ambito di alcune neoplasie (ma anche per quelle della cervice uterina o quant'altro). Il profilo di attuazione per un piano di screening è un altro esempio di DM, in quanto devono essere impostati i vari parametri del sistema in modo esaustivo. Tali parametri vanno dalla popolazione sulla quale agire alla struttura dove eseguire il test e includono i momenti di ulteriore approfondimento o attuazione di terapia. Devono essere definite le modalità di accesso, le competenze, l'integrazione delle fasi operative fino al monitoraggio dei risultati ottenuti. Si tratta di iniziative che prevedono un'ampia escursione temporale (anche di anni) e che impongono frequenti aggiustamenti. Uno degli aspetti più importanti concerne, per es., la comunicazione, strumento essenziale con la finalità di fornire al cittadino elementi per una scelta orientata, promuovendone la partecipazione diretta. È entrata in uso, per definire questo processo, l'espressione inglese empowerment, cioè capacità di motivazione per cui un individuo si comporta relazionandosi in modo costruttivo con il sistema e gli stessi operatori attivi al suo interno. L'informazione e un linguaggio adeguato rendono il cittadino empowered e quindi in grado di capire la motivazione di un progetto di screening e di aderirvi con maggiore cognizione di causa.
Rapporto medico-malato
Con l'evolvere delle conoscenze mediche e il contemporaneo diffondersi di un'informazione generalizzata sulle attese che il cittadino ha acquisito per il successo della m., si è modificato rapidamente il tipo di relazione esistente fra operatore medico e utente, quest'ultimo sia nella condizione di malato sia quale fruitore di competenze professionali a vari livelli (prevenzione, informazione, orientamento). La relazione tra persona/cittadino/utente e operatore sanitario pone il vissuto di malattia, o il timore della stessa, in una dimensione non più basata su certezze ma sul criterio della gestibilità di conoscenze, ruolo di medici specialisti e strutture d'assistenza con coinvolgimento di figure professionali che hanno assunto un nuovo significato operativo, anche grazie alle modificazioni dei titoli di studio e l'istituzione di lauree triennali (laurea in infermieristica, tecnici di laboratorio biomedico, esperti in terapia occupazionale, fisioterapisti e così via). Sono anche in espansione il contributo della psicologia e della psicologia clinica e la diffusione di metodologie di lavoro che rimodulano il rapporto tra medico/operatore sanitario e malato o utente, come si è verificato per il counselling. Per una relazione professionale efficace il counselling rappresenta un processo che permette di fornire aiuto alle persone nel gestire i problemi e vede l'intervento di specialisti che possono interagire sia sul medico sia sul paziente o utente. D'altro canto la complessità del problema relazionale emerge sia da aspetti talora ambigui di bioetica sia dalla conflittualità di natura medico-legale per cui ogni anno si amplia il numero dei sanitari coinvolti in denunce (risarcimento economico o aspetti penali derivanti da supposti errori medici). Inoltre, a rendere il sistema ancora più articolato, è stata la diffusione di associazioni di individui colpiti dalle malattie più varie, rare o a carattere cronico, che usufruiscono a loro volta di competenze di specialisti e di strutture socialmente importanti al fine di premere sull'opinione pubblica e sul mondo sanitario, fornendo una diffusione con i vari mezzi (cartaceo, on- line, radiotelevisivo) delle specifiche problematiche e rappresentando un significativo fattore di stimolo sulle iniziative delle stesse case farmaceutiche o istituzioni competenti. Si può citare, fra i tanti, il gran numero di onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) di persone colpite da malattia da HIV o AIDS. Queste azioni di impegno sociale hanno dato un grande impulso agli investimenti e alla raccolta di fondi per sovvenzionare ricerche o contribuire alla formazione e aggiornamento di personale d'assistenza.
Medicine alternative e complementari
La m. strutturatasi sul pensiero scientifico razionale in Occidente ha generato la percezione di un'immagine positiva, ma le inevitabili delusioni si associano nell'utenza a un senso di frustrazione che per varie ragioni può indurre verso quel complesso di interventi definito, in lingua inglese, dall'acronimo CAM (Complementary and Alternative Medicine). Per medicina complementare (complementary) si intende un intervento impostato insieme alla medicina convenzionale, mentre per medicina alternativa (alternative) ci si riferisce a un'azione messa in atto come sostitutivo della medicina convenzionale. Il problema CAM è uno degli aspetti non secondari della m. contemporanea. Infatti, poiché le medicine complementari o alternative non sono adeguatamente regolate in un gran numero di Paesi, l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) si è occupata del problema fornendo linee guida per le autorità sanitarie. Inoltre, nelle nazioni ricche molti individui fanno ricorso a diversi tipi di terapie 'naturali', laddove il termine naturale dovrebbe significare sicurezza ed efficacia. Il quadro va anche compreso nelle implicazioni del rischio. Le istituzioni OMS si occupano di una corretta diffusione delle CAM quando queste abbiano dimostrato benefici e minimizzato i rischi. Esiste talora evidenza empirica o scientifica che supporta i benefici dell'agopuntura, di terapie manuali e di numerose piante medicinali su condizioni croniche o lievi ed esistono scuole o master di formazione che legano l'applicazione della m. occidentale con quella orientale. Piante medicinali efficaci, per es., offrono spesso soluzioni per problemi minori, ma va considerato il rischio di effetti indesiderati o di sensibilizzazioni allergiche, come si verifica del resto per ogni farmaco. Quindi il capitolo delle m. alternative e complementari necessita di un'adeguata gestione da parte delle autorità sanitarie che devono informare l'utenza e gli stessi medici che utilizzano CAM.
La sperimentazione clinica
Gli studi clinici sperimentali (trials clinici) costituiscono una forma di ricerca medica applicata che ha lo scopo di valutare un determinato trattamento su individui malati. Un trial clinico viene progettato con metodologie accurate che, in rapporto al rigore scientifico di attuazione, possano generare risultati validamente interpretabili. In un trial le regole di esecuzione costituiscono il protocollo. In questo viene descritta la tipologia degli individui ammessi allo studio, il programma delle indagini previste, le procedure di somministrazione di un farmaco, i relativi dosaggi, i tempi di valutazione e la durata complessiva. Durante l'esecuzione del trial i soggetti vengono esaminati periodicamente per rilevare le condizioni di salute e i potenziali effetti collaterali emergenti. I trattamenti farmacologici vengono validati proprio grazie all'esecuzione di questi studi, che vedono frequentemente collaborare numerosi centri, soprattutto al fine di un ampliamento della casistica. Inoltre, per la sicurezza e nel rispetto della persona ogni ricerca viene condotta sulla base di condivisi principi etici. Un protocollo deve essere sottoposto a un comitato di bioetica (presente nelle istituzioni qualificate) che può anche negare l'assenso all'esecuzione di un trattamento proposto. Gli individui che decidono di partecipare a un trial clinico firmano il consenso informato, nel quale sono esposti i dettagli inerenti allo studio: questi devono essere resi comprensibili dal personale sanitario responsabile del trial stesso. Nell'attuazione di un protocollo sono particolarmente importanti i criteri di esclusione/inclusione. Nell'ambito dei metodi della sperimentazione clinica si hanno vari livelli di rigore esecutivo: si va dallo studio controllato e randomizzato (una popolazione riceve una determinata terapia e i risultati vengono controllati con quanto osservato nel gruppo degli individui che ha ricevuto un placebo) alle indagini di coorte (che analizzano nel tempo gruppi di individui con diversa esposizione a un rischio o nei quali un gruppo riceve un farmaco e l'altro no), fino alle indagini cosiddette caso-controllo, in cui le informazioni sono essenzialmente derivate da un'analisi passato-presente per capire se un certo prodotto può avere o meno agito terapeuticamente rispetto a patologia nota o se certe caratteristiche comportamentali possono avere generato un determinato rischio. I trials clinici sono un potente strumento di conoscenza e consentono la possibilità di utilizzare nuovi farmaci o nuove proposte di protocolli terapeutici in diverse malattie. Prima di introdurre un nuovo farmaco nella pratica clinica i trials si sviluppano in quattro fasi. Gli studi di fase iv, per es., sono realizzati quando il prodotto preso in esame o la terapia hanno ricevuto l'autorizzazione alla prescrizione. Nell'affrontare uno studio clinico è importante il confronto tra le popolazioni prese in esame. In generale i pazienti sono assegnati casualmente (random) al gruppo che utilizzerà il trattamento in sperimentazione o a quello di controllo. Per garantire una sostanziale obiettività e ridurre le interferenze delle attese soggettive nei riceventi si utilizzano gli studi in cieco. In questo sistema gli sperimentatori non comunicano agli individui inclusi nel protocollo se riceveranno o no il farmaco. Così i partecipanti non sanno se appartengono al gruppo che riceve il farmaco o se risultano inseriti nei cosiddetti controlli. Esiste un sistema ancora più forte sul profilo della sicurezza in merito a interferenze potenziali. È il trial condotto in 'doppio cieco'. In tale sistema sia i pazienti sia i ricercatori non sanno quali sono gli individui che riceveranno il trattamento e quelli che faranno i controlli assumendo placebo. La rivelazione si concretizzerà in vari gradi (se previsti) o alla chiusura del protocollo, aprendo le buste contenenti i codici di attribuzione che consentono di identificare i soggetti che hanno assunto il placebo, distinguendoli dagli altri che hanno assunto il farmaco. Il doppio cieco evita che le aspettative dei pazienti e le potenziali attese degli sperimentatori possano in qualsivoglia maniera influenzare sia l'andamento della sperimentazione sia le conclusioni scaturite dai risultati ottenuti.
La formazione del personale sanitario
La complessità dell'iter formativo nelle scienze mediche e la necessità di preparare con alta professionalità coloro che si iscrivono in corsi di area sanitaria ha prodotto nella struttura didattica universitaria una serie di cambiamenti. Come in molte altre discipline il sapere medico è destinato a una veloce obsolescenza e la formazione del medico, dopo la laurea, implica un iter formativo continuo (sapere e saper fare). L'aspetto educativo-didattico non utilizza più il solo rapporto formale docente/discente o l'unica disponibilità del testo cartaceo. Fonti di trasmissione del sapere medico sono riviste scientifiche on-line, videoconferenze, seminari, ma anche divulgazione minore e spesso non controllata. Il contesto socioculturale nel quale deve avvenire la preparazione professionale del medico o di chi acquisisce una competenza tecnica in area sanitaria (altre professioni a laurea triennale o specialistica), anche in rapporto all'accelerazione delle conoscenze e alla massa di informazioni, implica una revisione continua dei moduli formativi sui quali esiste in Italia un dibattito importante e ricco di implicazioni pratiche. Su queste premesse è emersa la necessità di fornire un 'nucleo duro' di conoscenza-base che forma per ciascun discente il core curriculum (ossia il nocciolo irrinunciabile). D'altro canto se nella fase di preparazione non si tiene conto della costante emergenza di specializzazioni, possono generarsi criticità nell'iter di formazione-verifica. Un punto importante è stato, di conseguenza, l'introduzione dei corsi integrati (non più un docente con prevalenza didattica ma condivisione di responsabilità formative). Per valorizzare il tipo di impegno dello studente e vincolare i docenti a effettuare verifiche di apprendimento è stato introdotto il concetto di credito formativo universitario (CFU). I CFU sono la misura del lavoro svolto dallo studente, articolato in rapporto alla tipologia della disciplina o della prestazione professionalizzante.
Tra i nuovi elementi del sistema formativo e i nuovi ordinamenti didattici in progress un aspetto importante è consistito nella valutazione dei docenti da parte dei discenti, che rappresenta un utile parametro di verifica sulla qualità di formazione proposta. Il numero chiuso di accesso alle discipline mediche, il ruolo delle lauree professionalizzanti triennali (ma anche del 3+2), la necessità di investire a lungo termine per ottenere una preparazione efficace sono fattori che necessitano di un costante monitoraggio sia nell'ambito della gestione ospedaliera sia nella struttura formativa e di aggiornamento. In Italia, per es., dal 2002 è iniziato un piano di attuazione per crediti (ECM, Educazione Continua in Medicina) che i sanitari devono acquisire ogni anno, secondo un numero programmato, al fine di dimostrare un aggiornamento professionale validato con certificazione riconosciuta dal Ministero della Salute. Il primo programma quinquennale, a carattere preliminare ma reso obbligatorio, si è articolato nel periodo 2002-2006.
Clinical governance
La clinical governance, espressione non traducibile direttamente dall'inglese come governo clinico, nasce quale approccio di sistema alla gestione integrata dei problemi assistenziali nel loro complesso. Per una definizione in lingua italiana si intende con governance un assetto multidisciplinare necessario per gestire una determinata struttura di lavoro, mentre clinical si riferisce a un contesto sanitario, con significato più estensivo del solo assetto clinico che riguarda direttamente diagnosi e terapia. La clinical governance prende vita essenzialmente in Gran Bretagna a metà degli anni Novanta del 20° sec., con lo scopo di garantire precisi obiettivi di cura e dare inizio a un miglioramento complessivo dell'assistenza in sanità. La definizione corretta secondo G. Scally e L.J. Donaldson, come riportata dal British Medical Journal, è la seguente: "una struttura attraverso la quale le organizzazioni del NHS (National Health Service) devono rispondere per migliorare continuamente la qualità dei loro servizi e la tutela degli standard di cura ottimi, creando un ambiente in cui potrà prosperare l'eccellenza nella cura clinica". Lo scopo è quello di realizzare un telaio sul quale poggia il complesso dell'organizzazione sanitaria al fine di migliorare la qualità dei servizi prestati, riesaminando criticamente e controllando il lavoro svolto, mettendo se necessario in discussione procedure organizzative e aspetti professionali. In sostanza il quadro sistemico mette in gioco malati, amministratori, medici, infermieri, per ottimizzare con parametri di verifica quanto istituzionalmente svolto. Il periodico e pubblico accesso ai risultati, per es., con rapporti annuali, supera il limite autoreferenziale del medico per offrire lo spazio a un confronto con altri sistemi o strutture di lavoro. La clinical governance è in grado di promuovere la qualità delle prestazioni e cure fornite e per la sua implementazione esercita un effetto di trascinamento (aspetti formativi e adeguata gestione del rischio, adeguamento del sistema secondo linee di ricerca e di sviluppo, verifica dei risultati ed efficacia della prestazione clinica, trasparenza dell'attività svolta): modello RAID (Review, Agree, Implement, Demonstrate). Nella profonda trasformazione del rapporto tra medico e paziente, se storicamente il giudizio di verifica è stato esclusivo del medico, all'inizio Duemila coinvolge varie professionalità in un gruppo interattivo (malato, amministrazione, personale di assistenza); e si parla così di verifica in ambito clinico, piuttosto che di unica verifica medica. Il management di un'azienda sanitaria ha lo scopo e la responsabilità di utilizzare al meglio risorse economiche e professionalità disponibili, con il fine di ottenere un vero miglioramento dello stato di salute degli utenti (in relazione a parametri ben definiti) e di estendere la tutela e la prevenzione.
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