MEDITERRANEO
(XXII, p. 754; App. I, p. 831; II, II, p. 282; III, II, p. 52; IV, II, p. 425)
Nonostante sia il mare di più antico uso e da più lungo tempo oggetto d'indagine sistematica, le ricerche sul M. hanno avuto nuovi e importanti sviluppi. Le lacune conoscitive su questo mare semichiuso, sulle possibilità d'uso delle sue risorse biologiche e minerarie e specialmente sui modi di preservarne gli ecosistemi da crescenti processi di degrado o di supersfruttamento si sono rivelate tanto maggiori da quando sul M. si è concentrata l'attenzione coordinata di tutti i paesi rivieraschi che, in seguito alla ratifica della Convenzione di Barcellona (1976), hanno avviato il PAM (Piano d'Azione per il Mediterraneo).
La genesi del M. ne chiarisce la struttura attuale e serve a valutarne, in ultima analisi, le condizioni di sopravvivenza. Le ricerche geofisiche dell'ultimo trentennio, nel quadro della teoria della tettonica a placche, consentono di aggiornare i meccanismi genetici del bacino.
Il processo di chiusura del grande mare della Tetide ha inizio nella seconda parte del Mesozoico (circa 150 milioni di anni fa) con l'emersione di un continente pre-atlantico e la dislocazione della placca nord-africana verso quella euro-asiatica, seguita dal distacco dalla prima della placca arabica. Tali dislocazioni e i conseguenti fenomeni di corrugamento ai bordi interruppero, sul finire del Mesozoico, le comunicazioni tra ciò che era rimasto della Tetide e il grande bacino indo-pacifico e, a partire dall'era terziaria, frazionarono la Tetide stessa in una serie di bacini morfologicamente separati: da ovest, il bacino algerino-provenzale con prolungamento nel ligure; il bacino del basso e medio Tirreno; il bacino ionico, che si prolunga da un lato verso la Sirte e dall'altro nel basso Adriatico; il bacino levantino; infine, oggi in parte o del tutto isolati dal M. propriamente detto, il Mar Nero, il Mar Caspio e il Lago d'Aral. Tutti questi bacini hanno registrato nel tempo evoluzioni autonome e differenziate, e le reciproche comunicazioni idrauliche sono state alternativamente interrotte e ripristinate in funzione degli eventi orogenetici e − in subordine per cicli più brevi − delle variazioni eustatiche di livello marino.
Una conformazione morfologica tanto tormentata e il carattere stesso di mare semichiuso sono i fattori determinanti della circolazione idrica superficiale e sottomarina del Mediterraneo. Si è valutato che, se la stretta soglia di Gibilterra (solo 14 km di ampiezza e 400 m di profondità) fosse occlusa, il livello del M. subirebbe per l'evaporazione un abbassamento di ben 130 cm/anno, in parte compensato (55 cm/anno) dagli apporti delle precipitazioni e dei fiumi che sfociano nel bacino. Il bilancio idrologico negativo di −75 cm/anno, corrispondente a 1,5 milioni di km3 d'acqua, viene compensato dagli afflussi dal Mar Nero (che ha bilancio positivo) e soprattutto da quelli atlantici. Sempre in relazione al suo carattere semichiuso, all'alto tasso di evaporazione e alla ineguale distribuzione dei maggiori sfoci fluviali, il M. presenta tassi di salinità che sono sensibilmente superiori a quelli degli oceani (37-39‰), ma anche assai differenziati al suo interno, con punte massime lungo le coste africane e del Levante. Unitamente ai regimi meteo-marini, questi sono fattori determinanti della circolazione all'interno del bacino e degli scambi tra strati superficiali e profondi, la cui conoscenza è oggi importante per la gestione e la circoscrizione degli estesi fenomeni d'inquinamento che affliggono il M., oltre che per un più razionale sfruttamento delle risorse biologiche.
I pericoli più gravi per la fauna marina del M. derivano sia dalla carenza di ossigeno (anossia), legata a processi inquinanti, che colpisce direttamente le specie commestibili, oppure rompe a monte le catene alimentari; sia dall'eccesso di nutrienti, pure legato a versamenti in mare di scarichi ad alta concentrazione di azoto e fosforo, che si traduce in eccessi di fioriture algali e, in ultima istanza, nello stabilirsi di ambienti anossici.
Si è valutato che nel M. le più comuni sostanze inquinanti sono presenti in concentrazioni da sei a venti volte superiori a quelle degli oceani aperti. Ciò è conseguenza del forte carico antropico: oltre 200 milioni di persone vivono lungo le coste del M. o nei bacini che in esso hanno recapito, e tra questi sono alcune delle regioni più industrializzate del pianeta. Infine, si è appurato che occorrono da 80 a 100 anni per il rinnovo totale della massa idrica del M., attraverso l'unica soglia di Gibilterra. È questo un elemento determinante, che inibisce i naturali processi di autodepurazione, assai spediti negli oceani aperti, e che ha indotto a formulare, sempre negli anni Settanta, pessimistiche previsioni circa il futuro biologico del bacino. Tali previsioni non si sono a tutt'oggi avverate e non può escludersi che fossero ''inquinate'' da fatti emotivi e/o politici: tuttavia, restano previsioni fondate e tali da giustificare ogni sforzo di ricupero e risanamento del bacino, quale che ne sia il costo.
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Geografia politica ed economica. - Durante gli anni Settanta e Ottanta il M. ha assunto rilievo internazionale per il concorso di parecchi fattori: il quadro delle fasce giurisdizionali marine è diventato piuttosto complicato e ha favorito lo sfruttamento di importanti risorse, come gli idrocarburi; il progresso nelle tecnologie ha reso possibili attività in aree marine dotate di fondali sempre più profondi; gli impatti ambientali sono diventati più preoccupanti. A causa di ciò, alla fine degli anni Ottanta il M. era da considerarsi uno dei più complessi mari semichiusi del mondo, sia dal punto di vista degli usi che da quello della tutela ambientale.
In tempi recenti tutti i paesi del M. hanno provveduto a estendere i limiti delle acque territoriali, portandoli a 12 miglia nautiche dalla linea di base. Queste operazioni sono state accompagnate dalla ridefinizione delle linee di base e quasi tutti i paesi hanno cercato di definire linee più avanzate di quelle precedenti, in modo da conseguire due importanti risultati: aumentare l'estensione delle acque interne, situate al di qua delle linee di base; far avanzare quanto più possibile il limite esterno del mare territoriale. Questa propensione ha anche prodotto casi anomali: per es., la decisione libica di far rientrare il Golfo della Sirte nelle acque territoriali ha provocato tensioni politiche e militari. I noti contrasti politici tra Grecia e Turchia riguardano in parte anche i criteri in base ai quali il secondo paese ha tracciato le linee di base. Neppure l'Italia è stata immune da critiche, per avere incluso nelle acque interne un'estesa porzione del Golfo di Taranto.
Dalla fine degli anni Sessanta parecchi paesi mediterranei hanno sfruttato giacimenti sottomarini di petrolio e gas naturale. Per eseguire ricerche e aprire pozzi al di là della distanza di 12 miglia nautiche, sono ricorsi all'istituzione di piattaforme continentali in conformità alla convenzione sulla piattaforma continentale, sottoscritta nel 1958 nel contesto della i Conferenza dell'ONU sul Diritto internazionale del mare. Per comprendere il senso, economico e politico, di queste iniziative occorre tener conto della differenza che il termine ''piattaforma continentale'' assume in geografia e nel diritto. In geografia, la piattaforma continentale è la parte contigua alla costa del margine continentale, cioè del protendimento sottomarino della base dei continenti. Il margine è composto da tre parti che, procedendo dalla costa al largo, comprendono la piattaforma continentale, la scarpata continentale e il rialzo continentale. Invece, nel diritto internazionale, il termine ''piattaforma continentale'' è riferito sia alla piattaforma (in senso fisico), sia a parti del fondo marino che si stendono a mare di questa (scarpata, rialzo, e addirittura fondi oceanici).
La convenzione del 1958 stabilì che gli stati costieri che hanno in comune la piattaforma continentale (intesa nel senso ampio accennato) possono suddividerla ricorrendo a trattati bilaterali, affinché ciascuno di essi possa sfruttare le risorse del fondo e del sottofondo nell'area soggetta alla propria giurisdizione.
L'Italia, interessata allo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale nell'Adriatico, ha dato avvio agli accordi sulla piattaforma continentale stipulando nel 1968 un trattato con la Iugoslavia. Da quella data sono stati stipulati i seguenti trattati: 1971, tra Italia e Tunisia, per la demarcazione delle rispettive zone del Canale di Sicilia; 1974, tra Italia e Spagna, per il tratto compreso tra Sardegna e coste iberiche; 1977, tra Italia e Grecia, per la piattaforma continentale nello Ionio; nel 1977 Libia e Tunisia si sono affidate alla Corte internazionale di giustizia per definire la zona economica esclusiva e si sono attenute alla conseguente sentenza, pronunciata nel 1982; nel 1985, Libia e Malta si sono accordate per delimitare la rispettiva zona di sfruttamento del Mediterraneo.
Dagli anni Sessanta nel M. si è espanso ogni tipo di attività marittima. I maggiori impulsi si sono verificati nello sfruttamento degli idrocarburi. Ingenti quantità di gas naturale sono state estratte dalla piattaforma continentale italiana dell'Adriatico. Durante la seconda metà degli anni Ottanta, nel settore settentrionale dell'area operativa dell'ENI, imperniata su Ravenna, erano in esercizio una trentina di piattaforme estrattive. Nel Mar Ionio si è espansa l'estrazione di petrolio. In corrispondenza delle coste sud-orientali della Sicilia sono entrati in esercizio i primi impianti estrattivi su fondali profondi oltre 300 m, in cui si può operare solo con tecnologie avanzate, che richiedono un ampio uso di robotica. Attività petroliere offshore si sono sviluppate anche in corrispondenza delle coste tunisine e libiche. Programmi sono stati predisposti per il Bacino delle Baleari, nella piattaforma continentale della Spagna.
Nell'insieme del M. si stima che, nel breve e medio termine, ogni anno sarà perforato un numero di pozzi compreso tra 90 e 120, donde deriverà una crescente domanda di spazi a terra per la logistica. Lo sviluppo dell'attività estrattiva è direttamente connesso all'esigenza di soddisfare il più possibile le domande energetiche nazionali mediante fonti locali di energia. Entro il 2025 lo sviluppo dei paesi mediterranei extraeuropei dovrebbe portare − secondo le stime del Piano d'Azione per il M. − alla costruzione di un numero elevato di centrali termoelettriche, compreso tra 150 e 250, lungo le coste africane e asiatiche del bacino. In queste aree dovrebbe raddoppiare la capacità di raffinazione del petrolio che, a sua volta, viene trasportato con navi di dimensioni molto più piccole di quelle in uso negli anni Sessanta e Settanta. Ciò ha ridotto la potenziale entità dei danni ambientali in caso d'incidente in navigazione. Il bacino del M. fa parte, insieme ai mari giapponesi, delle aree in cui s'importa più carbone: vi affluiscono circa 200 milioni di t annue di carbone, metallurgico e da vapore, le quali − in rapporto all'evoluzione delle economie rivierasche − potrebbero raddoppiarsi entro il primo quarto del 21° secolo.
Nella seconda parte degli anni Ottanta la popolazione delle regioni litoranee del M. aveva raggiunto 133 milioni di abitanti, pari al 37,5% della popolazione globale dei 18 paesi affacciati sul bacino. Naturalmente, a seconda dei paesi, la popolazione litoranea assume pesi diversi rispetto alla popolazione nazionale. Per es., nel territorio della ex Iugoslavia soltanto poco più del 10% degli abitanti vive nelle fasce litoranee, mentre − al contrario − oltre la metà della popolazione algerina vive in insediamenti costieri. Secondo gli studi previsivi del Piano d'Azione per il M. redatti nell'ambito dell'United Nations Environment Programme (UNEP), entro il 2025 la popolazione delle regioni costiere dovrebbe aumentare attorno al 50%, raggiungendo i 200 milioni di abitanti. In realtà, dagli anni Sessanta è in atto una vera e propria litoralizzazione del Mediterraneo. Questo processo possiede due connotati: in primo luogo, è in aumento la densità di popolazione nazionale nelle fasce costiere; in secondo luogo, cresce la quota di popolazione nazionale dei paesi rivieraschi che si localizza sul litorale. Dapprima ne sono stati coinvolti i versanti europei, soprattutto nelle regioni italiane, francesi e iberiche, poi la tendenza si è estesa ad aree extraeuropee, coinvolgendo Maghreb, delta del Nilo e aree del Mashrek. Naturalmente, nelle regioni costiere è soprattutto la popolazione urbana che subisce i maggiori aumenti. Nella seconda metà degli anni Ottanta oltre 80 milioni di abitanti vivevano in città litoranee; nel primo quarto del secolo 21° ve ne dovrebbero essere insediati 130 milioni. Di conseguenza, si vanno formando piccole megalopoli litoranee: in particolare una significativa saldatura fra i centri urbani si sta verificando lungo le coste del M. nordoccidentale, dalle regioni nordtirreniche francesi fino a quelle del Golfo del Leone; un'altra piccola megalopoli si forma lungo le coste catalane, altre prendono forma lungo le coste maghrebine, e così via. Le dimensioni di questo addensamento di popolazione e di sedi in fregio al mare sono espresse da elevati tassi di urbanizzazione. Nelle regioni litoranee europee il tasso si avvicina al 90% e, in qualche parte, addirittura al 100%, stando a significare che vi è insediata soltanto popolazione urbana. Nelle regioni litoranee extraeuropee il tasso si aggira sul 70% e dovrebbe portarsi sul 90%.
Nel M. a metà degli anni Ottanta circa 14.000 km di linea di costa erano occupati da insediamenti di vario genere (città, porti, industrie). Nel primo quarto del secolo 21° questo fronte umanizzato dovrebbe portarsi − secondo le valutazioni del Piano d'Azione per il M. − attorno a 30.000 km. Mentre le popolazioni litoranee stanno aumentando, profondi mutamenti avvengono nelle economie: nelle regioni settentrionali, soprattutto lungo i versanti della CEE, l'espansione delle industrie di base si è arrestata e stanno diffondendosi produzioni tecnologicamente avanzate, con valori aggiunti piuttosto elevati. Questo processo, coerente con i cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro, ha prodotto conseguenze notevoli. Le più vistose si sono avvertite nel porto di Fos, satellite del porto di Marsiglia: progettato soprattutto a servizio di un'area industriale estesa su 7000 ha, ed estensibile fino a 20.000 ha, Fos − terminato proprio nel 1973, mentre insorgeva la crisi del mercato del petrolio − ha visto sfumare le prospettive di diventare una gigantesca area poggiata su industrie di base. Sui versanti africani e asiatici del M., invece, parecchie regioni stanno attraversando − sia pure con alti e bassi e con molte difficoltà − una fase di espansione industriale, poggiata sulle prime lavorazioni: raffinazione del petrolio e produzioni chimiche di base, fonderie e siderurgia, produzioni di fertilizzanti.
Verso la fine degli anni Ottanta le regioni litoranee del M. erano frequentate da 51 milioni annui di turisti internazionali e da 45 milioni annui di turisti nazionali. Ovviamente, il turismo si sta diffondendo e coinvolge ogni parte del bacino. I turisti internazionali dovrebbero superare, alla fine del secolo, i 100 milioni annui, cui si dovrebbero aggiungere almeno 75 milioni di turisti nazionali l'anno. Ciò sta a significare che il turismo dovrebbe costituire una sorta di nuova frontiera del M., soprattutto per la convergenza di due andamenti: da un lato, l'acquisizione al turismo di estese aree, continentali e insulari, nella sezione extraeuropea del bacino; dall'altro, la diffusione di circuiti turistici interregionali, che connettono regioni litoranee di differenti versanti mediterranei.
Nel 1975 il Canale di Suez è stato riaperto e da allora non vi sono state più interruzioni di accessibilità al bacino, anzi il Canale è stato approfondito e ampliato, in modo da consentire il transito a navi a pieno carico fino a 250.000 tpl (tonnellate di portata lorda). La circostanza ha riportato il M. alla sua funzione di spazio di transito tra Oceano Indiano e Pacifico, a est, e Oceano Atlantico, a ovest. Il traffico marittimo è cresciuto, sia quello mercantile che quello militare; ciò ha contribuito, insieme all'espansione delle attività litoranee e all'inquinamento atmosferico, ad accrescere i livelli di rischio ambientale del bacino. Ben motivata è stata, dunque, la Convenzione di Barcellona, sottoscritta nel 1976 dai paesi litoranei per tutelare il bacino dalle sostanze inquinanti e pericolose scaricate da vettori marittimi, dall'inquinamento provocato da vettori aerei e da quello derivante da fonti telluriche, cioè da industrie e da città litoranee.
Nei tardi anni Ottanta il quadro delle compromissioni ambientali poteva così sintetizzarsi. L'alterazione termica delle acque marine era piuttosto diffusa, essendo provocata da numerose centrali termoelettriche localizzate presso i porti, a filo di costa, e da un certo numero di altri impianti industriali, dotati di circuiti di raffreddamento. Ne soffrivano gli ecosistemi, a causa della crescita della vegetazione del fondo marino, dalla quale deriva eutrofizzazione. Il fenomeno era accentuato nel Mar Adriatico, ove concorrevano parecchie altre cause, tra cui gli scarichi del Po. L'inquinamento batterico era provocato soprattutto dalle sostanze organiche immesse nelle acque marine attraverso gli scarichi urbani. Malgrado la diffusione di impianti di depurazione, questo fenomeno aveva dimensioni tali da mettere a repentaglio le catene alimentari. Gli inquinanti inorganici − prodotti tossici, pesticidi, metalli pesanti, e così via − non erano quantitativamente così elevati come gli inquinanti organici ma, a causa della loro possibilità di fissarsi nelle cellule degli organismi, producevano consistenti rischi, anche per le popolazioni litoranee. Per es., nelle comunità di pescatori venivano trovate tracce di arsenico e di mercurio superiori ai limiti tollerabili.
Nel Piano d'Azione del M. sono stati considerati problemi ambientali prioritari: a) la difesa del patrimonio forestale e della vegetazione spontanea, con particolare riguardo alla foresta mediterranea, presente ormai solo in poche aree del M. orientale, e alla macchia mediterranea; b) la tutela delle acque dolci, per le quali le azioni di salvaguardia hanno cercato di estendersi a tutti i bacini idrografici tributari del M.; c) la difesa delle coste, soggette a crescente erosione; d) la protezione del mare, con riguardo sia alle alterazioni provenienti da scarichi costieri, sia alla navigazione.
Nell'ambito di questo contesto l'erosione costiera appare uno dei problemi più complicati, essendo provocata da varie cause: la diffusione delle strutture insediative litoranee; la riduzione del materiale erosivo trasportato dai fiumi al mare (il caso più preoccupante è quello del Nilo, dove i materiali non affluiscono al mare a causa della diga di Assuan); la subsidenza, causata dall'abbassamento della terraferma rispetto al livello del mare in corrispondenza delle aree costiere (per es. in prossimità delle foci del Po), dove sia stato intenso il prelievo di idrocarburi da giacimenti vicini e di acqua dal subalveo di fiumi; l'innalzamento del livello del mare (previsto in 30÷40 cm nei prossimi cinquant'anni), dovuto al cambiamento climatico.
Durante gli anni Ottanta crescente attenzione è stata dedicata agli impatti ambientali dovuti ai trasporti marittimi, a causa sia dei versamenti in mare di petrolio e derivati, sia degli incidenti di navigazione. In base alla MARPOL (International convention for prevention of pollution from ships, 1973-78), il M. e il Mar Nero sono stati dichiarati ''aree speciali'', per cui le navi non possono versare in acqua nessun prodotto oleoso, né altri tipi di rifiuti. I residui dell'alimentazione possono essere versati soltanto oltre 12 miglia nautiche dalle coste e adottando particolari cautele.
Nonostante ciò, il M. è soggetto a consistenti versamenti di idrocarburi e derivati. In totale, si stima che oltre 600.000 t l'anno di petrolio e prodotti oleosi affluiscano alle sue acque, versati da fonti marittime (navi e impianti industriali) e terrestri (scarichi litoranei e foci fluviali). Tuttavia, mentre nella generalità dei mari è preponderante la quota di prodotti provenienti da fonti telluriche rispetto a quelle versate dalle navi, nel M. almeno la metà delle sostanze è versata da vettori marittimi. Si contano, infatti, un centinaio di incidenti (collisioni, naufragi, guasti) i quali, pur essendo di piccola entità (quasi sempre con versamenti di petrolio inferiori a 10.000 t), causano un considerevole impatto complessivo. Inoltre, nel 1991, nel M. accaddero anche due incidenti gravi (la collisione del Moby Prinz avvenuta a Livorno; il naufragio della Haven avvenuto a Genova), con versamenti di consistenti quantità di petrolio, sicché il problema della sicurezza nella navigazione s'impose all'azione politica in termini piuttosto perentori.
Durante gli anni Ottanta la cooperazione avviata con la Convenzione di Barcellona raggiunse una fase matura. Ciò fu dovuto all'entrata in vigore (1980) del più importante protocollo, quello che disciplina gli scarichi tellurici (urbani, industriali, fluviali), cui è seguito (1982) quello per la creazione di aree protette lungo le coste mediterranee. Infine è stato predisposto un protocollo per prevenire l'inquinamento dovuto alla ricerca ed estrazione di idrocarburi da giacimenti sottomarini e ad ogni altra attività industriale in mare.
I protocolli della Convenzione di Barcellona sono:
1) Protocol for the prevention of pollution of the Mediterranean Sea by dumping from ships and aircrafts (adottato a Barcellona il 6 febbraio 1976; entrato in vigore il 12 febbraio 1978);
2) Protocol concerning cooperation in combating pollution of the Mediterranean Sea by oil and other harmful substances in cases of emergency (adottato a Barcellona il 16 febbraio 1976; entrato in vigore il 12 febbraio 1978);
3) Protocol for the protection of the Mediterranean Sea against pollution from land-based sources (adottato ad Atene il 17 maggio 1980; entrato in vigore il 17 giugno 1983);
4) Protocol concerning Mediterranean specially protected areas (adottato a Ginevra il 3 aprile 1982; entrato in vigore il 23 marzo 1986);
5) Protocol for the protection of the Mediterranean Sea against pollution resulting from exploration and exploitation of the sea-bed and its subsoil (in stato di avanzata preparazione).
Nel 1992, a Rio de Janeiro, ha avuto luogo l'United Nations Conference on Environment and Development (UNCED, 1-14 agosto). In quell'evento, denominato ''summit della Terra'' per la sua importanza, sono stati definiti i principi e formulate le linee guida dello sviluppo sostenibile, cioè di una politica che, attraverso un'appropriata collaborazione internazionale, consegua sviluppo economico salvaguardando l'ambiente, tutelando le esigenze di giustizia di tutte le genti e i diritti delle generazioni future.
In base all'Agenda 21, approvata in quella sede e contenente le azioni da intraprendere nel 21° secolo, la cooperazione internazionale dovrà perseguire anche lo sviluppo sostenibile del mare, ivi compresi i mari regionali, semichiusi e chiusi. Sulla base di quell'indirizzo di fondo, nel 1993 sono stati avviati i lavori preparatori per passare dal Piano d'Azione del M., che ha caratterizzato la cooperazione durante la seconda metà degli anni Settanta e negli anni Ottanta, all'Agenda 21 del Mediterraneo, che dovrebbe perseguire una cooperazione coerente con gli standard dello sviluppo sostenibile.
Nello stesso tempo sono venuti alla ribalta seri problemi ambientali nel Mar Nero, ove le immissioni inquinanti si sono accumulate al punto da far temere un collasso dell'ecosistema. Di conseguenza, si è manifestata l'esigenza di coordinare i programmi per il M. con un'azione dedicata alla salvaguardia del Mar Nero. L'obiettivo, non immaginabile durante i decenni della guerra fredda, non appare fuori portata negli anni Novanta.
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