MEMORIA
. Propriamente, è la facoltà di riprodurre nella coscienza esperienze che alla coscienza avevano già appartenuto e che in seguito erano invece divenute inconsce. Questa facoltà riproduttiva è talora peraltro considerata anche da un punto di vista più generale: così si parla di "memoria organica" o "muscolare" per designare la facoltà, che l'organismo possiede, di conservare in sé l'esperienza di movimenti compiuti e di poterli quindi riprodurre meccanicamente, con sforzo sempre minore rispetto a quello che era stato necessario per compierli la prima volta. Questa memoria organica merita peraltro tale nome solo in forza del più generico aspetto di capacità riproduttiva che della memoria appare proprio: giacché se si considera invece la caratteristica più importante e più problematica della memoria stessa, costituita dalla facoltà di traduzione del sapere dallo stato inconscio allo stato conscio, si scorge subito come la cosiddetta memoria organica partecipi invece della caratteristica opposta, giacché il processo di automatizzazione dell'agire, in cui essa consiste, rappresenta piuttosto, in quanto traduzione di moti volontarî in moti riflessi, un passaggio dal conscio all'inconscio. Più prossima alla memoria vera e propria, o "memoria intellettiva" è invece la "memoria affettiva", costituita dal processo di riproduzione degli stati affettivi originariamente collegati con le rappresentazioni, e risorgenti col riaffiorare delle rappresentazioni stesse. Ma s'intende che si può distinguere tale memoria affettiva dalla intellettiva solo quando si attribuisca a quest'ultima un'astratta teoreticità, sceverante le rappresentazioni da ogni motivo pratico che ad esse si colleghi, mentre s'identifica senz'altro con essa quando la memoria venga considerata nella sua concretezza integrale, in cui il contenuto rappresentativo è sempre anche affettivo, cioè investito d'interesse pratico.
Nella sua natura propriamente psicologico-gnoseologica, la memoria costituisce per la filosofia un problema, e ciò per la stessa ragione e negli stessi limiti in cui costituisce problemȧ la concepibilità di un sapere inconscio. Che quest'ultimo sussista, è tesi che non presenta difficoltà finché, considerata oggettivisticamente l'attività pensante e localizzato sostanzialisticamente il suo organo (per es. nell'anima, o nel cervello, ecc.), si possa immaginare contenuto in essa, allo stato potenziale, tutto ciò che caso per caso non è recato in atto dalla funzione consapevole. La "memoria" è, in questo senso, il serbatoio delle conoscenze in potenza: la "reminiscenza" il processo che le rende attuali. In tal senso, per es., Platone distingue la μνήμη dall'ἀνάμνησις, riferendo la prima (specialmente nel Teeteto) all'immagine dell'anima come blocco di cera variamente disposto ad accogliere e ritenere le impressioni, e impostando tutta la sua teoria circa la conoscenza terrena delle idee ultraterrene su questo concetto di una memoria inconsapevole che si traduce, in occasione dei richiami associativi della conoscenza sensibile, in consapevole reminiscenza. Così Aristotele riprende la distinzione, le dedica il De memoria et reminiscentia e riserva alla memoria, nella sua costruzione psicologica della facoltà dell'anima, un posto particolare, concependola quale funzione che conservando e fissando i dati del senso e della fantasia li prepara per l'elaborazione concettuale. Queste concezioni si perpetuano nelle gnoseologie postaristoteliche, immutate nelle linee maestre e solo acquistando determinazioni particolari: così, in Sant'Agostino si delinea la considerazione autonoma della "memoria affettiva" e in San Tommaso la distinzione della sensitiva, riproducente i dati sensibili, dalla intellectiva, riproducente le conoscenze intellettuali.
Dopo questa fase che si potrebbe dire di preistoria, il problema della memoria entra invece nella sua fase storica quando comincia a farsi strada la considerazione soggettivistica del pensiero. Da questo nuovo punto di vista, per cui l'esistenza del cogitans non si constata in obiecto, ma si sperimenta in virtù dello stesso cogitare, e per cui, in altri termini, ogni sapere non può essere accertato, cioè non può essere, se non in quanto concreta consapevolezza, il sussistere di un sapere inconsapevole, quale appare implicito nella concezione tradizionale della memoria, diventa infatti estremamente problematico. E si può senz'altro dire che la memoria, specialmente nel senso più tipico e classico della parola (cioè in quello di memoria, serbatoio inconsapevole del sapere, più ancora che in quello di reminiscentia, atto di traduzione di quel sapere dallo stato inconscio allo stato conscio), resti da questo punto di vista concepibile come funzione spirituale solo in quanto la nuova gnoseologia soggettivistica continui a serbare in sé elementi e motivi dell'antica gnoseologia oggettivistica. Ciò è confermato dal fatto che, quando la nuova esigenza gnoseologica manifesta la sua efficacia anche nel campo della concezione della memoria, quest'ultima è sempre più spostata dall'astratta sfera dell'inconscio verso la concreta sfera del conscio, e cioè considerata sempre meno nell'aspetto per cui essa si presenta come sede del sapere inconsapevole e sempre più in quello per cui essa appare quale funzione del pensiero che torna consapevole di sé, e che perciò è tale.
Così (per non citare che le manifestazioni più tipiche di questa singolare posizione problematica) Spinoza, quando definisce la memoria come quaedam concatenatio idearum naturam rerum quae extra corpus humanum sunt involventium, quae in mente fit secundum ordinem et concatenationem affectionum corporis humani, cerca, con l'extra corpus, di tenere conto del carattere di estraconsapevolezza che appare peculiare del contenuto mnemonico; ma, riducendo d'altronde il nesso di quest'ultimo con il contenuto consapevole a una semplice concatenatio idearum, viene a estendere a entrambi la comune luce del pensiero consapevole. Con analogia d'antitesi, in Leibniz e in Berkeley (come poi, modernamente, nel Varisco) il problema della memoria viene a tradursi in quello dell'esistenza potenziale del sapere nelle monadi o della sua esistenza attuale in Dio (soggetto universale): sussiste cioè la possibilità del ricordo come potenza di tradurre il sapere dall'inconscio al conscio, per tutta quella sfera di sapere che appare immediatamente estranea alla soggettività concreta, e quindi da attribuire a una superiore soggettività concepita oggettivamente come universale. Il problema persiste anche dopo Kant: così, per es., Hegel avverte la difficoltà che presenta, in sede d'idealismo assoluto, il concetto della reminiscenza come processo di conversione dell'inconscio nel conscio; e cerca di superarlo applicando anche a tale conversione i suoi schemi dialettici, e considerando la memoria appunto nell'aspetto attivo della reminiscenza, che per ciò stesso appare come tutta attirata nell'orbita della consapevolezza (e il termine tedesco di Erinnerung, "reminiscenza", che etimologicamente significa "interiorizzazione", si presta anche per tale sua etimologia a un'interpretazione di tutto il processo mnemonico come atto di approfondimento della stessa consapevolezza). E questo richiamo del mondo mnemonico nella sfera della consapevolezza si riflette parallelamente nelle teorie che tendono a scorgere in quel mondo il contenuto concreto della personalità e individualità umana (già Hume, del resto, aveva risolto la classica substantia cogitans nel complesso dei ricordi): come, per es., accade nello Schopenhauer, o, per citare un esempio celebre tra i più recenti, nel Bergson. Il quale mirando a liberare la funzione mnemonica dalla concezione positivistica della sua esclusiva dipendenza dagli organi cerebrali, insiste sulla concreta presenza ed efficacia del tesoro mnemonico del passato nella viva esperienza del presente. Si ricorda quel che interessa, appunto perché il mondo dei ricordi non è che quello della stessa personalità orientata verso le proprie esigenze di vita e d'azione.
S'intende quindi come la definitiva valutazione del punto di vista soggettivistico operato in Italia dalla gnoseologia dell'attualismo abbia condotto alla negazione del problema classico della memoria. Contenuto mnemonico concreto è quello effettivamente ricordato, e che quindi si distingue da ogni altro contenuto di coscienza solo in quanto le si connette empiricamente la nozione dell'essere stato altre volte conosciuto. In concreto, cioè, la memoria è solo reminiscenza, e la reminiscenza non è che pensiero. Ciò non toglie, d'altronde, che non sussista il problema oggettivistico della memoria come problema della facoltà psichica del possesso mnemonico, studiata in un soggetto che non è lo stesso soggetto che studia, nell'atto in cui studia: ma appunto perciò esso non è problema di filosofia, ma di psicologia sperimentale, come ogni altro problema in cui le facoltà psichiche vengano studiate col metodo della scienza della natura in cui il dualismo di soggetto indagante e oggetto indagato resta essenziale.
La memoria secondo la moderna psicologia sperimentale.
Per intendere le moderne concezioni sulla memoria (quali sono uscite soprattutto dalle indagini di Ebbinghaus e della scuola di Külpe, nonché dalle ricerche più recenti di Bartlett, e della scuola della "forma" specie di W. Kothler), è necessario ricordare alcune nozioni sulle leggi generali della rinnovazione delle rappresentazioni.
Il riattivarsi delle nostre esperienze psichiche segue maniere così diverse, che non si possono descrivere in poche formule. In primo luogo non tutte le esperienze psichiche passate possono essere riprodotte; non si riproducono gli atti volitivi e i sentimenti; si possono invece riprodurre quei contenuti della coscienza che provengono immediatamente dalle sensazioni; nonché le relazioni che abbiamo colto tra esse, e cioè le rappresentazioni e le loro reciproche relazioni. Aristotele ha notato che la riproduzione di una rappresentazione è in rapporto temporale e spaziale sia con l'oggetto di una percezione precedente, sia con una rappresentazione antecedente. Quando vi è un legame tra due rappresentazioni, possiamo dire che l'una è motivo di riproduzione dell'altra e che vi è una tendenza nella coscienza a riprodurre contenuti che hanno rapporto spaziale e temporale con contenuti attuali della coscienza. Aristotele trovò una consimile tendenza anche quando vi è tra due rappresentazioni, ovvero tra una percezione e una rappresentazione, un rapporto di somiglianza, oppure di opposizione. Oggi oltre questi tre motivi di riproduzione se ne ammettono altri; ad esempio, il contrasto, la sostituzione, ecc.; la riproduzione può essere dovuta anche a una tendenza di perseverazione (G. E. Müller). Vi sono, per quanto da alcuno si neghi, riproduzioni di rappresentazioni spontanee, senza cioè che vi siano motivi di riproduzione; si parla allora di una riproduzione libera di rappresentaziomi. Il tentativo di ridurre questi motivi di riproduzione a uno solo, fondamentale (ad esempio, a quello di contrasto, ovvero a quello di somiglianza), può essere accettato solo nella seguente forma: una parte di un contenuto complesso di coscienza, divenuto cosciente, ha la tendenza a rievocare tutte le altre parti di quel contenuto complesso di coscienza.
Meccanismo della riproduzione. - Il fatto che contenuti di coscienza antecedenti rivivano fa supporre che tali contenuti di coscienza non siano del tutto scomparsi, ma che rimangano conservati in noi in qualche modo. Inoltre il fatto che il divenire cosciente di una parte di un contenuto antecedente di coscienza è condizione per il divenire cosciente anche del resto, fa ritenere che tra le diverse parti dell'insieme esista qualche relazione: in passato, per indicare questo fenomeno, si usò la denominazione associazione di rappresentazioni o di idee, denominazione che possiamo conservare, senza perciò ritenere che vi siano rappresentazioni per sé stanti e che si possano riprodurre per associazione, ma soprattutto senza ammettere il meccanismo nervoso (localizzazioni cerebrali) che si riteneva essere a base delle riproduzioni della rappresentazione.
Si può ritenere provato che alla riproduzione delle rappresentazioni corrisponde anche un legame anatomo-fisiologico degli elementi nervosi della corteccia cerebrale ai quali è giunta quella stimolazione sensoriale alla quale corrisponde quella rappresentazione, ma in che consista questo legame noi non possiamo dire con certezza. Esiste inoltre un legame anatomo-fisiologico tra le cellule che furono stimolate la prima volta contemporaneamente. Tale legame potrebbe essere di natura puramente dinamica, ovvero di natura chimica. Niente altro possiamo dire sul fondamento anatomico e fisiologico del meccanismo della riproduzione.
Nella ricerca sperimentale condotta per stabilire in modo positivo il meccanismo psicologico della rinnovazione delle rappresentazioni, si è partiti da quest' idea direttiva (Ebbinghaus): dedurre, a mezzo di associazioni coscienti, dati numerici e misure per dimostrare come avviene il processo d'impregnazione. Nelle indagini sull'associazione così compiute si è giunti a questi principali risultati.
a) Si è anzitutto determinato il rapporto fra il numero delle ripetizioni e la forza di associazione. Se un fatto interessante entra a far parte della nostra coscienza anche per una volta sola, ciò è sufficiente a imprimervelo durevolmente. Al contrario una rappresentazione unica di un contenuto indifferente, come le sillabe. senza senso, i numeri, le vocali senza nesso, si fissa ben difficilmente. Un adulto, dopo una sola lettura, può recitare da 6 a 7 sillabe senza significato e 10-12 numeri o lettere dell'alfabeto; le parole con significato, o meglio ancora quelle connesse tra di loro, si possono ritenere in numero molto maggiore, poiché non cogliamo i vocaboli nei loro elementi, cioè le lettere dell'alfabeto, né le frasi nei loro singoli vocaboli, ma osserviamo e riteniamo ogni volta il tutto insieme. Con un'unica presentazione di una serie anche breve non si crea un'associazione permanente; gli elementi percepiti perseverano però un breve tempo nel campo della coscienza, e poscia vengono dimenticati (memoria immediata). Ma, se il limitato numero di sillabe viene oltrepassato; se, ad es., invece di sei, ne vengono presentate nove, allora non accade che vengono ritenute sei e tre dimenticate, ma delle nove se ne ricorderanno appena due o tre. L'estensione del ritenere immediato varia secondo l'età dell'individuo e la freschezza della memoria.
Se la serie delle sillabe oltrepassa una certa lunghezza, si richiedono per la sua impregnazione nella coscienza parecchie ripetizioni. Se per una serie di dodici sillabe occorrono circa sedici ripetizioni, ci si domanda, in quale proporzione deve aumentare il numero delle ripetizioni necessarie all'impregnazione, quando la serie da imparare viene aumentata. Il numero delle ripetizioni cresce da principio molto rapidamente, indi più lentamente. Ebbinghaus ci dà i seguenti rapporti: per 7, 12, 16, 24, 36 sillabe occorrono 1, 16, 30, 44, 55 ripetizioni. Una spiegazione soddisfacente di questa regolarità non esiste ancora; possiamo solo dire che imparare 36 sillabe richiede un lavoro maggiore di quello necessario per imparare tre serie di 12 sillabe. Quanto più di frequente un materiale si ripete, tanto più profondamente s'imprime nella mente, ma gli esperimenti ci mostrano anche che non si ha una semplice proporzione fra il numero e la forza d'impregnazione delle ripetizioni. Per un materiale senza significato, la prima lettura ha maggior valore d'impregnazione; per quello con significato ciò si deve dire della seconda lettura, poiché la prima serve all'orientamento. Una volta che la serie è imparata, le ripetizioni in soprappiù non hanno relativamente gran valore per l'impregnazione; quindi è pure assai ridotta la loro funzione.
b) Un secondo fatto dimostrato da queste ricerche è l'influenza esercitata dal materiale da imparare.
Un'importanza del tutto speciale ha la posizione dei singoli elementi che compongono la serie. Il principio e la fine di una serie di sillabe si ritengono più facilmente, la parte media presenta di regola la maggiore difficoltà. Il fatto d'impregnare materiali immediatamente prima o immediatamente dopo l'apprendimento di una serie, nuoce al formarsi di nuove associazioni. Quanto più scorrevole è la lettura delle singole sillabe di una serie o degli elementi in genere di un materiale da impararsi, tanto più facile è l'imprimerli nella memoria. Una serie costruita di sillabe note è più facile a impararsi che una di sillabe sconosciute. Analogamente l'impregnazione di serie lunghe richiede maggior numero di ripetizioni di quella delle più brevi. Con quanta più forza e insistenza vengono presentati gli elementi, tanto meglio vengono ritenuti. Ciò vale in certo senso per la durata delle impregnazioni: se le singole sillabe rimangono a lungo visibili aumenta il numero dei termini trovati. D'altra parte però a pari condizioni, le serie s'imparano più rapidamente se si leggono più in fretta, giacché la condizione principale per il formarsi dell'associazione consiste nell'unione dei contenuti nella coscienza, e una serie letta più rapidamente si lascerà unire più facilmente in un contenuto totale della coscienza, che non una serie letta più lentamente.
c) Altro fatto importante messo in luce da queste ricerche è la regolarità della legge dell'oblio. S'imparano parecchie serie omogenee; dopo venti minuti si ripete una di esse tante volte fino a che possa venire nuovamente recitata. Dopo un'ora se ne impara una seconda allo stesso modo; dopo otto ore una terza, e così via. Il risultato di queste indagini mostrò che le serie imparate per le prime si dimenticano meno rapidamente e pertanto risulta che, se due materiali da memorizzare sono egualmente facili, dopo qualche tempo noi avremo meno dimenticato quello che avremo imparato per primo. Siccome si può, almeno fino a un certo punto, riuscire a un ricordo stabile, che non richiede cioè più nessuna ripetizione per essere ricordato, una serie può essere imparata fino al punto da essere recitata correntemente e nuovamente ripetuta ogni giorno, senza perdere giorno per giorno una medesima quantità della sua intensità di associazione. Secondo le ricerche di Jost le associazioni antiche si rinforzano più delle recenti, se s'impiega un numero eguale di ripetizioni. L'esperienza insegna che il rapido diminuire della forza di associazione viene impedito specialmente dalle prime ripetizioni.
Possiamo ora considerare nuove condizioni dell'imparare che nulla hanno di comune con la ripetizione.
d) Singolare importanza ha il comportamento psichico generale del soggetto. Un grande ostacolo per l'impregnazione sta nella stanchezza psichica. Disturbano pure i sentimenti dolorosi, mentre uno stato piacevole, purché non troppo vivo, è ad essa favorevole. Soprattutto l'interesse accelera l'impregnazione per l'aumento di attenzione che esso provoca. Altro fattore decisivo per ritenere a memoria è la volontà di ritenere. Senza essa, anche numerose ripetizioni non portano vantaggi notevoli.
Come si hanno differenti modalità di rappresentazioni (visive, acustiche, tattili, motrici, ecc.), così si hanno altrettante modalità di ritenere. In generale bisogna dire che il modo migliore di presentare un materiale da memoria è quello che corrisponde al tipo rappresentativo proprio del soggetto che deve memorizzare. Così un visivo deve memorizzare visivamente, un acustico acusticamente, ecc. Però questa regola generale subisce, per condizioni speciali che possono intervenire, numerose eccezioni.
e) Infine è da dirsi una parola delle associazioni secondarie. Oltre all'associazione, grazie alla quale una sillaba senza significato della serie presentata determina la riproduzione di quella immediatamente seguente (associazione principale), Ebbinghaus ne scoprì altre. La prima sillaba non è unita solo alla seconda, ma anche alla terza, alla quarta e perfino alla settima (associazione a salti); anzi l'intensità dell'associazione è tanto più durevole, quanto maggiore è la distanza originaria delle sillabe. Egli trovò pure un'associazione regressiva. Esiste anche una tendenza alla riproduzione della sillaba anteriore. Si trovò anche l'associazione di posizione. Il soggetto ricorda cioè, oltre alla sillaba, anche il suo posto nella serie, e ciò per mezzo del numerale: terza sillaba, o in forma visiva (nel mezzo) o acusticamente (in quanto le singole parti sono elementi di un ritmo).
I complessi. - L'associazione formata volontariamente tra i membri di una serie non ci dà un'immagine esatta dei legami associativi esistenti nella coscienza. Le rappresentazioni degli elementi componenti una serie sono isolate artificialmente, esse posseggono perciò un'importanza e una unione associativa più forte nella riproduzione, specialmente allorché viene prestata attenzione solamente ad esse, sicché vengono favorite in modo particolare, mentre altre rappresentazioni, che potrebbero sorgere contemporaneamente, vengono trascurate. Noi non possiamo spiegare con questo schema a catena il formarsi di quei gruppi di rappresentazioni che la vita crea. Corrisponde maggiormente alla realtà uno schema a rete. E cioè ogni rappresentazione è capace di un legame associativo in tutte le direzioni. Se si riflette poi che nella nostra coscienza non esiste mai una unica rappresentazione, ma che ve ne sono parecchie e che molte di queste le abbiamo già avute altre volte, è facile rendersi conto come si complicano e s'intrecciano le tendenze; inoltre da ciascuna rappresentazione partono, per questo fatto e contemporaneamente, le più varie tendenze alla riproduzione, le quali in parte (1) si favoriscono (aiuti), in parte (2) s'inibiscono a vicenda (inibizioni).
1. La regolarità della legge dell'oblio dimostra che le associazioni non rinnovate s'indeboliscono, ma non scompaiono completamente. Ciò fa presumere che lo sforzo di riproduzione, ancorché non raggiunga lo scopo, non rimane completamente inutile. Avviene infatti che un nome cercato ci si presenta poco dopo in un altro complesso; il tentativo di riproduzione ha dato a questo nome maggior facilità d'essere rievocato. Così talora nella scuola si dànno aiuti alla memoria; se il nome di un monte non viene in mente, si domanda il nome del fiume che nasce da esso.
2. Mentre la riproduzione di una rappresentazione viene facilitata quando parziali tendenze provenienti da altre rappresentazioni ne favoriscono il riprodursi, al contrario la riproduzione della rappresentazione b, voluta per mezzo della rappresentazione a, sarà ostacolata, quando da a partono contemporaneamente due tendenze alla riproduzione: verso b e verso c. Siffatta inibizione associativa può essere dimostrata sperimentalmente, e ciò in doppia maniera: se a è già associato a b, e deve congiungersi ancora con c, con ciò l'associamone a-c è più difficile a compiersi (impedimento generativo); inoltre per la nuova congiunzione ac, la più antica associazione ab s'indebolisce (impedimento effettivo). Questo modo tradizionale di esprimersi non è, per vero dire, esatto; noi della riproduzione possiamo solo dire che le possibilità di riproduzione di c come di b a mezzo di a, che sarebbe motivo di riproduzione, sono diminuite. Che l'associazione come tale non venga ostacolata, lo dimostrano le tendenze alla formazione di complessi della quale tratteremo più oltre e secondo la quale le due predette forme d'inibizione si presentano soltanto in determinate condizioni. Con ciò sparisce anche la preoccupazione che tutta la nostra vita rappresentativa debba essere influenzata da queste due forme d'inibizione e diventare per causa di esse persino impossibile. L'inibizione regressiva non è punto identica all'inibizione associativa. Se immediatamente dopo l'impressione di una serie si fa seguire una intensa occupazione mentale si dimenticherà il materiale imparato assai più che se non ci fosse stata tale occupazione. Qui si affievoliscono veramente le associazioni, poiché la riproduzione è, sotto ogni rapporto, resa più difficile, anche quando le rappresentazioni derivate dall'occupazione seguente non appaiono come fattori d' inibizione. Da ciò l'importanza di una breve sospensione da ogni lavoro intellettuale, dopo di aver imparato a memoria. L'associazione formata di fresco richiede tempo per consolidarsi e rinforzarsi.
Siamo ora in grado di dire come si formano i complessi. Dividendo una serie di sillabe in gruppi di tre ciascuno, facendoli leggere con un ritmo anapestico e presentando, in seguito, al soggetto una delle sillabe accentuate e dandogli il compito di proferire la prima sillaba che gli viene in mente, la penultima verrà riprodotta più frequentemente dell'immediata antecedente (tendenza di riproduzione iniziale). Esiste dunque una tendenza che, partendo da un membro del complesso, cerca di fare entrare nel campo della coscienza tutto il complesso. Se associamo una sillaba di siffatti complessi con una sillaba estranea di una seconda serie, l'inibizione generativa ed effettiva che, secondo quanto abbiamo detto sopra, dovrebbe realizzarsi per tale sillaba, non si verifica tosto che essa venga riprodotta entro un nuovo complesso. È dunque evidente che, nel recitare una serie suddivisa in complessi, non si riproduce ogni sillaba per sé, bensì viene richiamato nella sua totalità il complesso in cui tale sillaba si trova. Analoghe osservazioni si possono fare a proposito della riproduzione libera e obbligata delle rappresentazioni più significanti. Non solo dunque a un singolo elemento si aggiungono in diverse direzioni altri elementi, ma spesso parecchi elementi sono uniti in un complesso, e tali complessi, a somiglianza degli elementi che li costituiscono, sono associativamente raggruppati fra loro. È caratteristica del complesso l'essere appreso come un tutto e il poter essere riprodotto come un tutto. Se perciò si presenta una parte di tale complesso, la riproduzione si farà non tanto in direzione della parte rimanente, quanto verso il complesso intero. Sovente non è una parte di esso che ci si presenta, ma piuttosto una schematica anticipazione del complesso. Siffatto schema anticipante ha pure la tendenza di richiamare il complesso corrispondente (legge del completamento del complesso). Si comprende così come la nostra vita rappresentativa non sia sottoposta agli ostacoli provenienti dall'associazione di singoli elementi. Si spiegano così pure i fatti accennati circa il ritenere immediato; noi cioè riteniamo un numero di vocaboli con la stessa facilità con la quale riteniamo un eguale numero di lettere dell'alfabeto; ciò nonostante, nel processo totale della riproduzione gli elementi singoli hanno la loro importanza; le tendenze alla riproduzione raggiungono lo scopo anche quando parecchi complessi provenienti dallo stesso schema anticipante si fanno reciprocamente concorrenza. Grazie alla nozione del complesso, lo studio della memoria ci propone problemi del tutto nuovi. È necessario, partendo da queste nozioni, ricostruire nuovamente tutta la dottrina della memoria, e dimostrare che noi conserviamo la rappresentazione soprattutto in complessi. Due condizioni presiedono al formarsi dei complessi. Un complesso si forma senza la partecipazione del soggetto, allorché nella quantità d'impressioni mutevoli un gruppo di sensazioni si presenta sempre allo stesso modo. Così, ad esempio, in un giovane cavallo si fisserà, a poco a poco, l'immagine del fieno, del padrone, ecc. Con la cooperazione del soggetto possono formarsi dei complessi a mezzo di riassunti. Spontaneamente il soggetto suddivide una serie di sillabe da memorizzare in gruppi, l'accentuazione ritmica di determinate sillabe. sarà qui di grande aiuto; il semplice raggruppamento acquista una forma. Quanto più vasto sarà il complesso, data la possibilità di uno sguardo generale comprensivo, tanto più facilmente si arriverà a imparare l'intera serie.
Anche l'imparare a senso si comprende meglio considerandolo un caso singolare dell'associazione in complessi. Poiché l'imparare a senso è possibile solo in forza della formazione di un rapporto fra le singole rappresentazioni da ritenersi, in tal modo esse s'imprimono nel loro insieme. Certo si possono anche fondere due rappresentazioni in una sola che abbia un significato; così "modello" e "nipote", in "nipote modello". In questo caso con una semplice addizione di due complessi si forma un complesso maggiore. Il significato però che il nuovo complesso viene ad avere ha in questo caso un valore molto relativo, poiché con lo stesso vantaggio possiamo formare raggruppamenti senza significato. Ma non appena si scorge un rapporto fra le rappresentazioni da impararsi, si ottiene un contenuto di coscienza, e con ciò un caratteristico complesso con significato; tale complesso viene in fatto riprodotto. Si domanda però ancora se il pensiero del rapporto, come tale, viene pure espresso. Se ciò fosse, accanto ai residui di rappresentazioni intuitive, si dovrebbe ammettere ancora un nuovo elemento della memoria: le disposizioni non intuitive, pensieri non intuitivi. La difficoltà che si ha di comprendere tale concezione non è sufficiente, perché si debba rigettarla a priori.
Processi superiori della memoria. - L'associazione è in realtà un mezzo di aiuto per tutti i processi psichici superiori, ma in modo speciale lo è per la memoria. Questa ci presenta, accanto e insieme con il fatto del conservare e del riprodurre le rappresentazioni, quello del riconoscerle; senza il riconoscimento una memoria, nel senso vero della parola, non c'è. Ribot chiama questo riconoscere una localizzazione nel tempo. Vediamo che funzione ha questo riconoscimento. Da quanto abbiamo esposto, sappiamo che la percezione di un oggetto richiama la rappresentazione di un altro oggetto o di una situazione antecedente; sappiamo anche come questa rinnovazione di contenuti di coscienza avvenga e a quali leggi obbedisca. Ma perché io possa dire che io ho memoria di quell'oggetto la cui rappresentazione è rinnovata o di quella situazione antecedente, è necessario che io riconosca (riconoscimento o localizzazione nel tempo) la rappresentazione di quell'oggetto o quella situazione come una mia esperienza anteriore. Vediamo come ciò avvenga.
Kant distingueva una memoria meccanica, una memoria giudiziosa e una ingegnosa; in realtà si tratta di tre fasi successive di sempre maggiore complicazione di uno stesso processo. E cioè nel processo della memoria hanno importanza dominante gli elementi logici. Tutti gli studî sulla memoria, partiti dall'esame di un meccanismo, sono finiti per sboccare nel riconoscimento che la memoria è in funzione di un processo grazie al quale alla nostra vita mnemonica partecipa tutta la vita della nostra coscienza; la nostra memoria perciò è pronta, buona, diretta, indiretta, immediata, mediata, ecc. (schematiche divisioni un tempo di moda) in rapporto alla partecipazione di tutta la nostra attività psichica, alla rievocazione delle esperienze psichiche precedenti o questa rievocazione è in funzione del nostro riconoscimento: se noi ci ricordiamo di qualcosa lo è in quanto riconosciamo che questo qualcosa appartiene alla nostra propria vita antecedente della coscienza. Ciò è dimostrato assai bene dall'esame del meccanismo del quale ci serviamo quando vogliamo ricordare qualcosa. In questo caso usiamo dapprima una rappresentazione che ha funzione di guidare la ricerca di ciò di cui vogliamo ricordarci; questa rappresentazione-guida ha una funzione quanto mai importante; seleziona nelle rappresentazioni e nei loro complessi quello che si ricerca. E la ricerca è resa possibile dal fatto che insieme con la rappresentazione-guida, unisce il suo giuoco la rappresentazione del fine che vogliamo raggiungere: il riconoscimento di una persona, di un oggetto, ecc. Naturalmente ci rendiamo conto di questo complesso meccanismo solo quando il riconoscimento di qualche cosa che è passato si presenta particolarmente difficile e quanto meno rapidamente si presenta alla coscienza la rappresentazione cercata. Di frequente basta a rendercela presente il ripetersi della rappresentazione che fa da guida e della rappresentazione del fine. Ma, in altri casi, entrano in giuoco aiuti varî. Ad esempio, si ripete una sillaba lentamente, se si tratta di ricercare un nome; se si tratta di ricordarsi di una persona, si richiama la rappresentazione del luogo dove si è veduta, ecc. Ma, allorché la rappresentazione si è presentata, come la riconosciamo quale un ricordo, ossia come qualcosa che appartiene alla nostra vita psichica antecedente? Entrano in giuoco allora i criteri del ricordo. G. E. Müller chiama la deliberazione per la quale distinguiamo un contenuto mnemonico da una creazione della fantasia o del sogno, giudizio modale; esso si formula mediante criterî mnemonici, che ci fanno distinguere il vero ricordo da ciò che non lo è. Come criterî caratteristici sono da ricordarsi certe particolarità della rappresentazione riconosciuta, per le quali essa ci si presenta come nota. Possono entrare in giuoco aiuti che dirigono le correnti della coscienza in una determinata direzione; così la rapidità, la chiarezza, la grandezza di una rappresentazione parla per il suo carattere mnemonico; noi ricordando tali caratteri riconosciamo che si tratta di un contenuto mnemonico.
È interessante ricordare come noi siamo sicuri del ricordo e come la immediatezza del ricordo agisce nel senso di farcelo riconoscere come tale. Nel rievocare una rappresentazione, noi cogliamo anche il rapporto della rappresentazione stessa con il nostro io. Ciò avviene perché i fatti, gli oggetti, le persone, i nomi ricordati, fanno parte di un tutto in cui entra il nostro io come attività direttrice e costruttiva. Il ricordare, codesto rapporto della rappresentazione con noi, con il nostro io, è l'elemento decisivo per assicurarci della realtà oggettiva del nostro ricordo.
Ma non basta: nel giuoco della memoria vi è un altro elemento determinativo: il momento del passato. L'importanza dello studio di esso proviene dal fatto che questo è il punto centrale della spiegazione del fatto della memoria. Una rappresentazione è, per sé stessa, senza tempo; essa può rappresentare tanto un avvenimento che mai accadrà, quanto uno passato, così un avvenimento presente, come uno futuro. Che cos'è che fa sì che collochiamo una rappresentazione nella nostra vita antecedente riconoscendola perciò come appartenente ad essa, quindi come un ricordo, ossia la rinnovazione di una nostra esperienza antecedente?
Un tentativo di soluzione dovuto a H. Höffding (teoria delle qualità conosciute) faceva appello a sentimenti di notorietà o a qualità di notorietà che sono aderenti tanto alle cose percepite anteriormente, quanto a rappresentazioni familiari di esperienze anteriori. Difatti noi constatiamo spesso nei nostri ricordi un tale sentimento; questo ci comunica senz'altro realmente ed evidentemente la sicurezza di trovarci di fronte a una vecchia conoscenza. Si spiega poi l'esistenza di questo sentimento, dicendo che l'impressione avuta anteriormente favorisce la riproduzione delle rappresentazioni a essa congiunte più vivamente e più completamente delle rappresentazioni da essa non percepite, e ciò risveglia in noi un gradevole sentimento caratteristico. La serie di fatti qui chiamati in giuoco deve ammettersi, ma non è comprensibile come ne possa nascere il carattere, l'impressione di passato e di passato che appartiene a noi, a meno che quel sentimento di notorietà non risvegli immediatamente, in base a un'associazione a priori, l'idea innata del passato.
A. Lehmann (teoria emozionale) dimostrò con esperienze come noti odori risvegliano per associazione emotiva rappresentazioni di esperienze anteriori. Ma, anche se supponiamo che una serie non interrotta di altre rappresentazioni di esperienze mi conduca dall'immagine dell'esperienza antecedente fino alla mia situazione attuale, in tale catena di rappresentazioni io non avrei tuttavia ancora il dato del tempo, se esso non esistesse fin dal principio in ogni singola rappresentazione. Una tale serie d'immagini potrebbe essere anche pura fantasia: come si potranno distinguere le immagini della fantasia che sorgono spontaneamente, dai ricordi, se non appunto attraverso il carattere temporale di questi, grazie al quale essi appartengono al nostro passato?
J. Lindworski osserva che il fatto misterioso della memoria si può rendere chiaro se si fa attenzione contemporaneamente a due fattori trascurati da altri studiosi: la conoscenza dei rapporti con il nostro io e l'esperienza del tempo.
Se produciamo per un istante un accordo, la sensazione risvegliata in noi non sparisce con il cessare dello stimolo fisico; essa sta ancora nella memoria immediata e noi osserviamo in seguito il suo spegnersi gradatamente, non in forma discontinua, ma in modo continuato. In tale esperienza del tempo noi cogliamo la relazione del nesso: a un fenomeno della coscienza di una data intensità caratteristica (debole) si collega un altro più vivo da cui quello debole è nato. Dalla generalizzazione di queste esperienze, certe caratteristiche (come il dissiparsi di alcuni fenomeni della coscienza) diventano un criterio che indica che sono connesse con altre esperienze passate, dalle quali sono nate, sono cioè un criterio del passato.
A questo criterio fondamentale nella formazione del ricordo e della sua rievocazione se ne aggiungono altri, di carattere secondario, ossia che hanno valore di permettere quella rappresentazione nello spazio e nel tempo (modalità temporale e spaziale di G. E. Müller). Tali criterî sono la certezza relativa che si tratta d'un ricordo (rappresentazione rievocata) e non d'una rappresentazione fantastica, la possibilità di costruire una serie chiusa di rappresentazioni (dalla rappresentazione di vaga rimembranza fino allo stato attuale di netto ricordo), il fatto che aspettative svegliate da rappresentazioni di rimembranza si confermano per mezzo di percezioni seguenti, finalmente il caratteristico sentimento di familiarità che accompagna spesso le rappresentazioni mnemoniche.
Alla maggior parte di siffatti criterî è da assegnare probabilmente una funzione secondaria; tuttavia se il loro giuoco integra il sentimento di cosa conosciuta, essi da soli sono incapaci di spiegare il fatto del ricordo, così che le teorie che mettevano in luce l'uno o l'altro di questi criterî, non mostrano qual'è il fattore centrale del carattere temporale della riproduzione d'una rappresentazione.
Il riconoscere una riproduzione d'una rappresentazione antecedente sta con il ricordarsi nello stesso rapporto della motivazione con la conclusione. Se percepiamo un oggetto già visto, la sua immagine sveglia forse la rappresentazione di quella prima percezione e precisamente quella situazione della percezione appare come un'esperienza anteriore. L'identità dell'oggetto ci è data qui implicitamente; noi sappiamo perciò che l'oggetto che ci sta davanti nella percezione è lo stesso che già altra volta abbiamo percepito e precisamente in quella data situazione psichica. Grazie a siffatti parziali processi di riconoscimento, conosciamo gli elementi concomitanti di solito congiunti a quella rappresentazione; essi ci si presentano come criterî di notorietà per riconoscere quella rappresentazione come appartenente al nostro passato psichico. Ancor prima che avvenga il riconoscimento, avvertiamo le situazioni caratteristiche della riproduzione incipiente (si pensi alla situazione di chi ha, per es., un nome sulla punta della lingua, all'aumento straordinario del nostro interesse per quell'oggetto). Siccome simili processi di solito sono seguiti dal riconoscimento, diventano per noi sintomi della notorietà (qualità di notorietà di Hoeffding). Ma il riconoscimento avviene soltanto perché ad essi si unisce la conoscenza dei rapporti spaziali e temporali. Senza una tale conoscenza dei rapporti spaziali e temporali, mediante i quali collochiamo quelle rappresentazioni nella nostra vita passata, non avremmo il ricordo; si avrebbe al più, come negli animali, un modo speciale di reagire a situazioni abituali piacevoli o spiacevoli a seconda della connessione della rappresentazione di tali situazioni come rappresentazioni di effetti buoni o cattivi.
Bibl.: G. E. Müller, Zur Analyse der Gedächtnistätigkeit und des Vorstellungensverlaufers, I, II, III, Lipsia 1911-17; M. Öffner, Das Gedächtnis, 3ª ed., Lipsia 1913; O. Selz, Die Gesetze des geordneten Denkverlaufs, Lipsia 1913; J. Lindworski, Theoretische Psychologie, Lipsia 1926, pp. 49-70; E. Neumann, Okonomie und Technik des Gedächtnisses, 5ª ed., Lipsia 1920; F. C. Bartlett, Remenbering, Cambridge 1932; W. Koegler, Über Reproduktion, in Atti del Congresso internazionale di psicologia, Copenaghen 1932; id., Psychologische Probleme, Berlino 1933.
La memoria organica.
Il significato della parola memoria è stato da varî biologi esteso a indicare tutti i processi che si possono ritenere dovuti all'effetto postumo di uno stimolo che abbia agito su un organismo. Ogni stimolo, cioè, ogni modificazione che si verifica nelle condizioni in cui vive un organismo, produce su questo un effetto che si manifesta sotto forma d'una reazione da parte dell'organismo stesso: reazione che può essere un movimento, o una secrezione, o anche un insieme più o meno complesso di movimenti e di secrezioni. Al cessare dello stimolo, cessa di solito la reazione, ma rimane nell'organismo una traccia più o meno profonda e duratura, un'azione postuma dello stimolo, per modo che l'organismo non è più perfettamente simile a quello che era prima che lo stimolo lo colpisse. Quando varî stimoli agiscono simultaneamente, o a brevi intervalli, su un organismo, questo ne conserva o, potrebbe dirsi, ne registra gli effetti, e basta, talvolta, il ripetersi d'uno solo fra quelli, per determinare la reazione che era stata provocata dal loro insieme. Si ha allora un'associazione mnemonica.
Al termine "memoria" J. Loeb (1907), dà un significato puramente fisico "considerando i fenomeni mnemonici come appartenenti alla categoria di quegli effetti postumi cui i fisici dànno il nome d'isteresi". "Sarebbe forse preferibile", egli aggiunge, "di sostituire il termine "isteresi associativa" a quello di "memoria associativa".
Questi effetti postumi, quando in noi oltrepassano la soglia della coscienza, ci si manifestano come "ricordi", che possiamo anche rievocare a volontà; ma talora rimangono allo stato latente nella subcoscienza e possono poi affiorare inaspettatamente, senza intervento della nostra volontà, come avviene spesso nei sogni, o nel riaffacciarsi alla nostra mente d'una scena vissuta in tempi passati, per effetto del ripetersi anche di un solo stimolo fra quelli che allora ci avevano colpiti. Così un odore, un suono ci rievoca un insieme di fatti passati e dimenticati.
I cosiddetti "riflessi condizionali", messi così bellamente in evidenza dal Pavlov e dalla sua scuola, sono fenomeni di questo genere. Si provoca, p. es., abbondante salivazione in un cane, facendogli udire un certo suono o vedere un certo colore che accompagnavano la somministrazione del cibo, anche quando questa è soppressa. L'espressione "fa venire l'acquolina in bocca" si riferisce a un simile fenomeno di "memoria associativa".
La memoria, intesa in questo senso, come facoltà propria della materia vivente, secondo l'espressione di E. Hering (1870), si ritrova nel regno vegetale e in quello animale fino nei più semplici organismi. Fra i tanti esempî illustrati da varî sperimentatori, ci basti citare quello delle piante a movimenti periodici, in cui le foglie assumono di notte una posizione di "sonno" e quello di alcuni animali che vivono lungo le coste marine dove la marea è molto sensibile. Per le piante, il ritmo di "sonno" e di "veglia" è, in varî casi, mantenuto per parecchi giorni anche se le piante sono tenute costantemente al buio. Fra gli animali viventi entro i limiti della marea, è singolare il caso di certe attinie che, quando rimangono scoperte, a marea bassa retraggono i tentacoli e, contraendo il disco orale, si "chiudono", per poi riaprirsi quando l'acqua ritorna a coprirle. Trasportate queste attinie in un acquario, dove rimangono continuamente sommerse, il ritmo di chiusura e di apertura continua per molti giorni in corrispondenza con i periodi di bassa e di alta marea. Similmente certi Turbellarî Rabdoceli delle coste della Bretagna (Convoluta Roscoffensis), verdi per la presenza nei loro tessuti di un'alga unicellulare simbiontica, si nascondono nella sabbia a bassa marea, per risalire a marea alta e continuano questo movimento ritmico accordato con quello del mare, anche se continuamente sommersi in una vasca o in un vaso.
Fatti simili sono stati osservati in quasi tutti i gruppi animali, a cominciare dai Protozoi. A misura che si sale nella scala zoologica, questi fenomeni d'associazioni mnemoniche e d'effetti postumi degli stimoli vanno diventando sempre più evidenti e complessi. Su queste facoltà mnemoniche si fondano gli esperimenti eseguiti dai cultori della psicologia sperimentale, per indagare la capacità di apprendere degli animali, la quale va di pari passo con il grado di sviluppo delle facoltà mnemoniche.
In una celebre conferenza tenuta a Vienna nel 1870, il fisiologo Hering volle considerare la memoria "come una funzione generale della materia vivente". Simile idea è stata sostenuta da F. Laycock (1875), da H. B. Orr (1893) e brillantemente, sebbene alquanto paradossalmente, divulgata da Samuele Butler in due suoi libri, Life and Habit (1878) e Unconscious Memory (1880), nel quale ultimo è tradotta in inglese e commentata la conferenza del Hering. L'argomento, ripreso da R. Semon, in un libro pubblicato nel 1904 dal titolo Die Mneme, e ristampato poi varie volte, vi ebbe un ampio sviluppo. Il Semon creò tutta una nomenclatura nuova, per indicare i processi di questa "memoria organica", che egli appunto propose di chiamare Mneme, per non confonderla con la memoria, quale è solitamente intesa come fenomeno cosciente. E a questa memoria organica si possono riferire le associazioni che dànno luogo ai più complicati atti istintivi, associazioni dovute al ripetersi di complesse reazioni, provocate originariamente da una costellazione di stimoli, sotto l'azione di uno solo o di pochi di questi, azione che, in un certo modo, rievoca il passato. Per il Hering, il Semon e i loro seguaci è la "memoria organica" che opera attraverso le generazioni successive e nei processi embriologici. Si può dire che l'embrione nello svilupparsi, riproduca per un processo mnemonico la serie di forme e di manifestazioni vitali percorse dai suoi antenati. Attraverso le generazioni si trasmette questo complesso patrimonio di effetti di stimoli (engrammi, come li chiama il Semon) originarî, per un processo di riproduzione paragonabile alla riproduzione di una serie di ricordi nella memoria cosciente. Si può, ammettendo un tale processo, dar ragione, non soltanto dei processi ontogenetici, ma benanche di quelli filogenetici, considerando l'eredità come una riproduzione mnemonica.
Questa dottrina della memoria organica o della Mneme, non è senz'altro accettata da tutti, anzi le si muovono obiezioni da varie parti; in primo luogo infatti si può dubitare della legittimità d'identificare i processi mnemonici soliti propriamente detti con i processi di riproduzione. Ma, anche ammettendo tale identità, ci si può domandare se, comprendendo sotto un unico ordine di processi la memoria psicologica, gl'istinti, l'ontogenesi, la filogenesi, si approfondisca o perfezioni la nostra conoscenza di questi oscuri fenomeni, atteso che dell'essenza della memoria psicologica finora nulla sappiamo. Il Semon risponde a questa obiezione fondamentale col dire che è sempre fare un gran passo avanti, nella soluzione di un problema, il sostituire a molte un'unica incognita. Va ricordata ancora l'interpretazione data dallo Swoboda, in un libro poco noto, ai processi mnemonici, considerandoli come processi ritmici. Le rievocazioni avverrebbero secondo lui a periodi determinati corrispondenti a processi fisiologici o patologici che decorrono come tanti altri fenomeni biologici, ritmicamente (v. ritmo).
Bibl.: G. Bohn, La Naissance de l'Intelligence, Parigi 1909; S. Butler, Unconscious Memory, Londra 1880; id., Life and Habit, Londra 1878; M. Goldsmith, La Psychologie comparée, Parigi 1927; E. Hering, Über das Gedächtnis als eine allgemeine Funktiond er organisirten Materie, Vienna 1870; F. Laycock, A Chapter on some organic Laws of Personal and Ancestral Memory, in Journ. of Mental Science, XXI (1875); J. Loeb, Fisiologia comparata del cervello e psicologia comparata, Palermo 1907; H. B. A. Orr, Theory of Development and Heredity, New York 1893; R. Semon, Die mnemischen Empfindungen, ecc., Lipsia 1909; id., Die Mneme, 4ª e 5ª ed., Lipsia 1920; H. Swoboda, Die Perioden des Menschlichen Organismus in ihrer psychol. und biol. Bedeutung, Vienna 1904.
Mnemotecnica.
Il termine mnemotecnica (dal gr. μνήμη "memoria" e τέχνη "arte"), o l'altro, sinonimo, mnemonica, designa i varî espedienti escogitati per aiutare la memoria a ritenere date, termini tecnici, liste cronologiche e altre nozioni difficilmente associabili tra di loro e riducibili a sistema, e che quindi si ricordano con difficoltà.
Tra questi procedimenti il più largamente usato è quello di mettere in versi quel che si deve ricordare: i versi con il loro ritmo e la rima si tengono meglio a mente. I proverbî e gli adagi sono ricchi di rime e d'assonanze; e a questa classe d'espedienti mnemonici appartiene la strofetta "Trenta dì conta novembre..." che ricorda il numero dei giorni dei mesi e che si ritrova presso tutti i popoli europei. Di questo tipo sono i versi leonini del Regimen Sanitatis, che ci conservano le norme igieniche della Scuola di Salerno: "Post prandium stabis, aut lento pede ambulabis...". Durante il Medioevo si mise in versi tutto lo scibile, compreso il diritto romano e il canonico: si ricordi il "latinorum" di don Abbondio nei Promessi Sposi: "Error, conditio, votum,...". E fin nel Seicento i solitarî di Port-Royal mettono in pessimi versi la grammatica latina per gli allievi delle loro petites écoles; e uno di loro, C. Lancelot, scrisse, sempre in versi, Le jardin des racines grecques, usato e ristampato in Francia ancora nel 1872. Di recente è da ricordare la chimica e la storia romana messe in versi, un po' per scherzo e un po' sul serio, da A. Cavaliere. Di tipo un po' differente è la seguente quartina, che serve a ricordare le cifre di π:
Que j'aime à faire apprendre un nombre utile aux sages!
Immortel Archimède, artiste, ingénieur,
Qui de ton jugement peut sonder la valeur?
Pour moi ton problème eut de pareils avantages...
I versi si sono fermati alla 30ª cifra decimale perché la 31ª è uno zero: ogni parola col numero delle sue lettere indica il valore della cifra corrispondente, ed è facile quindi ricordare che
in pratica, basta il primo verso.
I Giapponesi ricorrono spesso a tali mezzi per ricordare le nozioni più svariate: esempio assai noto è la poesia composta delle 47 sillabe che formano il sillabario giapponese (v. giappone, XVII, p. 43).
Un altro sistema è quello di formare delle parole o delle frasi che hanno un suono simile alle parole che si vogliono ricordare; così, per tenere a mente le divisioni geografiche delle Alpi si è formata la frase: Annibale fa attraversare le Alpi alle sue soldatesche,
Un altro sistema ancora è quello di formare delle parole strane, che si ritengono facilmente: così marmaluot è formata con le sillabe iniziali dei nomi dei mesi (marzo, maggio, luglio, ottobre) in cui le none cadono il 7 e non il 5 del mese; peccettum è un acrostico formato con le iniziali dei nomi delle Muse (Polinnia, Euterpe, Calliope, Clio, Erato, Talia, Tersicore, Urania, Melpomene). Con maggiore studio sono state formate le parole, racchiuse nei versus memoriales della logica medievale Barbara, celarent, darii, ferio...." che indicano i modi conclusivi del sillogismo e che si trovano per la prima volta, insieme con altri versus memoriales logici nelle Summulae logicales di Pietro Ispano (papa Giovanni XXI).
Già presso i Greci e i Latini si erano escogitati sistemi più complessi per facilitare la memoria: ne fanno cenno Cicerone e Quintiliano, il quale anzi dà la prima descrizione pervenuta sino a oggi del sistema topologico, quando raccomanda all'oratore di rappresentarsi il discorso da tenere a mente sotto l'aspetto d'una casa, nelle cui varie parti, a cominciare dal vestibolo per finire col tetto, si trovino degli oggetti, che servano a simbolizzare le varie parti dell'orazione (Quint., XI, 2). Come inventore del sistema è citato Simonide di Ceo, forse a causa della sua eccezionale memoria, e tra i suoi seguaci Ippia di Elide e Metrodoro di Scepsi; Cicerone cita tra i suoi contemporanei come di eccezionale memoria Ortensio e Lucullo. Il metodo topologico è descritto con maggiori particolari, ma non molto chiaramente, da Marziano Capella nella sua enciclopedia De Nuptiis Philologiae et Mercurii, della quale gli scolari nel Medioevo mandavano a memoria lunghi brani.
L'importanza data alla memoria nell'insegnamento non solo durante il Medioevo ma anche dopo il Rinascimento e nelle scuole gesuitiche accresceva l'interesse per tutti i sistemi che si credeva potessero aiutare la ritentiva. Dei molti inventati e usati durante il Medioevo e il Rinascimento, non si ha notizia, ma tra gl'incunabuli si trovano parecchie opere mnemotecniche, cominciando da quella del grammatico fiorentino Iacopo Publicio, pubblicata col titolo: Oratoriae artis epitomata; Ars Tulliano more epistolandi; Ars memoriae (Venezia 1482; ristampata a Venezia nel 1485 e ad Augusta nel 1490 e nel 1498): in essa, seguendo l'esempio di Quintiliano, è combinato il metodo topologico col simbolico. Il giureconsulto Pietro di Ravenna, famoso per la sua memoria, e che per questa sua dote fu anche chiamato a insegnare in Germania, scrisse un'opera mnemotecnica: Foenix domini Petri ravennatis memoriae magistri (Venezia 1491), che ebbe grande successo, due ristampe e molte imitazioni. Una modifica del metodo classico si deve all'umanista tedesco Conrad Celtis nell'Epitoma in utramque Ciceronis rhetoricam cum arte memorativa nova (Ingolstadt 1492). Il letterato Giovan Michele Alberti, di Carrara, pubblicò verso quest'epoca a Bologna un altro libro De omnibus ingeniis augendae memoriae in cui, oltre al metodo topografico, consiglia l'uso di droghe; fu poi copiato dal medico bergamasco Guglielmo Grataroli (1516-1568), che si era rifugiato in Svizzera perché luterano, nel De memoria reparanda, augenda servandaque (Zurigo 1553, più volte ristampato e tradotto in francese).
Per limitarsi agl'Italiani, di mnemotecnica si occuparono Ludovico Dolce (Della memoria, 1562); il domenicano fiorentino Cosimo Rosselli (Thesaurus artificiosae memoriae, Venezia 1579), Giordano Bruno, che nella sua opera De umbris idearum (Parigi 1582), da lui dedicata a Enrico IlI di Francia e che gli procurò una cattedra, espone l'Ars magna di Raimondo Lullo e dà un fondamento metafisico-gnoseologico alla mnemotecnica che appoggia sempre al sistema topologico-simbolico; del resto, l'insegnamento di quest'arte, della cui efficacia egli portava a testimonio la propria memoria eccezionale, gli diede spesso i mezzi per vivere. Altri Italiani che scrissero di mnemotecnica sono Giovan Battista della Porta (Ars reminiscendi, Napoli 1602), lo storico Girolamo Marafioti, di Polistena (Ars memoriae, Venezia 1602), il medico palermitano Giovanni Brancaccio (Ars memoriae vindicata, Palermo 1702).
Nel 1634, il matematico francese Pierre Hérigone nel suo Cursus Mathematicus esponeva un suo metodo per ricordare i numeri: si trattava di fare corrispondere a ogni cifra la lettera dell'alfabeto più simile d'aspetto e di formare così delle parole, che sarebbe stato più facile ricordare. Tale metodo fu imitato da S. Mink v. Winckelmann (1648) e nel 1730 dall'inglese R. Grey (Memoria technica, Londra 1730); nei primi anni del sec. XIX il barone Friedrich von Aretin e il badese Gregor Feinaigle applicarono sistematicamente questo sistema mnemonico e lo diffusero in Europa. Il sistema Feinaigle fu migliorato e semplificato dal francese Aimé Paris (1798-1866), che aveva perfezionato anche il sistema stenografico di Conen de Prépéan e il sistema di notazione musicale del Galin. Il Paris nella sua opera Principes et applications diverses de la nmémonique (voll. 2, Parigi 1833-1834) modificò e integrò la tavola di corrispondenza tra lettere e cifre del Feinaigle; e grazie alla sua attività e a quella dei suoi numerosi discepoli essa divenne la "tavola universale". Il sistema di Aimé Paris fu applicato alla lingua italiana dal savoiardo M. Silvin (Trattato di mnemotecnica, Napoli 1843) e si può dire che tutti i mnemotecnici italiani sono suoi seguaci.
La tavola delle corrispondenze del Silvin è la seguente o = s (z, c dolce), 1 = t (d), 2 = n (gn), 3 = m, 4 = r, 5 = l (gli), 6 = g dolce (sc dolce), 7 = g duro (c duro, k, q), 8 = f (v), 9 = p (b). Essa si può ricordare facilmente mediante il seguente verso:
il quale dà anche un'idea del modo con cui si trasformano i numeri in parole: come si vede, le vocali non hanmo alcun valore numerico e si possono inserire a volontà.
Il Feinaigle, per rendere più rapida la creazione delle parole mnemoniche, aveva preparato una tabella con cento "parole numerali" corrispondenti ai numeri da 00 a 99; il suo esempio fu seguito per l'Italia per la prima volta nel Nouveau traité de mnémonique par l'A[bbé] G[isey], Torino 1811; T. Aureli, che modificò a sua volta il sistema del Silvin, dà invece due tavole che permettono di formare diecimila (100 × 100) richiami.
Tutti questi sistemi, puramente meccanici, o quasi, sono però di utilità limitata: volendone troppo estendere il campo, riescono così complicati da richiedere una grande fatica mentale per poi non raggiungere, il più delle volte, lo scopo per cui furono creati; ricordare per mezzo di una logica associazione di idee è molto più utile e, in fondo, richiede meno sforzo. I sistemi più moderni di mnemotecnica, rinunciando, in gran parte, agli aiuti artificiali, si propongono di rafforzare la memoria in sé per mezzo di opportuni esercizî. Uno dei primi a creare un sistema di questo tipo fu il tedesco H. Kothe (Lehrbuch der Mnemonik, 2ª ed., Amburgo 1852), seguito dall'inglese E. Pick e da numerosi altri autori.
Bibl.: Notizie storiche si trovano in molti trattati; v. specialmente E. Pick, Memory and its Doctors, Londra 1888; A. E. Middleton, Memory Systems, Old and New, 3ª ed., New York 1888; F. W. Colegrove, Memory, 1901. - Metodi più o meno meccanici espongono: G. Santini, Mnemonica moderna, Milano 1870; id., La mnemotecnica, Milano 1871; P. Moigno, Manuel de mnémotechnie, Parigi 1879; R. Penso, Mnemotecnica, Milano 1887; T. Aurelj, Dell'arte della memoria, Roma 1887; C. Fea, Manuale di mnemonica, Roma 1898; B. Plebani, L'arte della memoria, 2ª ed., Milano 1912; Ros Ráfales, Mnemotecnografía y mnemotecnia general, Madrid s. a. - Metodi razionali di educazione della memoria: E. Pick, Memory and the Rational Means of Improving it, 5ª ed., Londra 1873; id., Lectures on Memory Culture, Londra 1899; H. Weber-Rumpe, Mnemonische Unterrichts-Briefe, Breslavia 1887-88 (la 4ª ed., rielaborata a cura di P. E. Ebert porta il titolo Gedächtnis-Meisterschaft, Friedland 1924); J. H. Bacon, A Complete Guide to the Improvement of Memory, 3ª ed., Londra 1890; H. Kothe, Katechismus d. Gedächtniskunste, 9ª ed. rifatta da G. Pietsch, Lipsia 1905; G. Art, La mémoire verbale et pratique, Nantes 1911; id., Pour développer notre mémoire, Parigi 1914; Ch.-L. Julliot, L'éducation de la mémoire, Parigi 1919; F. Specht, Das Gedächtnis und die Gedächtniskunst, Berlino 1920; A. Brunswig, Das Gedächtnis und seine Erziehung, Berlino 1926; C. Cetti, L'arte di ritenere a memoria, Milano 1928; id., Come si fortifica la memoria, Milano 1928; E. Roggero, Come devo educare la mia memoria, Milano 1929.