merito (merto; nella prosa sempre ‛ merito '; ‛ merto ' prevale in poesia, per lo più in rima)
È " ciò che uno merita ", " ciò per cui si è reso degno di premio o di castigo ". Ha generalmente significato positivo: uscicci mai alcuno, o per suo merto / o per altrui...? (If IV 49); qual merito o qual grazia mi ti mostra? (Pg VII 19); Perfetta vita e alto merto inciela / donna più sù (Pd III 97); nel commensurar d'i nostri gaggi / col merto è parte di nostra letizia (VI 119); affini gli esempi in Rime CXVI 30, Cv III IV 13, Pd XXV 69, XXIX 62, XXXI 69, XXXII 42. Ha inflessione negativa in Pd XXX 147 là dove Simon mago è per suo merto (per sua colpa, cioè), e forse nella parafrasi del Pater noster: e tu perdona / benigno, e non guardar lo nostro merto (Pg XI 18), " scilicet quod simus immeriti et indigni ", chiosa Benvenuto.
In un caso ha valore medio: se [l'anima] dritta o torta va, non è suo merto (Pg XVIII 45); di tipo analogo è l'occorrenza di Pg XVIII 60 questa prima voglia / merto di lode e di biasmo non cape, dove il vocabolo, a seconda che sia correlato con lode o biasmo, acquista il senso di " premio " o di " pena " (Tommaseo).
Il valore astratto sembra concretizzarsi in quello di " persona meritevole ", in Cv IV V 5 una progenie santissima, de la quale dopo molti meriti nascesse una femmina ottima di tutte l'altre: qui, trattandosi di progenie precedente la nascita di Cristo, il m. deve teologicamente venir considerato ex congruo, come dipendente dalla benevolenza di Dio, e non ex condigno (cfr. Busnelli-Vandelli, ad l.)..
Corrisponde più propriamente a " valore ", " pregio ", in Pd XIV 33 tal melodia, / ch'ad ogne merto saria giusto muno, e XX 40 ora conosce il merto del suo canto, mentre in Rime CVI 60 questo vo per merto, e If XXXI 93 ond'elli ha cotal merto, fa suo il significato di " ricompensa ".