MESIA (Moesia)
Provincia romana del Basso Danubio. I Mesi, da cui essa prese nome, erano un popolo di razza tracica abitante in una regione di estensione assai limitata, compresa fra il Danubio a settentrione, il Margus (Morava) a occidente e il Ciabrus (Cibrica) a levante; a mezzogiorno confinavano con il territorio dei Dardani. Vicini a loro verso levante erano i Triballi, con i quali sono spesso congiunti con una sola denominazione (Moesi et Triballi). Gli antichi li consideravano affini ai Misi dell'Asia Minore. Col tempo, estendendosi a un assai più ampio territorio la denominazione di Mesia, anche il nome del popolo finì con abbracciare trlbù molteplici e divenne, anche d'altra razza.
La provincia della Mesia infatti, una volta raggiunta la sua definitiva estensione, andava dai confini della Dalmazia e della Pannonia alle rive del Ponto; a sud era terminata dalle estreme pendici settentrionali dell'Emo (Balcani), a settentrione dapprima dal Danubio, poi, dopo la conquista dacica di Traiano, si ampliò anche a nord di esso; in così vasto territorio abitavano a occidente tribù di razza celto-illirica: Dardani e Scordisci; nel centro Mesi e Triballi; a oriente di questi le tribù traciche comprese sotto la generale denominazione di Geti; poi ancora Daci, Sarmati e Bastarni venuti d'oltre Danubio in incursioni violente, o in parte trapiantati al di qua del fiume dalle autorità romane; Sciti nell'odierna Dobrugia; infine sulle coste del Ponto i Greci delle colonie quivi fondate nei secoli VII-VI a. C. dagli Ioni dell'Asia Minore.
Il primo arrivo dei Romani nelle terre a mezzogiorno del basso Danubio avvenne soprattutto dalla parte della Macedonia, e fu determinato dalla necessità di tenere a freno le popolazioni semiselvagge che di qui scendevano a turbare la pace della provincia romana: degne di particolare menzione, fra le varie campagne quivi combattute, furono quelle di C. Scribonio Curione nel 75 a. C., e di M. Licinio Lucullo nel 72. Quelle terre tuttavia erano sempre rimaste fuori del dominio romano, in mano a re indigeni, traci o daci, ed esposte alle incursioni delle tribù della riva sinistra del fiume. Nel 29 a. C. Ottaviano affidò a M. Licinio Crasso, governatore della Macedonia, il compito di respingere i Bastarni, che avevano allora di nuovo invaso la Tracia, e soprattutto di dare da questa parte un più ampio respiro al dominio romano. Crasso assolse il suo compito respingendo i Bastarni e imponendo a tutta la regione al di qua del Danubio la soggezione a Roma. Altre invasioni e altre campagne si seguirono negli anni successivi, fino all'11 a. C., quando infine si poté avere un periodo di tranquillità, durato fino alla grande insurrezione dalmatico-pannonica del 6 d. C. Tuttavia non fu allora ancora creata una provincia della Mesia, come da molti e per molto tempo si è creduto, la quale invece nasce più tardi. In questo tempo, tra l'i a. C. e il 6 d. C., Augusto si limitò a costituire un distretto militare del basso Danubio, che comprendeva le terre dei Dardani, degli Scordisci, dei Mesi e dei Triballi, fino all'Oescus, cioè la parte occidentale di quella che sarà poi la provincia della Mesia, lasciando la parte orientale, la cosiddetta ripa Thraciae, al regno tracico, che circa gli stessi anni dovette essere notevolmente ingrandito e rafforzato, ponendo nelle mani di un solo, della stirpe degli Odrisi, non solo tutte le tribù traciche a sud dell'Emo, ma anche quelle a settentrione di questo, tra esso e il Danubio; a oriente, le colonie greche del Mar Nero erano formalmente indipendenti, per quanto sotto il protettorato del governatore della Macedonia. Il distretto della Mesia faceva parte amministrativamente dell'Illirico, al quale anche più tardi rimase unito per le tasse doganali, ed era comandato da un legato imperiale di rango consolare, che aveva sotto di sé due legioni, stanziate con ogni verosimiglianza a Naissus nella Dardania.
Alla rivolta dalmatico-pannonica i Mesi non parteciparono, ma di essa approfittarono i Daci e i Sarmati per passare il Danubio e invadere la regione: onde A. Cecina Severo e il re tracico, Roimetalce, furono inviati a respingerli. Ma poiché le loro invasioni si ripeterono negli anni successivi, e di esse abbiamo qualche eco negli scritti di Ovidio, allora esule a Tomi, Augusto dovette ritenere necessario, negli ultimi anni del suo regno (la cronologia non è certa), organizzare contro di essi, assalendoli nelle loro terre al di là del Danubio, una campagna che fu condotta da Gneo Lentulo, probabilmente legato della Pannonia. Contemporaneamente egli rafforzava tutta la linea di difesa, costituita dal corso del Danubio, stabilendo lungo questo, dai confini della Pannonia a quelli della Tracia, soprattutto nei punti di più facile passaggio, dei posti militari e creando una piccola flotta per la polizia del fiume: aveva forse il comando dei posti fortificati presso il confine orientale del distretto mesico, e ad esso univa una certa giurisdizione sulle terre e tribù vicine, il praefectus civitatium Moesiae et Triballiae, ricordato da un'iscrizione del tempo di Claudio.
Tiberio, nel 15 d. C., riunisce nelle mani del legato consolare della Mesia (e in quel tempo s'inizia l'uso di questo nome per il distretto militare del basso Danubio, ed è probabile pertanto che anche allora il distretto venisse organizzato a provincia) anche il governo della Macedonia con l'Acaia, tolte momentaneamente al senato; Claudio nel 44 ridona l'autonomia alla Macedonia e conseguentemente anche alla Mesia; nel 46 pone fine al regno della Tracia, facendo di questa una provincia romana: è dubbio se allora la parte della Tracia a nord dell'Emo fosse riunita con la Mesia, o rimanesse nella provincia della Tracia, il cui governo fu affidato a un procuratore imperiale. Certo al legato della Mesia spettava il comando militare di tutto l'esercito stanziato nella regione a sud del Danubio, dal confine pannonico fino al Mar Nero, e quindi anche delle milizie del territorio tracico: erano in tutto tre legioni, oltre alle milizie ausiliarie. Gli accampamenti erano frattanto spostati sulle rive stesse del Danubio, a Ratiaria, a Viminacium, a Oescus.
Nel periodo che corre fra l'impero di Claudio e i Flavî, numerose e spesso fatali per le legioni romane, indebolite nel 69-70 dalla partecipazione di alcune di esse alla guerra civile, sono le incursioni dei popoli del Danubio a sud di questo: nel 68-69 sono i Rossolani, subito dopo i Daci, poi ancora nel 69-70 i Sarmati, contro i quali muore combattendo il governatore Fonteio Agrippa; nel 71 è mandato nella Mesia Rubrio Gallo, e la guarnigione è accresciuta di una quarta legione.
L'impero di Domiziano segna non solo una fervida, per quanto non sempre fortunata, attività militare nella regione, ma porta a questa il suo definitivo ordinamento. Da una nuova invasione di Daci, nell'inverno 85-86, le legioni della Mesia sono sconfitte, e il comandante, Oppio Sabino, ucciso; l'imperatore stesso si reca nella provincia, ma lascia il comando a Cornelio Fusco, che passa il Danubio per portare guerra nel territorio nemico; ma è anch'egli vinto e ucciso: una legione, la V Alauda, è annientata, come già quelle di Varo in Germania, e deve essere sostituita da un'altra; la parte settentrionale della Dobrugia è evacuata, e le difese sono portate sopra una linea più arretrata (v. limes). Nello stesso anno 86 Domiziano divide la Mesia in due comandi separati, uno occidentale, o della Mesia Superiore, l'altro orientale, o della Mesia lnferiore; il confine fra le due provincie era poco a occidente del Ciabrus. Alla Mesia Inferiore furono attribuite tutte le terre tra il Danubio e le pendici settentrionali dell'Emo, fino al Mar Nero: e non solo furono aggregate ad essa le colonie greche della costa occidentale del Ponto, ma anche, e forse già da prima, la colonia di Tyras alla foce del Dnestr, quella di Olbia e il Chersoneso Taurico, alla cui protezione erano ivi stanziati alcuni distaccamenti di truppe romane; il regno bosporanico, tra i confini della provincia e il Chersoneso Taurico, era naturalmente cliente dell'impero.
Giova tuttavia osservare che i confini fra la Mesia Inferiore e la Tracia sono tutt'altro che definiti. Alcune delle città a settentrione dell'Emo, come Nicopoli all'Istro e Marcianopoli, sembrano essere dipese, almeno sino alla fine del sec. II o al principio del III (a Settimio Severo), dal governatore della Tracia, e al contrario Mesambria, a sud dell'Emo, pare facesse parte dell'Esapoli Pontica, aggregata alla Mesia. Né chiariscono la questione, anzi vieppiù la complicano, alcuni cippi terminali posti sotto Adriano (135-136) a segnare i confini inter Moesos et Thraces, cippi che si distribuiscono lungo una linea che sembra scendere dall'Emo al Danubio, con direzione sud-nord, a occidente di Nicopoli all'Istro e di Novae: non è possibile che essi segnassero i confini delle due provincie; indicavano essi forse il limite fra il distretto doganale dell'Illirico e quello della ripa Thraciae? ma non si comprenderebbe perché fosse adoperato l'etnico in luogo del nome delle due regioni. V. Pârvan suppone che i termini Moesi e Thraces siano qui usati in significato ristretto a indicare i due popoli di questo nome, o meglio quella parte di essi che era in quel tempo ancora ordinata etnicamente, secondo la propria originaria organizzazione.
La conquista della Dacia da parte di Traiano, come ebbe a sua base d'operazione gli accampamenti legionarî della Mesia, così portò a questa mutamenti territoriali e militari. La nuova provincia costituita da Traiano non abbracciò infatti che una parte delle terre conquistate a nord del Danubio: altre parti di queste vennero aggiunte alle due provincie della Mesia, e cioè precisamente: alla Superiore la regione a occidente della Dacia, fra le pendici dei monti della Transilvania e la Tisia (Tibisco), fino, a settentrione, al corso della Marisia (Maros); alla Inferiore tutta la pianura valacca a est dell'Aluta fino, a nord, alle Alpi Transilvaniche.
D'altro lato le legioni, sotto Traiano stesso, o sotto i suoi immediati successori, mutano in parte di stanza: nella Mesia Superiore quella di Ratiaria passa a Singidunum, nella Mesia Inferiore si stabiliscono a Troesmis e a Durostoro, mentre Noviodunum diviene la stazione della flotta danubiana della Mesia (classis Flavia Moesica). L'ampliamento del dominio romano al di là del Danubio crea naturalmente più favorevoli condizioni allo sviluppo della vita civile al di qua del fiume: un'invasione dei Rossolani è ricordata sotto Adriano, ma poi, più tardi, fino alle invasioni dei Goti della metà del sec. III, la provincia gode un periodo di sufficiente tranquillità: più volte le legioni della Mesia forniscono aiuti per spedizioni fuori della provincia; esse costituiscono infatti uno dei presidî più importanti dell'impero, e la loro importanza si manifesta nella parte che prendono più volte, nell'anarchia militare del sec. III, alle lotte per il trono. Morto Pertinace, parteggiano per Settimio Severo, partecipando all'assedio di Bisanzio; Gallo, Emiliano, Decio sono acclamati imperatori dall'esercito mesico.
Sotto la pressione dei Goti, sconfitti, ma senza grandi benefici, da Filippo nel 245, la Dacia è, nella seconda metà del sec. III, abbandonata; e con la Dacia le terre che di là dal Danubio erano state unite alla Mesia: questa torna ad essere zona di confine: presso Naisso, Claudio II nel 269 infligge ai Goti una sconfitta decisiva.
Nel 275 (o 274) Aureliano forma al di qua del Danubio una nuova provincia della Dacia, che dell'antica non ha che il nome (Dacia ripensis): la sua estensione è tutta a danno delle due Mesie, in mezzo alle quali la nuova circoscrizione s'inserisce.
Le Mesie a loro volta subiscono con Diocleziano uno smembramento; la Mesia Superiore dà luogo alla M. superior Margensis o M. I e alla Dardania; la Mesia Inferiore alla M. inferior o II e alla Scytia, la quale ultima corrisponde all'odierna Dobrugia: le prime appartengono alla dioecesis Moesiarum, la M. II e la Scizia alla dioecesis della Tracia. Le invasioni dei barbari, Carpi, Bastarni, e soprattutto Goti nella Mesia Inferiore, Sarmati nella Superiore, fanno nel sec. IV sempre più torbida la vita della provincia: Galerio prima, Costantino poi, combattono contro di loro: Costantino rafforza ancora le difese del limes e stabilisce due nuovi passaggi sul Danubio, per poter prendere all'occasione l'offensiva; ma ogni vittoria non porta che brevi periodi di pace. Durante uno di questi i Goti stabiliscono un patto federativo con Roma, al pari delle altre popolazioni di confine. Valentiniano e Valente compiono contro loro l'ultimo sforzo: dopo, la linea del limes cede via via, fino a che tutta la regione è preda dei Goti, degli Alani e degli Unni.
La Mesia fu una provincia di carattere prevalentemente militare: pertanto la sua romanizzazione prese le mosse e si sviluppò soprattutto dagli accampamenti legionarie dalle colonie di veterani; occorre peraltro noon dimenticare che la fertilità del paese, specie nelle pianure danubiane feconde di cereali, vi attirò, sia dalla penisola sia da altre provincie e soprattutto dall'Oriente, un notevole numero d'immigrati, cittadini romani, se pure non tutti d'origine italica, i quali, formandosi grandi proprietà terriere, contribuirono non poco a mutare la struttura economica e sociale della regione.
Centri militari, stabiliti però certamente vicino a preesistenti centri indigeni, furono Singidunum, Viminacium, Ratiaria, Naissus, Oescus, Novae, Troesmis: accanto a ognuno di essi si formò col tempo un centro di vita civile, costituito dalle canabae dei commercianti e dagl'indigeni dei vici, compresi nei territorî assegnati in proprietà alle legioni per il loro mantenimento, i cosiddetti prata legionum; e quasi tutti questi centri raggiunsero prima della fine del secondo secolo il grado di municipio o di colonia. Fuori di questi e fuori delle città fondate dagl'imperatori (Scupi nella Dardania, pare dai Flavî, Tropaeum Traiani, Nicopolis ad Istrum, Marcianopolis da Traiano) la vita urbana fece scarsi progressi: la Mesia rimase sostanzialmente una provincia di piccoli e grandi centri agricoli. Una menzione a parte meritano le città greche del Ponto Eusino, le quali, pure avendo ricevuto il diritto di cittadinanza romana, conservarono la loro costituzione ellenica ed ebbero facoltà di formare entro la provincia uno speciale κοινόν con particolare assemblea: il centro di tale κοινόν fu, sembra, prima a Tomi, poi a Odesso: le città partecipanti furono dapprima cinque, poi, dalla metà del secolo secondo, sei: Tomi, Callatis, Odesso, Istropoli, Dionisopoli e Mesambria. Anche a queste città, come agli accampamenti legionarî, furono attribuiti territori che ne aumentassero le risorse.
Fuori delle città, romane o greche, vigeva un'organizzazione di carattere rustico: più vici o villae, retti da magistri e decuriones, costituivano un territorium, a capo del quale erano dei quinquennates, assistiti da un senatus: il quinquennalis doveva avere soprattutto il compito di ripartire i tributi dovuti allo stato, o alla città cui il territorio apparteneva.
Il nucleo della popolazione rurale era certamente costituito dagl'indigeni (peregrini, πάροικοι nelle città greche), se non pure in parte dagli schiavi: ma la classe dirigente era formata da Romani immigrati o da indigeni romanizzati: ne fanno fede le iscrizioni e lo conferma il fatto che il nome dei vici solo raramente è ricollegato con toponimi locali; più spesso questi vici portano un nome di persona: certo il nome di chi primo si formò nel luogo la grande proprietà, centro originario del vicus.
D'altronde lo stato di arretrata cultura, in cui il paese era prima dell'arrivo dei Romani, permise alla civiltà portata da questi di diffondersi largamente, seppure di penetrare variamente in profondità, a seconda delle regioni: più duratura fu la sua azione nelle zone vicine al fiume e agli accampamenti legionarî, e nella regione occidentale della Dardania; meno viva invece nelle campagne; infine fortemente contrastata dall'ellenismo, disceso dalla Tracia o irradiante dalle colonie del Ponto, nella parte orientale. Cosicché, mentre da questa parte le epigrafi greche sono numerose, il resto della provincia ci dà in assoluta prevalenza e in gran copia epigrafi latine: e come la lingua, anche la religione romana s'impiantò saldamente, seppure in parte, come di solito, assimilando e trasformando precedenti culti indigeni. I monumenti d'arte sono invero piuttosto scarsi, e quasi esclusivamente ristretti a quelli sepolcrali, che, nelle rappresentazioni, di solito prodotto di rozza arte locale mostrano d'ispirarsi di preferenza a concetti d'origine locale o d'importazione ellenica: il defunto a cavallo, in abito da guerra, o la scena del banchetto funebre; non mancano tuttavia soggetti di carattere realistico, d'ispirazione romana, come romano, di spirito se non d'esecuzione, è certamente il monumento più insigne della regione, il trofeo di Adam-Clissi (Adamklisi), che Traiano innalzò presso il corso inferiore del Danubio a ricordare la conquista della Dacia.
Gioverà da ultimo ricordare che all'impero la Mesia diede i due più grandi imperatori della fine del mondo antico: Costantino di Naisso, e Giustiniano di Tauresio, presso Scupi; d'origine mesica furono anche forse Claudio II e Aureliano.
Bibl.: Th. Mommsen, Le provincie romane, trad. di E. De Ruggiero, Roma 1887-1890; A. von Premerstein, Die Anfänge der Provinz Moesien, in Oesterr. Jahresh., I, 1908, suppl., col. 146 segg.; B. Filow, Die Legionen der Provinz Moesia, in Klio, suppl. VI, 1906; id., The Roman auxiliary troops in Moesia, in Memoirs of the Bulgarian Hist. Soc., 1906, p. 11 segg.; particoalrmente notevoli gli studî di V. Pârvan, in Analele Academiei Române e in Histria; v. anche di lui: I primordi della civiltà romana alle foci del Danubio, in Ausonia, X, 1921, p. 187 segg.; M. Rostovzeff, Storia sociale ed economica dell'impero romano, trad. it., Firenze 1932; M. Fluss, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, col. 2350 segg. Per l'arte: S Ferri, Arte romana sul Danubio, Milano 1933.