MESOPOTAMIA (Μεσοποταμία "terra in mezzo a due fiumi")
Denominazione greca (che appare dapprima usata nel sec. IV a. C.) del territorio dell'Asia Anteriore bagnato dal Tigri e dall'Eufrate. In senso stretto, il nome andrebbe applicato a quella che può dirsi "media Mesopotamia" alla pianura cioè compresa tra i due fiumi e limitata a sud dal loro massimo accostarsi poco a nord dell'attuale Baghdād, a N. dalle pendici dell'altopiano d'Armenia. Ma nell'antichità stessa l'applicazione del vocabolo fu anche estesa a tutto il bacino dei due grandi fiumi, includendo a nord regioni che più esattamente apparterrebbero alla Siria e all'Armenia, a sud la ben delimitata regione della Babilonide, che poi in epoca musulmana fu nota col nome di ‛Irāq.
In questa più lata accezione, la storia della Mesopotamia antica si confonde dapprima con quella degl'imperi babilonese e assiro (v. babilonia e assiria); quindi con quella dell'impero persiano degli Achemenidi. Attratta con la conquista di Alessandro nell'orbita ellenistica, fece parte per qualche tempo dell'impero seleucidico, per poi cadere in potere dei Parti, ed essere teatro della secolare contesa fra questi e i Romani (per tutto questo periodo, v. persia: Storia. Per il breve periodo in cui la regione entrò a far parte dei quadri amministrativi dell'impero romano, v. appresso). La storia ulteriore della Mesopotamia è ancora storia dei Sassanidi e delle lotte con Roma e Bisanzio (per cui v. persia). Infine con l'invasione araba, la Mesopotamia entra definitivamente nell'ambito della civiltà islamica; sotto gli Arabi, si tornò per un pezzo a distinguere la vera e propria Mesopotamia settentrionale e centrale (al-Giazīrah) dalla Babilonide (‛Irāq). Ma nella nomenclatura ufficiale moderna quest'ultimo nome ha finito col prevalere e designare tutto lo stato che all'ingrosso oggi occupa le regioni della Mesopotamia antica nel più ampio suo significato (v. ‛irāq). Al di fuori dell'‛Irāq, alcune zone della "grande" Mesopotamia appartengono politicamente a N. alla Turchia, a NO. alla Siria.
La provincia romana della Mesopotamia.
ll secolare conflitto d'interessi e di primato fra Roma e il regno dei Parti aveva più volte portato gli eserciti romani a combattere al di là dell'Eufrate, nella Mesopotamia: ma su questa non mai Roma aveva esteso il suo dominio diretto. Traiano, entrato nel 115 in guerra aperta contro i Parti, credette giunto il momento di allargare anche da questo lato i confini dell'impero, e non solo fece dell'Armenia. (v.) una provincia romana, ma, avanzatosi combattendo, in due successive campagne (115 e 116), sia oltre il Tigri nell'Adiabene, sia lungo la valle dello stesso fiume fino a Ctesifonte, e conquistata con questa la capitale del regno partico, volle che la regione fra il Tigri e l'Eufrate e la regione al di là del Tigri fossero pure esse ordinate a provincia: l'una fu la Mesopotamia, l'altra l'Assiria. Ma la conquista di Traiano fu altrettanto rapida e brillante, quanto caduca: egli era ancora nel mezzogiorno del paese, che la parte settentrionale di esso già si ribellava dietro le sue spalle. Retrocedendo, egli poté solo in parte ridurre in obbedienza i ribelli; l'anno dopo la ripresa della campagna era troncata dalla sua morte, e Adriano rinunciava a tutte le terre conquistate dal predecessore, restituendole al re dei Parti. Per quanto breve fosse stato il tempo in cui le aveva avute in suo dominio, pure sembra che Traiano avesse già dato mano in esse a quelle opere di organizzazione che in ogni provincia segnano l'impronta di Roma: egli aveva già dato il rango di colonia ad alcune città, aveva ordinato la riscossione dei diritti doganali sull'Eufrate e sul Tigri, e, come ci prova un miliario con il suo nome rinvenuto nel Gebel Singara, aveva rivolto le sue cure alla rete stradale, elemento di primaria importanza, al pari dell'ordinamento doganale, in un paese intensamente percorso dalle carovane provenienti dalla Persia e dall'India e dirette alle coste del Mediterraneo.
La ripresa della guerra contro i Parti sotto M. Aurelio e L. Vero (162) portò di nuovo alla conquista della Mesopotamia: nella pace che ne seguì (165), la parte occidentale di essa fu ceduta a Roma, i principi di Edessa e dell'Osroene divennero feudatarî di questa, mentre Carre, Singara e, pare, la stessa Edessa furono dichiarate città libere e innalzate al rango di colonia.
Il nuovo acquisto fu peraltro consolidato e organizzato soltanto da Settimio Severo, il quale, vinto Pescennio Nigro, entrò in Mesopotamia per combattervi i satrapi che avevano sostenuto dapprima il suo rivale, e che ora, dopo la sua caduta, resistevano al dominio di Roma. Severo allargò questo dominio a tutta la regione compresa fra l'Eufrate e il Tigri. Il confine meridionale fu alla confluenza del Chaboras (Khābūr) con l'Eufrate: di qui esso andava verso est, seguendo una linea corrente fra Singara, colonia romana, e Atra, rimasta sempre indipendente; tuttavia lungo l'Eufrate sembra che il possesso romano giungesse fino all'altezza di Dura-Europo: Zaita infatti era colonia romana; quali fossero con precisione i confini settentrionali, non si sa. Di tutto il territorio Severo fece, già prima del 195, due provincie, una occidentale, l'Osroene, con capitale Edessa, dove tuttavia rimase, fino al tempo di Caracalla, la dinastia locale, l'altra orientale, la Mesopotamia, con capitale Nisibi, innalzata al grado di colonia. Quanto tempo durasse tale divisione non sappiamo. Il governo della Mesopotamia fu affidato a un funzionario imperiale dell'ordine equestre, cui è talvolta dato il titolo di procurator, talvolta di praefectus. Due legioni di nuova formazione, la I e III Partica, stanziate a Singara e a Resaina, costituirono la guarnigione del nuovo possesso, con corpi ausiliarî.
La vita della provincia, posta proprio sul travagliato confine orientale, non poteva essere naturalmente tranquilla: Settimio Severo stesso dovette prendere di nuovo le armi nel 198-199 contro i Parti; la guerra riarse sotto Caracalla, che fu ucciso, mentre essa durava, presso Edessa: Macrino venne alla pace, per la quale la Mesopotamia restò provincia romana, ma nell'Osroene come nell'Armenia furono ricostituiti gli antichi principati.
Succeduti agli Arsacidi, Parti, i Sassanidi di Persia (v.), questi invasero nuovamente la Mesopotamia sotto Alessandro Severo, poi sotto Massimino e Gordiano III; la campagna di Gordiano, condotta dapprima vittoriosamente da Furio Timesiteo, fu terminata ingloriosamente da Filippo, succeduto all'imperatore, che i soldati ribelli avevano ucciso presso Zaita: la Mesopotamia fu nominalmente perduta, pur rimanendovi i presidi romani, e solo Galerio e Diocleziano poterono riconquistarla saldamente. A Diocleziano si debbono anzi sia un allargamento dei confini della provincia verso settentrione, nella regione dell'alta valle del Tigri, sia un generale rafforzamento delle sue difese alle frontiere; Circesium, presso la confluenza del Chaboras con l'Eufrate, divenne la sede di una legione. La provincia fu di nuovo divisa in due parti, l'Osroene e la Mesopotamia propriamente detta, ciascuna sotto un praeses.
Così ricostituita, la M. poté godere di un lungo periodo di pace, durato fino agli ultimi anni di Costantino; con Costanzo riprendono gli assalti dei Persiani, e né la tattica prevalentemente difensiva di Costanzo stesso, né l'animosa ma sfortunata campagna di Giuliano spintosi fino a Ctesifonte, ma morto sulla via del ritorno, possono fermarne con profitto l'avanzata: per la pace stipulata da Gioviano nel 363 i Romani perdono tutta la parte orientale della provincia con Singara e Nisibi. Un altro periodo di tranquillità, turbato solo da episodî di secondaria importanza, si prolunga fino alle grandi guerre persiane di Giustiniano: a questi si deve un nuovo rafforzamento del limes, testimoniato da Procopio e dalle recenti ricerche archeologiche. Nella seconda metà del sec. VI e nei primi decennî del VII gl'imperatori bizantini, soprattutto Eraclio, tentano di contrastare l'avanzata persiana, e conservano sostanzialmente i confini del 363; ma alla metà dello stesso sec. VII la regione perduta.
L'instabilità e la brevità del dominio, ma più ancora la secolare tradizione di civiltà che il paese vantava, non permisero naturalmente ai Romani di dare alla Mesopotamia una loro propria impronta: romani furono i quadri dell'esercito, il governo del paese e la sua organizzazione amministrativa, particolarmente rivolta quest'ultima a trar profitto dal commercio carovaniero di transito; ma la stessa costituzione delle città, benché insignite del titolo di colonia, fu modellata sul tipo di quella delle città greche dell'Oriente, e, come si è visto, assai spesso i principi locali poterono mantenere integra, o quasi, la loro indipendenza, pure sotto la nominale sovranità dell'impero. D'altronde i Romani affermarono il loro dominio in Mesopotamia in un tempo in cui l'impero già andava trasformandosi proprio sotto l'influsso dell'Oriente: la conquista della Mesopotamia e delle altre regioni contigue deve pertanto riguardarsi come un passo fatto per incontrare e per avvicinare l'Oriente più lontano: le recenti scoperte di Dura-Europo ci dicono che fecondi furono i frutti di questo avvicinamento: Roma compiva ancora in tal modo e coronava mirabilmente, negli ultimi secoli della sua potenza, quella che fu la sua grande missione: unificare, avvicinandole e propagandole, le civiltà più diverse e più lontane e nella fusione di esse gettare le basi della civiltà moderna.
Bibl.: Th. Mommsen, Le provincie romane, trad. di E. De Ruggiero, Roma 1887-1890; J. Marquardt, Organisat. empire rom., II, Parigi 1892, p. 393 segg.; F. Sarre ed E. Herzfeld, Arch. Reise im Euphrat- und Tigrisgebiet, Berlino 1911-20; per il limes, A. Poidebard, La trace de Rome dans le désert de Syrie, Parigi 1934. Molto ampio è il recente articolo di F. Schachermeyr in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, Stoccarda 1931, col. 1145 segg.
Le operazioni in Mesopotamia durante la guerra mondiale.
Durante la guerra mondiale l'Inghilterra, volendo impadronirsi di Baghdād, effettuò importanti operazioni in Mesopotamia, ottenendo nello stesso tempo di distrarre forze turche da attacchi contro il Canale di Suez e l'Egitto. Quelle operazioni erano favorite dalla possibilità di sfruttare per i trasporti il Tigri e l'Eufrate, partendo dal Golfo Persico, mentre la Turchia doveva servirsi della via di terra che richiedeva due mesi per un trasporto di truppe da Costantinopoli a Baghdād. Appena la Turchia ebbe dichiarata guerra all'Inghilterra (12 novembre 1914) una divisione anglo-indiana sbarcò a Fao, occupò Bassora (23 novembre) e Kornah alla confluenza dei due fiumi. Di qui nell'aprile 1915 gl'Inglesi iniziarono l'avanzata in due colonne; risalendo l'Eufrate e il Tigri, sotto il comando del gen. Townsend. Ma questi, dopo essere giunto vittorioso sino a Ctesifonte, fu quivi sconfitto (22 novembre 1914) e costretto a chiudersi a Kūt el-Amārah (v.). Assediato, dovette arrendersi per fame (26 aprile 1915). Per rimediare al grave colpo portato al proprio prestigio, l'Inghilterra preparò una nuova spedizione che richiese lunghi preparativi; solo verso l'ottobre 1916 gl'Inglesi (gen. Maude) ripresero le operazioni che portarono alla riconquista di Kūt el-Amārah (24 febbraio 1917) e a quella di Baghdād (11 marzo 1917). Padrone della capitale della Mesopotamia, Maude allargò la sua occupazione, e a fine di ottobre marciò su Mossul per la Valle del Diyāla, giungendo nel dicembre a Qara Tepeh a 120 km. a N. di Baghdād. Enver pascià preparò una spedizione per riconquistare Baghdād, ma tali forze dovettero essere mandate in Palestina (v.). A Maude, morto il 19 novembre 1917, successe il generale Marshall che, approfittando dello stato miserevole in cui l'esercito turco era ridotto per le privazioni, riprese le operazioni nella valle dell'Eufrate raggiungendo Baghdādiyyah (26 marzo): contemporaneamente nella zona del Tigri batté i Turchi a Taouk.
Nell'ottobre Marshall, mentre Allenby compieva la sua travolgentc avanzata in Palestina, riprese l'offensiva su Mossul battendo i Turchi presso Kerkūk (24 ottobre) e occupando Mossul il 31. L'armistizio di Moũdros fra la Turchia e l'Intesa (30 ottobre 1918) pose fine alle operazioni, durante le quali l'Inghilterra aveva dovuto impiegare quasi 900.000 uomini.
Bibl.: F. J. Moberly, The campaign in Mesopotamia, Londra 1927, voll. 4.