Messico
Stato federale dell’America Settentrionale, comprendente anche una piccola porzione dell’America Centrale, a S dell’Istmo di Tehuantepec. Abitato sin da epoche remote, il M. fu sede di alcune tra le più importanti civiltà precolombiane, tra cui quella maya, che raggiunsero il massimo splendore nel corso del 1° millennio d.C. Cadde quindi in gran parte sotto il dominio dei toltechi (dal 10° sec.) e poi degli aztechi (dal 14° sec.), i quali, al principio del 16° sec., quando iniziò la conquista spagnola, controllavano un impero esteso su un’ampia porzione del M. centrale e meridionale.
Gli spagnoli sottomisero l’impero azteco, con la spedizione di H. Cortés, nominato capitano generale e governatore della Nuova Spagna (1522). Seguì la creazione della prima Audiencia continentale (1527), supremo organismo giudiziario con poteri politici. Nel 1529 il M. fu costituito in vicereame ed estese i suoi domini ad America Centrale, Caraibi, California, Arizona, Kansas, Oklahoma, Nuovo Messico e Texas. La prima evangelizzazione degli indios fu opera dei francescani, emulati poi da domenicani, agostiniani e gesuiti. Con il sistema della merced de tierra (concessione gratuita come ricompensa da parte della Corona) la terra fu distribuita fra i conquistadores; l’istituto dell’encomienda fu esteso al M., trasformandosi nella possibilità di sfruttare la manodopera indigena; nacque l’industria mineraria grazie alla scoperta (1531-50) di diversi giacimenti d’argento. La riduzione di fatto in schiavitù degli indios e le malattie importate dall’Europa causarono una crisi demografica e una grave recessione nell’economia (17° sec.); si formarono grandi proprietà fondiarie autosufficienti (haciendas) che vincolavano a vita e sottomettevano gli indios. Tra i principali proprietari terrieri della colonia c’era la Chiesa, favorita da donazioni e lasciti. Nel 18° sec. l’avvento in Spagna dei Borbone e le loro riforme amministrative, ecclesiastiche, militari, fiscali e commerciali suscitarono l’opposizione dei creoli in Messico. Quando i Borbone caddero sotto Napoleone (1808), gli spagnoli imprigionarono il viceré J. de Iturrigaray, ritenuto troppo vicino ai creoli che reclamavano l’indipendenza. Nel 1810 la rivolta contro il dominio spagnolo, guidata dal sacerdote creolo M. Hidalgo y Costilla, mosse le classi più umili della popolazione, che trasformarono i moti per l’indipendenza in una violenta protesta sociale. Gli obiettivi di Hidalgo (abolizione di schiavitù e tasse per gli indios, ridistribuzione della terra, difesa del cattolicesimo) furono poi ripresi da un altro parroco di campagna, J.M. Morelos (1811); sotto la sua guida il Congresso nazionale di Chilpancingo approvò un’effimera dichiarazione d’indipendenza (1813) e promulgò la Costituzione repubblicana di Apatzingán (1814). Sconfitto Morelos (1815), solo alcuni guerriglieri proseguirono isolatamente la lotta al dominio coloniale.
All’avvento al potere dei liberali in Spagna (1820), i ricchi creoli, convintisi della necessità dell’indipendenza per poter mantenere l’ordine esistente, trovarono il loro campione in A. de Itúrbide, che il 24 febbr. 1821 proclamò l’indipendenza del Paese e, occupata Città di Messico, si fece proclamare imperatore costituzionale (1822), ma fu costretto poi ad abdicare dal generale A. López de Santa Ana. Nel 1824 il M. divenne una Repubblica federale organizzata in 19 Stati; il cattolicesimo fu proclamato religione ufficiale e venivano mantenuti i fori riservati per la Chiesa e l’esercito; il suffragio era ristretto in base al censo e, pur essendo state abolite la schiavitù e ogni distinzione razziale, gli indios continuarono di fatto a costituire un gruppo separato. Alla presidenza si alternarono i federalisti, tendenzialmente liberali, e i centralisti, conservatori e clericali. López de Santa Ana, presidente dal 1833, nel 1835 impose un governo fortemente centralizzato; ne seguì la ribellione dei coloni nordamericani insediati nel Texas, proclamatosi indipendente nel marzo 1836. Santa Ana recuperò popolarità difendendo Veracruz dai francesi, che reclamavano il pagamento di un’indennità per i danni subiti dalle loro imprese nelle lotte civili messicane. Riassunta la presidenza (1841) e promulgata una nuova Costituzione fortemente centralista, Santa Ana venne rovesciato dai liberali (1844), per poi essere richiamato a capo dell’esercito quando l’annessione del Texas e la politica espansionistica nordamericana portarono alla guerra (1846-48). Sconfitto, il M. dovette cedere gli immensi territori a nord del Río Grande, cui si aggiunse nel 1853 l’Arizona meridionale. Rovesciato definitivamente Santa Ana nel 1854, i liberali intrapresero un programma di interventi radicali in campo politico, economico e religioso. I conservatori reagirono destituendo il presidente I. Comonfort (1858): seguirono tre anni di guerra civile durante i quali il governo liberale, stabilitosi a Veracruz sotto la presidenza di B. Juárez, proseguì l’opera riformatrice. Sconfitti sul campo gli oppositori, Juárez entrò a Città di Messico (1861). Il suo rifiuto di riconoscere i debiti contratti con l’estero dal governo conservatore provocò un’intesa tra Francia, Gran Bretagna e Spagna, che nel genn. 1862 occuparono Veracruz. Mentre inglesi e spagnoli, accettate le proposte di Juárez, abbandonarono il Paese, i francesi, con il sostegno dei conservatori locali, conquistarono la capitale (1863); mentre il governo Juárez si rifugiava a nord, un’assemblea di notabili offrì la corona a Massimiliano d’Asburgo, che tentò inutilmente di perseguire una politica di conciliazione. Nel 1867 su richiesta degli USA le truppe francesi lasciarono il M.; privato del suo unico supporto, Massimiliano fu catturato e fucilato. Juárez, rieletto presidente nel 1867 e nel 1871, ridusse drasticamente le forze armate e le spese dello Stato. Il suo successore, S. Lerdo de Tejada, fu rovesciato nel nov. 1876 dal generale Porfirio Díaz. Il regime autoritario di Díaz (detto porfiriato) mirò a ristabilire l’ordine e ad assicurare il progresso economico, grazie soprattutto a massicci investimenti di capitale straniero (settore minerario, estrazione del petrolio, ferrovie). La crescita economica non fu però accompagnata dal rinnovamento delle basi politiche e sociali del Paese: il porfiriato finì per identificarsi con la difesa degli interessi dei grandi proprietari terrieri a spese degli indios e dei piccoli proprietari.
In occasione delle elezioni del 1910, attorno a un ricco proprietario del Nord, F. Madero, si costituì un movimento di opposizione al regime che iniziò la resistenza armata; poco dopo E. Zapata diede vita nello Stato di Morelos a una rivolta contadina che affrettò la caduta del dittatore (maggio 1911). Eletto presidente, Madero represse militarmente le rivendicazioni agrarie degli zapatisti, ma nel 1913 fu fatto assassinare dal generale V. Huerta. Ne seguì la ripresa della rivoluzione armata con i contadini di Zapata al Sud e con P. Villa e A. Obregón al Nord, alla testa di un eterogeneo esercito di peones, lavoratori giornalieri, disoccupati e piccoli proprietari; a essi si unirono alcuni latifondisti del Nord, tra i quali emerse V. Carranza; inoltre intervennero gli USA che, occupando Veracruz, privarono Huerta degli introiti doganali, contribuendo alla sua caduta (1914). Immediatamente emersero le rivalità tra i vincitori (Villa e Zapata contro Carranza, sostenuto da Obregón) e dopo due anni di guerra civile (durante i quali i nordamericani inviarono nel 1916 la spedizione del generale J.J. Pershing contro Villa), Carranza riuscì a prevalere; nella Costituzione del 1917, accanto ai motivi anticlericali, trovarono comunque spazio alcune riforme sociali rivendicate dai rivoluzionari sconfitti (suffragio universale maschile, legislazione del lavoro, beni del sottosuolo dello Stato, spartizione dei latifondi). Molti articoli della Costituzione rimasero però lettera morta sia durante la presidenza Carranza (1917-20) sia nei quindici anni successivi alla sua cruenta deposizione, dominati da tre generali: Obregón, A. de la Huerta e P.E. Calles. La nuova élite rivoluzionaria si assicurò una base di massa tramite il controllo governativo su sindacati operai e associazioni contadine, in seguito confluiti nel Partido nacional revolucionario (PNR), creato da Calles nel 1929. Solo con la presidenza del generale L. Cárdenas (1934-40) i principi della Costituzione del 1917 trovarono piena applicazione. Cárdenas si assicurò un sostegno di massa accordando l’appoggio governativo a un nuovo sindacato, la Confederación de trabajadores de México, e all’organizzazione contadina, la Confederación nacional de campesinos, i cui rappresentanti furono inseriti nel Partido de la revolución mexicana (PRM), nato nel 1938 dalla ristrutturazione su base corporativa del PNR. Le haciendas furono in gran parte espropriate in favore delle tenute comunitarie di terre (ejidos); furono nazionalizzate le ferrovie e venne avviato un programma di investimenti pubblici nel settore industriale; nel 1938 la nazionalizzazione delle imprese petrolifere straniere portò alla rottura delle relazioni con la Gran Bretagna e a ritorsioni economiche da parte statunitense, terminate con l’ingresso del M. nella Seconda guerra mondiale al fianco degli Alleati (1942).
I successori di Cárdenas poterono proseguire nell’opera di industrializzazione del Paese contenendo al minimo, grazie al controllo politico e sociale realizzato attraverso il partito dominante, gli effetti negativi della rapida crescita economica. Il partito, riorganizzato e ribattezzato nel 1946 Partido revolucionario institucional (PRI), consolidò il suo monopolio sulla vita politica del Paese, mentre alla presidenza della Repubblica si alternavano suoi esponenti di destra e di sinistra. Negli anni Cinquanta e Sessanta il partito favorì di fatto gli interessi dei settori commerciali e industriali. Il malessere della popolazione rurale diede vita a gravi disordini, repressi con violenza dall’esercito (1966-67), cui seguirono le proteste studentesche scoppiate nella capitale alla vigilia dei Giochi olimpici (1968). In politica estera il M. seguì in quegli anni un cammino indipendente. La presidenza di L. Echeverría Álvarez (1970-76) cercò di ridurre la dipendenza economica dagli USA e assieme al Venezuela il M. assunse l’iniziativa di creare un Sistema economico latino-americano (SELA), libero dal condizionamento statunitense (1975). La scoperta, negli anni Settanta, di nuovi giacimenti di petrolio e di gas naturale sembrò aprire prospettive di sviluppo, ma all’inizio del nuovo decennio il crollo dei prezzi del petrolio e l’ascesa dei tassi d’interesse internazionali fecero cadere il M. in una gravissima crisi finanziaria, cui si aggiunsero le conseguenze del violento terremoto che colpì nel settembre 1985 la capitale. Nelle relazioni con l’estero, il governo messicano cercò di potenziare la cooperazione economica con gli USA. La maggiore apertura agli investimenti esteri, l’avvio di un programma di privatizzazioni e le misure di austerità del governo costarono al PRI una sensibile perdita di consenso tra le classi medie e popolari e tra i sindacati; i settori populisti del partito formarono nel 1986 il gruppo Corriente democrática (CD), capeggiato da C. Cárdenas, figlio del generale Lázaro. Espulso dal PRI, Cárdenas accettò la candidatura per le elezioni del 1988 creando il Frente democrático nacional (FDN). Il predominio del PRI fu per la prima volta messo in discussione: il suo candidato, C. Salinas de Gortari, fu eletto con solo il 50,7% dei suffragi, flessione confermata dalle contemporanee consultazioni politiche. Nel dic. 1988 governo, imprenditori e sindacati sottoscrissero un Pacto para la estabilidad y el crecimiento económico, rinnovato negli anni successivi; Salinas cercò poi di recuperare consensi promuovendo una campagna contro la corruzione, la criminalità e il traffico di droga. Nelle elezioni legislative del 1991 il PRI aumentò i propri consensi. Salinas apportò alcune modifiche alla Costituzione del 1917: nel febbr. 1992 fu avviato un processo di privatizzazione degli ejidos; contemporaneamente furono abolite le restrizioni nei confronti della Chiesa cattolica. Sul piano internazionale, nel 1992 fu siglato il North American free trade agreement (NAFTA), che prevedeva la creazione di un mercato unico fra M., USA e Canada. Nel 1994 l’Ejército zapatista de liberación nacional (EZLN) insorse nel Chiapas in nome dei diritti degli indios e di una più equa distribuzione della terra, dando inizio a un movimento di resistenza armata portato avanti poi fino al 2005, sotto la guida del subcomandante Marcos. L’insurrezione e l’assassinio a marzo del candidato del PRI alla presidenza accentuarono la crisi finanziaria del Paese, proseguita nonostante l’ammissione del M. all’OCSE. Le elezioni dell’ag. 1994 portarono alla presidenza E. Zedillo, anche lui del PRI.
Nella seconda metà degli anni Novanta il peggioramento della situazione economica poté essere tamponato solo grazie alla concessione di un ingente prestito da parte degli USA e dei principali istituti internazionali di credito. In cambio il governo messicano dovette impegnarsi ad accelerare il programma di privatizzazione in alcuni settori strategici e a introdurre nel corso del 1995 nuove misure di austerità, che ne ridussero ulteriormente il consenso presso le classi popolari. Sul piano della sicurezza interna, Zedillo continuò ad alternare nel Chiapas la repressione militare a difficili trattative con gli insorti. Nelle elezioni legislative del 1997 il PRI non riuscì a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. L’erosione dei consensi culminò nella sconfitta del suo candidato alle elezioni presidenziali del 2000, vinte da V. Fox, del Partido de acción nacional (PAN), la tradizionale opposizione di destra, che pose tra le sue priorità l’adozione di ulteriori misure liberiste e il raggiungimento di una soluzione politica della questione degli indios. Nelle elezioni legislative del 2003 il PRI tornò a essere il partito più votato, ma in un quadro di frammentazione politica che ostacolò le riforme economiche e sociali promesse da Fox. Nell’estate del 2006 le nuove elezioni presidenziali furono vinte di misura dal candidato del PAN F. Calderón, che annunciò un programma di lotta contro la corruzione e il crimine organizzato. Tra il 2006 e il 2007 si sono avute nuove polemiche con gli USA in seguito alla decisione di Washington di rafforzare le misure di protezione lungo la frontiera meridionale, al fine di bloccare l’immigrazione illegale. Gli USA si sono dimostrati tuttavia disponibili a collaborare con il governo messicano nella lotta al narcotraffico, la cui attività è stata accompagnata da un drammatico crescendo di violenze (7000 morti nel 2009).