Metafisica
Opera di Aristotele, in 14 libri, contenente le lezioni sull'essere in quanto essere e le sue cause (" cause prime "), cioè la scienza detta da Aristotele " filosofia prima ". Il nome di M., secondo l'opinione tradizionale, deriverebbe dall'ubicazione dell'opera (" dopo le opere di fisica ") nell'edizione degli scritti aristotelici fatta da Andronico di Rodi (I sec. a.C.); secondo un'interpretazione più recente, risalirebbe alla prima generazione di scolari di Aristotele e indicherebbe il contenuto (" ciò che sta oltre la fisica ").
Nel Medioevo la M. fu tradotta dal greco in latino una prima volta nel sec. XII, forse da Giacomo Veneto: di questa versione, che originariamente doveva essere completa, sono rimasti i primi tre libri e parte del quarto (fino a 1007a 32), noti col nome di Metaphysica vetustissima. Una seconda traduzione dal greco, comprendente tutti i libri, a eccezione dell'undicesimo, nota col nome di Metaphysica mediae translationis, fu eseguita da autore ignoto (lo stesso che tradusse il Fragmentum Vaticanum della Fisica) agl'inizi del sec. XIII. Dalla contaminazione tra la Vetustissima e la Media, o dalla revisione della prima, risultò una terza versione, nota come Metaphysica vetus. Intorno al 1220 compariva una versione dall'arabo forse di Michele Scoto, insieme con quella del Commento ‛ grande ' di Averroè; questa versione, detta Metaphysica nova, comprendeva undici libri (restando esclusi l'XI, il XIII e il XIV) e invertiva l'ordine dei primi due, omettendo i primi quattro capitoli del primo. Infine, intorno al 1260, comparve l'ultima versione latina medievale, di Guglielmo di Moerbeke, la Metaphysica novae translationis, completa di tutti i 14 libri e consistente, tranne che per l'XI, tradotto dal greco per la prima volta, in una revisione della Metaphysica mediae translationis. Al sec. XIII risale anche un frammento riportato da un solo codice, il cosiddetto Metaphysicae fragmentum Vaticanum, contenente soltanto l'inizio dell'opera (980a 21-981b 13).
D. cita esplicitamente la M. 17 volte: per lo più col titolo tradizionale di Metafisica, talora con quello di Prima Filosofia, che corrisponde al nome aristotelico della disciplina in essa esposta (cfr. Metaph. VI 1, 1026a 23-30), e infine con quello di de Simpliciter Ente, che allude, con espressione aristotelica, al suo oggetto (" ens simpliciter " è sinonimo di " ens in quantum ens ", cfr. Metaph. VI 1, 1025b 9-10; lo " ens in quantum ens " è l'oggetto specifico della metafisica, cfr. Metaph. IV 1, 1003a 21). Numerose altre volte D. allude alla M. implicitamente, desumendone passi o riprendendone dottrine. Sembra certo che D. usò la traduzione riveduta da Guglielmo di Moerbeke, come risulta da numerose citazioni letterali, anche se fatte a memoria. Si veda, ad esempio, Mn I XII 8 illud est liberum quod " sui met et non alterius gratia est ", che riprende Metaph. I 2, 982b 26, nella traduzione, appunto, di Guglielmo di Moerbeke: " homo liber, qui suimet, et non alterius causa est ". Lo stesso passo è tradotto alla lettera in Cv III XIV 10 quella cosa è libera che per sua cagione è, non per altrui, che però D. riferisce al secondo de la Metafisica, commettendo un errore di memoria (cfr. B. Nardi, Due citazioni dantesche da Aristotele, pp. 29-33). Altre citazioni o traduzioni letterali da Guglielmo sono Cv I I 1 tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere (cfr. Metaph. I 1, 980a 21 " Omnes homines natura scire desiderant ", interpretato forse attraverso il commento di Tommaso. In Metaph. I lect. I 1); Mn I X 6 Entia nolunt male disponi; malum autem pluralitas principatuum: unus ergo princeps (cfr. Metaph. XII 10, 1076 a 3-4 " Entia vero nolunt disponi male, nec bonum pluralitas principatuum. Unus ergo princeps "); Quaestio 61 propter admirari coepere phylosophari (cfr. Metaph. I 2, 982b 12-17 " propter admirari homines nunc et primum incoeperunt philosophari "); Ep XIII 14 sicut res se habet ad esse, sic se habet ad veritatem (cfr. Metaph. II 1, 993b 30 " unumquodque sicut se habet ut sit, ita et ad veritatem "; ma più simile è il commento di Alberto Magno Metaph. II I 4); Ep XIII 41 ad aliquid et nunc speculantur practici aliquando (cfr. Metaph. II 1, 993b 22-23 " ad aliquid et nunc speculantur practici "). In un caso si è congetturato (cfr. F. Groppi, D. traduttore, p. 61) l'uso della traduzione di Michele Scoto, cioè Cv III XI 1 la diffinizione è quella ragione che 'l nome significa (cfr. Metaph. IV 7, 1012a 23, e la traduzione citata: " Definitio est illa ratio quam nomen significat "; mentre Guglielmo di Moerbeke traduce: " Ratio namque cuius nomen est signum, definitio est rei ". La differenza può dipendere anche da Tommaso, che interpreta: " Nam ratio quam nomen significat est definitio rei ", In Metaph. IV lect. XVII, 733).
Altre volte D. cita la M. a senso, e sembra, ma raramente, servirsi di qualche commento. Si vedano Vn XLI 6 con ciò sia 'cosa che lo nostro intelletto s'abbia a quelle benedette anime sì come l'occhio debole a lo sole, e Cv II IV 16-17 per un poco di splendore, o vero raggio, c[om]e passa per le pupille del vispistrello: ché non altrimenti sono chiusi li nostri occhi intellettuali (cfr. Metaph. II 1, 993b 9-11 " Sicut enim nycticoracum oculi ad lucem diei se habent, sic et animae nostrae intellectus ad ea quae sunt omnium naturae manifestissima ").
Veramente il termine vispistrello riprende il " vespertilio " di Michele Scoto, presente anche in Alberto Magno (Metaph. II I 2) e Averroè (In Metaph. II I 1); ma D. non poté desumerlo da quello, perché il secondo de la Metafisica cui allude, nella traduzione citata era il primo. È pertanto pensabile la mediazione di Alberto Magno, o di Tommaso (cfr. In Metaph. II lect. I 286, dove critica Averroè, riprendendone il termine " vespertilio ", e Cont. Gent. I 4 dove riferisce l'intero passo, col termine " vespertilio ", al secondo della Metafisica). Si vedano ancora Cv II IV 3 Furono certi filosofi, de' quali pare essere Aristotile ne la sua Metafisica... che credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossero ne li cieli, che deriva da Metaph. XII 8, 1074a 14-31, forse tramite Averroè In Metaph. XII 24, e Alb. Magno Metaph. XI II 17. Citazioni a senso sono anche Mn I XV 2 Pictagoras in correlationibus suis ex parte boni ponebat unum, ex parte vero mali plurale (cfr. Metaph. I 5, 986a 24); Mn I XIII 3 Omne... quod reducitur de potentia in actum, reducitur per tale existens actu (cfr. Metaph. IX 8, 1049b 24-25); Mn III XIII 6 Nichil est quod dare possit quod non habet; unde omne agens aliquid actu esse tale oportet quale agere intendit (Cfr. Metaph. IX 8, 1049b 24-25 e VII 7, 1032a 13 Ss.; 8, 1033b 23 ss.); Mn III XI 1 omnia quae sunt unius generis reducuntur ad unum, quod est mensura omnium quae sub illo genere sunt (cfr. Metaph. X 1, 1052b 16-34, spec. 31-34).
Altrove D. parafrasa o riassume interi brani della M.; cfr. Cv II XV 11 per questi adornamenti [le cagioni delle meraviglie] vedere, cominciaro li uomini ad innamorare di questa donna (cfr. Metaph. I 2, 982b 12-17, e i commenti ad loc. di Alberto e Tommaso); Cv IV X 8 Quando una cosa si genera da un'altra, generasi di quella, essendo in quello essere (libera parafrasi di passi come ad es. Metaph. VII 8, 1033b 23-24); Cv II III 4 Veramente elli di ciò si scusa nel duodecimo de la Metafisica, dove mostra bene sé avere seguito pur l'altrui sentenza là dove d'astrologia li convenne parlare (cfr. Metaph. XII 8, 1073b 10-17); Ep XIII 55 Et cum esset sic procedere in infinitum in causis agentibus (cfr. Metaph. II 2 spec. 994a 16-19).
Numerose infine le allusioni implicite alla M. o le affermazioni derivate: ad esempio, Cv III XI 6 lo naturale amore che in ciascuno genera lo desiderio di sapere, XV 7-8, e Pd IV 124-132 Io veggio ben che già mai non si sazia / nostro intelletto, ecc. (tutti derivanti da Metaph. I 1, 980a 21, da confrontare con Alb. Magno Metaph. I I 4, e Tomm. Sum. theol. I 12 1); Pd II 95-96 esperienza... / ch'esser suol fonte ai rivi di vostr' arti (cfr. Metaph. I 1, 981a 2-5); Cv III XII 12-13 filosofia… massimamente è in Dio... per modo perfetto e vero... Ne l'altre intelligenze è per modo minore (cfr. Metaph. I 2, 982b 28-983a 10, ma anche Tommaso In Metaph. I lect. III, n. 64 e Alberto Magno Metaph. I II 9); Cv III XIII 5 avvegna che le intelligenze separate questa donna mirino continuamente, la umana intelligenza ciò fare non può, e 7 questa è donna primamente di Dio e secondariamente de l'altre intelligenze separate, per continuo sguardare; e appresso de l'umana intelligenza per riguardare discontinuato (cfr. Metaph. XII 7, 1072b 14-16, 24-25, e Alberto Magno Metaph. XI II 12); Mn III IV 1 velut artifex inferior dependet ab architecto (cfr. Metaph. I 1, 981a 30-31); Pd XIII 65-66 le cose generate, che produce / con seme e sanza seme (cfr. Metaph. VII 7, 1032a 31-32); Vn XXV 2 localmente mobile per sé... sia solamente corpo (cfr. Metaph. XII 2, 1069b 24); Cv II XIII 17 li principii de le cose naturali, li quali sono tre, cioè materia, privazione e forma (cfr. Metaph. XII 4, 1070b 18-19; ma cfr. Phys. I); Pd XXIV 130-132 Io credo in uno Dio / solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, / non moto, con amore e con disio, XXVI 38-39 il primo amore / di tutte le sustanze sempiterne, e XXXIII 145 l'amor che move il sole e l'altre stelle, tutti derivanti da Metaph. XII 7, 1072a 23-b 3 (spec. b 3 " movet autem ut amatum ") o XII 8, 1073a 25-35, dov'è esposta la dottrina del Motore immobile; Pd XXVIII 41-42 Da quel punto / depende il cielo e tutta la natura (cfr. Metaph. XII 7, 1072b 13-14); Pd XXVIII 43-45 Mira quel cerchio che più li è congiunto, ecc., e 100-101 Così veloci seguono i suoi vimi, / per somigliarsi al punto quanto ponno (cfr. Metaph. XII 7, 1072b 8-10, ma specialmente il commento di Averroè In Metaph. XII II 2).
Alla M. è stata fatta risalire da B. Nardi anche la dossografia contenuta in Cv II IV 4-6 Altri furono, sì come Plato ... che puosero non solamente tante Intelligenze quanti sono li movimenti del cielo, ma eziandio quante sono le spezie de le cose (cfr. Metaph. I 9, 990b 4-8, ma specialmente Tommaso De Substantiis separatis 4; l'identificazione delle idee con le intelligenze è tuttavia frutto della mediazione neoplatonica); E volsero che... queste fossero generatrici de l'altre cose ed essempli (cfr. Metaph. I 9, 991a 20-b 1 " exemplaria ", 991b 3-4); Li gentili le chiamano Dei e Dee (cfr. Metaph. XII 8, 1074a 38-b 14). La stessa origine hanno i passi in cui compare, a proposito delle idee platoniche, la metafora del suggello: Pd Il 132, VIII 127, XIII 75. In Metaph. I 6, 988a 1, Aristotele parla infatti di ἐκμαγεῖον, che Guglielmo traslittera in " echimagio " e Alberto Magno (Metaph. I IV 13) spiega con " ethimagio sive sigillo ", fornendo probabilmente lo spunto a Dante. Alla M. possono infine esser fatti risalire tutti gli accenni di D. alle note dottrine aristoteliche della materia e della forma, della potenza e dell'atto, della sostanza e degli accidenti.
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