MEZZOGIORNO Questione del (XXIII, p. 149; App. III, 11, p. 99)
Alla fine del primo decennio (1951-60) della politica in favore del M. erano visibili consistenti segni di cambiamento evolutivo, interpretabili come indicatori di efficaci risultati conseguiti dall'azione intrapresa. Allo stesso tempo, però, affioravano nell'opinione pubblica i motivi di critica e d'insoddisfazione, già in buona parte richiamati nella III Appendice.
Nel primo decennio furono poste le basi per realizzare i pre-requisiti dello sviluppo. Si provvide infatti ad accrescere la dotazione delle infrastrutture, che all'inizio risultavano sensibilmente carenti. Senza un'adeguata azione diretta a risolvere i problemi della viabilità, dell'alimentazione idrica dei centri abitati, della sistemazione dei bacini montani e della costruzione di invasi e di reti per la canalizzazione delle acque a scopo irriguo; senza l'estensione della rete elettrica e la creazione di nuove centrali; senza l'avvio di più specifiche strutture creditizie e della preparazione professionale delle maestranze per i nuovi insediamenti industriali, sarebbe stato vano pretendere che l'assorbimento dei disoccupati mediante lo sviluppo della produzione si sarebbe verificato soltanto per il dinamismo imprenditoriale stimolato dai contributi a fondo perduto e dalle facilitazioni creditizie, concesse prima agl'investimenti agricoli e successivamente estese alle iniziative industriali e a quelle turistiche.
Tutto ciò fu avviato nel primo dodicennio: l'intervento straordinario era stato nel frattempo prorogato al 1962. Alla fine di questo periodo i risultati costruttivi erano abbastanza evidenti; lo sviluppo del M. era trainato dalla crescita impetuosa di tutta l'economia italiana; ma, ciò nonostante, il paese avvertiva che nuovi urgenti problemi scaturivano dal modo stesso della crescita. Per quanto concerne specificamente il M., si lamentava che l'intervento straordinario era stato dispersivo, attuato sotto la pressione di innumerevoli istanze locali, senza il freno di una razionale programmazione degl'investimenti; si avvertiva che le amministrazioni pubbliche, centrali e periferiche, alle quali era affidata la gestione della spesa ordinaria, avevano ridotto le erogazioni alle province meridionali, fidando sull'azione dell'organo straordinario (la Cassa per il Mezzogiorno) la cui spesa era stata concepita come aggiuntiva a quella ordinaria, mentre di fatto si rendeva sostitutiva e quindi con minore capacità di propulsione. Per l'Italia nel suo complesso si lamentava che lo sviluppo sostenuto e continuo degli anni 1955-62 aveva creato nuovi squilibri all'interno del nostro sistema economico-sociale: per un verso risultava accentuato, anziché corretto, lo sviluppo dualistico fra il Nord e il Sud; per altro verso si denunziavano squilibri settoriali, fra agricoltura e industria, fra campagna e città e soprattutto fra la produzione di beni diretti a soddisfare bisogni privati e la sempre meno adeguata offerta di beni d'interesse generale (scuole, abitazioni popolari, ospedali, trasporti, ecc.). Alla fine dell'anno 1962 la "Nota aggiuntiva" dell'on. La Malfa, ministro del Bilancio, alla "Relazione generale sulla situazione economica del paese", denunziava tali distorsioni del nostro sviluppo economico e civile e poneva l'istanza di procedere alla programmazione generale e sistematica dell'economia, allo scopo di regolare il processo di sviluppo per eliminare i lamentati squilibri.
L'orientamento della politica per il M. ne fu influenzato. Da quel momento cominciò a farsi strada l'idea che la "questione meridionale" non si sarebbe risolta senza riportarla nel quadro della programmazione generale dell'economia nazionale. Poiché nuovi squilibri si manifestavano anche nelle regioni più industrializzate del paese (il triangolo Torino-Genova-Milano) a causa del rapido afflusso di immigrati dalle regioni meridionali, si manifestò anche una tendenza a provvedere con fondi straordinari alle esigenze sociali delle regioni che accoglievano gl'immigrati e che perciò vedevano crescere all'improvviso il fabbisogno di case, di scuole, di ospedali, di mezzi di trasporto e di servizi in genere. Cominciò da quel momento e dall'insorgere di questi problemi a farsi strada l'idea che il salario reale delle forze di lavoro fosse eroso dal rincaro dei servizi d'interesse generale e pertanto dall'imprevidenza della gestione pubblica, che avrebbe dovuto in qualche modo affrontare con adeguate iniziative i movimenti delle forze di lavoro, richiamate nelle regioni settentrionali dal rapido espandersi delle attività industriali.
Il movimento migratorio delle forze di lavoro aveva d'altra parte una sensibile incidenza sulla convenienza delle imprese a profittare degl'incentivi e delle provvidenze dirette a favorire l'insediamento al Sud di nuove imprese industriali. Accadeva che mentre la politica per il M. intensificava i suoi interventi per accelerare la formazione di un sistema industriale nelle regioni meridionali, le forze di lavoro si trasferivano altrove, i salari tendevano ad aumentare rapidamente, le economie esterne favorevoli alle ubicazioni meridionali si vanificavano anche per la pressione di interessi parassitari. La tendenziale contrazione della convenienza privata a favorire il disegno della classe politica spingeva le autorità a prodigare i soccorsi alle imprese industriali che programmavano insediamenti al Sud. La politica per il M. andava incontro a nuove e inattese frustrazioni. Il tentativo di ridarle slancio mediante il raccordo alla programmazione nazionale e soprattutto con la concentrazione degl'interventi nei "poli di sviluppo industriale" e nei comprensori irrigui, coincideva con l'esplosione della più grave crisi strutturale che abbia finora subìto l'economia italiana. La crisi è cominciata nel 1963, si è manifestata con più gravi segni nel 1964-65 e d'allora, salvo qualche breve schiarita, in cui è parso persino che il M. reagisse meglio delle regioni più progredite, è stato un continuo susseguirsi di aggravamenti, contrassegnati da un moto inflazionistico che esaspera le tensioni sociali e deprime la produttività del sistema. All'inizio degli anni Sessanta era parso che lo sviluppo impetuoso avesse in sé la spinta sufficiente a favorire la rapida trasformazione industriale del M.; ora, nel mezzo di questa crisi, l'attenzione degli esperti guarda con speranza al potenziale agricolo del M., accresciuto dalle reti irrigue, dalla viabilità di scorrimento veloce, dalla diffusione dell'elettricità alle campagne e probabilmente anche dall'emigrazione di ritorno, se fosse portatrice di nuove esperienze acquisite in regioni più avanzate. Sembra che torni a prevalere la fatalità ancestrale: i mezzi sempre più copiosi destinati dalla finanza pubblica alla formazione di consistenti poli di sviluppo, sono tornati a disperdersi in buona parte, per l'impegno di far fronte alla crisi generale. Nell'ambito del M. si sono moltiplicati i Consorzi per le aree e i nuclei industriali. Se ne contano in numero di quarantotto. Ciò significa la moltiplicazione delle infrastrutture e la gara fra le autorità locali a largire concessioni per attirarvi i potenziali operatori. In altra direzione, si è dovuto provvedere alle regioni interne più povere. Allo scopo di ridurre gli squilibri interni allo stesso M., che si sono fatti più rilevanti proprio in seguito alla crescita economica delle zone di agricoltura progredita e delle aree industriali, si è dovuto apprestare un programma di interventi per le "aree di particolare depressione", ove però i rendimenti degl'investimenti sono più bassi e di più lenta maturazione. Non sono mancate, dunque, nuove occasioni per la dispersione dei mezzi. Da questa esperienza nasce il dubbio che la politica abbia voluto inseguire un traguardo eccessivamente ambizioso, quasi un miraggio per l'uomo della strada che sente promettersi "l'abolizione dei divari" e principalmente del divario fra Nord e Sud, cioè il pareggiamento dei redditi pro-capite fra le due grandi circoscrizioni, e dopo venticinque anni di azione pubblica osserva che le cose, sotto questo aspetto, sono rimaste come prima e ancora non si vede l'alba del giorno in cui ai cittadini italiani, che vivano al Nord o al Sud, siano aperte le stesse opportunità di occupazione e di guadagni. Questa possibilità era stata persino affermata solennemente nella legge n. 687 del 1967, in cui si promulgava il programma economico nazionale per il quinquennio 1966-70 e si annunziava che il divario fra Nord e Sud sarebbe stato eliminato in quindici o venti anni. Sarebbe stato indubbiamente più pratico e più corretto proporre all'opinione pubblica, sin dall'inizio, che la politica per il M. tendeva a promuovere la crescita dell'economia meridionale e il progresso civile del Sud mediante la moltiplicazione delle occasioni di lavoro, l'aumento della produttività delle risorse e la diffusione delle infrastrutture al servizio della collettività. In relazione a questi traguardi, si può dire obiettivamente che le regioni meridionali hanno partecipato al progresso generale del paese, sono uscite dall'isolamento tipico delle zone periferiche, sono ora immesse nel circuito dell'economia internazionale. Dal 1951 al 1973 (ultimi dati ufficiali disponibili) le regioni meridionali hanno beneficiato di un aumento del reddito pro-capite a prezzi costanti del 147,7%, di poco inferiore a quello medio italiano, aumentato del 168,5%. L'aumento realizzato dal M. è stato appena del 10% inferiore a quello nazionale. Nonostante questo miglioramento, il divario è rimasto qual era nel 1951: il reddito pro-capite del M. è ancora inferiore del 40% a quello medio nazionale. Eppure, la struttura economica del M. è sensibilmente cambiata, rispetto al 1951. L'occupazione in agricoltura è passata dal 56,7% del totale al 29,9%, mentre l'occupazione nell'industria è aumentata dal 20,1% al 32,3% e quella nelle attività terziarie dal 23,2% al 37,8%. Due milioni di lavoratori hanno lasciato l'agricoltura, ma solo 500.000 hanno trovato sbocco nell'industria e 600.000 nei servizi. La struttura economica del M. risulta più equilibrata rispetto al 1951, ma la produttività delle risorse occupate nel M. è ancora più bassa che nel resto del paese. Questo è il segno che la "questione meridionale" non è risolta. Resta da vincere la tradizionale tendenza del M. a sperare che i suoi problemi siano risolti da interventi esterni, mentre è indispensabile che sia posta in atto una diretta partecipazione di tutti gli operatori, a ogni livello di qualificazione e di responsabilità, allo sforzo di elevare la produttività delle risorse occupate. Questa necessità risulta dal confronto fra la quota della popolazione del M., il 35% del totale nazionale, e il suo contributo alla produzione del prodotto nazionale lordo, 27%; del prodotto dell'industria, 19%; del prodotto dei servizi privati, 23%.
La "questione" sussiste, ma l'esperienza dell'intervento straordinario, dopo venticinque anni di tentativi, consiglia la politica ufficiale a proporre traguardi più realistici, a rivedere le strutture alle quali è affidata l'esecuzione dei programmi, a decentrare le responsabilità operative, con il proposito di realizzare un più diretto impegno delle autonomie locali.
In sintesi, nel periodo 1960-75, la politica per il M. si caratterizza per i seguenti indirizzi:
1) prosecuzione delle infrastrutture, estese con la l. del 29 settembre 1962, n. 1462, alla costruzione delle opere di competenza dei Consorzi per aree e nuclei industriali, agl'impianti e reti di acquedotti e fognature all'interno dei comuni, alla costruzione di ospedali e scuole materne;
2) concentrazione degl'investimenti nei poli di sviluppo industriale, con l'ausilio di incentivi differenziati e nei comprensori irrigui per l'agricoltura, affidando a più specifici programmi per le "aree di particolare depressione" il soccorso alle zone spopolate e non suscettibili di elevati rendimenti;
3) innesto nella programmazione economica nazionale, mediante la l. 26 giugno 1965, n. 717, che, oltre a prorogare a tutto il 1980 l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno, istituisce il "piano di coordinamento degl'interventi pubblici nel Mezzogiorno", mediante il quale s'intende dare "organicità e unitarietà" all'intervento dei vari enti pubblici, onde evitare interferenze e sovrapposizioni.
4) ulteriore concentrazione e coordinamento, mediante la l. del 6 ottobre 1971, n. 853, che introduce l'istituto del "progetto speciale" e afferma il principio del travaso dei fondi dall'amministrazione ordinaria a quella straordinaria per il finanziamento di progetti speciali, tutte le volte che la prima non si riveli in grado di utilizzare i fondi ad essa assegnati nei termini stabiliti dalle leggi di bilancio;
5) con il più recente disposto legislativo, approvato dal Parlamento alla fine di aprile 1976, si riafferma la competenza del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) per l'approvazione del programma quinquennale degl'interventi nel M.; s'istituisce una Commissione parlamentare di controllo su detti interventi; si limita l'azione della Cassa all'attuazione degl'interventi statali e di quelli ad essa affidati dalle Regioni meridionali nelle materie di loro competenza, sanzionando così l'effettivo trasferimento alle Regioni delle loro attribuzioni operative.
Bibl.: G. Di Nardi, I provvedimenti per il Mezzogiorno, in Economia e Storia, 1960; id., Il Mezzogiorno componente necessaria dello sviluppo italiano, nel I vol. dell'opera Cassa per il Mezzogiorno, dodici anni 1950-62, Bari 1962; Autorità e libertà nella programmazione, in Realtà del Mezzogiorno, 1963, ristampato nel vol. Il controllo sociale dell'economia, Milano 1972; Tempi brevi e tempi lunghi nella politica di sviluppo, in Realtà del Mezzogiorno, 1963, XII; Il Mezzogiorno e lo sviluppo economico del paese, in Atti del Convegno di Napoli, ottobre 1967, a cura della D. C.; M. Annesi, Nuove tendenze dell'intervento pubblico nel Mezzogiorno, Milano 1973; S. Cafiero, Le zone particolarmente depresse nella politica per il Mezzogiorno, Roma 1973; N. La Marca, La politica di sviluppo economico del Mezzogiorno, ivi 1970; A. Graziani e altri, Incentivi e investimenti industriali nel Mezzogiorno, Milano 1973; A. Vitiello, Come nasce l'industria subalterna, Napoli 1973; ISTAT, Annuario di Contabilità Nazionale, 1974, t. II; M. D'Antonio, La politica meridionalistica, in Economia Pubblica, febbr.-marzo 1976.