GAZANO (Gazzano), Michele Antonio
Nacque ad Alba, nelle Langhe, il 30 sett. 1712 da Paolo, di famiglia oriunda di Nucetto, e da Anna Teodosia Capelli di Bra. Dei primi studi non si sa nulla: indagini svolte ad Alba non hanno dato risultati, forse perché la famiglia non era indigena, forse perché il G. trascorse la maggior parte della vita lontano dalla patria. Risulta solo che egli si addottorò in giurisprudenza, fu avvocato, e intraprese la carriera dei pubblici impieghi: inizialmente fu subdelegato di Longon Sardo, poi segretario presso il viceré di Sardegna.
In seguito tutta la sua carriera si svolse fra la Sardegna e Torino, raggiungendo nell'amministrazione gradi elevati, fino a quello di intendente. Proprio la sua profonda conoscenza degli affari di Sardegna, dove aveva vissuto per tanti anni, spinse Carlo Emanuele III a nominarlo, il 2 marzo 1758, segretario di Stato con competenza sull'isola, e il 24 maggio 1759 archivista generale delle scritture del Regno sardo, delle quali era considerato il massimo conoscitore. Le questioni giuridiche sarde erano legate, molto più strettamente che altrove, al diritto feudale, e il G. lasciò sull'argomento un ponderoso lavoro inedito (oltre 800 pagine), ora non più reperibile, Relazione istorica dei feudi di Sardegna, che raccoglieva pareri, compendi delle liti, investiture e alberi genealogici della più grande importanza per il destino dei feudi (cfr. Vernazza, elenco opere).
Nel 1740 il G. aveva sposato Maria Lisabetta Perotti, di Crescentino, che gli diede un figlio, Teobaldo, militare al servizio di Francia, e che lo lasciò vedovo nel gennaio 1779. Il G. si rimariterà poco dopo con Teresa Roppolo, di Trino, che gli sopravvisse. Quanto alle opere, è singolare che la rinomanza letteraria del G. presso i contemporanei sia stata legata alla produzione di alcuni "drammi per musica", per i quali il Calcaterra lo definisce "uno dei più insigni raffazzonatori di libretti della seconda metà del settecento" (p. 529). Di tale produzione si ricordano Le gabbie (Torino 1774), Pantea, azione asiatica (dalla Ciropedia di Senofonte) e Guatimosin, azione messicana (dalla Historia de la conquista de Mejico di A. Solìs), che pare circolassero solo manoscritti. Le qualità del G., invece, si manifestano in opere di tutt'altro genere, come la Storia della Sardegna (I-II, Cagliari 1777), dedicata al capo giurato e ai consiglieri della città.
Si tratta di un lavoro di ampio respiro che va dal 319 a.C. al regno di Vittorio Amedeo III, del quale sono ancora apprezzabili le ricche appendici, costituite da un Catalogo dei viceré e luogotenenti generali della Sardegna dal 1323 al 1718, dalle Corti del Regno dal 1355 al 1699, e da 22 rari documenti, da Ugone giudice d'Arborea a Ferdinando il Cattolico. La pubblicazione ebbe complesse vicende, perché l'editore Mairesse di Torino aveva già diffuso l'invito alla sottoscrizione quando, nel maggio 1775, uscì a Firenze il primo volume di una Istoria del Regno di Sardegna di G. Cambiagi; il Mairesse, che nella sua tipografia prevedeva tempi di stampa lunghi, si intese con il proto della stamperia di Cagliari, Porro, il quale, diffuso un nuovo invito e ottenuto il nulla osta dei revisori di Sardegna nell'agosto 1776, giunse alla pubblicazione in tempi brevissimi, battendo di misura un altro concorrente, l'abate F. Gemelli, il cui Rifiorimento della Sardegna apparve presso G.M. Briolo di Torino nello stesso 1776.
Quest'opera valse al G. l'ascrizione fra i "primi cittadini" di Cagliari, e tuttavia resta la sua unica pubblicazione di carattere storico; per il resto si conoscono solo composizioni in versi (originali o di traduzione), alcune di carattere satirico, come Poetiche bizzarrie, ossia Il niente (Cagliari 1780), settanta stanze in ottava rima per ridicolizzare la pedanteria di persone a lui moleste, e Invettiva contro il lusso femminile odierno (ibid. 1780); altre d'occasione, come due sonetti anonimi, il primo in lingua italiana, il secondo in spagnolo, nella raccolta Ossequio poetico della città d'Alba per la felicissima venuta in essa delle LL. MM. Vittorio Amedeo III re di Sardegna e Maria Antonia Ferdinanda regina… (Asti 1783, pp. 7 s.), un sonetto Al conte Emanuele Rangone di Montelupo… (ibid. 1783), due sonetti in dialetto veneziano Per le nozze fortunate di Carlo Zacinto Avogadro de Montiselo, patrizio de Biella, con la damisela Lovisa Plana, patrizia d'Alba Pompeia (ibid. 1784), un Sonetto in applauso del conte Rangone pel funerale della regina (ibid. 1785), un sonetto Per le nozze del signor Domenico Vincenzo Pagliuzzi, cittadino d'Alba, con la damigella Irene Teresa Massimino torinese (Torino s.d.), il sonetto veneziano Al sior Giuseppe Vernazza patrizio albesan nelle sue nozze colla nobil donna Giacinta Fauzon (Vercelli s.d.), e innumerevoli altre piccole composizioni d'occasione in fogli volanti o in raccolte. Ultima opera in versi, pubblicata postuma, fu la versione poetica Il pastor della notte buona (Torino 1788), da El pastor de la noche buena di J. Palafox. Quell'opera era composta di venti capitoletti in prosa, e di eguale numero avrebbero dovuto essere i canti del G., che però poté giungere solo alle prime sedici stanze del canto IX.
Degno di particolare menzione è il maggior lavoro di traduzione del G., che ha tenuto viva la sua fama nel secolo XIX, La Lusiade di L. de Camõens… scritta in ottava rima, ed ora nello stesso metro tradotta in italiano… insieme con un ristretto della vita del medesimo autore di Gianfrancesco Barreto (Torino 1772). Il G. vi aveva messo mano nella primavera 1769, ottenendo l'approvazione dei revisori nel dicembre del 1770; avrebbe voluto dedicare l'opera a Pietro Metastasio, ma questi, sia pur garbatamente, rifiutò. L'edizione, comparsa adespota, fu attribuita ad altri finché il conte B. Robbio di San Raffaele, che nel 1772 pubblicò dei versi sciolti fra cui l'incipit della Lusiade, complimentandosi pubblicamente con il G. (lettera da Chieri del 23 ag. 1772) ne svelò l'autore.
Giubilato nel dicembre 1780 dal servizio regio per l'età e per motivi di salute, il G. si ritirò in Alba, "serbando fino agli ultimi giorni una certa festevole piacevolezza" (Vallauri, p. 28), e vi morì l'11 maggio 1786. Venne sepolto nel cimitero fuori Alba, nel sepolcro della Confraternita dei pellegrini, dove l'amico G. Vernazza fece apporre un epitaffio.
Fonti e Bibl.: Gazzetta letteraria di Milano, 11 nov. 1772, p. 368; Effemeridi letterarie di Roma, 25 luglio 1772, col. 240; 10 genn. 1778, coll. 11 ss.; Novelle letterarie di Firenze, n.s., XVII (1786), col. 761; Biblioteca oltremontana, X (1788), pp. 109 s. (bibl. delle opere del G. a cura di G.F. San Martino della Motta); J.B. Colomès, Prefazione, alla tragedia Ines de Castro, Lyon 1781; G. Vernazza di Freney, Vita del G., Torino 1788 (biografia lacunosa e quasi esclusivamente dedicata alle opere); A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII, IV, Venezia 1832, pp. 120 s.; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, pp. 27-31, 377 s. (bibl. delle opere); R. Ciasca, Bibliografia sarda, II, Roma 1932, p. 318, n. 7930; C. Calcaterra, Il "nostro imminente Risorgimento", Torino 1935, pp. 479, 512, 579, 619; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, pp. 400, 472, 576, 634; C. Sole, La Sardegna sabauda nel Settecento, Sassari 1984, p. 362.