Microscopio
La porta dell’invisibile
Il microscopio è lo strumento che serve a ingrandire gli oggetti, o i loro particolari, che non possiamo vedere a occhio nudo, in modo da renderli visibili. Introdotto nel 17° secolo, ha rivoluzionato molte scienze, a partire da quelle biomediche. I parametri più importanti che caratterizzano un microscopio sono l’ingrandimento e la risoluzione, ovvero la capacità di distinguere i particolari del campione in esame. Accanto ai più comuni e diffusi microscopi ottici, realizzati con lenti, sono stati sviluppati negli ultimi 50 anni microscopi elettronici e atomici
Uno strumento per molte discipline. Microscopio è ogni strumento che serva per vedere, con il miglior dettaglio e ingrandimento possibile, oggetti o particolari che non possono essere visti dai nostri occhi, i quali sono incapaci di distinguere oggetti più piccoli di qualche decimo di millimetro. La scoperta e l’uso del microscopio hanno permesso l’avvio di una disciplina collegata, la microscopia, essenziale per il progresso di molte scienze, a iniziare da quelle biologiche, mediche e farmacologiche. Il microscopio ha permesso di analizzare le cellule e i tessuti del corpo umano, di esplorare il mondo dei microrganismi, dei batteri e dei virus, e di verificare l’azione sviluppata contro questi dai farmaci; nelle sue forme più evolute è stato in grado di catturare immagini della materia microscopica e della sua struttura. Il modello più diffuso di microscopio è quello ottico, formato da un sistema di lenti, al limite anche una sola, con cui viene esaminato un campione di materiale posto al fuoco del sistema ottico. Il più semplice dei microscopi ottici è dunque formato da un’unica lente convessa posta in una montatura che comprende anche un piccolo banco su cui porre il campione. In sostanza, questo modello differisce di poco da una normale lente di ingrandimento (ottici, strumenti).
Il microscopio composto. Questo tipo di microscopio è formato da sistemi di più lenti, con caratteristiche diverse e diversa lunghezza focale. Un microscopio composto può arrivare a un ingrandimento elevato, anche di 1.000 o più volte nei migliori apparecchi. Il fatto di mettere assieme più lenti permette non solo un maggior ingrandimento, ma anche una compensazione delle cosiddette aberrazioni ottiche presentate in maggiore o minore misura da una lente singola, come quella cromatica (il fenomeno per cui la luce bianca viene scomposta da una lente in raggi corrispondenti ai diversi colori) o sferica (che fa sì che una sorgente di luce puntiforme appaia invece come un disco). In altre parole, componendo più lenti insieme si correggono gli errori delle singole lenti.
Il più semplice microscopio composto è formato da una lente di corta focale, l’obiettivo, e una seconda, l’oculare. L’ingrandimento del microscopio è dato semplicemente dal prodotto di quello dell’oculare, tipicamente attorno a 10, e quello dell’obiettivo. Generalmente un microscopio composto è formato da almeno tre o quattro lenti, in modo tale da ottenere prestazioni migliori.
Il campione da esaminare deve essere posto nel fuoco del sistema ottico del microscopio, dove in genere si trova una piccola piattaforma metallica con un foro al centro di dimensioni adeguate, attraverso cui viene convogliata, tramite un piccolo specchio, la luce che attraversa e illumina dal basso il campione stesso e, se è trasparente, lo rende ben visibile. Se il campione è opaco, come per esempio nel caso di un sottile film metallico, può venire esaminato per riflessione.
Un parametro importante per i microscopi ottici è la risoluzione ottica massima ottenibile, che misura la capacità di osservare particolari. Per comprendere il ruolo di questo parametro possiamo pensare alla capacità di vedere due punti vicini effettivamente separati fra loro, cioè distinti l’uno dall’altro. A causa di un limite intrinseco dovuto alla natura della luce, la risoluzione del miglior microscopio non va oltre 0,2 mm (millesimi di millimetro). Per superare questo limite occorre utilizzare i microscopi elettronici o atomici, due strumenti di tipo completamente diverso.
Un tipo particolare di microscopio ottico composto, usato in molte discipline, è quello binoculare. Sostanzialmente si tratta di un microscopio composto munito di due oculari che inviano agli occhi di chi lo utilizza due immagini leggermente diverse. In questo modo, sfruttando la visione stereoscopica, si può ottenere un’immagine a tre dimensioni del campione.
Questo tipo di microscopio, che arriva a ingrandimenti dell’ordine delle 100 volte, viene utilizzato soprattutto quando siano necessari interventi di precisione, come nella lavorazione degli orologi, in medicina e chirurgia (in questo caso sono costituiti da una sorta di occhiali), o nel restauro di oggetti antichi. Per questi particolari strumenti riveste una grande importanza un parametro che è invece secondario negli altri microscopi ottici: la profondità del campo di vista, che misura quanto contemporaneamente si riesce a mettere a fuoco dello spessore del campione. Evidentemente, maggiore è questo valore più è facile lavorare sul campione stesso senza dover continuamente aggiustare la messa a fuoco del microscopio.
Per superare i limiti dei microscopi ottici sono stati sviluppati, negli ultimi 50 anni, strumenti che sfruttano le conoscenze di base ottenute dalla fisica nucleare e dai grandi progressi dell’elettronica. Si tratta dei microscopi elettronici e atomici.
Nei microscopi elettronici viene utilizzato, al posto della luce, un fascio di elettroni per ‘illuminare’ il campione da esaminare. Questo permette di ottenere ingrandimenti molto maggiori in quanto l’ingrandimento è legato alla lunghezza d’onda della radiazione che incide sul campione. La luce visibile, per dare un valore medio, ha una lunghezza d’onda di 4.000 Å (Å è il simbolo dell’angstrom, un’unità di misura molto usata in microscopia e che corrisponde a un diecimiliardesimo di metro), mentre i fasci di elettroni utilizzati nei microscopi elettronici possono arrivare a 5 Å. In questi strumenti gli elementi principali sono un cannone elettronico che produce il fascio e alcune lenti magnetiche, che non hanno nulla a che fare con le lenti ottiche in quanto sono campi magnetici che deviano gli elettroni, proprio come le lenti ottiche deviano i fotoni (e quindi i raggi luminosi), e possono essere regolati in modo da indirizzare con estrema precisione il fascio di elettroni, metterlo a fuoco e amplificarlo. L’ingrandimento del campione che si riesce a raggiungere con i vari tipi esistenti di microscopio elettronico può superare il milione di volte.
Il microscopio atomico, introdotto nel 1986, non viene utilizzato per vedere un campione, ma per ricrearne un’immagine. In realtà si tratta di un sistema a scansione, una sorta di microscopica punta avente dimensioni del milionesimo di metro, fissata a una altrettanto minuscola leva, formata da un composto di silicio, che viene fatta praticamente strisciare sulla superficie del campione. Le deviazioni della leva dalla posizione di equilibrio, dovute alla forma microscopica del campione, vengono misurate inviando un fascio laser su un punto preciso della leva stessa e misurandone la riflessione. Da queste deviazioni, più o meno grandi, si riesce a ricostruire un’immagine del campione stesso.
Difficile datare l’invenzione di questo prezioso oggetto: già il filosofo romano Seneca, duemila anni fa, descriveva la possibilità di ingrandire gli oggetti di piccola dimensione guardando attraverso un recipiente sferico riempito di acqua. La situazione è simile a quella che si incontra se si cerca di determinare l’inventore del cannocchiale. Le prime lenti, comunque, apparvero in Olanda verso la fine del 16° secolo. Di certo Galileo Galilei nel 1609, nei suoi esperimenti con le lenti che lo portarono alle grandi scoperte astronomiche, sviluppò anche sistemi di due lenti, una concava e una convessa, che possiamo pensare come un prototipo di microscopio. Negli stessi anni l’olandese Christian Huygens produsse il primo sistema di due lenti corrette per aberrazione cromatica, un tipo di microscopio tuttora utilizzato. Chi però ne sviluppò uno e ne capì le enormi potenzialità legate al suo uso nella ricerca biomedica fu il fabbricante di lenti olandese Antoni van Leeuwenhoek, vissuto fra il 1632 e il 1723.