migrazioni
Gli spostamenti, definitivi o temporanei, di gruppi di esseri viventi (uomini o animali) da un territorio a un altro, da una ad altra sede, determinati da ragioni varie, ma essenzialmente da necessità di vita. La mobilità spaziale costituisce il fondamento di ogni attività umana. La m. ha una sua connotazione nell’ambito della mobilità spaziale, in quanto si caratterizza per modalità, durate, motivazioni, percorsi individuali, familiari, generazionali, aspetti formali e normativi. Nell’ambito della mobilità si parla di m. quando gli spostamenti avvengono da e per un certo ambito territoriale, distinguendosi i movimenti effettuati da individui che vi confluiscono dall’esterno (immigrazioni) oppure da coloro che ne escono per andare altrove (emigrazioni). Quando questi movimenti avvengono entro un solo Stato, si parla di m. interne; quando gli spostamenti comportano il passaggio delle frontiere nazionali, si parla di m. con l’estero. Entrambe sono legate alla dimensione dell’area territoriale che si prende in consi;derazione: così, si è in presenza di movimento ;migratorio con l’estero quando un individuo si sposta, per es., dall’Italia alla Francia, ma lo stesso diviene movimento migratorio interno se si considera come area di riferimento la Comunità ;europea. Anche la classificazione temporale delle m. presenta notevoli differenziazioni: si parla di m. temporanee e definitive. Un caso particolare di m. temporanea è costituito dalla m. stagionale, che interessa quei lavoratori che si recano all’estero solo in concomitanza di certe attività svolte in particolari periodi dell’anno (turismo, edilizia, raccolte agricole). Le m. pendolari riguardano, invece, quei lavoratori che trovano impiego in località diversa da quella di residenza e vi si recano giornalmente; dove tale spostamento comporti il superamento di confini nazionali, si hanno le cosiddette m. frontaliere, di cui sono un tipico esempio i lavoratori italiani che si recano a lavorare nel Canton Ticino. Un tipo intermedio è costituito dalle m. ricorrenti, quando gli spostamenti hanno piuttosto un carattere ciclico: a periodi di soggiorno all’estero fanno seguito periodi di rientro in patria. Con riferimento al numero degli individui oggetto degli spostamenti, si può distinguere la m. individuale da quella familiare, da quella per gruppi etnici e per esodi. In una prima fase, le m. hanno generalmente carattere individuale e interessano soggetti celibi, giovani, più intraprendenti e predisposti a sopportare i disagi di una vita quale si prospetta in un Paese differente dal proprio. Non rari, tuttavia, sono i casi di spostamenti di interi gruppi familiari. Un particolare movimento migratorio, con importanti risvolti economico-sociali e culturali, riguarda i ricongiungimenti familiari che si verificano in momenti successivi a quello iniziale dello spostamento del singolo individuo o di una parte della famiglia. Le m. per gruppi si caratterizzano per la solidarietà etnica che ne è il presupposto: si tratta di più individui, legati da vincoli di parentela o di amicizia, che decidono lo spostamento simultaneo. Si parla di esodi quando le m. interessano buona parte di una popolazione e sono determinate da fattori ambientali (calamità naturali) o da gravissime quanto eccezionali circostanze (repulsioni di carattere politico o religioso). Storicamente, le m. avevano piuttosto il carattere di gruppo, mentre quelle più recenti sono prevalentemente di tipo individuale. Alla base di questa modificazione vi sono certamente le mutate condizioni in cui si sono realizzati i movimenti migratori: in passato, i pericoli e le incognite di spostamenti a lunga distanza suggerivano l’opportunità di riunirsi in gruppi per un sostegno reciproco e per dividere i rischi di un’avventura piena di incognite; ai tempi attuali la disponibilità di mezzi di comunicazione, che consente di raggiungere località molto distanti con relativa economicità, spinge piuttosto alla emigrazione individuale, anche se esiste quasi sempre un sostegno di tipo sociale («catena migratoria»). Quanto agli aspetti formali, si può distinguere fra m. legali, illegali e clandestine. Le prime sono costituite da quegli spostamenti che avvengono nel pieno rispetto delle procedure normative previste sia dal Paese di partenza che da quello di arrivo: esse presuppongono un regolare passaporto, un visto di ingresso, un permesso di soggiorno, un permesso di lavoro, nonché i cambiamenti formali di residenza (quando necessario). Sono considerate illegali quelle in cui un soggetto entra in un Paese straniero in forma legale, ma poi prosegue il suo soggiorno in maniera non conforme alle norme locali: è questo il caso di individui che entrano con un permesso di soggiorno turistico e poi permangono anche quando tale permesso è scaduto, oppure il caso di soggetti che entrano con una motivazione ufficiale (per es., studenti), ma poi seguono attività diverse. Sono clandestini quei soggetti che entrano in uno Stato estero valicando le frontiere in maniera informale, senza alcun documento di rito (visto di ingresso, permesso di soggiorno, permesso di lavoro) e spesso senza nemmeno documenti di riconoscimento. Il rilevamento statistico delle m. presenta ovunque notevoli difficoltà. Anche nei Paesi più avanzati, da questo punto di vista vi sono incertezze e inattendibilità nelle valutazioni quantitative. Prendendo a riferimento il caso italiano (ma la situazione è analoga per tutti i Paesi a sviluppo avanzato), i movimenti migratori non sono oggetto di modificazioni di ;stato civile, ma solo di posizioni anagrafiche. Mentre gli atti di stato civile (nascita, morte, matrimonio) sono documentazioni formali molto rigide, sia nella formulazione sia nella validità, in quanto molti diritti e doveri sono giuridicamente legati all’esistenza in vita o alla morte di un soggetto o alla formazione di una nuova famiglia, gli atti di anagrafe, per la parte relativa alla mobilità, sono legati fondamentalmente alla volontà del soggetto di manifestare l’intendimento a cambiare la propria residenza. Accade molto spesso, allora, che gli interessati effettuino il cambio di residenza solo se spinti da necessità amministrative (obbligo della residenza per gli impiegati statali, iscrizione alle liste di collocamento, avviamento al lavoro, assegnazione di alloggi popolari, iscrizioni sanitarie e scolastiche, liste elettorali ecc.). Questi atti formali costituiscono oggetto delle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche, rilevate mensilmente dall’Istituto nazionale di statistica. Di particolare rilievo, non solo amministrativo ma anche politico, è poi la cosiddetta AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), formata dall’elenco di coloro che hanno espresso la volontà di recarsi in un Paese straniero per un periodo limitato di tempo. Quando lo spostamento ha una connotazione definitiva, il nominativo del soggetto viene cancellato dall’AIRE e dal registro anagrafico in quanto non facente più parte della popolazione residente. Negli uffici anagrafici comunali sono state anche istituite nuove liste che riguardano i cittadini stranieri entrati da poco nel nostro Paese e che hanno richiesto la residenza. Va rilevato che gli stranieri «residenti» in Italia non sono ancora molto numerosi rispetto alla dimensione complessiva degli stranieri «presenti» nel Paese, e ciò in quanto la residenza viene richiesta dagli interessati quando la m. tende ad essere stabile e quando sono realizzate le condizioni minimali di attività lavorativa e di abitazione. Nel 1991 è stato attivato il Censimento degli italiani residenti all’estero. Questo rilevamento presenta obiettive difficoltà in quanto non sempre i nostri concittadini che si trovano in un Paese straniero sono filtrati attraverso le ambasciate e i consolati e ciò limita la base conoscitiva di partenza. Vi sono poi le incertezze per i figli degli emigrati (seconde generazioni), che in qualche caso sono automaticamente considerati cittadini del luogo (ius loci), mentre in altri Paesi conservano la cittadinanza dei genitori (ius sanguinis). Per quanto riguarda le cause delle m., si può fare riferimento ai fattori di repulsione dal Paese di origine e a quelli di attrazione da parte del Paese di destinazione. Fra le motivazioni di tipo espulsivo possono rientrare quelle naturali (come inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche ecc.) oppure quelle sociali, politiche, culturali. Particolare peso possono avere i conflitti etnici, le incompatibilità religiose e quelle politiche. I fattori attrattivi sono costituiti dalle soluzioni ai fattori espulsivi dal Paese di origine: pertanto si sceglierà di emigrare verso quei Paesi dove vi sono possibilità di vita e accettazione migliore. Tra i fattori che possono orientare o facilitare le m. si possono annoverare le relazioni parentali o di amicizia, che favoriscono l’instaurarsi della «catena migratoria». In genere, sono gli squilibri alla base degli spostamenti migratori; le scelte individuali vengono fatte sulla base della conoscenza che il soggetto ha delle possibilità di vita all’estero raffrontate con quelle del Paese di origine. Una parte preponderante delle cause delle m. è ancora oggi costituita dalle differenze di sviluppo fra le aree di origine e quelle di destinazione, mentre si riconosce che una sovrappopolazione di per sé stessa non è sufficiente a provocare un movimento migratorio. Le stesse m. di sopravvivenza, dunque, non possono fare riferimento separatamente allo sviluppo e al differenziale demografico: la corrente migratoria si origina quando fra le due zone vi è uno squilibrio nei rapporti tra sviluppo e dimensione demografica (pressione demografica differenziale). La distribuzione strutturale delle m. consente di identificare il migrante come prevalentemente di sesso maschile, in età piuttosto giovanile e di stato civile celibe. Da questa tipologia generale vi sono spostamenti più o meno significativi a seconda delle diverse provenienze geografiche: notevole, per es., il flusso di donne asiatiche e africane impegnate in lavori domestici, spesso coniugate e con figli; viceversa, i provenienti dal mondo islamico sono in maniera preponderante maschi, giovani e non sposati. I flussi migratori provenienti dai Paesi dell’Est europeo vedono meglio rappresentati i due sessi, una maggiore distribuzione nelle varie fasce di età e spesso un accorpamento per gruppi familiari. Per quanto concerne la struttura professionale, i flussi migratori dagli anni Ottanta e Novanta del 20° sec. sono stati caratterizzati da un buon livello di scolarizzazione di partenza; tutt’altro che rari sono i casi di laureati e certamente frequenti sono i titolari di un diploma di scuola superiore. Le m. sono selettive soprattutto dal punto di vista fisico, in quanto sono coinvolti essenzialmente i giovani in buona salute. I vecchi, i malati e i bambini si spostano più raramente e solo quando si tratta di m. di un intero nucleo familiare. In merito alle conseguenze delle m., dobbiamo distinguere fra quelle di tipo economico e quelle di tipo demografico e antropologico. Da un punto di vista economico le m. possono essere considerate un fattore di riequilibrio in quanto, nel Paese di partenza, alleggeriscono i problemi della disoccupazione, mentre nel Paese di arrivo costituiscono un fattore della produzione a costo più contenuto della manodopera locale, a minor potere contrattuale, a maggiore flessibilità di impiego. I ridimensionamenti programmatici da parte delle aziende penalizzano, in prima battuta, la forza lavoro straniera, come è accaduto nella metà degli anni Settanta, in occasione della crisi petrolifera che ha comportato un lungo periodo di restrizioni nel mercato del lavoro e forti flussi di rientro in patria. Le posizioni sulle conseguenze economiche sono tuttavia contrastanti, in quanto a elementi di carattere positivo si contrappongono visioni negative. Da parte dei Paesi esportatori di manodopera si fa presente che i Paesi di immigrazione utilizzano elementi giovani, il cui costo di formazione è stato sostenuto nel Paese di origine. Inoltre questa manodopera viene utilizzata come elemento di manovra per regolamentare il mercato del lavoro in funzione delle congiunture produttive, proprio a motivo della flessibilità di impiego e delle possibilità di rientro. Sul fronte opposto si fa notare che gli immigrati vengono sottratti a una forza lavoro locale eccedente le reali possibilità di impiego in Paesi dove i livelli di industrializzazione e terziarizzazione sono molto deficitari e dove, di contro, sono molto elevati i livelli di disoccupazione e sottoccupazione. Inoltre le rimesse che i lavoratori stranieri effettuano consentono un riequilibrio della bilancia dei pagamenti nei Paesi di origine, mentre nei Paesi di insediamento le rimesse fatte dai lavoratori stranieri sono una perdita netta in quanto costituiscono una esportazione di valuta senza corrispettivi immediati; inoltre, i risparmi dei lavoratori immigrati, mandati alle famiglie rimaste in patria, costituiscono una limitazione ai consumi dei Paesi di arrivo: ciò che viene guadagnato non viene utilizzato all’interno dello stesso mercato nazionale e quindi non costituisce stimolo per l’attività produttiva interna. Infine, se è vero che il costo di formazione di un soggetto che emigra è a totale carico del Paese di origine, la perdita subita dal Paese di nascita va dunque ridimensionata dal minor costo sociale che la società locale deve sostenere per mantenere comunque una massa ingente di disoccupati o sottoccupati. Riguardo alle modificazioni di carattere demografico, la più evidente riguarda il numero complessivo degli abitanti che cresce nel Paese di arrivo e diminuisce nel Paese di partenza. Ma a ciò vanno aggiunte le influenze sulle altre caratteristiche demografiche, come la composizione per sesso (le migrazioni sono prevalentemente maschili), per età (riguardano essenzialmente i giovani) e per stato civile (sono in maggioranza i celibi). Questo significa che il Paese di arrivo, quanto a struttura demografica, ringiovanisce e rinvigorisce la parte più produttiva e riproduttiva della popolazione. Nel Paese di partenza avviene esattamente l’opposto. Gli studiosi concordano nel non ritenere sufficienti le immigrazioni degli stranieri, generalmente a più elevata fecondità, come fattori di riequilibrio in un quadro demografico astenico e in cui la riproduttività sia molto al di sotto dei puri livelli di sostituzione generazionale, come accade ormai in buona parte dei Paesi europei. Si è potuto constatare come gli immigrati provenienti da Paesi dove il tasso di fecondità totale è di cinque o più figli, in media, per donna feconda, una volta inseriti in un altro Paese tendono ad acquisire rapidamente i comportamenti demografici che trovano sul posto. Ne discende che i movimenti migratori hanno un notevole potere di omogeneizzazione, in quanto l’influenza delle diverse culture che si incontrano porta a un adattamento reciproco su modelli comportamentali meno variabili. Adattamento è un termine che deve essere visto in concomitanza con l’integrazione e con le manifestazioni di razzismo, che costituiscono due aspetti contrapposti del fenomeno immigrazione. In genere l’integrazione avviene più sul piano sociale e culturale che non su quello etnologico e antropologico. Ciò significa che i matrimoni misti sono ancora una minoranza rispetto a quelli omotipici. Le politiche migratorie vengono messe in atto dai Paesi di accoglienza per regolamentare i flussi di ingresso. I Paesi di partenza normalmente non attuano vere e proprie politiche migratorie, che dovrebbero presupporre una capacità programmatoria quasi sempre inesistente. Solo alcuni Paesi a economia pianificata hanno regolamentato, in passato, i flussi di uscita di propri studenti che sono stati mandati a formarsi presso altri Paesi ad analogo sistema politico-economico. Le politiche migratorie attuate dai Paesi riceventi hanno dimensione e rigorosità legate ai momenti congiunturali. Quando il mercato del lavoro non assorbe la manodopera straniera o quando le forme di riflusso da parte dei cittadini assumono dimensioni esasperate, si tende a chiudere le frontiere, a regolamentare i nuovi accessi attraverso quote, a privilegiare i ricongiungimenti familiari, a favorire i rientri in patria con premi e incentivi economici. Le politiche migratorie possono essere attuate anche in maniera selettiva nei confronti di certe provenienze (il Quota act, negli Stati Uniti, prevedeva quote diverse di immigrati da ammettere, in funzione delle provenienze geografiche) oppure graduando i periodi di immigrazione (in Svizzera vi sono tre livelli di permessi di soggiorno: stagionali, annuali, residenti; non si può accedere al livello seguente se non sono trascorsi determinati periodi di permanenza nel livello inferiore). Per il peso politico che rivestono, hanno particolare risalto i rifugiati che costituiscono una specifica forma di migrazione. Vengono considerati tali quei soggetti che sono costretti ad abbandonare il proprio Paese in quanto minacciati nella loro integrità fisica o addirittura di morte. È stato istituito un apposito organismo internazionale, l’UNHCR (United Nations high commissioner for refugees) che ha la funzione di agevolare l’inserimento di tali profughi politici in terre straniere e che ha rappresentanze in buona parte del mondo occidentale e di quello in via di sviluppo.
Si veda anche Le politiche di immigrazione in Italia dall’unità a oggi