Migrazioni
Al tema delle m. è dedicata, nell'Enciclopedia Italiana e nelle sue Appendici, un'approfondita analisi sotto il lemma migratorie, correnti (XXIII, p. 249; App. I, p. 848; II, ii, p. 312; III, ii, p. 110; V, iii, p. 482). Si fa cenno, innanzi tutto, alla ricostruzione di alcune m. 'esostoriche' in base alle conoscenze linguistiche (indoeuropei, paleo-polinesiani, bantu ecc.). In paragrafi distinti sono trattate le m. internazionali nei secoli 19° e 20°, le statistiche dei movimenti migratori, l'emigrazione italiana e le statistiche relative. L'ampio spettro dimostra che le m. sono "una delle funzioni permanenti dell'organismo sociale". Il fondamento del migrare nei suoi diversi aspetti di emigrazione, immigrazione e rimpatrio, è la libertà di movimento, diritto fondamentale o 'naturale' dell'essere umano. Nei secoli 19° e 20° gli Stati intervengono per regolare i flussi migratori attribuendo alle m. uno specifico significato politico. Risale a dopo la Prima guerra mondiale la legislazione dei contingenti con la quale gli Stati Uniti fissano la quota di immigrati agli stati dell'emigrazione. L'America, e gli Stati Uniti in particolare, erano in quell'epoca la meta più ambita. Nell'App. I si prendeva semplicemente atto che "i problemi relativi alle migrazioni internazionali non sono in complesso mutati" (p. 848). L'App. II analizzava le m. interne forzate dalla Seconda guerra mondiale: "più di 30 milioni di Europei furono sradicati dalle loro sedi dallo scoppio del conflitto fino al 1943" (ii, p. 313). In Italia, tra il 1946 e il 1948, si registrano "numerosi accordi bilaterali" a favore dell'emigrazione italiana (p. 314). Nell'App. III venivano distinte le m. 'politiche', relative ai profughi e ai réfugiés nationaux espulsi dal proprio paese di cui conservano la nazionalità, dalle m. 'economiche' relative alla disoccupazione e sottoccupazione che spingono i lavoratori, in maggioranza europei, a emigrare. Con l'istituzione della Comunità Economica Europea si avviò lo scambio di lavoratori qualificati all'interno dei sei paesi comunitari. Negli anni Cinquanta l'emigrazione italiana registrò un aumento e insieme "una ripartizione approssimativa equa tra l'emigrazione continentale e quella transoceanica" (ii, p. 113). L'App. V dedica ampio spazio alle m. interne intese come spostamenti di residenza: un termine che include "solo gli spostamenti associati alla residenza abituale di un individuo da un'unità amministrativa a un'altra", il che limita il concetto di m. alla sola mobilità sociale, nel presupposto che "non esiste una teoria ideale delle migrazioni" (iii, p. 482). Si esaminano i modelli descrittivi e demografici, evidenti soprattutto nelle m. internazionali. È da quel periodo - dagli anni Settanta - che nei paesi europei, Italia compresa, l'immigrazione prevale sull'emigrazione. Gli immigrati sono lavoratori provenienti soprattutto dall'Est e dal Sud mediterraneo: Turchia, Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco. Ed è in questo stesso tempo che acquista consistenza il problema dei clandestini entrati in maniera illegale. Per i problemi relativi all'affermarsi di società multietniche, si rinvia a multiculturalismo, in questa Appendice; analogamente per quanto riguarda la questione dei rifugiati.
Il fenomeno migratorio alla fine del 20° secolo
di Bernardo Bernardi
L'ultimo decennio del secolo 20° può essere qualificato come 'l'età delle migrazioni'. L'espressione appartiene al titolo di un libro di S. Castles e M. Miller (1993) sui movimenti internazionali della popolazione nel mondo moderno, ma coglie in sintesi la caratteristica che corrisponde più che mai all'estensione e all'ingigantirsi che il fenomeno migratorio sta avendo: si può infatti riconoscere nella sua mondializzazione la caratteristica che distingue questo scorcio di secolo. Il concetto di mondializzazione va qui inteso in senso relativo. Il migrare, infatti, è sempre stato una caratteristica della storia, apparentemente connaturata alla stessa condizione umana.
Gli uomini si sono sparsi nel mondo intero nel segno della libertà. Le motivazioni che stimolano l'andare sono tante e non è facile individuarle, appunto perché la libertà è un movente individuale; tuttavia appare evidente che la stabilità degli stanziamenti sembra consolidata e non costituisce un ostacolo insormontabile al migrare, una spinta che porta a mutare sede rivelando che la dimensione umana è più determinante di quella spaziale (Hammar, Tamas 1997). Ma non è all'estensione e alla consistenza del fenomeno che il concetto di mondializzazione si applica nella presente accezione, bensì alla percezione della mondializzazione resa possibile nel mondo moderno in una misura mai prima raggiunta. La vera novità in confronto al passato è data dalla simultaneità con cui si ha conoscenza degli eventi migratori. La televisione e la radio sono in grado di trasmetterne su scala mondiale l'immagine e la notizia in tempo reale. Nel passato le m. avvenivano sempre, ma raramente se ne aveva notizia. Le ricostruzioni cosiddette esostoriche sono un esercizio contraddittorio, perché nulla di ciò che è umano è fuori della storia, ma in epoche storiche è venuta a mancare la documentazione sufficiente, sia pure frammentaria e mitica, necessaria per saperne valutare la misura e la portata. Attualmente la conoscenza mondiale dei movimenti migratori consente di analizzarne il significato in maniera comparativa sulla base di informazioni e di dati attendibili che in qualche modo esigono di essere epurati dalle incidenze delle interpretazioni di agenzie e mediatori di notizie. Le m., peraltro, non sono un semplice andare logistico. Richiedono sempre il coraggio del distacco, e il migrare, se non è forzato e violento, presuppone una certa disposizione d'animo all'avventura. Il risvolto delle m. non riguarda soltanto individui singoli, ma interessa intere famiglie e gruppi etnici. Ne sono coinvolti adulti e anziani, donne in condizioni di maternità, minorenni, in un andare collettivo verso incontri in gran parte imprevedibili. La personalizzazione è uno degli aspetti più significativi dei movimenti migratori. Prima ancora che di cultura, di modi di vita diversi suscettibili di amalgamarsi, le m. sono incontri di persone. Ed è proprio tale connotazione che ne sottolinea la complessità. D'altra parte, l'effetto degli incontri personali è sempre causa di mutamento culturale. Dal contatto e dalla conoscenza reciproca possono derivare scambi di parentela nei matrimoni misti, come possono avverarsi mescolamenti e fusioni dei più vari elementi culturali. La società multietnica e la cultura pluralistica sono un prodotto tipico delle migrazioni.
Le dimensioni di massa creano frequentemente situazioni caotiche che giustificano l'intervento dell'autorità statale. La stessa mondializzazione del fenomeno, nel senso di percezione di avvenimenti in corso, costituisce una dimensione che impegna gli Stati interessati a coordinare la loro azione con accordi internazionali e bilaterali. L'intervento statale un tempo interessava primariamente, se non esclusivamente, i paesi dell'accoglienza, preoccupati di garantire il flusso ordinato degli arrivi e l'inserimento all'interno della propria struttura sociale. Oggi, tale intervento è globale, riguarda l'esodo, l'accoglienza e l'inserimento. Nella concezione più avanzata gli Stati dell'esodo devono assistere chi intende emigrare con corsi preparatori allo studio della lingua dei paesi di accoglienza, e con adeguate informazioni sui modi di vita e sui comportamenti che l'incontro migratorio esige. Devono proteggere coloro che emigrano dagli eventuali speculatori e seguirli nell'odissea del viaggio e del primo inserimento, pronti a intervenire nel caso di soprusi.
Viene ricordato come paradigmatico l'intervento del governo delle Filippine a favore delle donne emigrate a servizio negli Emirati e in Arabia Saudita, perché malamente retribuite e oggetto di provocazioni sessuali, tanto da richiederne il rimpatrio. L'estensione dell'intervento statale accentua la natura politica del processo migratorio che, peraltro, non dovrebbe avvenire a scapito della libertà del cittadino, ma a sua tutela e garanzia. Ciò è tanto più vero relativamente agli Stati di accoglienza, cui spetta il controllo delle frontiere e l'accertamento della regolarità di accesso degli immigrati. Per questi, la fase dell'arrivo è la più delicata in tutti i sensi, psicologico, burocratico e sociale. L'emigrato si trova nella condizione di inferiorità di chi chiede, lo Stato di accoglienza e gli ufficiali che lo rappresentano sono nella condizione di chi dà, una condizione di superiorità e di potere. È il momento in cui l'emigrante vive, non sempre con chiara consapevolezza, la trasformazione che lo degrada da cittadino di una patria a straniero di un paese diverso. Si aggiunga che le caratteristiche dei postulanti all'ingresso sono estremamente varie, ogni persona può rappresentare un caso a sé. Il metodo con cui tale fase viene gestita da chi regola l'accoglienza rivela la misura di civiltà di un paese, se in grado di conciliare l'esigenza dell'ordine con il rispetto della libertà e della dignità personale dell'immigrato. A rendere più complessa la fase dell'arrivo si inserisce la pressione degli irregolari, privi di documenti e di identità, situazione favorevole al mimetismo della criminalità organizzata. Nell'estate 1998 il problema dei clandestini (in Francia i cosiddetti sans papiers) ha riempito le cronache degli stati di antica e di nuova immigrazione. Le dimensioni del fenomeno, apparentemente incontenibile, costituiscono un ulteriore aspetto della mondializzazione che i movimenti migratori hanno assunto in questo scorcio di fine secolo. Mentre non è prevedibile che il fenomeno si esaurisca, l'impegno degli Stati per stabilire accordi di collaborazione internazionali e bilaterali si fa più pressante.
I contesti continentali
Di tutti i continenti, l'America Settentrionale è la porzione continentale che non ha mai cessato di attrarre le correnti migratorie di tutte le parti del mondo. Gli Stati Uniti e il Canada, in particolare, restano tra le mete più ambite per la loro stessa costituzione e una storia consolidata nella tradizione di immigrazione. La prosperità diffusa e la stabilità dell'ordine sono altri fattori che alimentano le speranze in una visione che costituisce il sogno americano. Sta di fatto che, al di fuori di rare parentesi, il numero degli immigrati è in continuo aumento. Mentre nel 1970 i residenti negli Stati Uniti nati all'estero erano il 4,8% della popolazione totale, nel 1994 erano saliti all'8,7%, pari a oltre 22 milioni e mezzo. Il sogno americano non è certo una mera sirena, poiché le persone e i gruppi che attrae appartengono a tutte le condizioni sociali e provengono da ogni angolo della terra. Il che è tanto più significativo, perché gli Stati Uniti, forti dell'esperienza acquisita, continuano ad applicare con rigidità il regime della quota migratoria, e a utilizzare filtri severi per lasciar passare soltanto chi corrisponde alle norme di legge. Un trattamento privilegiato ricevono gli studiosi che apportano un contributo di ricerca e di insegnamento. In realtà, tra le tante correnti di immigrati, è notevole la tendenza di molti intellettuali e scienziati europei ad optare per il trasferimento negli Stati Uniti e in Canada attratti dalle condizioni di favore assicurate alla ricerca. La scelta è raramente spontanea. Più frequentemente risponde a sollecitazioni di istituzioni o di organismi privati, interessati ad assicurarsi l'apporto di uomini di cultura. Si dibatte molto se la cosiddetta fuga dei cervelli sia una perdita per il paese d'origine o un guadagno indiretto. Non c'è dubbio che una tale diaspora costituisca in se stessa una perdita, ma sarebbe meschino non apprezzare il vantaggio che può venire alla scienza e all'arte. Molti dei numerosi americani laureati del premio Nobel appartengono a questa schiera di immigrati.
Il problema più sconcertante che turba il quadro programmato dell'immigrazione americana, specialmente statunitense, è l'afflusso crescente dei clandestini. Si calcola che il loro numero si aggiri tra i 4 e i 5 milioni, distribuiti soprattutto in Florida, a New York e in California. La pressione viene in particolare dai paesi ispanici attraverso la frontiera del Messico, ma in Florida approdano da decenni i boat-people in fuga dal regime di Castro, mentre sulle coste del Pacifico sbarcano migranti polinesiani e asiatici. In Canada l'immigrazione raggiunge percentuali cospicue, pari al 15% della popolazione, con oltre 4 milioni di immigrati. Vi convergono, in particolare, immigrati pakistani, iraniani e singalesi. La presenza italiana è cospicua.
La situazione dell'America Latina, dal punto di vista delle m. internazionali, non è uniforme. Il Venezuela, il Brasile, il Cile, l'Argentina, restano sempre tra le mete dell'immigrazione europea e asiatica (il Giappone tende sempre verso il Brasile dove esiste da prima della Seconda guerra mondiale una numerosa comunità di lavoratori agricoli). Negli altri Stati e nell'America Centrale, dai Caribi al Messico, gli arrivi di immigrati sono sempre stati scarsi.
Il quadro migratorio dell'Asia presenta un continente in movimento. Tra gli Stati dell'Estremo Oriente il dislivello economico permane forte e stimola a migrare. Il Giappone costituisce un caso singolare: l'immigrazione da paesi stranieri non è appariscente, mentre hanno molto rilievo i viaggi turistici organizzati per incoraggiare i giapponesi a visitare il mondo per conoscere le culture locali e trarne insegnamento. L'ubiqua presenza dei Giapponesi è soltanto passeggera e non dà luogo a movimenti migratori, che seguono vie individuali e hanno proporzioni relativamente esigue. La Corea del Sud è uno dei rari paesi in cui lo Stato assiste il cittadino nella formazione del progetto migratorio con corsi appositi di istruzione e con l'assistenza durante le fasi dell'esodo e dell'inserimento nel nuovo paese.
Dalla Thailandia, dal Vietnam, dalle Filippine il movimento è soprattutto verso gli Stati Uniti, ma i Filippini seguono anche altre rotte verso l'Occidente: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Europa (fra cui spicca anche l'Italia). La loro è un'immigrazione di servizio, a tempo determinato, anche se prolungata e alternata da ritorni periodici in patria. In Italia, i Filippini superano di poco le 43.000 unità e sono secondi soltanto ai Marocchini. L'ipertrofia demografica di Giava ha avuto un certo sbocco nelle m. verso la vicina Malesia, ma non ha impedito l'inserimento di notevoli comunità di Cinesi che si sono arricchiti nel commercio. In realtà i Cinesi non si sono mai veramente amalgamati con la popolazione indonesiana, e forse è questa la ragione che spiega l'accanimento popolare nei loro confronti durante le sommosse contro il governo dittatoriale dei primi mesi del 1998. Tra i paesi islamici, l'Arabia Saudita, meta di pellegrinaggi fin dall'epoca dell'egira, è oggi paese di immigrazione, anch'esso coinvolto dalla recente pressione degli immigrati clandestini.
In Africa i movimenti migratori sono stati un fattore costante della storia precoloniale, bloccato soltanto dall'imposizione dell'ordine coloniale. Lo storico contrasto tra Afrikaner (gli antichi Boeri) e Bantu ebbe inizio dallo scontro migratorio con il grande trek dei Boeri, iniziato intorno agli anni Trenta dell'Ottocento, che avevano abbandonato le valli del Capo alla ricerca di nuovi territori per le loro fattorie. Con la fine del regime coloniale gli Stati africani hanno ereditato territori dai confini definiti che hanno ritenuto di non dover rimettere in discussione. In ogni caso, non sono stati incoraggiati 'ritorni' e 'rimpatri' analoghi a quelli verificatisi in Europa dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica e il crollo del muro di Berlino. Il movimento, tuttavia, non è rimasto a lungo bloccato, ed è altresì ripreso con l'insorgere nei nuovi Stati indipendenti di regimi militari e dittatoriali.
I Pakistani agli inizi degli anni Sessanta sono così emigrati in blocco dall'Uganda, optando per la Gran Bretagna di cui detenevano la cittadinanza. Quando in Nigeria fu scoperto il petrolio e si sviluppò una prospettiva euforica di benessere, i lavoratori del Ghana vi si riversarono, ma furono poi forzatamente espulsi allorché la depressione dei costi petroliferi smorzò ogni certezza. È rimasta invece costante, e anche consistente, la corrente migratoria verso la Francia dai paesi già colonie francesi del Maghreb e dell'Africa tropicale, dal Senegal alla Repubblica del Congo. Con l'indipendenza dell'Algeria il ritorno in patria dei coloni francesi avvenne in concomitanza con l'espulsione dei Pieds noirs (termine che un tempo indicava i barcaioli indigeni, poi gli Arabi d'Algeria e gli Arabi e i Meticci interamente assimilati alla cultura francese). Anche in Libia e in Tunisia i coloni italiani furono espulsi subendo la requisizione delle proprietà terriere, determinando un movimento di ritorno in patria dopo decenni. In Africa, tuttavia, la vera novità migratoria sono state le marce forzate dei Ruandesi in fuga dai genocidi (v. genocidio, in questa Appendice). Non è, forse, la prima volta che nella storia africana si verificano movimenti del genere, ma è la prima volta che se ne ha documento visivo trasmesso al mondo intero.
Il contesto europeo
Negli ultimi anni il problema migratorio europeo si è andato circoscrivendo all'interno dell'Unione Europea. Tuttavia, in termini di politica immigratoria, la situazione degli Stati che vi appartengono non è uniforme. Vi sono Stati, come la Francia e la Gran Bretagna, che per lunga tradizione sono aperti all'immigrazione, altri, come l'Italia, che solo da tempi recenti, attorno agli anni Settanta, hanno cessato di essere paesi di diffusa emigrazione. Nello stesso tempo, comunque, l'Europa nel suo complesso si è trovata a far fronte a un imprevisto assedio di immigrati aggravato da una folta schiera di clandestini entrati, o che tentano di entrare, in maniera illegale. L'Unione Europea è ancora una costruzione politica in fieri e non possiede una legislazione unitaria sulle immigrazioni. Alcuni ne lamentano la mancanza e rimproverano il silenzio degli organismi comunitari relativamente ai problemi emergenti dalla pressione migratoria. Non si può non riconoscere, tuttavia, che nell'ambito dell'Unione vi sono stati provvedimenti legislativi di grande portata. In tal senso, il trattato di Schengen, approvato nel 1985, rappresenta certamente un provvedimento importante.
L'applicazione del trattato ha, comunque, modificato la concezione di 'immigrati non-nazionali', che in precedenza comprendeva indifferentemente i cittadini dell'Unione residenti, temporaneamente o stabilmente, in uno stato dell'Unione diverso da quello di appartenenza e gli immigrati provenienti da paesi fuori dell'Unione. Ora soltanto gli 'extracomunitari' formano la categoria degli immigrati nell'Unione Europea. Si calcola che gli extracomunitari raggiungano la cifra di 14 milioni. La loro provenienza è a pieno raggio: arrivano da tutti i continenti e, in tale prospettiva, l'Europa è divenuta uno dei crocevia dei popoli. Le preferenze per i paesi d'approdo mostrano che le scelte degli immigrati sono determinate da una certa familiarità con i modi di vita e di comunicazione dei paesi di accoglienza, una tendenza che si ricollega all'epoca coloniale. Tale, infatti, è la ragione, spesso esplicitamente dichiarata, per cui Pakistani, Giamaicani, Nigeriani e altri come loro scelgono la Gran Bretagna, mentre in maniera analoga Vietnamiti, Algerini, Senegalesi ecc. scelgono la Francia, e gli Indonesiani i Paesi Bassi. In realtà, non sorprende che la politica di immigrazione di paesi europei, come la Francia e la Gran Bretagna, sia una prosecuzione dell'esperienza coloniale. I termini sono ovviamente mutati. Non vi sono più la presunzione del dominio, né tanto meno la convinzione ideale di una missione civilizzatrice che si pretendeva giustificasse l'occupazione coloniale. Quel che invece facilita l'accoglienza di immigrati provenienti dalle antiche colonie è una certa conoscenza reciproca che, per quanto generica e desunta da un passato ormai remoto, ne favorisce l'inserimento. Sotto tale aspetto si rileva ancora una volta una diversità di atteggiamento che distingue la Francia dalla Gran Bretagna nel modo di inserire gli immigrati nelle rispettive strutture sociali e politiche.
Francia. - Nel periodo coloniale la Francia applicava una politica di assimilazione. La stessa linea, mutatis mutandis, definisce l'attuale rapporto con gli immigrati, che tende a inserirli in pieno nella struttura nazionale. Da essi ci si attende che, avendo scelto di stabilirsi in Francia, siano disposti a rispettarne le leggi, a seguirne i modi di vita e a parlarne la lingua. In altre parole ci si attende che diventino 'buoni Francesi', condizione per essere assimilati a tutti i Francesi e ottenere la nazionalità francese. Tale programma ha funzionato con soddisfazione finché il numero degli immigrati è rimasto relativamente controllabile e formato in prevalenza da cristiani (cattolici e protestanti). Quando i gruppi arabo-islamici hanno prevalso, mantenendo la propria identità culturale ed etnica, si sono sviluppati le tensioni e i conflitti, degenerati in ripetuti atti di terrorismo sia sotto la spinta del fondamentalismo (v. in questa Appendice), sia per ripercussione di lotte intestine dei paesi originari, in particolare dell'Algeria. L'assimilazione è diventata problematica. Si aggiunga che la pressione dei clandestini si è andata aggravando di anno in anno.
Nell'estate 1996 un gruppo di sans papiers, rifugiatisi nella chiesa di St.-Bernard a Parigi per evitare l'espulsione, fu evacuato di forza, e alcuni furono rimpatriati. In maniera analoga, ai primi di agosto 1998 alcuni degli stessi penetrarono nella sede della Nunziatura apostolica di Parigi per chiedere l'intervento del Vaticano. L'ovvia risposta che le leggi vanno rispettate implicava di fatto la revisione delle norme vigenti. L'auspicio trovò un'eco inattesa nella proposta dell'ex ministro degli Interni, Ch. Pasqua, di regolarizzare tutti i clandestini. In realtà, in Francia si sta affermando una tendenza ad affrontare il problema degli immigrati, clandestini compresi, in maniera positiva, considerando un bene per la Francia l'apporto di lavoro che essi danno. Ne è una conferma nel 1998, prima ancora della proposta dell'ex ministro, la circolare ministeriale emessa per far fronte al timor panico del disorientamento informatico, il millennium bug - le bogue de l'an 2000, con la quale si sollecitavano i prefetti, i direttori regionali e i direttori dipartimentali del lavoro e dell'impiego a reclutare e a regolarizzare prontamente ingegneri informatici che avevano studiato o fossero studenti nelle scuole francesi o addirittura semplici turisti. Se confermata e attuata, tale tendenza pone il problema dell'immigrazione in una diversa prospettiva, presupposto di una società multiculturale ligia alla più genuina tradizione francese di libertà, uguaglianza e fraternità.
Gran Bretagna. - Nel governo coloniale, la Gran Bretagna non seguì un programma di assimilazione bensì di valorizzazione delle culture locali in un sistema pluralistico che, a livello di governo, fu detto duale perché univa nell'amministrazione le strutture governative e quelle tradizionali. La stessa tendenza al pluralismo etnico e culturale caratterizza la linea relativa ai problemi dell'immigrazione. La Gran Bretagna intrattiene già un rapporto privilegiato con gli stati del Commonwealth, e in casi definiti riconosce la cittadinanza britannica acquisita degli antichi sudditi coloniali e il diritto conseguente di stabilirsi liberamente nel paese. La tradizione liberale britannica ha sempre favorito l'accoglienza in territorio inglese di profughi e di esiliati, ma raramente si sono verificate immigrazioni di massa. L'accoglienza degli Ugonotti, fuggiaschi dalla Francia, ne è un significativo esempio storico. La Gran Bretagna, dai 'pellegrini' verso il Nuovo Mondo in poi, è stata una terra di emigrazione più che di immigrazione.
Nel periodo coloniale, tuttavia, da tutti i domini arrivavano a Londra funzionari, commercianti e uno stuolo di giovani studenti che frequentavano le università antiche e nuove. Fu quello un periodo in cui Londra era veramente il centro del mondo. Soltanto nel periodo postcoloniale, quando all'interno dei nuovi Stati indipendenti le fazioni e i regimi dittatoriali prevalsero, si avverò l'esodo di cospicui gruppi etnici e di singoli esuli. Il loro inserimento in territorio inglese non pose inizialmente problemi particolari, ma quando gli arrivi sono divenuti di massa la Gran Bretagna ha irrigidito le norme d'ingresso. Il rifiuto, apparentemente temporaneo, di aderire al trattato di Schengen ne è una conseguenza. La situazione si è aggravata con l'infittirsi dei clandestini, che ha forzato la Gran Bretagna a creare centri di permanenza per avviare le pratiche di espulsione degli irregolari. La tradizione britannica rispetta le libertà, ma esige che la legalità sia osservata. Sono questi i presupposti essenziali per consentire la convivenza nella diversità. Il pluralismo etnico viene perseguito come un dato di fatto, più che come una discussione ideologica, il che non annulla la gerarchia sociale che permane elemento storico interno all'establishment della società britannica.
Germania. - Prima e dopo la riunificazione delle due Germanie, occidentale e orientale, la linea seguita in materia di immigrazione si è ispirata al presupposto di un paese chiuso ai movimenti di immigrazione: "Deutschland ist kein Einwanderungsland". Ma più che un principio orientativo, l'espressione va considerata uno slogan di significato relativo. Ciò che si vorrebbe escludere è l'immigrazione permanente di stranieri, per lasciare spazio soltanto all'immigrazione temporanea e stagionale di lavoratori di cui il bisogno è sempre stato costante, dapprima nelle miniere e poi per la ricostruzione seguita alla Seconda guerra mondiale. In tale prospettiva gli immigrati esistenti in Germania sarebbero soltanto lavoratori ospiti, Gastarbeiter. La realtà, tuttavia, segue le vie umane degli incontri, e i lavoratori stranieri insediatisi permanentemente in terra tedesca, avendo contratto matrimonio con donne tedesche o semplicemente per essersi inseriti nella struttura di lavoro in maniera autonoma, sono numerosi. Dall'Italia l'esodo stagionale di lavoratori verso la Germania è durato per alcuni decenni dopo la Seconda guerra mondiale ed è praticamente cessato soltanto agli inizi degli anni Settanta. I Turchi rappresentano la comunità di lavoratori stranieri più consistente in Germania, e tra essi molti si sono inseriti appieno nella vita locale. Dopo il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la riunificazione delle due Germanie ha suscitato problemi di difficile omologazione tra le popolazioni dei due stati precedenti, ma non ha provocato alcun serio spostamento di popolazione.
Il ritorno in patria dei Tedeschi di Russia, in massima parte discendenti dei contadini tedeschi originariamente importati nel 1762 per lavorare le terre di Caterina la Grande nella regione del Volga e poi deportati in Siberia da Stalin sotto l'accusa di collaborazione con il nemico, ha avuto un epilogo sorprendente ma significativo. Nel complesso si è trattato di un insieme di circa 200.000 persone, formato da gruppi più o meno numerosi provenienti dalla Siberia e dal Volga e anche da altri territori della Polonia e della Romania, dove costituivano enclave di lingua germanica. Il ritorno in Germania si era proposto come la riconquista di una patria perduta. L'esperienza si è presto rivelata amara, perché nella massima parte i nuovi venuti si sono ritrovati stranieri in patria, delusi dal fatto che la loro lingua non corrispondeva più a quella parlata in Germania, né trovavano facile amalgamarsi agli attuali modi di vita tedeschi. La Germania era, dunque, una foreign fatherland, una 'patria straniera'. Molti preferirono ritornare al paese di adozione (Weiss 1996, p. 109). In realtà, l'episodio conferma il cambiamento avviato dall'esodo migratorio, che con il passare del tempo si consolida e produce il pieno assestamento culturale nel paese di adozione. È un processo che segue un suo corso logico e raggiunge il culmine nella formazione di una nuova identità etnica e nazionale che trasforma l'immigrato in cittadino del paese di adozione, e semplice oriundo del paese di origine.
Il caso Italia. - Il mutamento dell'Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione è stato un processo storico di cui lentamente si è preso coscienza. Mentre gli Italiani raggiungevano un livello di benessere diffuso mai prima conosciuto, altri dai paesi in via di sviluppo vicini e lontani prestavano attenzione alla prosperità raggiunta dall'Italia e vi miravano come a un luogo invitante. Le prime ondate di stranieri provenienti dall'Europa orientale suscitarono solo curiosità: furono i Polacchi in gruppi organizzati, favoriti dai pellegrinaggi a Roma in omaggio al papa polacco. Per molti il soggiorno in Italia rappresentò un ponte per il balzo verso gli Stati Uniti. Poi vennero gli ambulanti africani, di altro genere e di altro colore, i popolari 'vu-cumprà', prevalentemente senegalesi, migranti stagionali attenti a non creare problemi di ordine pubblico. Furono i ripetuti sbarchi degli Albanesi nel 1992 a scuotere gli Italiani e a indurli a prendere atto della mutata condizione dell'Italia come paese di immigrazione. La drammaticità degli improvvisi approdi, mentre suscitava un senso di solidarietà e insieme di apprensione, metteva in evidenza una visione dell'Italia derivata dalla pubblicità televisiva che illudeva e deludeva i nuovi arrivati. Agli Albanesi seguirono presto i profughi della Somalia e della ex Iugoslavia. I rifugiati e i tanti che chiedevano asilo politico si sovrapposero alla normale categoria degli immigrati lavoratori. Le reazioni agli sbarchi furono prevalentemente emotive e con il susseguirsi dei numerosi arrivi si diffuse nell'opinione pubblica italiana un senso di panico e la paura di una invasione che, di fatto, non si è mai realizzata. L'Italia si scopriva diversa e, forse, 'razzista'. In realtà, il carico emotivo della scoperta era conseguenza e insieme manifestazione dell'impreparazione delle istituzioni statali, prive di direttive e di un programma coordinato. Inoltre l'innovazione introdotta dall'accordo di Schengen spingeva nuovi gruppi di immigrati, i Curdi in particolare, a considerare l'Italia come un ponte di passaggio per altri paesi dell'Unione Europea.
Verso una società multiculturale e plurietnica
La prospettiva generale che la mondializzazione dei movimenti migratori presenta attualmente è rivolta alla formazione di una società multiculturale e multietnica. Si tratta di una tendenza che non riguarda soltanto la società umana nella sua dimensione globale, ma anche le singole formazioni nazionali e le unità etniche che le compongono. Ne sono una conferma la recente tendenza emersa in Francia a riconoscere l'apporto positivo degli immigrati e la convenienza a regolarizzare la posizione dei sans papiers. Ne è una conferma altresì la menzione esplicita di una "società multiculturale" nella legge italiana nr. 40 del 6 marzo 1998. La novità di tale tendenza va sottolineata perché è una presa di coscienza di un processo ineluttabile che, in realtà, si avvera da quando esiste l'essere umano. Ma al concludersi del secolo 20° che si è macchiato di persecuzioni razziali culminate nella shoah, è una lezione da assecondare. E in tal senso il richiamo della stessa legge italiana alla "educazione interculturale" (art. 36), che non può non essere anche educazione etnica, è una premessa essenziale per vincere e debellare ogni possibile forma di discriminazione e di xenofobia e l'insorgere del razzismo.
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Regolamentazione e politica dell'immigrazione
di Ester Capuzzo
Negli ultimi due decenni le m. internazionali, indirizzatesi soprattutto verso i paesi dell'Europa centro-occidentale, hanno assunto caratteristiche del tutto diverse dai fenomeni migratori del passato: le loro dimensioni, infatti, sono più ampie, le cause che le determinano diverse e più complesse, i caratteri sociali e culturali di cui gli immigrati si fanno portatori configurati in modo del tutto nuovo. Di fronte a ciò non sempre facile appare il processo di integrazione degli immigrati nelle società di accoglienza, che risentono dell'impatto della presenza di centinaia di migliaia di individui provenienti da paesi diversi, mentre in sede politica si rileva una forte inadeguatezza delle strategie di intervento adottate dai governi europei per affrontarli. Attualmente i fenomeni migratori appaiono, inoltre, sempre più connessi con altri processi che stanno modificando profondamente la società contemporanea e costituiscono un elemento di grande rilevanza sotto l'aspetto economico, sociale e politico. A seguito della caduta dei regimi comunisti nei paesi dell'Est, si è assistito a significative modificazioni del fenomeno migratorio, poiché al flusso proveniente dai paesi meno sviluppati del Mediterraneo e dell'Africa si sono aggiunti gli spostamenti di persone provenienti dall'Europa orientale e dalla penisola balcanica, sulla spinta delle tensioni etniche e dell'instabilità politica dei paesi di quell'area.
Altri fattori, quali una rilevante azione di contrasto della clandestinità da parte degli Stati definiti tradizionalmente di immigrazione e la facilità delle comunicazioni, hanno spinto i flussi migratori a indirizzarsi verso la Spagna, la Grecia, l'Italia, a loro volta tradizionalmente paesi di emigrazione o, negli anni Settanta, territori di semplice transito. Altri paesi, come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, a un'iniziale politica di incentivazione dell'immigrazione, messa in atto mediante la stipula di convenzioni con i paesi di provenienza degli immigrati al fine di realizzare politiche di promozione migratoria per equilibrare le condizioni del mercato interno del lavoro, hanno sostituito un reclutamento temporaneo e a breve termine di lavoratori stranieri. In particolare tale reclutamento ha riguardato quelle categorie di immigrati considerate culturalmente più lontane e, quindi, socialmente meno accettabili. È stato così favorito il continuo ricambio di manodopera (come è accaduto in Germania) e sono divenute più difficili le condizioni per una stabilizzazione permanente dei lavoratori stessi e delle loro famiglie.
Di fronte alla comune provenienza degli immigrati (con riferimento in particolare a quelli di cultura islamica) che ha determinato nei diversi paesi di accoglienza situazioni e problemi sostanzialmente analoghi, gli Stati europei hanno promosso un intervento comune per regolare gli ingressi dei cittadini extracomunitari nell'ambito dei rispettivi territori e per liberalizzare la circolazione in ogni Stato dell'Unione Europea dei residenti in modo stabile in ciascuno di essi, come previsto dal trattato di Schengen, ratificato dall'Italia con l. 30 sett. 1993 nr. 388, che prevede l'entrata in vigore di un visto "uniforme" di durata non superiore a tre mesi e valido per la circolazione su tutto il territorio delle parti contraenti.
Gli Stati che accolgono il maggior numero di immigrati sono la Germania (con una percentuale pari al 40% del totale europeo), la Francia (pari al 21%) e la Gran Bretagna (pari al 12%); l'Italia è al settimo posto (pari al 3,7%), dopo Belgio, Paesi Bassi e Austria. L'Italia e l'Austria sono i due stati membri con la più alta percentuale di immigrati non comunitari (80%), seguite da Finlandia, Danimarca, Portogallo (con percentuali oscillanti tra il 75% e il 78%) e Spagna, Gran Bretagna, Francia e Svezia (con percentuali oscillanti tra il 50 e il 65%). Gli immigrati comunitari prevalgono, invece, in Lussemburgo (95%), Irlanda (75%) e Belgio (60%).
Italia
Nel panorama delle m. internazionali quella indirizzatasi verso l'Italia ha assunto consistenza crescente, raggiungendo il livello del 2,2% della popolazione rispetto al 4,9 dell'Unione Europea. Nel nostro paese l'immigrazione è composta per lo più da extracomunitari provenienti dai paesi in via di sviluppo (54,8%) e dall'Est europeo (23,6%); solo il 21,6% di immigrati è originario dell'Unione Europea e dei paesi a sviluppo avanzato. Secondo le valutazioni espresse nel documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione degli stranieri nel territorio dello Stato, approvato con d.p.r. 5 ag. 1998, si stima che gli immigrati comunque presenti in Italia al 1° gennaio 1997 fossero 1.381.000; di essi, 1.086.000 erano presenti regolarmente (986.000 con permesso di soggiorno e 100.000 minori) e 295.000 sarebbero gli immigrati irregolari (valore massimo delle stime effettuate per conto del Ministero degli Interni). Si tratta prevalentemente di individui che vogliono insediarsi in maniera stabile per motivi di lavoro o per effettuare il ricongiungimento familiare. Altri, invece, entrano nel nostro paese prevalentemente per motivi di soggiorno, affari, turismo, cura e studio.
La presenza straniera in Italia è molto variegata rispetto agli altri paesi europei. I gruppi più consistenti provengono dal Marocco (131.406 individui, pari al 10,6% del totale), dall'Albania (83.807, pari al 6,8%) e dalle Filippine (61.285, pari al 4,5%), ma hanno anche una certa rilevanza gruppi provenienti da altre aree geografiche, alcuni dei quali appartenenti all'Unione Europea (Francia e Gran Bretagna, oltre le 20.000 unità) o da altri paesi a sviluppo avanzato (USA con 59.572 unità e Svizzera con 18.116 unità). Superano le 40.000 unità quelli di Tunisia, ex Iugoslavia e Germania, mentre quelli provenienti da Romania, Cina popolare, Senegal e Polonia oltrepassano le 30.000 unità. Al di sopra delle 20.000 si collocano quelli provenienti da Croazia, Egitto, Śrī Laṅkā, India, Brasile, Perù.
L'Italia settentrionale costituisce l'area di insediamento più stabile (51%), seguita da quella centrale (31%) e, in ultimo, da quella meridionale (18%). Questo andamento percentuale riflette le maggiori opportunità occupazionali delle regioni del Nord, il calo dell'area romano-laziale e la possibilità di inserimento nel Sud, limitata, però, al settore agricolo e, nelle grandi aree urbane, a quello domestico.
A seguito della regolarizzazione degli anni Novanta sono diminuiti i disoccupati immigrati, allora attestati intorno al 42,5% e attualmente scesi con la regolarizzazione del 1996 al 17,6% rispetto a quelli in possesso di un permesso di soggiorno. Con essa hanno raggiunto elevate posizioni percentuali gli immigrati provenienti dal Nord Africa, dai paesi dell'Est europeo e da quelli dell'Estremo Oriente.
Significativi sono, inoltre, gli indici di inserimento sociale: i matrimoni misti hanno raggiunto la cifra di poco più di 11.000 l'anno; i ricongiungimenti familiari (circa 14.000 l'anno) e la presenza di immigrati con prole (148.000) indicano, invece, la tendenza alla familiarizzazione e, quindi, a un insediamento stabile. L'acquisto della cittadinanza, attualmente attestato intorno alla cifra di 9000 l'anno, è destinato ad aumentare nei prossimi anni, quando molti stranieri avranno raggiunto i dieci anni di residenza legale.
Pur nell'imperfetto sistema di rilevazione dei minori, le iscrizioni anagrafiche permettono di evidenziare che più di 1/10 della popolazione straniera è costituito da minori che per grado di scuola possono essere così ripartiti: 19% materna; 44% elementare, 20% media e 17% superiore, con un aumento costante di studenti stranieri (50.000) rispetto a quelli italiani che altrettanto costantemente diminuiscono. Dal punto di vista religioso va rilevato come tra gli immigrati prevalgano i musulmani (34%), che rappresentano un terzo del totale, seguiti dagli appartenenti a confessioni cristiane (22,3%); tra questi i cattolici costituiscono il 29,9%, mentre crescente è la presenza di quelli che seguono religioni orientali (6,4%). Per quanto riguarda il diritto di asilo, nel periodo di vigenza della l. 28 febbr. 1990 nr. 39 (dal dicembre 1989 al 27 marzo 1998) le richieste accolte sono state 4083; nell'anno 1996 è stato registrato un picco minimo di 654 richieste di asilo, mentre in seguito si è verificata una tendenza all'incremento (1518 richieste nel 1997 e 1963 al 15 giugno 1998). Il recente, eccezionale afflusso di extracomunitari provenienti dall'Albania è stato autonomamente regolato con il d.l. 20 marzo 1997 nr. 60, convertito in l. 19 maggio 1997 nr. 128. Tra il 1997 e l'inizio del 1998 numerosi sono stati sulle coste meridionali italiane gli sbarchi di Curdi provenienti dalla Turchia e dall'Iraq per raggiungere altri paesi europei, in particolare Germania, Francia, Austria, Belgio, Paesi Bassi. L'Italia, nel timore di un esodo di massa, ha cercato di scoraggiare tale flusso migratorio stabilendo di concedere il diritto di asilo soltanto a chi fosse in possesso dei requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra del 29 luglio 1951, esaminando le domande su base individuale e non collettiva. Per il nostro ordinamento, infatti, ai fini della qualificazione di rifugiato e della concessione di asilo, dev'essere accertata una condizione di persecuzione individuale, con la conseguente privazione della protezione da parte dello Stato di appartenenza. Sulla base della Convenzione di Ginevra e secondo la definizione di rifugiato adottata dal Consiglio dell'Unione Europea in data 4 marzo 1996, le situazioni di pericolo generico e l'esodo di massa del nostro tempo non possono essere ricondotti a questi istituti, ma impongono la ricerca di soluzioni contingenti, da concretarsi nell'ambito di un'assistenza temporanea. Nel 1997 in Europa hanno chiesto asilo complessivamente 35.000 Curdi provenienti dalla Turchia e dall'Iraq; di questi, più di 6000 hanno presentato domanda di asilo nei Paesi Bassi e 14.000 in Germania, mentre 45.000, entrati illegalmente in Francia, sono stati fermati.
Con riferimento all'Italia va rilevato, inoltre, che, data la difficoltà di controllare strettamente migliaia di chilometri di coste, costante è il flusso di clandestini, dietro cui si cela un fiorente mercato controllato da organizzazioni criminali italiane e internazionali. L'applicazione degli accordi di Schengen e la conseguente libera circolazione delle persone sull'intero territorio dell'Unione Europea rendono il controllo dell'immigrazione alle frontiere esterne dell'Unione un problema comune; tuttavia, al presente, gli accordi vigenti si limitano a prevedere una collaborazione tra gli Stati membri in questa materia, lasciando ai singoli Stati di garantire il controllo delle proprie frontiere.
Lo sbarco dei clandestini, su precarie imbarcazioni, si concentra in particolare sulle coste della Puglia, della Calabria, della Sicilia, delle isole di Lampedusa e Pantelleria. Anche in tali luoghi è stata avviata, pertanto, la costruzione di centri di trattenimento temporaneo in attesa del rimpatrio, in attuazione della nuova legge sull'immigrazione (v. oltre). In essi i clandestini sono trattenuti il tempo necessario per l'identificazione sotto la vigilanza delle forze dell'ordine le quali, ultimate le procedure richieste, li riaccompagnano alla frontiera.
Per arginare il crescente fenomeno, le polizie di Italia, Germania, Francia, Austria, Belgio, Paesi Bassi e Grecia hanno stabilito strumenti operativi comuni (scambio di consulenti e di supporti tecnici per controllare le rotte marittime e terrestri, raccolta, archiviazione e trasmissione delle impronte digitali delle persone entrate illegalmente nei territori nazionali). L'Italia ha, inoltre, cercato di avviare una politica di cooperazione con i paesi dell' Africa del Nord stipulando con il Marocco un accordo di riammissione delle persone rintracciate in posizione irregolare nei rispettivi territori; inoltre, nell'agosto 1998, ha provveduto ad assumere accordi con il governo tunisino attraverso uno scambio di note per consentire la riammissione di cittadini irregolari e una più efficace azione di contrasto nella lotta alle organizzazioni criminali.
Nonostante la l. 28 febbr. 1990 nr. 39, nota come legge Martelli, abbia affrontato in modo organico i problemi connessi all'immigrazione, cercando di risolvere una situazione di emergenza, la complessità e la rapida evoluzione del fenomeno migratorio e il ritardo nel processo di integrazione degli immigrati hanno portato il governo a realizzare una nuova normativa. In mancanza di una legge organica sulla condizione giuridica dello straniero, il d. l. 18 nov. 1995 nr. 489 ha introdotto nuove norme sull'ingresso dei cittadini extracomunitari in Italia, di cui alcune di contenuto positivo - come quelle concernenti le misure di accoglienza e le disposizioni sul lavoro stagionale - altre, invece, meno efficaci, come quelle sulle espulsioni, più volte sottoposte al vaglio di legittimità della Corte costituzionale. Si è trattato, anche in questo caso, di un provvedimento legato all'emergenza e ispirato da contrastanti finalità, che nella programmazione dei flussi non ha previsto la definizione di quote in grado di consentire l'attribuzione di permessi di soggiorno per la ricerca di posti di lavoro. Nonostante tale limite e sebbene la regolarizzazione prevista, sia pure in forma parziale, non abbia riguardato i lavoratori autonomi, il provvedimento ha comunque permesso l'emersione dall'area del lavoro sommerso di circa 250.000 persone. Il d.l., più volte reiterato, non è stato peraltro convertito in legge, ma gli effetti della 'sanatoria' sono stati fatti salvi con la l. 9 dic. 1996 nr. 617.
La materia è stata infine regolata in modo organico con la l. 6 marzo 1998 nr. 40, recante disposizioni sulla Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. A tutti gli stranieri sono riconosciuti i diritti fondamentali e a quelli regolarmente soggiornanti sono riconosciuti i diritti civili attribuiti ai cittadini italiani, la partecipazione alla vita pubblica e la parità di trattamento in materia di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. La nuova legge, a differenza di quanto avvenuto in passato, si configura come un provvedimento di più ampia portata sull'immigrazione e sulla condizione dello straniero (a eccezione, però, del diritto di asilo che è oggetto di un apposito disegno di legge), e costituisce una legge quadro destinata a essere integrata da un articolato regolamento di attuazione e a sovvenire all'evoluzione del fenomeno nei prossimi anni. Ai sensi della nuova normativa, ogni tre anni viene redatto dal governo - sentite le autonomie locali, le parti sociali e le commissioni parlamentari - un documento programmatico sugli interventi da svolgere, sulle misure di carattere economico e sociale, sui criteri per la definizione dei flussi d'ingresso. Ogni anno devono essere definite le quote massime degli stranieri da ammettere in Italia. È stabilita la creazione dei Consigli territoriali per l'immigrazione allo scopo di realizzare maggiore collaborazione e coordinamento con le regioni e gli enti locali, ai quali spetta il compito di dare vita all'effettiva politica di accoglienza, integrazione e inserimento degli immigrati nel tessuto sociale.
Con questo provvedimento il governo ha inteso:
1) disciplinare l'ingresso e il soggiorno degli stranieri nel paese, subordinando il primo al possesso di mezzi sufficienti per la durata del soggiorno e per il ritorno nel paese di provenienza (a eccezione del soggiorno per lavoro), mentre il secondo è consentito ai titolari di carta o di permesso di soggiorno, che dev'essere richiesto al questore entro otto giorni dall'ingresso. La carta di soggiorno, invece, viene rilasciata a chi vive in Italia da almeno cinque anni, è rifiutata in caso di rinvio a giudizio o di condanna anche non definitiva a pene della durata da tre a cinque anni. Essa permette allo straniero l'ingresso o il reingresso nel paese in esenzione dalle norme sul visto, e offre la possibilità di svolgere attività consentite e di accedere ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione. Questo titolo, previsto per la prima volta, rappresenta un importante strumento per rendere più agevole l'inserimento sociale degli immigrati e il passaggio da una condizione di temporaneità a una di maggiore stabilità. L'ingresso e il soggiorno degli stranieri sono stabiliti nel rispetto degli impegni assunti con la partecipazione dell'Italia all'accordo di Schengen sulla libera circolazione e sull'abolizione delle frontiere nazionali. La carta di soggiorno costituisce un documento analogo alla 'carta di residenza' rilasciata da diversi paesi europei a favore di stranieri residenti nel territorio del loro Stato per lungo tempo e per i quali l'allontanamento viene previsto soltanto in casi eccezionali, riconducibili a gravi violazioni delle leggi penali. In Francia è rilasciata dopo tre anni di regolare residenza, sulla base di parametri 'discrezionali' per lo straniero in condizioni normali o di 'diritto' nel caso in cui egli possa dimostrare di avere particolari legami familiari nel territorio; in Germania la carta di residenza è rilasciata dopo otto anni di soggiorno nel paese e viene mantenuta anche in caso di mancata occupazione; nei Paesi Bassi è concessa dopo cinque anni di residenza stabile e impedisce, qui come altrove, l'espulsione, salvo il caso che lo straniero abbia compiuto reati particolarmente gravi.
2) Contrastare l'immigrazione clandestina e regolamentare l'andamento dei flussi attraverso un più efficace sistema di controllo e di respingimento alle frontiere, dove sono previsti servizi di informazione e di accoglienza per chi intenda presentare domanda di asilo e centri di espulsione; l'espulsione può essere giudiziaria - cioè ordinata dal giudice come misura di sicurezza o in sostituzione della detenzione - oppure amministrativa, prevista in quattro ipotesi: per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato (è questo l'unico caso in cui è disposta dal ministro dell'Interno, mentre negli altri casi è di competenza del prefetto); per ingresso nel territorio dello Stato sottraendosi al controllo di frontiera; per permanenza nel territorio dello Stato senza che sia stato richiesto il permesso di soggiorno nel termine previsto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso è stato revocato o annullato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo; per motivi di prevenzione nei confronti degli stranieri socialmente pericolosi. L'espulsione, alla cui esecuzione provvede il questore, prevede l'accompagnamento alla frontiera mediante forza pubblica soltanto se ricorrono motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o nel caso in cui i prefetti, sulla base di circostanze obiettive, rilevino il pericolo che lo straniero possa sottrarsi all'esecuzione del provvedimento; lo stesso è impugnabile, senza effetto sospensivo, presso il pretore (contro la decisione del prefetto) o presso il TAR (contro la decisione del Ministero dell'Interno), con diritto al patrocinio gratuito dei non abbienti; è fatta precedere dal trattenimento presso un 'centro di permanenza temporanea e assistenza', analogamente a quanto previsto da altri paesi europei, nel caso in cui l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento non siano immediatamente eseguibili. Il provvedimento dev'essere convalidato entro 48 ore, pena la perdita dell'efficacia, e comporta il trattenimento sino a 20 giorni, prolungabili al massimo a 30. Si tratta di una misura di custodia provvisoria finalizzata all'esecuzione del provvedimento di espulsione prevista dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo del 4 novembre 1950. L'espulsione sancisce il divieto di rientrare in Italia per cinque anni; non può essere effettuata nei confronti di stranieri oggetto di persecuzioni negli Stati di provenienza, minori di 16 anni, donne in stato di gravidanza oltre il terzo mese e sino a sei mesi dal parto; è commutata in un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale a favore di quanti siano sfruttati a fini sessuali o collaborino con la giustizia allo scopo di poter partecipare a programmi di assistenza e d'integrazione sociale.
3) Provvedere alla programmazione di una politica di ingressi legali stabilendo annualmente con un decreto le quote di ingresso degli stranieri iscritti in liste di prenotazione redatte nei paesi di origine secondo il criterio dell'anzianità di iscrizione, con priorità riservata a coloro che provengono da Stati legati da accordi specifici con l'Italia, oppure mediante chiamata nominativa da parte dei datori di lavoro o, anche, in base alla possibilità riconosciuta a un cittadino italiano o straniero regolarmente residente, come pure a enti e ad associazioni di volontariato operanti da almeno tre anni, di "farsi garante dell'ingresso di uno straniero per consentirgli l'inserimento nel mercato del lavoro", facendosi carico dell'alloggio, del sostentamento e dell'assistenza sanitaria. Tra le misure previste dalla nuova legge, positive sono le norme volte a favorire l'inserimento nel mondo del lavoro attraverso la previsione della possibilità di lavoro stagionale con durata da venti giorni a nove mesi, e di lavoro autonomo per l'esercizio di attività industriali, artigianali e commerciali. L'inserimento sociale si prefigura mediante una serie di norme, estese anche ai non regolari, riguardanti i diritti fondamentali (salute e istruzione obbligatoria), che cercano di sovvenire alle esigenze degli immigrati (ricongiungimento familiare e tutela dei minori, accesso paritario agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e agli alloggi sociali con il pagamento di quote calmierate) e si collocano in un'ottica di stabile convivenza interculturale (formazione professionale), prevedendo la salvaguardia delle specificità culturali, linguistiche e religiose.
Altre disposizioni concernono: l'istituzione presso il CNEL di un organismo nazionale di coordinamento; la creazione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un registro delle associazioni di stranieri o di associazioni operanti a loro favore con le quali le strutture pubbliche possono stipulare accordi per iniziative interculturali; la costituzione di un Fondo nazionale per le politiche migratorie (12,5 miliardi per il 1997, 58 miliardi per il 1998 e 68 miliardi per il 1999), il cui funzionamento verrà precisato dal regolamento di attuazione della legge; la costituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento Affari sociali di una Commissione per le politiche di integrazione. Con questa legge è stata, infine, attribuita al governo la facoltà di emanare, entro un anno, un decreto legislativo contenente la disciplina organica dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini degli altri paesi dell'Unione Europea. Con il d. legisl. 25 luglio 1998 nr. 286, recante il Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, sono state riunite e coordinate tra loro le diverse disposizioni vigenti in materia di stranieri. Con il d.p.r. 5 ag. 1998 è stato invece approvato il documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, elaborato a norma dell'art. 3 della l. nr. 40 del 1998; in esso sono stati illustrati i criteri generali per la definizione dei flussi d'ingresso, con le prime indicazioni per l'elaborazione di un decreto sui flussi per il 1998, e sono stati sottolineati il carattere strutturale del fenomeno migratorio, la particolare esposizione dell'Italia rispetto alla prevedibile crescita di tale fenomeno, la necessità di strumenti e misure idonei a garantire il massimo controllo possibile dell'immigrazione clandestina e una concreta e dignitosa integrazione degli stranieri che soggiornano regolarmente nel territorio italiano.
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