Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La corte milanese, in particolare con Gian Galeazzo Visconti, si presenta come laboratorio di idee, di artisti e di opere improntate al gusto elegante del gotico internazionale. Quelli della signoria viscontea sono gli anni che vedono l’avvio dei due cantieri paralleli del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia, con un avvicendarsi di artisti provenienti anche d’oltralpe. Poco o nulla sopravvive della pittura su tavola di questo periodo. Un’immagine fortemente suggestiva ci è però consegnata dai manoscritti miniati per la corte.
Tra le città più vivaci del gotico internazionale nell’Italia settentrionale, la Milano di Bernabò e poi di Gian Galeazzo Visconti si pone come centro di diffusione del gotico in un’accezione davvero europea. I contatti con la corte dei Valois sono continui e facilitati dalla politica di alleanze matrimoniali perseguita in particolare dal giovane Gian Galeazzo, che sposa in prime nozze Isabella di Valois, figlia di Jean le Bon. Questa politica, volta a rinsaldare i legami con la corte francese, proseguirà poi con le nozze della figlia Valentina con Luigi di Orléans, fratello di Carlo VI.
Già con Bianca di Savoia, madre di Gian Galeazzo, la corte milanese aveva avuto occasione di misurarsi con il gusto e la sensibilità più raffinata e colta del gotico d’oltralpe. È noto, ad esempio, che proprio Bianca di Savoia aveva fatto acquistare per sé a Parigi alcuni libri d’ore, i libri della devozione personale che accompagnano i laici nella recita quotidiana dell’officio, splendidamente miniati. I contatti ripetuti con la corte dei Valois facilitano l’affermarsi anche nella Milano viscontea di una moda ispirata ai modelli di Francia e il gotico cortese vi si diffonde tramite gioielli, altaroli, reliquiari e, soprattutto, manoscritti.
Lo stesso Gian Galeazzo si fa promotore della realizzazione di un libro d’ore che gareggia in ricchezza con Très Riches Heures del duca di Berry. Si tratta dell’offiziolo conservato in due volumi alla Biblioteca Nazionale di Firenze (ms. Banco Rari 397 e Landau-Finaly 22), miniato, con l’aiuto del figlio Salomone, da Giovannino de’ Grassi, uno dei maggiori artisti milanesi della fine del Trecento, miniatore e poi architetto e ingegnere della Fabbrica del Duomo. Il testo fu poi completato a distanza di anni per Filippo Maria Visconti da Belbello da Pavia e dalla sua bottega. L’offiziolo è certamente il libro d’ore che più riflette le ambizioni di Gian Galeazzo Visconti, desideroso di riprodurre nella corte milanese uno stile assai prossimo al modello francese. Giovannino de’ Grassi sembra ispirarsi, nell’impaginazione e nell’apparato decorativo del codice, a un altro offiziolo, oggi conservato alla Staatliche Bibliothek di Monaco (ms. Clm 23215), appartenuto alla madre di Gian Galeazzo, Bianca, e miniato da Giovanni di Benedetto da Como che, orgogliosamente, si firma in un foglio aggiunto al codice. Una pittura in piccolo formato, quella dell’offiziolo di Bianca di Savoia, che però dialoga con i grandi esempi della pittura murale contemporanea o di poco precedente. Mi riferisco in particolare alla tradizione dei frescanti degli oratori sparsi nella campagna lombarda, a Lentate o a Mocchirolo (quest’ultimo oggi ricostruito nella Pinacoteca di Brera a Milano). Queste sparse testimonianze pittoriche sono anche le uniche sopravvissute in un panorama figurativo che doveva essere ben altrimenti ricco e complesso. Perduta in gran parte è anche la produzione su tavola degli ultimi decenni del Trecento, oggi rappresentata quasi esclusivamente dalla tavoletta con la Crocifissione di Anovelo da Imbonate al Museo Diocesano di Milano.
L’avvio del cantiere del duomo di Milano nel 1386 facilita il clima internazionale con l’arrivo a Milano di architetti e scultori francesi e tedeschi, da Roland de Banille a Jacques Coene a Hans von Fernach. E mentre la discussione sull’assetto da dare alla nuova cattedrale, che va a sovrapporsi alla più antica Santa Maria Maggiore, è in pieno corso, a poca distanza da Milano, a Pavia, il duca decide di promuovere la fondazione di una Certosa, emulando anche in questo un’iniziativa del duca di Berry, che aveva finanziato la costruzione di una Certosa presso Champmol chiamandovi i maggiori artisti del suo tempo. È questa la fondazione alla quale è più strettamente legato il nome di Gian Galeazzo, che la sceglie come luogo della sua sepoltura, nelle sue intenzioni un grandioso mausoleo innalzato a perpetuare la memoria e il prestigio della signoria.
A differenza della Certosa, il castello di Pavia, alla pari delle altre residenze viscontee celebrate dalla penna di Stefano Breventano, offre oggi solo un pallido ricordo dello splendore ormai spento nei pochi frammenti di affresco degli interni. I Visconti riservano una speciale attenzione all’arredo e alla decorazione del castello pavese. Gian Galeazzo, a tale proposito, richiede al duca di Mantova l’invio di alcuni valenti pittori a cui affidare la decorazione di alcune sale con motivi venatori, da lui tanto amati, e scene con la vita di corte. Appassionato bibliofilo, anche se non direttamente coinvolto nella scelta e nell’acquisto di codici, come invece sarà Filippo Maria Visconti, il duca ama commissionare libri di devozione splendidamente illustrati e incrementa di continuo la biblioteca del castello a Pavia, anche con acquisizioni forzate e confische. Si pensi per esempio alla celebre biblioteca di Pasquino Capelli, o a quella carrarese di Padova nella quale era confluita parte della biblioteca personale di Petrarca, destinate entrambe alla biblioteca del castello pavese, nata con Galeazzo Visconti, padre di Gian Galeazzo, e destinata a diventare entro la fine del Trecento una delle maggiori biblioteche italiane con ben 900 manoscritti.
Entrano così nelle collezioni ducali alcuni codici ancora oggi celebri: il Virgilio appartenuto a Petrarca e miniato nel frontespizio da Simone Martini, oggi custodito alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, o il De viris illustribus di Petrarca, miniato da Altichiero e già nella biblioteca carrarese di Francesco il Vecchio (oggi Parigi, Bibliothèque Nationale de France, ms. Lat. 6069 I).
La corte diventa con Gian Galeazzo polo di attrazione per gli artisti. Molti miniatori sono documentati in rapporto più o meno costante con il duca, da Giovannino e Salomone de Grassi, all’Anonimo Maestro del libro d’ore di Modena, fino ad Anovelo da Imbonate e Michelino da Besozzo.
Gli anni della signoria viscontea di Gian Galeazzo vedono anche la breve, ma folgorante, presenza di un giovane Gentile da Fabriano, di cui è stata ipotizzata a ragione una formazione lombarda. Gentile ha quindi modo di nutrirsi al naturalismo espresso dai miniatori degli offizioli e dei celebri Tacuina sanitatis. Nei suoi anni lombardi ne dà prova nella bellissima anconetta della Pinacoteca Malaspina di Pavia con la Madonna con il Bambino tra san Francesco e santa Chiara, commissionata da Bianca di Savoia per il monastero pavese delle clarisse di Santa Chiara la Reale, da lei fondato, o il bellissimo ritratto del duca, su pergamena, conservato al Louvre, in passato ritenuto, per la sua straordinaria qualità, di mano del Pisanello.
Quanto fecondo sia stato per Gentile da Fabriano l’incontro con il naturalismo lombardo di Giovannino de’ Grassi e di Michelino da Besozzo è un dato ormai acquisito. La vena narrativa e lo stile dolce di Giovannino trovano nel giovane Michelino eco immediata. Purtroppo quasi interamente perduta è la produzione di quest’ultimo come frescante negli anni giovanili passati a Pavia, nella chiesa di Santa Mustiola o in San Pietro in ciel d’oro. Possediamo solo qualche frammento dipinto negli ultimi anni della sua lunga carriera, un Corteo dei Magi (oggi all’Arcivescovado di Milano), per la chiesa di Santa Maria Podone, e altri frammenti della decorazione degli interni del palazzo milanese dei Borromeo. Le due tavolette oggi note del maestro, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina della Pinacoteca di Siena e il Matrimonio della Vergine del Metropolitan Museum of Art di New York, ci consegnano l’immagine di un pittore a suo agio con il preziosismo e i ritmi allentati ed eleganti del gotico internazionale, una pittura affidata a colori sempre delicatamente sfumati sull’oro granito degli sfondi. Meglio conosciuta è la sua attività come miniatore, a partire dal libro d’ore della Bibliothèque Municipale di Avignone (ms. 111), all’Elogio funebre di Gian Galeazzo (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, ms. Lat. 5888), fino al libro d’ore Bodmer (New York, The Pierpont Morgan Library, ms. M 944).
L’improvvisa morte del duca nel 1402 segna un brusco arresto nella politica mecenatistica viscontea e la città appare almeno temporaneamente incapace di offrire opportunità di lavoro agli artisti. Michelino da Besozzo prenderà la via di Verona e poi di Venezia. Dopo la breve parentesi con Giovanni Maria, è con Filippo Maria Visconti che si apre una nuova stagione politica ma anche culturale per il ducato milanese. Ne sono testimonianza le tante commissioni di codici, soprattutto di argomento classico (volgarizzamenti da Tito Livio, Svetonio e altri), che ci parlano ormai di interessi e di una sensibilità pienamente aggiornata al nascente umanesimo. Il miniatore preferito dal duca è un artista, ancora anonimo, che deriva il suo nome proprio dalla illustrazione di un codice con il volgarizzamento delle Vitae Imperatorum. La sua bottega, che probabilmente conta sulla presenza di più artisti, si specializza proprio nella produzione di manoscritti classici. L’illustrazione conserva però ancora il sapore più fiabesco e narrativo della tradizione gotica che la corte ama perpetuare nei modelli e nello stile, e che Belbello da Pavia, artista forse nato proprio all’interno della bottega del Maestro delle Vitae Imperatorum, saprà interpretare con originalità e passione ben oltre la metà del Quattrocento.