Mimo
La forza del gesto
Nel Novecento il termine mimo indica sia un livello del lavoro dell’attore (relativo al gesto e alla mimica) sia un tipo di spettacolo. Gli spettacoli che possono essere raggruppati nel genere mimo sono però così diversi l’uno dall’altro che, per trovare un filo comune tra loro, bisogna pensare semplicemente a forme di rappresentazione costruite in assenza di qualcosa: in primo luogo di parole, ma anche di un testo letterario e di una storia
Con la parola mimo ci si riferisce tanto a un insieme, piuttosto eterogeneo, di tipi diversi di spettacolo, quanto anche a un momento preparatorio fondamentale che, secondo molti studiosi, pone le basi per il lavoro di qualsiasi tipo di attore sulla gestualità e sulla mimica del volto e del corpo.
Il mimo è già presente nel teatro antico greco e latino: lì si trattava soprattutto di forme di spettacolo in cui, pur non mancando necessariamente le parole, è assente un testo rilevante e articolato dal punto di vista letterario.
Nel Seicento e Settecento si diffonde, in tutta Europa, il genere della pantomima (vera narrazione senza parole), in gran parte per il successo ottenuto da spettacoli italiani con le compagnie di commedia dell’arte, che all’estero tendevano naturalmente a privilegiare il gesto rispetto alla parola. In Inghilterra e in Francia esplose particolarmente il ricco filone delle harlequinades, spettacoli a metà tra pantomima e danza, nelle quali agivano maschere originariamente italiane (soprattutto Arlecchini, maschi e femmine) e clown (va ricordata l’attività della celebre famiglia inglese di origine italiana dei Grimaldi).
Forse il più grande mimo di tutti i tempi è stato Jean-Gaspard (detto Jean-Baptiste) Deburau, vissuto tra il 1796 e il 1846, che fu un Pierrot leggendario: sulla sua vita esiste uno straordinario film del 1945, Amanti perduti (Les enfants du paradis), di Marcel Carné, sceneggiatura di Jacques Prévert, nel quale la parte di Deburau è affidata al grande mimo novecentesco Barrault, che, in costume da Pierrot, mostra alcune delle sue trovate mimiche più celebri, tra cui la camminata da fermo.
Negli anni Venti e Trenta del 20° secolo nasce in Francia, a opera di Étienne-Marcel Decroux (1898-1991), il mimo corporeo o astratto, che ha grandissima importanza nel teatro del Novecento, non solo per gli artisti specialisti di mimo ma, in generale, per tutti coloro che si interessano a un teatro di tipo nuovo.
Decroux stabilisce una netta frattura con la tradizione della pantomima, cioè con spettacoli senza parole che raccontano storie solo attraverso azioni e gesti. Quello che Decroux cerca sono forme di lavoro dell’attore nelle quali il gesto non sia soltanto una traduzione di una parola o di una situazione, ma abbia un valore in sé. Il risultato dovrebbe essere qualcosa di simile alla musica pura, da cui non è assente né drammaticità né sentimento, ma che è libera dal canto, cioè dalle parole e dalle storie. In questo senso Decroux parla di un mimo corporeo o astratto perché è strettamente connesso a un lavoro del corpo allo stato puro, privo di elementi narrativi, proprio come la pittura astratta è priva di forme riconoscibili o di elementi figurativi. Decroux privilegia perciò l’espressività astratta del tronco del corpo dell’attore rispetto a quella del viso e delle mani, che per lui hanno prevalentemente la funzione di raccontare.
Decroux è stato a capo di una scuola importante, ma si è esibito solo molto raramente in spettacoli: il mimo astratto, per lui, era un modo di lavorare piuttosto che il risultato da mostrare al pubblico in un genere teatrale nuovo.
Hanno fatto spettacoli di mimo di grande successo Jean-Louis Barrault, vissuto tra il 1910 e il 1994, che è stato anche uno dei più importanti attori francesi del secondo Novecento, e Marcel Marceau, nato nel 1923. Entrambi hanno studiato per qualche tempo con Decroux, ma nel loro impegno artistico successivo hanno recuperato in parte l’elemento narrativo (soprattutto il celeberrimo Marceau).
Jacques Lecoq, vissuto tra il 1921 e il 1999, invece, dopo un primo periodo di collaborazione per spettacoli di registi come Gianfranco De Bosio o Giorgio Strehler, a partire dal 1966 si è dedicato solo all’insegnamento del mimo, visto come indispensabile base preparatoria, necessaria per la formazione di qualsiasi tipo di attore.