MINIATURA
. È l'arte di dipingere in piccole proporzioni con colori all'acquerello su carta, pergamena, avorio, ecc. La parola deriva da minium, il colore usato per riquadrare le pagine e tracciare i titoli e le lettere iniziali dei manoscritti, ornate con minuscoli quadretti.
La miniatura dei codici.
La miniatura nell'età classica. - È noto che l'arte di decorare i codici con miniature, sebbene non se ne abbia diretta testimonianza in monumenti pervenutici, non fu sconosciuta all'antichità classica, cui forse pervenne dall'Egitto o da più lontane regioni di cultura orientale (v. egitto: Arte; illustrazione). Sappiamo che a Roma erano ricercati dai bibliofili gli esemplari di lusso, dalle pergamene tinte di porpora, scritti a lettere d'argento e d'oro, e anche si sa che molte vignette adornavano un codice delle Imagines di Varrone e che spesso, all'inizio di esemplari letterarî, si usava effigiare il ritratto dell'autore dell'opera. Per ricostruire idealmente questa produzione perduta giova guardare a documenti artistici di età più tarda, fra il sec. IV e il VI, che almeno in parte si possono considerare come copie o derivazioni di esemplari più antichi. Fra di essi tiene, per vetustà e importanza, primissimo posto il famoso Virgilio della Bibl. Vaticana (lat. 3225), che in alcune delle sue miniature, dovute a mani diverse, ben riflette la maniera compendiaria e il largo naturalismo proprî dell'età ellenistica. Molti codici medievali di contenuto classico (Terenzio, Agrimensores) hanno miniature derivate da antichi originali perduti.
La miniatura bizantina. - Questo periodo della miniatura va dalla fondazione di Costantinopoli (sec. IV) alla caduta dell'impero d'Oriente, nel 1453. I documenti che la rappresentano - ora tracciati in rotuli, ora in veri e proprî volumi - sono, e nella parte figurativa e in quella ornamentale, di una finitezza e di una varietà che testimoniano di forti virtù tecniche e di fantasia degli artisti. Essa si è sviluppata nel quadro del mondo antico e orientale: mentre racchiude in sé i germi di antiche civiltà, nei dieci secoli del suo sviluppo si trova a volta a volta in contatto con le scuole musulmane asiatiche e con le scuole cristiane di Oriente, siriache (v., ad es., l'Evangeliario Siriaco della Bibl. Laurenziana di Firenze, opera del sec. VI), copte, armene, portando al lontano Occidente le creazioni d'arte dei centri culturali più varî (v. bizantina, civiltà: Arte).
Le opere di miniatura più insigni, appartenenti al periodo che corre fra il IV e il VII secolo, sono l'Iliade della Bibl. Ambrosiana di Milano, il Rotuio di Giosuè e il Cosma Indicopleuste della Bibl. Vaticana, la Genesi e il Dioscoride di Vienna, la Genesi cottoniana del British Museum, l'Evangeliario (Codex purpureus) di Rossano. In tutte queste opere, ancora più o meno sensibilmente penetrate dello spirito e delle forme dell'antichità - si osservi la copia delle allegorie tanto care all'età classica - già si afferma quello che rimarrà carattere tipico del bizantinismo, i suoi colori di smalto, le sue stilizzazioni, le sue speciali vedute decorative ispirate alla flora, alla fauna, ai motivi più varî, geometrici e d'architettura.
Nei secoli VIII e IX la miniatura risente il contraccolpo delle lotte politiche e religiose che imperversano fino all'843 nell'Oriente greco con la persecuzione iconoclasta. Sul cessare di questa, sembra abbiano goduto particolare fortuna gli scritti di Gregorio Nazianzeno, che molti splendidi codici ci hanno tramandato (v. i codici greci 49-50 dell'Ambrosiana di Milano, e il cod. B. n. grec. 510 della Nazionale di Parigi): in essi la figura umana si è fatta più stilizzata rispetto alle rappresentazioni precedenti e l'ornato vi ha maggior risalto. Siamo tra il X e il XII secolo, all'età aurea della miniatura bizantina. I manoscritti miniati, sacri e profani, vengono ora raccolti con amorosa cura nelle biblioteche imperiali. Nei Salterî che si adornano dei più vaghi colori (v. quello magnifico della Bibl. Nat. di Parigi, greco 139) riappaiono le nobili, classiche allegorie; nelle Bibbie (v. il Vat. reg.1) si notano ritratti colti con immediatezza dal vero; negli Ottateuchi, nei Menologi (v. il Vat. greco 1613) rifulgono le virtù narrative degli artisti, mentre gli scritti di Giovanni Climaco (v. il Vat. greco 394) offrono pretesto a scene edificanti della vita dei monaci, indarno insidiati nel corso della loro virtuosa esistenza. Negli esemplari di lusso l'armonia delle forme e dei colori è notevole. La pratica dell'arte dello smalto e del tessuto sembra aver affinato il senso edonistico dei miniatori. Nei secoli XIII-XV accanto a opere che sembrano continuare la precedente rinascita, altre se ne riscontrano in cui sono già chiari i sintomi del decadimento.
I miniatori bizantini ci hanno tramandato una somma considerevole di esperienze d'arte. A quest'opera contribuirono artisti religiosi principalmente, ma anche laici d'ogni parte del vastissimo impero. È vero che in complesso questa produzione presenta un carattere ieratico e convenzionale che in parte l'allontana dalla natura e dalla vita, ma è anche innegabile che l'artista bizantino riesce a dare all'opera sua un valore che è altamente spirituale.
La miniatura in Europa nell'alto Medioevo sino a tutta l'età romanica. - Nell'età che precede la rinascita carolingia, l'attività dei miniatori che lavorano al di fuori dell'orbita bizantina, per quanto assai limitata, presenta tuttavia i contrassegni di scuole diverse: la merovingica o franca, la lombarda, la visigotica, e infine quella propria delle Isole Britanniche. Però ognuna di queste scuole non si differenzia gran fatto dall'altra: più che a illustrare un soggetto o a effigiare semplicemente la figura umana, i miniatori di questo periodo tengono di mira la decorazione della pagina, e a questo scopo ricorrono a sviluppi di linee diritte o curve, a spirali, a cerchietti, a girari, mentre per le iniziali fanno largo uso di una fantastica decorazione zoomorfica. I fondi d'oro non sono quasi mai usati e anche la gamma dei colori è ridotta al minimo necessario, per lo più a riempire con tinte acquerellate semplici contorni tracciati a penna. Il lavoro di miniatura appare così un qualche cosa che completa l'opera dell'amanuense. Sino a epoca recente si era ritenuto questo particolare tipo di decorazione come di origine nordica. Oggi, invece, vi si riconosce una larga efficacia dell'antico e più specialmente dell'Oriente cristiano. Comunque, la diffusione di questo stile che troviamo nell'età precarolingia in voga in tutte le regioni dell'Europa occidentale si deve principalmente a quegli attivissimi monaci irlandesi che, anche con l'arma dei libri, combatterono la battaglia della fede. Può testimoniare delle loro qualità di miniatori un codice famoso, appartenente al gruppo visigotico, il Sacramentario di Gellona (Bibl. Nat. di Parigi, lat. 12048) da attribuire ai primi del sec. IX.
Ben altra fioritura ebbe l'arte del minio nell'età carolingia, che segna, del resto, in tutti i dominî della cultura un'era di rinascita. Lo stesso zelo dimostrato da Carlomagno nel fondare scuole, erigere biblioteche, far trascrivere testi, si perpetua anche nei suoi immediati successori, e non a torto Carlo il Calvo è stato definito come un tipico appassionato bibliofilo. Il carattere peculiare della miniatura in questo nuovo periodo consiste nella profusione congiunta a grande nobiltà di stile. Attraverso l'influenza bizantina, gli artisti si riaccostano all'antico. Tornano in onore vecchi metodi tecnici, ad altri nuovi si ricorre, e con gli uni e con gli altri si creano capolavori che colpiscono per l'euritmia della scrittura, per la vaghezza dei fondi purpurei, per il larghissimo uso dell'oro e dell'argento nella decorazione. Gli Evangeliarî, i Sacramentarî, i Salterî, le Bibbie, che in gran numero appartengono a questo periodo, appaiono di una sontuosità senza pari: fra essi vanno ricordati: l'Evangeliario di Carlomagno del 781 (Bibl. Nat. di Parigi, nouv. acq. lat. 1203), la Bibbia di Carlo il Calvo del secolo IX (Bibl. Nat. di Parigi, lat.1), l'Evangeliario di Lotario (Bibl. Nat. di Parigi, lat. 266). Non è facile attribuire con esattezza a scuole determinate la copiosa produzione di quest'età, e perché frequenti furono gli spostamenti degli artisti da un centro a un altro, e perché un'opera insigne, allora come sempre, veniva spesso largamente imitata anche lungi dal luogo che la vide nascere. Sembra però si possa stabilire, all'origine del movimento carolingio, l'importanza di un centro renano, cui apparterrebbe il famoso gruppo degli Evangeliarî Ada con alla testa l'Evangeliario di Carlomagno sopra ricordato.
Un altro centro importante ebbe fioritura intorno alla Loira, localizzandosi in specie nella scuola di Tours, mentre un altro gruppo ancora, settentrionale e orientale, diede luogo alle famose scuole di Reims, Franco-Sassone e di Corbie. Il Liber Canonum della Bibl. Vallicelliana di Roma (cod. A. 5), magistralmente esaminato da Pietro Toesca, fu certo ornato, al pari del noto Salterio di Utrecht, da un miniatore della scuola di Reims, mentre il Sacramentario di Nonantola (Bibl. Nat. di Parigi, lat. 2292), come il Codex aureus della Staatsbibliothek di Monaco, per indubbî caratteri rientrano nell'ambito della scuola di Corbie.
La decorazione dei codici si modifica quanto più ci avviciniamo all'età romanica: i legami fra scrittura e decorazione si fanno più stretti, la ricerca disegnativa prevale sul colorismo nelle composizioni, con una vivacità narrativa tutta nuova la miniatura s'indugia a illustrare i fatti biblici o del Vangelo. Tali caratteri già appaiono al limitare dell'età romanica in una serie di magnifici codici tedeschi dei secoli X e XI, appartenenti alla cosiddetta rinascita ottoniana. Focolari di questa furono principalmente due centri religiosi: l'abbazia di Reichenau, benedettina, sul lago di Costanza, non lungi dal luogo dove, nell'età carolingia, era fiorita la scuola di S. Gallo, e l'abbazia di S. Massimino a Treviri. Se si esamina l'Evangeliario dell'arcivescovo Egbert (Staatsbibliothek di Treviri), decorato dai miniatori Kérald e Heribert, si ha l'impressione che questo sia uno dei più insigni monumenti della scuola di Reichenau. Nella serie dei suoi minî illustrativi dell'Evangelo è interessante constatare una diretta derivazione dai modelli dell'arte primitiva cristiana intorno al secolo V, che sembra ora all'improvviso risorgere.
Meno ricca di risorse e d'inventiva si presenta la scuola di Treviri, sebbene anche in essa non manchino taluni esemplari solenni, quale in particolare il noto Registrum Gregorii (Museo Condé di Chantilly). E per brevità siamo costretti a tacere di altre scuole tedesche che si svilupparono accanto alle sopra citate, come per esempio, quelle di Colonia, di Fulda, di Ratisbona, ecc.
Se nello sviluppo della miniatura tedesca nei secoli X e XI è chiara l'efficacia dell'arte carolingia e della primitiva cristiana, aspetto ben diverso presenta la miniatura anglo-sassone nello stesso periodo. Anziché adagiarsi nella tradizione, essa aspira piuttosto a raggiungere novità e originalità rappresentativa, e non già con la finitezza, ma con rapidi e nervosi schizzi, dove figure e scene dimostrano le forti virtù rappresentative dei suoi cultori (v., ad esempio, il Messale di Roberto di Jumièges nella Biblioteca municipale di Rouen).
Ancora diverso è il quadro della miniatura francese nei secoli X-XII. In opposizione all'organicità dell'arte anglo-sassone, ne sorge qui una senza distinti caratteri, che per l'influenza delle regioni finitime assume aspetti diversi da centro a centro: le scuole del nord-est, ad esempio, risentono delle tendenze anglo-sassoni e tedesche; quelle del sud presentano invece strette rispondenze con i prodotti spagnoli coevi.
La miniatura in Spagna intorno al Mille si distingue per una spiccata tendenza calligrafica. L'Apocalissi del Beato della Bibl. Nat. di Parigi (lat. 8878) è monumento tipico di questo periodo con le sue scene fantastiche ove esseri umani e mostruosi appaiono frammisti a formare un'opera decorativa singolarissima. In altri codici coevi, il Vigilanus (Bibl. dell'Escoriale, n. 976) e l'Emilianus (Bibl. dell'Escoriale, n. 980) non mancano del pari motivi che richiamano la Persia e l'Islām. Gruppo a parte formano alcuni manoscritti catalani (v. la Bibbia di Noailles della Bibliothèque Nationale di Parigi, lat. 6), le cui composizioni si segnalano per la purezza e la correttezza della linea.
Nell'Italia meridionale è centro precipuo della miniatura in questo periodo l'abbazia di Montecassino, che con l'abate Desiderio entra completamente sotto il dominio di Bisanzio. Il codice dei Miracoli di S. Benedetto (Bibl. Vat., lat. 1202) del sec. XI, il Chronicon Volturnense (Bibl. Vat., Barb. lat. 2754) degl'inizî del secolo XII, varî rotuli dell'Exultet (v., ad esempio, il Vat. Barb. lat. 592), da porre i più fra il sec. XI e il XIII, restano a testimoniare del valore d'arte che fu proprio ai monaci - artisti benedettini, che anche in altri centri d'Italia, a Bobbio, a Polirone, a Nonantola, a Farfa - lasciarono nell'età romanica documenti di miniatura di straordinario interesse. La quale, del resto, ebbe fioritura anche fuori degli ambienti monastici e ne dà magnifica conferma il codice De arte venandi cum avibus dell'imperatore Federico II (Bibl. Vat., pal. lat. 1071).
La miniatura in Francia dalla metà del sec. XIII agl'inizi del XVI. - Soltanto nel corso del sec. XIII, la miniatura francese assume caratteri stilistici peculiari.
Tipicamente francese è, ad esempio, il magnifico Salterio di S. Luigi e di Bianca di Castiglia della Bibl. dell'Arsénal di Parigi (n. 1186), che non può essere posteriore al 1223. Le miniature di questo periodo, tracciate entro clipei o meandri, hanno ancora qualche cosa della vetrata gotica; i vividi colori risaltano ancora, come nei secoli precedenti, su di un fondo aureo polito e luminoso. Nella seconda metà del Duecento comincia però ad affermarsi uno spirito nuovo. Accanto al monaco che minia a edificazione dell'anima e quasi sempre sulle tracce della tradizione, appare il miniatore laico che tende soprattutto al guadagno e ad affermarsi con la novità e la percezione della sua arte; accanto alla produzione chiesastica, fatta di libri liturgici, vengono alla moda i romanzi cavallereschi, le cronache, le enciclopedie, che formano la delizia di una società raffinata e usa alle corti. Nel 1292 Parigi conta già diciassette miniatori laici e fra essi eccelle quell'Honoré, cui si attribuisce non a torto il Breviario di Filippo il Bello della Bibl. Nat. di Parigi (lat. 1023). Fin dall'inizio del sec. XIV l'attività degli artisti francesi, laici e religiosi, si fa più intensa. Il Leggendario di S. Dionigi della Bibl. Nat. di Parigi (franc. 2090), eseguito intorno al 1317, è uno dei più tipici documenti della miniatura in questo periodo. Pochi decennî ancora, e la vedremo abbandonare i fondi aurei e prediligere le bordure vivaci, ove si annidano, nel giro di variopinti fogliami, uccelli, piccoli quadrupedi, figurette mostruose o satiriche. L'artista che meglio rappresenta questa trasformazione del gusto nel sec. XIV è Jean Pucelle, che ha segnato il proprio nome in una Bibbia della Bibl. Nat. di Parigi (lat. 11935), datata del 1327, e che ha collaborato, fra l'altro, al famoso Breviario di Belleville, posseduto dalla stessa biblioteca (lat. 10483). Ma non sempre è dato stabilire la paternità delle opere: chi è, ad esempio, l'autore della mirabile decorazione che si osserva nella Bibbia di Jean de Sy (Bibl. Nat. di Parigi, franc. 15397) da porre circa al 1356? In mancanza d'un nome preciso d'autore, questi minî, con altri che a essi si apparentano, sono stati raggruppati sotto il nome convenzionale del "Maître aux boqueteaux" dal modo particolare col quale gli alberelli vi si veggono tracciati. Nessun altro maestro del tempo ebbe sviluppato al pari di questo ignoto il senso del paesaggio, ch'egli con la fantasia popola d'animali d'ogni specie e coglie nella sua espressione naturalistica. Se il "Maître aux boqueteaux" è il maggior rappresentante della miniatura sotto il regno di Carlo V, con l'avvento di Carlo VI altre personalità vengono a togliergli il primato. André Beauneveu, ci è noto come miniatore per un Salterio eseguito per il duca di Berry (Bibl. Nat. di Parigi, franc. 13091). Ma ecco sorgere accanto alla sua un'altra interessante personalità, quella di Jacquemart de Hesdin, miniatore delle Grandes Heures del duca di Berry (Bibl. Nat. di Parigi, lat. 919), ove veramente "ridon le carte" per la magia di vividi colori bene accostati.
Non possiamo che accennare allo sviluppo mirabile ch'ebbe la miniatura francese nell'ultimo periodo del regno di Carlo VI. Sono anni politicamente agitati, mentre gl'Inglesi invadono fiorenti regioni. Ma in mezzo agli orrori della guerra la miniatura fiorisce. E proprio in questo tempo che si lavora alle Tres Riches Heures del duca di Berry il famoso codice che si conserva nel Museo Condé di Chantilly, di cui sono autori i fratelli Limbourg. L'opera è troppo nota per doverne rammentare lo squisito naturalismo.
Con il sec. XV influenze esotiche, fiamminghe e italiane, vengono a modificare il carattere della miniatura francese. Anche il compito del miniatore si trasforma ora che si accentuano le interferenze con la grande arte pittorica. Nelle stesse Tres Riches Heures sopra ricordate non mancano spunti che richiamano a maestri italiani trecenteschi, Simone Martini, Taddeo Gaddi, ecc. Questi dati di fatto occorre tener presente per comprendere la personalità artistica di Jean Fouquet. Il Fouquet viaggiò in Italia e soggiornò in Roma ai tempi di papa Eugenio IV; ebbe agio di considerare i maggiori maestri italiani del Rinascimento e non fu insensibile al fascino dell'antico. Egli non è da considerare soltanto come un miniatore bensì come un vero e proprio pittore, anche se le sue opere principali di pittura si riscontrino nelle pergamene dei codici: di essi sono da ricordare in modo particolare le Heures de Étienne Chevalier, in parte a Chantilly, e le Antichità Giudaiche (a Parigi, nella Bibliothèque Nationale).
Chiude la serie dei grandi miniatori francesi Jean Bourdichon, cui si debbono le Grandes Heures d'Anna di Bretagna (Bibl. Nat. di Parigi, lat. 9474), la cui esecuzione cade nel 1518. Sua specialità fu quella di disseminare sull'oro dei margini fiori e frutti dai vividi colori, e insetti resi con osservazione degna d'un naturalista. D'altro lato il Bourdichon nella sua idealizzazione della figura umana cade talora nel convenzionale. Quando egli morì circa il 1521, la miniatura francese era già in pieno decadimento: in Francia, come altrove, il libro figurato, meglio rispondente alle possibilità di tutti e ai gusti del tempo, non tardò a relegare fra le anticaglie il glorioso manoscritto alluminato.
La miniatura in Inghilterra, nelle Fiandre, in Spagna e Portogallo da circa la metà del sec. XIII agl'inizî del XVI. - L'originalità della miniatura inglese si afferma nel periodo che corre fra la conquista normanna e lo scorcio del sec. XII, per rifulgere poi senza contrasto in quel sec. XIII, che conobbe sul suo finire l'incomparabile fioritura del gotico. Esemplari mirabili di quest'ultimo periodo della miniatura inglese sono il Salterio di Peterborough (Londra, Library of the Society antiquaries, n. 59); un Libro d'Ore, firmato da W. de Brailes (Bibl. C. W. Dyson Perrins, n. 4); un'Apocalisse del Trinity College di Cambridge (cod. R. 16. 2); tutto un gruppo di codici illustrativì della vita di S. Albano, fra i quali è notevole quello del Trinity College di Dublino, miniato da Matteo Paris (codice E. i. 40).
I manoscritti miniati inglesi della prima metà del Trecento si possono dividere in due gruppi distinti: da un lato sta la grande scuola dell'Est, che nella sua breve fioritura ci ha laseiato documenti insigni; dall'altro lato è un gruppo difficile a determinare, al quale peraltro appartiene quel grande capolavoro, conosciuto col nome di Salterio della regina Maria (British Museum, Royal Ms. 2. B. 7). Alla scuola dell'Est si riannoda per molti rispetti il Salterio Louterell (recentemente acquistato dal British Museum), eseguito nel 1340, di primaria importanza per la profusione dei minî ispirati alla vita del tempo.
Appena varcata la metà del sec. XIII vi è una lacuna d'una ventina d'anni nella storia della miniatura inglese; ma verso il 1370 s'inizia un rinnovamento, dovuto in gran parte al mecenatismo della famiglia Bohun, che volle il proprio nome in non meno di sei magnifici manoscritti tuttora conservati. Un poco più tardi, il Messale dell'Abbate Lytlington, conservato nell'abbazia di Westminster, ci offre un documento di sicura data (1383-1384), nel quale è dato cogliere una transizione stilistica specialmente nella decorazione marginale.
Tale evoluzione di stile, che si accentua verso la fine del sec. XIV, rivela una non dubbia influenza continentale. A questa età risalgono alcuni codici miniati di rara bellezza - una grande Bibbia del British Museum (Royal Ms. I. E. IX); il Messale Sherborne (Alnwick Castle), ecc. - in gran parte dovuti al grande miniatore John Siferwas. Lo stesso stile, che presenta stretti contatti con la miniatura francese, continua a essere in voga per tutto il sec. XV (v. il Marco Polo di Oxford, ms. Bodl. 264; il Libro d'Ore della Regina Elisabetta, Bibl. C. W. Dyson Perrins, ecc.) finché la guerra dei Cento anni non spense nella miniatura inglese il carattere peculiare per imporre il gusto dell'ornamentazione francese.
A proposito della miniatura francese già abbiamo menzionato alcuni insigni maestri dello scorcio del sec. XIV che per nascita appartengono alle Fiandre, ad esempio Jean o Hennequin, che fu di Bruges, André Beauneveu, che fu di Valenciennes, i fratelli Pol, Jeannequin ed Hermant, che furono di Limbourg, ecc. Ma non si può parlare di una vera e propria scuola fiamminga se non quando Filippo il Buono di Borgogna costituì centro principale della vita politica e artistica del suo vasto ducato quelle provincie settentrionali che corrispondono all'odierna Fiandra. Molti sono i miniatori che risultano occupati alla sua corte verso la metà del sec. XV: Jean de Pestivien, Guillaume, Vrelant, Jehan Dreux, Jean Tavernier, Lyoset Lyédet, Jean Hennecart, Simon Marmion. A varî di questi maestri si possono attribuire con tutta sicurezza alcune opere. Jean Tavernier è autore, ad esempio, dei tre volumi delle Conquiste di Carlomagno, ora nella Bibl. Royale di Bruxelles (n. 9066-9068), in cui il monocromato è condotto con arte sottile; Loyset si rivela artista brioso nelle illustrazioni della Storia di Carlo Martello, anch'essa conservata a Bruxelles (n. 6-9), che sono documento prezioso dei costumi del tempo alla corte di Borgogna; a Simon Marmion spettano alcune miniature del Fiore delle Storie pure a Bruxelles (n. 9232), che per la finitezza e le virtù coloristiche giustificano la qualifica di "maître des couleurs" che i contemporanei diedero all'artista.
Per Carlo il Temerario, che succede al padre Filippo il Buono nel 1467, lavorano specialmente Philippe de Mazerolles e Sanders Bening, che sta a capo di una lunga serie di artisti della stessa famiglia. Quando nel 1477 muore Carlo il Temerario, non per questo viene meno il fervore per le belle opere di miniatura. Ma si constata nei nuovi lavori un mutamento del gusto: non più il realismo aneddotico primitivo, che si risolveva nella resa d'infiniti particolari raffigurati con secchezza ed estrema cura, bensì il compiacimento di rendere immagini che esprimano sentimenti morali, scene di più ampio respiro, nelle quali la natura si presenta col suo sorriso pieno di dolci promesse. L'opera più famosa di questa nuova scuola che fiorisce fra Gand e Bruges e trova rispondenza nella pittura di un Memling o di un Mabuse, consiste nella decorazione del Breviario Grimani della Bibl. Marciana di Venezia, cui collaborarono artisti diversi. Ma già in questo insigne capolavoro è dato osservare i primi contrassegni di decadimento, nella tendenza in specie che è propria dei miniatori di voler raggiungere a ogni costo i grandi effetti della pittura. Negli anni che seguono, fino al terzo decennio del sec. XVI, la decadenza si accresce e la possiamo seguire grado a grado in un'abbondante produzione di Libri d'Ore.
Abbiamo già detto della miniatura in Spagna nei due secoli che seguono al Mille. Il gusto per i bei libri ornati permane nell'età gotica e del Rinascimento, come attestano numerosi codici rimasti, dalle Cántigas del rey Sabio della Biblioteca dell'Escoriale, scritto e miniato a Siviglia fra il 1275 e il 1284, in cui rivive la Spagna cristiana e musulmana del tempo, ad altri cimelî per lo più d'ispirazione francese o fiamminga (v. il Libro d'ore della regina Juana Henríquez, madre di Ferdinando il Cattolico, a Madrid).
L'arte della miniatura fu coltivata per tempo anche in Portogallo. Risale alla fine del secolo XIII una magnifica Bibbia ebraica con decorazioni dagl'intensi colori, che fu illustrata da José Osarfati, e presenta singolare interesse perché rispecchia l'architettura "mudejar" portoghese, con palesi influenze francesi e musulmane. Fra i codici miniati del sec. XV merita di essere considerata la Cronaca di Gomes Eaunes de Azurara della Bibl. Nat. di Parigi, scritta nel 1453, e adorna di un tipico ritratto di Enrico il Navigatore.
In Germania, dal sec. XIV in poi, la miniatura, continuamente attiva, non ebbe tanta importanza quanta ne aveva avuta nel precedente periodo. In Boemia, essa ebbe una fioritura tra il sec. XIV e il XV, e va qui ricordata la sua larga produzione illustrativa, fino a Nicola Glockendon.
La miniatura in Italia dal sec. XIII agl'inizî del XVI. - La miniatura italiana, che nei due secoli seguenti al Mille aveva avuto carattere quasi unicamente religioso, perché fiorita quasi sempre nel chiuso dei monasteri benedettini, nel sec. XIII, per la cultura innovata e più diffusa, trova altre sedi e svolge altri temi. Vengono allora alla moda i romanzi cavallereschi che si vogliono riccamente illustrati e si ricercano per ogni dove i libri relativi agli studî giuridici, che nell'università di Bologna trovano il loro centro e riconoscono in Oderisi da Gubbio il maggiore loro illustratore. Si può dire che già all'inizio del sec. XIV ogni regione italiana si presenti con caratteri ben definiti e con speciali personalità artistiche, alcune delle quali d'indiscusso valore. In Lombardia lavorano Giovanni di Benedetto da Como (Ufficiolo, lat. 23215 della Staatsbibl. di Monaco), frate Pietro da Pavia (Plinio, E. 24. inf. della Bibl. Ambrosiana di Milano), Anovelo da Imbonate (Messale di Gian Galeazzo Visconti della Basilica di S. Ambrogio di Milano), e tutta una serie di ignoti artisti che illustrano quei curiosi Tacuinum Sanitatis (v., ad esempio, l'esemplare n. 4182 della Bibl. Casanatense di Roma), che sono miniera preziosa per lo studio dei costumi sullo scorcio del Trecento. Fra di essi rientra per l'arte sua Giovannino de' Grassi, complessa personalità non soltanto di miniatore, cui appartiene un bel volumetto di disegni della Biblioteca civica di Bergamo (cod. D. VII. 14). Dei miniatori che lavorano a Bologna nel sec. XIV si potrebbe redigere un lungo elenco, ma basti menzionare i due che dovettero eccellere sugli altri: Franco Bolognese, ricordato da Dante come colui che doveva oscurare la gloria di Oderisi da Gubbio, e Nicolò di Giacomo, del cui valore abbiamo saggio notevole in un codice delle Decretali della Bibl. Ambrosiana di Milano (cod. B. 42. inf.). A Firenze, nel Trecento, l'attività della miniatura è limitata e per lo più si volge alla decorazione di Bibbie o Messali (v. il cod. Conv. Soppr. 233 della Bibl. Laurenziana di Firenze), di Laudarî (v. il cod. II, I, 122, della Bibl. Naz. di Firenze), di esemplari della Divina Commedia (v. il n. 1080 della Bibl. Trivulziana di Milano) mentre della miniatura senese rimane documento insigne il Virgilio della Bibl. Ambrosiana di Milano, ornato sul frontespizio da Simone Martini.
La miniatura del Rinascimento è contraddistinta rispetto all'età precedente da una maggior ricerca dell'effetto pittorico, da una tendenza alla grandiosità che troppo spesso viene a snaturare il suo carattere d'arte minore, ornamentale. La transizione fra il sec. XIV e il XV è rappresentata in Lombardia da Michelino de Mulinari da Besozzo, della cui arte abbiamo prezioso saggio in un Sermone della Bibl. Nationale dì Parigi (cod. lat. 5888). Altri insigni miniatori lombardi del Rinascimento sono Giovanni di maestro Ugolino da Milano (Messale nel duomo di Fermo), Belbello da Pavia (Messale nel duomo di Mantova), Cristoforo de Predis (Officiolo Borromeo nella Bibl. Ambrosiana di Milano), frate Antonio da Monza, che ha lasciato il suo nome in una grande pagina miniata della Graphische Sammlung Albertina di Vienna. Anche Girolamo da Cremona e Liberale da Verona sono tra i maggiori rappresentanti della miniatura rinascimentale nell'Italia settentrionale, come dimostra l'abbondante loro operosità nei corali della Libreria del duomo di Siena. Liberale in specie, esuberante, fantastico, sembra voler gareggiare con la grande arte e preludere, talora, al barocco. Sugli altri centri italiani di miniatura sovrastano per importanza quelli di Ferrara e di Firenze. A Ferrara il fiorire coincide sulla metà del sec. XV con lo splendore di tutte le altre arti e con il fervore della vita civile sotto il ducato degli Estensi. Nei lavori di Giorgio di Alemagna, di Guglielmo Giraldi, di Franco de' Russi, di Taddeo Crivelli, di Marco dell'Avogaro, di Martino da Modena, le forme del Rinascimento si affermano in pieno. Tra i capolavori ferraresi rimasti, che sono molti e varî, si ricordi solo la famosa Bibbia di Borso, che dopo la guerra mondiale è stata riacquisita all'Italia e si conserva oggi nella Biblioteca Estense di Modena. A Firenze, la miniatura del Rinascimento trova i suoi inizî sul finire del sec. XIV nella bella scuola di artisti religiosi fiorita nel convento di Santa Maria degli Angeli. Ne è a capo Lorenzo Monaco, che in un Diurno domenicale (Bibl. Medicea Laurenziana di Firenze) lascia incomparabile segno delle sue doti coloristiche e di fantasia. Poco dopo la metà del sec. XV accanto alla produzione religiosa ne sorge una che potremmo dichiarare profana, perché volta alla decorazione di quei testi letterarî che si producevano copiosi nella bottega di Vespasiano da Bisticci ed erano destinati alle librerie dei Medici, degli Aragonesi, di re Mattia Corvino di Ungheria, ecc. Nella serie dei miniatori fiorentini di questo periodo grandeggiano Zanobi Strozzi, Francesco d'Antonio del Cherico, Gherardo e Monte del Fora (v. il Messale del Museo Nazionale di Firenze proveniente da S. Maria Nuova), i due Boccardino, Attavante degli Attavanti. Tra gli anni 1476-1478 questi attese alla decorazione di quella Bibbia Urbinate ora nella Biblioteca Vaticana (cod. urb. lat.1-2) dinnanzi alla quale Vespasiano da Bisticci, che la vide a Urbino, ebbe a esclamare: "Questo è il libro che in questa età non se n'è fatto uno simile". Ma nei primi decennî del sec. XVI siamo già in pieno decadimento, e Giulio Clovio, che è l'ultimo grande rappresentante della miniatura italiana, mostra già evidenti nell'opera sua i contrassegni dello snaturarsi di quest'arte minore in una vacua ricerca di effetti grandiosi. Seguitò, nondimeno, l'opera dei miniatori adoperata ancora per qualche particolare occasione, come a Venezia nei libri di promissione dogale e di commissione, ma i suoi bei tempi erano passati con l'introduzione della stampa e con la voga della silografia.
Bibl.: Dal 1911 la bibliografia sulla miniatura è periodicamente raccolta da Ph. Lauer, in Bulletin de la Société francaise de reproductions de mss. à peintures, poi raccolta in volumi, Parigi 1920 segg. Cfr. D. Fava, Proposta di un catalogo gen. dei codici miniati d. biblioteche it., in Atti I Congresso Biblioteche, III, Roma 1921, pp. 16-37 (con bibliografia). Qui ci limitiamo a indicare alcune delle più importanti pubblicazioni. Per la tecnica della miniatura è prezioso il trattato del sec. XIV De arte illuminandi, pubblicato da A. Salazaro, da un codice della Bibl. naz. di Napoli, 1877, e di nuovo da I. Guareschi, in Supplemento annuale all'Enciclopedia di chimica, Torino 1905; trad. inglese di D. V. Thompson e G. H. Hamilton, New Haven 1933. Per notizie sui singoli minitori è da consultare, ma con prudenza, J. W. Bradley, Dict. of Miniaturists, Calligraphers, ecc., Londra 1887-89, voll. 3. Sulla miniatura bizantina: N. Kondakov, Histoire de l'art byzantin considéré principalement ans les miniatures, Parigi 1886; W. Ritter Die Psalterillustration im Mittelalter, Helsingfors 1895; A. Haseloff, Codex purpureus Rossanensis, Berlino 1898; H. Omont, Fac-similés des miniatures des plus anciens mss. grecs de la Bibl. Nat. de Paris, Parigi 1900; G. MIllet, La miniature byzantine, in A. Michel, Histoire de l'art, I, i, Parigi 1905, p. 207 segg.; A. Munoz, Il codice purpureo di Rossano e il frammento Sinopense, Roma 1907; J. Ebersolt, La miniature byzantine, Parigi-Bruxelles 1926. - Per il periodo dell'alto Medioevo sino a tutta l'età romanica si possono utilmente consultare le seguenti opere: I. O. Westwood, Fac-similes of Anglo-Saxon and Irish Mss., Oxford 1868; F. X. Kraus, Die Miniaturen des Codex Egberti, Friburgo in B. 1884; H. Janitschek, Die Trier Ada-Hanschrift, Lipsia 1889; W. Vöge, Eine deutsche Malerschule um die Wende des ersten Jahrtausends, Reviri 1891; O. Piscicelli Taeggi e A. Latil, Les miniatures des mss. du Mont-Cassin, Montecassino 1899; J. J. Tikkanen, Sbendländische Psalterillustration. Der Utrecht-Psalter, Helsingfors 1900; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, voll. 1-5, passim, Milano 1901-1907; G. Swarzenski, Die Regensburger Buchmalerei des X. und XI. Jahrh., Lipsia 1901; E. Bertaux, Iconographie comparée des Rouleaux de l'Exultet, in L'Art dans l'Italie Méridionale, Parigi 1904; A. Haseloff, in A. Michel, Histoire de l'art, II, i, Parigi 1908, p. 297 segg.; P. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Milano 1912; W. Neuss, Die katalanische Bibelilustration um die Wende des ersten Jahrtausends, Bonn 1922; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, passim; A. Goldschmidt, Die deutsche Buchmalerei, Monaco 1928; P. Toesca, Miniature romane dei secoli XI e XII. Bibbie miniate, in Riv. d. R. Istit. d'arch. e storia dell'arte, I (1929), pp. 69-96. - Per la miniatura in Francia dal sec. XIII agl'inizî del XIV: P. Durrieu, Les Heures de Turin, Parigi 1902; L. Delisle, Fac-similés de livres copiés et enluminés pour le roi Charles V, Parigi 1903; P. Durrieu, Les Très riches Heures de Jean de France duc de Berry, Parigi 1904; H. Martin, Les miniaturistes français, Parigi 1906; G. Vitzthum, Die Pariser Miniatur-Malerei von der Zeit der Hl. Ludwig bis zu Philipp von Valois, Lipsia 1907; P. Durrieu, Les Antiquités Judaïques et le peintre Jean Fouquet, Parigi 1908; G. Hulin de Loo, Heures de Milan, Bruxelles-Parigi 1911; L. Delisle, Les Grandes Heurers de la reine Anne de Bretagne et l'atelier de Jean Bourdichon, Parigi 1913; I. Vligelstein, Von französischer Buchmalerei, Monaco 1913; H. Martin, La miniature française du XIIIe au XVe siècle, Parigi 1923; H. Martinf, Les Fouquet de Chantilly, Livre d'Heures d'Étienne Chevalier, ivi 1926; V. Leroquais, Les Livres d'Heures mss. de la Bibl. Nat. de Paris, ivi 1927; H. Martin, Les joyaux de l'enluminure à la Bibliothèque Nationale de Paris, ivi 1928; A. Blum e Ph. Lauer, La miniature française aux XVe et XVIe siècles, ivi 1930; L. Olschki, Mss. français à peintures des bibliothèques d'Allemagne, Ginevra 1932. - Sulla miniatura in Inghilterra in questo stesso periodo v.: G. F. Warner, Illuminated Mss. in the British Museum, Londra 1899-1903; S. C. Cockerell, Burlington Fine Arts Club. Illustrated Cat. of Illuminated Manuscripts, ivi 1908; E. G. Millar, La miniature anglaise du Xe et du XIIIe siècle, Parigi-Bruxelles 1926; id., La miniature anglaise du XIVe et du XVe siècle, Parigi-Bruxelles 1928. - Sulla miniatura nelle Fiandre, v. G. Coggiola, Il Breviario Grimani, Leida-Parigi 1908; E. Bacha, Les très belles miniatures de la Bibl. Royale de Belgique, Bruxelles-Parigi 1913; F. Winkler, Studien zur Gesch. d. niederländischen Miniaturmalerei des XV. und XVI. Jahr., in Jahrbuch d. kunsth. Samm. d. Allerh. Kaiserhauses, XXXII, iii, Vienna 1915, pp. 279-342; P. Durrieu, La miniature flamande, Parigi-Bruxelles 1927; F. Lyna, De Vlaamsche miniatuur van 1200 tot 1530, Amsterdam 1933. - Sulla miniatura in Germania v.: H. v. d. Gabelentz, Zur Geschichte der oberdeutschen Miniaturmalerei im XVI. Jahrh., Strasburgo 1899; C. H. Weigelt, Rheinische Miniaturen, Colonia 1924. - Sulla miniatura in Spagna e Portogallo v.: J. Domínguez Bordona, Manuscritos con pinturas, Madrid 1933, voll. 2; G. Pereira, A collecçao dos codices com illuminuras da Biblioteca Nacional de Lisboa, Lisbona 1904. - Sulla miniatura italiana rimangono fondamentali le seguenti opere. H. J. Hermann, Zur Geschichte der Miniaturmalerei am Hofe der Este in Ferrara, Stilkritische Studien, Vienna 1900; P. Toescac, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Milano 1912; P. D'Ancona, La miniatura fiorentina, Firenze 1914; id., La miniature italienne du Xe au XVIe siècle, Parigi-Bruxelles 1925 (con ampia bib.). Tra gli studî apparsi dal 1925 in poi ricordiamo: A. Venturi, Un grande miniatore quattrocentesco, in L'Arte, XXVIII (1925), pp. 191-93; G. Bertoni, Il maggior miniatore della Bibbia di Borso d'Este. Taddeo Crivelli, Modena 1925; U. Gnoli, Pittori e miniatori nell'Umbria, Spoleto 1923; P. Wescher, Florentinische Buchminiaturen im Berliner Kupferstichkabinett, in Jahrb. d. Preuss. Kunstsamml., 1929, pp. 96-104; A. M. Ciaranfi, Disegni e miniature nel cod. laurenziano Supplicationes Variae, in Riv. d. R. Ist. d'arch. e storia dell'arte, I (1929), pp. 375-84; P. Toesca, Monumenti e studi per la storia della aminiatura italiana. La collez. Hoepli, Milano 1930; id., Francesco Pesellino miniatore, in Dedalo, XII (1932), pp. 85-91; M. Salmi, Storia del libro ms. emiliano, I: La miniatura, in Tesori delle Bibl. d'Italia, I: Emilia e Romagna, a cura di D. Fava, Milano 1932, pagine 265-374; A. M. Ciaranfi, Lorenzo Monaco miniatore, in L'Arte, XXXVIII (1932), pp. 286-317, 379-99.
Ritratti in miniatura.
La miniatura, prestandosi per ragioni tecniche a precisione oggettiva di segno e per le piccole dimensioni a una larga diffusione, fu molto usata per ritratti. È antico l'uso di ornare i codici con ritratti di personaggi civili o ecclesiastici, ora racchiusi in iniziali e in cornici, ora inseriti nelle rappresentazioni illustrative; più tardi è frequente l'immagine del committente e quella dell'autore del testo o del miniatore stesso; di ritratti si ornano i decreti e i diplomi. Solo nel sec. XVI si cominciò a isolare e rinchiudere in medaglioni i ritratti miniati su pergamena o su rame e, più tardi, su lamelle di avorio, mentre la loro tecnica andò sempre più differendo da quella delle miniature dei codici. In Italia, nei secoli XVI e XVII, sono frequenti i "rametti" piccoli ritratti a olio su lastre metalliche; in Francia, nella seconda metà del sec. XVII, J. Petitot diffuse la moda della miniatura a colori vitrei, o a smalto, usata per lo più come ornamento di cofanetti e tabacchiere (v. smalto). Origini italiane ebbe la miniatura su avorio, diffusa per tutta l'Europa nei secoli XVIII e XIX. Le tecniche più comuni furono l'acquerello e il guazzo: il colore è distribuito leggermente, a puntini o a sottile tratteggio, onde lasciare, nei lumi, trasparire il fondo.
Nel sec. XV i nuovi intenti dell'arte promossero nella miniatura, così oltr'alpe come in Italia, l'uso e l'oggettivismo del ritratto, ma soltanto nel sec. XVI, diffusasi l'usanza dei ritratti miniati ritagliati e inclusi entro medaglioni, la storia del ritratto in miniatura si stacca nettamente da quella dei manoscritti figurati.
Italia. - In Italia, il ritratto miniato ebbe sviluppi meno vasti che all'estero. Nel sec. XVI, accanto a ritratti che derivano dalla tradizione dei miniatori di codici, come quelli di G. Clovio (autoritratto nella Galleria degli Uffizî) o! medaglioni del codice trivulziano (Biblioteca Trivulziana, ms. 2159) ritraenti le più belle donne milanesi, donato a Francesco I, opera di Giovanni Ambrogio da Noceto, altri se ne trovano che derivano piuttosto dalla pittura. Il Bronzino, dal 1540 in poi, eseguì con aiuti una serie di piccoli ritratti medicei per lo studiolo di Cosimo (Firenze, Galleria Palatina), dipingendo a olio su lastre di stagno.
Molti medaglioni miniati sono attribuiti al Parmigianino, al Tintoretto, a Iacopo e Fr. Bassano, a G. Reni, al Farinati, a Lavinia Fontana, ai Carracci, al Guercino, a F. Menzocchi, al Baroccio, al Domenichino (Firenze, Galleria degli Uffizî); e benché siano, per lo più, derivazioni, provano la diffusione di questi "rametti" e la loro immediata prossimità all'opera dei grandi maestri.
Questi piccoli ritratti ebbero in Italia la più larga diffusione: molti ne eseguì Tiberio Titi nel 1573 per la raccolta di Leopoldo de' Medici, altri sono attribuiti a Lavinia Fontana; a Vienna (Hofmuseum) ne rimane una numerosa collezione, iniziata per Ferdinando, terzo duca del Tirolo, da G. B. Stefaneschi (1582-1659) e dal suo allievo Ippolito Galantini. Durante il sec. XVII e la prima metà del XVIII questo genere di ritratto andò sempre più perdendo interesse artistico; rarissime sono le opere eseguite direttamente dal vero; le riproduzioni in piccolo di ritratti eseguiti da altri sono per lo più affrettate e trascurate, affidate a mestieranti. Al ritratto a miniatura si dedicarono largamente le donne: la Fratellini (1666-1731) e la Marmocchini (1670-1736) furono allieve del Galantini e ne continuarono i modi; altre, come la Garzoni, Bianca e Mafalda Festa, e, più, Sofia Giordano si distinsero per maggior correttezza di disegno e cura di esecuzione. Sopra tutte emerge Rosalba Carriera (1675-1757) che i recenti studî del Jeannerat dimostrarono aver per prima dipinto ritratti su avorio (fondelli, ovatini), recandone in Francia l'usanza, poi rapidamente diffusa; la Carriera rinnovò anche i modi stilistici, animando i suoi ritratti di brio settecentesco e rendendoli pittoricamente più vivi con sottili trasparenze coloristiche. Più che dalla Carriera, il cui influsso fu più sentito in Francia che in Italia, le sorti del ritratto a miniatura furono rialzate dal Lampi (1751-1830) e dai suoi seguaci, sia per la loro attività miniaturistica, sia per il più severo gusto ritrattistico da essi diffuso nelle principali corti europee. Ritrattisti miniatori italiani ebbero fortuna presso le corti straniere: così il Trossarelli e il Graglia lavorarono a Londra, il Bossi in Norvegia, il Rastellini in Germania, il Balbi e il Bencini a Vienna; a Parigi l'Anguissola, il Costa, il Campagna e il Quaglia, che fu tra i ritrattisti italiani più acuti e tra i migliori seguaci dell'Isabey.
Inghilterra. - In Inghilterra, il gusto del ritratto miniato ha origine dal soggiorno inglese di Hans Holbein (1526-28; 1532-43), sebbene forse da Venezia derivi l'uso di ornare di ritratti diplomi e decreti. Nicholas Hilliard (circa 1547-1618) fu il primo grande miniatore di ritratti inglese e riflette i modi del Holbein in numerosi ritratti di personaggi della corte della regina Elisabetta e in più rari e più delicati ritratti familiari. Lasciò in un trattato (Art of Linning) memoria dei suoi principî artistici e tecnici: minimo uso d'ombre e massima precisione di segno. Più che il figlio Lawrence. Isaac Oliver (556-1617) continuò i modi del Hilliard, aggiungendo alla precisione holbeiniana di disegno eleganze lineari del manierismo italiano e gamme di colore venete, studiate durante un viaggio in Italia nel 1596; nelle sue opere e in quelle del figlio Peter, infatti, le figure hanno maggior libertà plastica sui fondi oscuri, più ariosi che i piatti fondi azzurri del Hilliard.
A questa maggior scioltezza pittorica contribuì molto il soggiorno inglese del Van Dyck, al quale s'ispirano tutti i pittori del cosiddetto "periodo Stuart". L'influenza del Van Dyck è ancora timida, mescolata a ricordi holbeiniani nelle opere di J. Hoskins il Vecchio e di suo figlio, più viva in quella del Des Granges e del Ross; ma il più grande miniatore di questo periodo fu Samuel Cooper (1609-1672). Pittore prima di uomini politici e militari cromwelliani (del Cromwell stesso lasciò vigorosi ritratti), poi della corte di Carlo II, il Cooper ricorda Van Dyck non solo nel. modo di presentare la figura, ma nel concepire la miniatura con la larghezza compositiva del quadro, con rapporto tra figure e fondo, con determinazione pittorica dell'ambiente, evitando, con la libertà costruttiva del tocco, distribuzioni convenzionali d'ombra e di luce. Larga fu la schiera dei suoi continuatori: dal fratello Alessandro che lavorò alle corti d'Olanda e di Svezia ritratti più timidi, ma fini, a Thomas Flatman e N. Dixon; da Lawrence Crosse (1660-1724), che copiò e raccolse miniature antiche, a Bernard Lens (1682-1740), che subì le influenze più varie, soprattutto francesi, e fu uno dei primi pittori inglesi di miniature su avorio.
Il rinnovatore della miniatura inglese fu Richard Cosway (1742-1821), che nei suoi avorî rivela l'influenza del Fragonard e del Hogarth; ed è il più tipico rappresentate del '700 per il suo gusto dell'impreciso e del suggerito, per l'espressione infantile delle sue figure trattate per lievi masse su fondi ariosi di cielo; per le ombre tenui e colorate e per i lumi ottenuti dall'avorio per trasparenza. Anche il Cosway ebbe gran numero di seguaci, che aggiungono ai suoi modi larghi influssi dei contemporanei ritrattisti inglesi: tra i più notevoli è John Smart (1740-1811), più freddo e documentario, che lavorò lungamente in India. Rivale del Cosway fu George Engleheart (1752-1829), che ne seguì i motivi, pur guastando in un'enorme produzione commerciale le vive doti di brio coloristico e di acume nell'interpretazione fisionomica. L'eredità artistica del Cosway, dello Smart e dell'Engleheart fu accolta dalla Royal Academy, che rese anche più scolastico e manierato il ritratto miniato. Tra i numerosi artisti che fanno capo alla Royal Academy, quali S. Shelley, il Miles, il Duun, il Wood, ecc., emerge solo Ozias Humphry (1742-1810), sotto l'influenza del Romney, e notevole per la finezza che accompagna la pur larga fattura dei suoi ritratti.
Francia. - La miniatura francese di ritratto non è solo legata alle miniature dei codici, ma anche alla pittura che, nel '400, lasciò, soprattutto con J. Fouquet, ritratti mirabili. A questi si collega l'iniziatore della miniatura francese di ritratto, Jean Clouet (notizie nel 1516), se questi può identificarsi con l'autore delle otto miniature Les preux de Marignan (Parigi, Cab. des Ms.), per le quali rimangono a Chantilly disegni preparatorî. Della moda di medaglioni con ritratti alla corte di Francesco I rimangono ricordi letterarî (Brantôme). Dei disegni paterni si servì François Clouet (1522-1572) che miniò varî ritratti per Caterina de' Medici, sia isolati per medaglioni sia per libri di devozione. Larga diffusione, ma limitato interesse artistico, ha il ritratto miniato nel sec. XVII; per lo più ridotto a copia manuale dai quadri o impacciato nell'accademismo del tempo, poco adatto alla miniatura. Si distinguono tuttavia le opere del Du Guernier ancora influenzato dal Clouet, di Henri e Anne Marie Stresor, tedeschi, di F. Brentel, del Cotelle, del Bailly, dello svizzero Werner, del Sevin e di Catherine Perrot, che pubblicò (1693) anche un trattato sulla miniatura, del Bernard, di Louis Hans, di Richard Masson. J.-B. Massé (1687-1767) traduce in miniatura il Le Brun, ingentilendolo di motivi settecenteschi, ispirati forse dal Boucher, e rendendo più lieve il modellato, ispirandosi a Rosalba Carriera, dalla quale imparò a miniare su avorio. L'applicazione dei ritratti a cofani e tabacchiere (boîtes à portrait) non sono solo favorite dalla pittura su avorio, ma anche da quella su smalto già diffusa da Jean Petitot (1607-1691). Lo smalto, che favorisce i toni freddi, chiari e trasparenti, influì molto sulla miniatura francese. Se ne servirono efficacemente Louis de Châtillon (1639-1734), il Ferrand (1633-1732) e altri, come il Prieur, che soggiornò in Inghilterra traendo dai modi del Cooper compostezza figurativa e determinatezza fisionomica, il Venerault e A. De la Chana, che amarono designarsi come successori del Petitot. Sono frattanto frequenti le ricerche di tecniche nuove come la pittura éludorique su vetro, usata e teorizzata con scarsa fortuna da Vincent Montpetit (17I3-1800); fra i trattati ricorderemo quello del Mayol (Introduction à la mignature, 1771).
Il gusto settecentesco caratterizza la miglior produzione francese e si riflette vivamente nelle opere di P.-Antoine Baudouin (1723-1769), amabile e galante pittore, e nei delicati ritratti femminili di J. V. Campana (1744-1786), mentre un più profondo contatto con la pittura si avverte nelle miniature di Hubert Drouais (1699-1767) e, più, del figlio François (1727-1775). Tuttavia le più vive correnti della pittura francese del secolo XVIII entrano nella miniatura con Jacques Charlier, imitatore del Boucher, con la preziosa opera miniata di J.-M. Nattier, e più con l'opera miniata di Jean-H. Fragonard (1732-1806); nelle cui miniature è diffusa quella luminosità aerea, che si trova nei suoi quadri, insieme a leggerezza e libertà di composizione e di tocco; la moglie del Fragonard, Marie-Anne, ne imitò l'arte, pur senza raggiungerne le qualità pittoriche. L'arte di Rosalba Carriera influì molto sulla miniatura francese, ad es., su quella di E. Vigée-Le Brun (1755-1842), che, però, adottò i nuovi modi tecnici portati a Parigi dallo svedese Peter Adolf Hall (1739), memore dei modi pittorici del Van Dyck, ma subito sedotto dalle grazie settecentesche del Greuze. La riforma del Hall consiste nella sostituzione della tecnica puntinistica con quella della libera pennellata. Tra i varî seguaci del Hall basterà ricordare J. Laurent Mosnier (1743-1818).
Gli ultimi anni del sec. XVIII e i primi del sec. XlX sono caratterizzati dalla rivalità di J. Augustin (1759-1832) e J.-G. Isabey (1767-1855). L'Augustin è più preciso nella determinazione fisionomica e accentua le severità plastiche e lineari di un classicismo forzato e talora ancora arcadico, sebbene cerchi talvolta intensità e ricchezza coloristiche. L'Isabey è artista più pittorico e libero, acuto senza sforzo nella determinazione delle figure, ricco di motivi coloristici, che gli derivano dal Fragonard; tra le sue cose più riuscite sono i ritratti eseguiti alla corte di Napoleone.
Tra i migliori seguaci dell'Isabey sono Jean Guérin (1760-1836), già ritrattista di corte e poi, sotto il consolato, autore tra l'altro del famoso vigoroso ritratto di Kléber, l'italiano F. Quaglia (1780-1830), ritrattista alla corte di Giuseppina, L. F. Aubry (1767-1851), il Brenner (1776-1818), il Singry (1780-1824), L. M. Sicardi (1746-1825), artista di delicata sensualità pittorica, F. Dumont (1760-1840), il François e altri ancora. Nel corso del sec. XIX la miniatura, pur largamente diffusa, non ha caratteri stilistici definiti; e, mentre da un lato si limita alla riproduzione oggettiva delle figure, come l'attuale fotografia, dall'altro tenta talvolta, con poca fortuna, di riflettere i rigori stilistici del classicismo di Ingres o della pittoricità degl'impressionisti.
Germania, Belgio, Olanda. - Altri sviluppi, tra loro strettamente connessi, ebbe il ritratto miniato in Germania, in Belgio, in Olanda. Per tutto il sec. XVI la tradizione ritrattistica del Cranach e del Holbein domina incontrastata determinando la ricerca di precisione oggettiva di segno e di minuzie particolaristiche, che ritroviamo poi nelle miniature di Hans Bol (1532-1593). Già al principio del sec. XVII, Frederick Brentel, lavorando parecchi ritratti in un libro di preghiere per il margravio di Baviera, innesta ai motivi della tradizione ritrattistica tedesca elementi pittorici desunti dallo studio del Van Dyck, seguito in ciò dal suo allievo G. G. Bauer, che si stabilì a Vienna nel 1639, dopo alcuni anni di soggiorno a Roma. Verso una maggior libertà pittorica conducono i miniatori fiamminghi, ispirati al Rubens e al Van Dyck, tra i quali primeggiano Ph. Fruytiers, J. B. Deynum, sopra tutti Gerrit Lundens, nelle cui opere l'influenza dei pittori olandesi del '600 segna un ritorno a una maggiore precisione di segno e a una raccolta intimità espressiva, resa più viva dalla calma, ma intensa distribuzione della luce e dell'ombra. Notevole importanza ha il gruppo dei Van Blarenberghe, attivi per tutto il secolo XVIII: più che Jacques Guillaume, suo figlio Henri Desiré cerca vivaci effetti di luce particolare, sia nei ritratti sia nelle scene di genere. In Germania, tuttavia, benché vi lavorassero pittori olandesi come il Bareud e il Bosman, il ritratto miniato si orienta sempre più verso le libertà pittoriche suggerite dallo studio di Rubens e Van Dyck. A ciò contribuì anche il largo uso dello smalto, che favoriva i toni chiari e trasparenti; pittori di miniature su smalto furono il Chadowieski, il Brechensen, i fratelli Diglinger, il Clauze e molti altri. Si apriva la strada a influenze straniere, già sensibili nel Melder, che imitò Rosalba Carriera: più tardi il maggior miniatore tedesco Friederich H. Füger (1751-1816) studiò largamente il Cosway, dando così alle sue miniature leggerezze atmosferiche, grazia compositiva, preziose notazioni psicologiche, quali ritroviamo nel triplice ritratto delle principesse Radzwill. Il Füger ebbe gran numero di, seguaci, tra i quali il Peter e il Raab, mentre M. M. Daffinger, pur seguendone l'indirizzo, s'ispira piuttosto ai fragili e leziosi ritratti di Thomas Lawrence.
Svezia. - Non meno importante, sebbene condizionato a continue influenze straniere, è lo sviluppo del ritratto a miniatura in Svezia. L'impulso fu dato dall'inglese Cooper, che trovò in Svezia un seguace in Arvid Karlsten. Ma presto predominarono in Svezia le influenze francesi, portate da P. Signac nel 1648, che eseguì molti ritratti alla conte svedese con una maniera debole, ma non priva di delicatezza. Elementi francesi ed elementi inglesi, desunti da Alessandro Cooper, si congiungono nell'arte di Eric Utterhjelm, che dipinse nel 1704 una numerosa serie di ritiatti di antenati della regina Edvige Eleonora, mentre le influenze francesi sono più forti nella maniera di Elias Brenner (1647-1717) che trascorse un lungo periodo alla corte di Luigi XIV. Tra gli artisti svedesi più notevoli sono N. Lafrenson, che visse lungamente a Parigi, dove apprese i liberi modi pittorici della miniatura settecentesca, che corresse però nelle opere eseguite per la corte svedese; L. Svensson Sparrgen, che studiò la tecnica della miniatura orientale e concluse la sua carriera come professore all'accademia svedese, J. Axel Gillgerb, rivale dello Sparrgen (1769-1845), raccolse nei molti viaggi le influenze più varie, sulle quali tuttavia predomina il gusto francese per i toni trasparenti. Il più grande ritrattista svedese è tuttavia Peter Adolf Hall (1739-1793) della cui influenza sulla miniatura francese s'è già parlato: il suo interesse non è solo nell'esecuzione tecnica a libere pennellate, ma nella sicurezza pittorica della composizione e nella sicura distribuzione delle luci e delle ombre. I modi del Hall furono degnamente seguiti dalla figliuola, Adelaide Vittoria, marchesa di Fourilles.
Russia. - In Russia, la produzione di ritratti a miniatura fu molto ricca, soprattutto durante il sec. XVIII. Come in tutta la cultura russa del tempo, anche nella miniatura predominano gli elementi francesi. Uno degli artisti francesi più notevoli attivi in Russia fu Jean Violier, che eseguì molti ritratti di principi con vivace gusto settecentesco. Altri furono François Vincent e sua figlia Adelaide, Alphonse Giroux, il Le Roy, il Soret. Accanto ad artisti francesi, ne troviamo spagnoli, come il Mendoza, portoghesi, come il Meneses, tedeschi, come il Hurter, e italiani, come il Bossi. Le influenze francesi del sec. XVIII trovarono tuttavia l'ambiente preparato dalla tradizione della miniatura inglese, che già durante il sec. XVII era entrata in Russia con i modi del Cooper seguiti con molta finezza dal russo Smiadeckij. Altri ritrattisti russi di qualche interesse furono l'Adalbert, il Suchy, il Wilpertz.
America. - Nella seconda metà del sec. XVIII e nel sec. XIX; il ritratto a miniatura si diffuse anche in America, con caratteri che riprendono i motivi del ritratto inglese del Settecento. Tra i più importanti ritrattisti americani è Charles Willson Peale, che ebbe tra i suoi familiari numerosi seguaci, John Trumbull, G. C. Stuart, Th. Sully, Archibald Robertson.
Oriente. - In Oriente, i ritratti sono frequente ornamento dei fogli miniati e non presentano particolarità tecniche o stilistiche: solo col diffondersi in India dei medaglioni miniati inglesi si fanno frequenti i ritratti, che, pur riflettendo nel taglio, nell'atteggiamento e nella composizione l'influenza delle miniature inglesi dei secoli XVIII e XIX, ricordano le preziosità lineari e cromatiche delle più antiche miniature locali.
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La miniatura nell'arte islamica.
Nell'arte islamica la miniatura sarebbe stata introdotta, precisamente a Baghdād, intorno al sec. IX, verosimilmente per opera dei manichei. Mānī stesso, il fondatore del manicheismo, si sarebbe segnalato come pittore, e nei secoli VIII e IX l'arte del libro era in pieno fiore nei conventi manichei del Turkestān orientale, come dimostrano le scoperte delle missioni tedesche a Turfān e quelle di Aurel Stein. Mancano tuttavia esempî che illustrino il trapasso dai principî artistici manichei a quelli della scuola di Baghdād, sicché bisogna contentarsi di trarre induzioni basandoci su documenti più tardi. Le prime opere della scuola di Baghdād giunte fino a noi appartengono al sec. XII, ma indubbiamente risalgono a una tradizione più antica: esse continuano, con poche modificazioni, fino alla metà del sec. XIII. Sono illustrazioni di opere di storia naturale tradotte dal greco, della versione araba delle favole indiane di Bīdpāi (Kalīlah e Dimnah, v.), e delle Maqāmāt dì al-Ḥarīrī (v.), la cui voga era immensa. Queste tre categorie di testi si prestavano ottimamente a far rivolgere l'attenzione degli artisti così allo studio della natura come all'importanza dei problemi di composizione e di colore, ed effettivamente le loro opere sono mirabili per la stupefacente ricchezza dei toni e per l'efficacia espressiva dei motivi riprodotti.
L'invasione mongola della metà del sec. XIII ebbe un'inattesa importanza per l'arte libraria dell'Asia anteriore: i principi mongoli si diedero cura di promuoverla in ogni maniera e la misero a contatto con l'evoluta pittura cinese, il cui influsso si fece sentire soprattutto nel paesaggio. Manoscritti del principio del see. XIV, specialmente cronache universali composte e illustrate per ordine dei nuovi dominatori, mostrano la commistione d'influssi stranieri con la tradizione indigena, finché gradatamente si forma un nuovo stile persiano-mongolico, che fiorisce soprattutto nelle due sedi degli Ilkhān, Baghdād e Tebrīz. I testi illustrati non sono ora più arabi, ma quasi sempre persiani: in prima linea viene la grande epopea nazionale, lo Shāhnāmeh di Firdūsī, che, al pari delle poesie di Nizāmī e di altre composizioni epiche, si va sempre più diffondendo in esemplari illustrati. Con ciò non solo s'impongono nuovi e importanti compiti alla fantasia creatrice, ma l'ordinamento dei versi in colonne, che potevano interrompersi a piacere, consente per la prima volta il mezzo di un'intima armonia tra immagine e parola. Vennero allora trovati alcuni motivi eroici e sentimentali, caratteristici, poi sempre ricorrenti nel successivo sviluppo. Di testi arabi non vennero illustrati di tanto in tanto che la diffusissima cosmografia di al-Qazwīnī e alcuni trattati astrologici: specialmente a Samarcanda, la capitale di Tamerlano, che nel secolo XV divenne centro di arte pittorica, peraltro presto offuscato da Herāt, dove il nipote di Tamerlano, Bāisunqur Mīrzā fondò una accademia per l'arte del libro annessa alla sua biblioteca. L'accademia di Herāt diede soprattutto un impulso decisivo alla miniatura: da essa proviene la maggiore personalità della pittura islamica, Behzād (v.).
Behzād (circa 1445-1525), lasciato lo schematismo di tradizione mongolica, differenziò i tipi, diede sfumature alle vesti e ai volti, rese più sciolte le movenze, nel paesaggio si volse più alla natura, ottenne dai calligrafi un maggior riguardo alle esigenze della composizione. Ebbe molti discepoli a Herāt e a Tabrīz, dove lavorò a partire dal 1506, i quali diffusero il suo stile fino alla Turchia e all'India. La successiva generazione dei pittori di Tabrīz fu capitanata da Sultān Mohammed, pittore pieno di talento, molto apprezzato alla corte di Shāh. Ṭahmāsp. Egli, insieme con altri maestri, illustrò edizioni di lusso dei poemi epici persiani, ma predilesse del resto motivi di genere e ritratti, dipinti su fogli separati e destinati a essere raccolti in volumi miscellanei insieme con saggi di scrittura di famosi calligrafi. Si diffusero allora le rilegature di lacca con miniature.
Nella seeonda metà del sec. XVI Ustādh Moḥammedī fu il primo a ritrarre, indipendentemente da qualsiasi testo, la natura direttamente osservata, schizzi di vita campestre, ecc. Gli successe nella direzione della corporazione dei pittori di Iṣpahān, sotto la potente protezione dello scià ‛Abbās I, intelligente mecenate, il celebre Riẓā ‛Abbāsī, il quale, coi suoi schizzi a pennello dal tocco leggiero e sicuro, in cui riproduce motivi di genere, e coi suoi fogli miniati dal ricco colorito riempì gli album dei collezionisti persiani e indiani, salendo a tanta fama da quasi oscurare temporaneamente il nome di Behzād. Il suo stile elegante, venuto di moda, influì anche sulle altre arti decorative: le piastrelle dipinte nelle ville di Iṣpahān rivelano chiaramente la sua scuola. Riẓā ‛Abbāsī subì influssi della pittura europea, e a promuovere queste relazioni lo scià ‛Abbās inviò a Roma, per compiervi i proprî studî, un certo numero di giovani pittori. Ciò non valse peraltro a dar nuova vita alla miniatura persiana, le cui produzioni a partire dal see. XVIII sono prive d'interesse per la storia dell'arte.
In India, alla corte degl'imperatori mongoli, sotto l'influsso della fiorente scuola persiana e basandosi in parte sulle tradizioni dell'antica pittura indiana, la miniatura fu straordinariamente fiorente. Anche i sovrani la favorirono in ogni maniera; e ci fu una vera passione dei collezionisti, che andò diffondendosi in ambienti sempre più vasti. Scarsa è la parte che ha in essa l'illustrazione del libro; ci si limitò quasi esclusivamente alla composizione di singoli fogli, che, come in Persia, venivano poi riuniti in volumi incollandoli sulle pagine di album (muraqqac). L'imperatore Akbar (1556-1605) impiegò nei proprî stabilimenti oltre cento pittori tra musulmani e indù, ai quali dava personalmente commissioni e ordinazioni. Accogliendo la tradizione indigena, liberò la propria scuola dagl'influssi persiani, imprimendole una tendenza nazionale. Il suo successore Giahānghīr (1605-1628), il maggior intenditore d'arte del suo tempo, fece fissare in immagini tutto quanto avveniva durante il suo regno: ricevimenti, feste, cacce, ecc., e fece ritrarre per la propria collezione non solo i funzionarî di corte, ma anche i falchi da caccia, cavalli da sella, elefanti da parata. Il carattere realista della sua epoca fu rafforzato dalla conoscenza di incisioni e quadri europei. Sotto Shāh Giahān (1628-1658) il ritratto fu interamente in primo piano: si curarono particolarmente le teste, tralasciando spesso il resto. La riforma puritana di Aurangzēb (1659-1707) disperse la maggior parte dei pittori aulici, e Delhi, fino allora centro e guida del movimento artistico, passò in seconda linea. Ma nel secolo XVIII si ebbe una rinascita della miniatura, non più dedicata alla corte, ma ad ambienti più vasti, con prevalenza di motivi romantici e sentimentali, tra i quali occupano un posto particolare le rāghinī, riproduzioni pittoriche di variazioni musicali.
In Turchia, nonostante gli scrupoli religiosi messi costantemente innanzi dai sunniti, sorse e si mantenne una scuola di miniatura, la cui origine e il cui sviluppo sono tuttora oscuri. Essa proviene dal Turkestān, fu per qualche tempo in stretto contatto con la scuola persiana, ma a partire dal sec. XV sviluppò anche molte caratteristiche nazionali. La chiamata di Gentile Bellini alla corte di Costantinopoli mostra che colà si curarono per tempo le relazioni con l'Occidente, poi più volte riprese.
V. tavv. XCIII-CII e tav. a colori.
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