Moda
La parola 'moda' viene dal latino modus, cioè modo, foggia, ma anche 'giusta misura', e infatti è sempre stato considerato 'moda' ciò che viene percepito come adeguato, giusto e opportuno in un determinato momento e in un certo luogo, in situazioni e in epoche diverse. L'accostamento del termine 'moda' alla parola 'moderno' - nel suo significato di 'legato all'oggi, al tempo presente' - ci permette poi di intuire quanto, nella dinamica della moda, sia fondamentale il saper individuare ciò che è giusto e adeguato nel momento presente.La moda è diventata oggetto legittimo di analisi scientifica all'inizio del secolo, con gli studi di Georg Simmel e di Thorstein Veblen.
Per comprendere il fenomeno della moda conviene osservarne soprattutto il contenuto simbolico. Edward Sapir (v., 1931) ha messo in evidenza il contrasto fra l'inconsistenza pratica e funzionale della moda e la sua grande capacità di espressione simbolica. Sono oggetto della moda, soprattutto in ragione della loro carica simbolica, gli abiti, e più in generale tutto ciò che attiene agli aspetti esteriori del corpo umano, ma anche una corrente intellettuale, l'arte, la morale possono essere l'equivalente psicologico o il corrispondente di un capo di moda. Sapir ha osservato che un individuo può abbracciare una determinata religione per le stesse ragioni per cui segue un'innovazione nel settore dell'abbigliamento: è legittimo infatti parlare di moda religiosa quando gli individui passano da una credenza religiosa a un'altra, attratti dal valore simbolico posseduto da tali credenze a livello sociale. Nella società contemporanea un individuo può scegliere una determinata religione, una determinata morale, una determinata corrente intellettuale allo stesso modo in cui sceglie vestiti, casa e arredamento. Anche W.G. Sumner (v., 1906) aveva messo in luce il ruolo dominante della moda nella società moderna, ma mentre Sapir sottolinea il fatto che la moda si realizza attraverso le scelte dei singoli individui, Sumner pone l'accento sull'aspetto quasi coercitivo del fenomeno, notando come chi si trova a operare le proprie scelte non abbia, di fatto, gli strumenti per contrastare la moda dominante e come, in determinati casi, il sottrarsi a essa possa portare anche a forme, sia pur marginali, di condanna sociale.
La dinamica della moda ha un'importanza fondamentale a livello sociale ed è stata oggetto di interpretazioni diverse. René König (v., 1967 e 1975), considerando soprattutto il settore dell'abbigliamento, mette in evidenza quattro fattori che permettono di spiegare e interpretare la presenza della dinamica della moda nella società: 1) la tendenza dell'uomo a esibire il proprio corpo ornato e decorato; 2) la curiosità e il desiderio di esplorare; 3) il bisogno di farsi notare; 4) la ricerca di una conferma e dell'approvazione da parte del proprio contesto sociale. Queste necessità sociopsicologiche si esprimono diversamente a seconda del contesto culturale.König associa tre tipi di società con tre tipi di moda. Il primo è rappresentato da una società in cui esistono classi sociali ben delineate e gerarchicamente ordinate: in questo primo stadio il fenomeno della moda emerge nella cerchia ristretta della nobiltà. Nel secondo stadio le rigide differenze fra la classe dominante e le altre classi si attenuano: la moda elitaria della classe superiore diventa un modello da seguire per le altre classi sociali e quindi l'élite è costretta ad adottare una strategia di cambiamento continuo delle mode per mantenere il proprio status rispetto alle classi inferiori. Il terzo stadio è quello delle società democratiche egualitarie in cui si sono sviluppate le tecnologie industriali. In quest'ultimo tipo di società la moda si diffonde in tempi rapidi, raggiungendo i diversi settori sociali sotto forma di prodotti di massa e invadendo man mano tutti i campi della vita quotidiana; professioni, atteggiamenti, idee e interessi, sono tutti soggetti alla dinamica della moda.
Alcuni studiosi hanno osservato come nella società contemporanea la moda acquisti una importanza crescente: mentre in passato essa era un fenomeno circoscritto a pochi individui, oggi coinvolge nella sua dinamica un numero sempre maggiore di attori sociali. Herbert Blumer (v., 1969) e Orrin Klapp (v., 1969) sottolineano entrambi la rilevanza della moda in campi del tutto diversi: le automobili, gli elettrodomestici, l'arredamento, gli articoli sportivi, l'ubicazione della casa, le vacanze e gli hobbies sono tutti soggetti alla dinamica della moda. Anche l'arte, la letteratura, la musica, gli argomenti di conversazione, le opinioni, le terapie mediche - in sintesi, tutto ciò che fa parte della vita quotidiana dell'individuo contemporaneo - subiscono il cambiamento delle mode al fine di esprimere in forma simbolica uno status sociale. Ciò non dipende solo dalla diffusione relativa della ricchezza, ma piuttosto dal fatto che gli individui nella società contemporanea godono di una mobilità psicologica e 'onirica' sempre maggiore. È facile, nel contesto in cui viviamo, immaginarsi come qualcun altro, in qualche altro luogo, concepire un'immagine di sé diversa da quella reale, concretizzandola in una serie di segni disponibili su un mercato sempre più vasto. Gli individui sono spinti verso un consumo più orientato dalla moda che dalla tradizione.
Nella società odierna la moda ha maggiori possibilità di diffondersi grazie alle nuove forme di comunicazione. Nel suo saggio Psychologie économique del 1902 Gabriel Tarde introdusse il concetto di 'psicologia interpersonale'. La società - osservava - è costituita dalle rappresentazioni mentali degli individui in costante interazione tra loro. Questo rapporto, legato soprattutto al tempo libero e al consumo, acquisisce con il diffondersi dei mezzi di comunicazione un ruolo sempre più importante, e induce nuove esigenze che la moda diffonde attraverso un meccanismo di imitazione.Rifacendosi ai lavori di Simmel (v., 1904), di Sapir (v., 1931) e di Kurt e Gladys Lang (v., 1961), Blumer ha notato che, sebbene molti studiosi abbiano sottolineato l'importanza del fenomeno moda, in realtà pochi ne hanno compreso la centralità nel quadro della società contemporanea. Il primo errore in cui essi incorrono, secondo Blumer, consisterebbe nel non riconoscere che la moda, in quanto fenomeno sociale, si estende a tutte le aree della società. Un secondo errore sarebbe quello di giudicarla un fenomeno solo periferico, mentre in realtà influenza gli stili dell'arte e della letteratura, i temi dello show business, le tendenze filosofiche e le pratiche adottate nel mondo degli affari: fenomeni, dunque, tutt'altro che periferici. Un terzo errore è individuato da Blumer nell'adozione del postulato secondo il quale la moda sarebbe espressione della componente irrazionale degli attori sociali. Questo punto di vista avrebbe origine nel fatto che la moda è sempre stata identificata con la superficialità frivola e interpretata come una risposta irrazionale alla ricerca del proprio status sociale. Coloro che analizzano la moda secondo questo schema travisano però, secondo Blumer, la sua stessa natura, capace di coinvolgere quasi tutti gli aspetti della società (v. Blumer, 1969).
La dinamica della moda agisce ovunque, ma il suo significato sociale è molto diverso a seconda del tipo di società in cui opera. Tarde (v., 1890 e 1902) ha distinto due tipi di società: la società della tradizione e quella della moda. Quando la tradizione costituisce la base delle regole sociali, gli individui manifestano una tendenza all'identificazione etnica con la loro nazione piuttosto che al coinvolgimento nella realtà storica della loro epoca: la tradizione infatti tende a valorizzare, attraverso la perpetuazione delle usanze, la continuità con il passato. Nei periodi in cui invece prevale la dinamica della moda, gli individui attribuiscono maggior valore al loro presente, mentre tradizione, etnia e passato recedono in secondo piano. È stato sottolineato come l'importanza della moda nella società vari nelle diverse fasi del ciclo economico. Ad esempio, mentre nei periodi di stagnazione la variabile che per convenzione misura la stratificazione sociale viene identificata nelle professioni, nei periodi di maggiore espansione economica è la moda che gioca un ruolo importante per rendere visibile tale stratificazione (v. Riesman, 1950; v. Packard, 1959; v. Lynes, 1954). La moda può dunque manifestarsi in maniere differenti in società diverse e in corrispondenza di specifiche fasi storiche. Abbiamo già osservato come nelle società contemporanee essa sembri acquisire un'importanza sempre maggiore: una delle ragioni di questo fenomeno è la spinta alla differenziazione dei modi di vita dei diversi gruppi sociali, che si accompagna al manifestarsi di una struttura sociale sempre più articolata in cui emergono nuovi raggruppamenti. Su questo processo di differenziazione e sull'aumento delle offerte del mercato si innesta la possibilità per l'individuo di mostrare la sua particolarità o, piuttosto, quella del suo gruppo di appartenenza.
La motivazione che spinge a seguire la moda viene individuata nel bisogno di distinguersi, che però non è presente in tutte le società. Simmel, ad esempio, ha osservato come la moda non avesse alcun ruolo nel settore dell'abbigliamento maschile a Firenze attorno alla fine del XIV secolo; ognuno vestiva secondo il proprio gusto, perché in tale società non si sentiva il bisogno di esprimere l'appartenenza a un determinato gruppo o di affermare la propria particolarità rispetto agli altri tramite la moda. Simmel cita anche l'esempio di Venezia dove, nella stessa epoca, i membri degli strati sociali superiori evitavano accuratamente di seguire i cambiamenti della moda. Anzi, a tutti i nobili veneziani era imposto di vestire di nero, dimodoché le altre classi sociali non potessero accorgersi dell'esiguità del loro numero. L'ostentazione non era gradita, e di conseguenza mancavano le condizioni in cui si può radicare il fenomeno della moda nel campo dell'abbigliamento (v. Simmel, 1904).
La variazione dell'importanza della moda è stata studiata con particolare attenzione per quel che riguarda il mondo femminile. Perché sono generalmente le donne a seguire la moda? Veblen (v., 1899) parla in proposito di 'consumo delegato': il consumo da parte delle donne, soprattutto in materia di abiti, avrebbe lo scopo di rappresentare la ricchezza del marito. Simmel invece sviluppa, precorrendo i tempi, la teoria del 'consumo compensatorio'. La moda costituirebbe un elemento di rassicurazione e avrebbe per le donne, escluse da molti settori della vita sociale e prive di possibilità di autorealizzazione, una funzione di compensazione a tale esclusione. Simmel (v., 1904) ha illustrato questa sua tesi prendendo ad esempio la Germania del Tre-Quattrocento, in cui l'evoluzione sociale creò condizioni che favorivano l'iniziativa imprenditoriale, riservata però alla sola componente maschile: nello stesso periodo si assiste a una vera esplosione della moda femminile nel settore dell'abbigliamento, che diventa ipertrofico e lussuoso. La coincidenza di questi fenomeni induce a interpretare questa accresciuta importanza della moda per la componente sociale femminile come la reazione delle donne a una situazione di minor potere sociale. Nello stesso momento in Italia le donne delle classi superiori avevano invece, secondo Simmel, una maggiore possibilità di esprimersi nel loro modo di vita. È, dunque, poco sorprendente che la moda femminile italiana di questo stesso periodo non dimostri una grande originalità: il bisogno di espressività personale era soddisfatto nella vita quotidiana delle donne da un ruolo sociale meno periferico.
Nella dinamica della moda si possono evidenziare due grandi funzioni interdipendenti: da una parte la moda rivela le differenze tra attori sociali appartenenti a gruppi diversi, dall'altra contribuisce a esprimere la coesione sociale dei membri di un determinato gruppo. In molte società preindustriali il bisogno di rappresentare la coesione sociale è un fattore dominante, mentre appare meno urgente la necessità di materializzare nell'abbigliamento le differenze sociali. Simmel (ibid.) fa riferimento ai Boscimani e alla loro organizzazione sociale senza differenziazioni tra classi, in cui i diversi membri del gruppo non mettono in atto nessuna strategia di distinzione. In società di questo tipo la necessità di manifestare le differenze fra i gruppi prende spesso la forma dell'aggressività dichiarata. Non è questo invece il terreno su cui si sviluppa la dinamica della moda, poiché essa non persegue lo scopo di riaffermare le differenze sociali in modo diretto e inequivocabile: la moda interviene e diventa rilevante solo quando si verifica una situazione sociale in cui è forte il rischio che un determinato gruppo si mescoli con un altro. Essa interviene allora per segnalare e materializzare le differenze sociali tramite i particolari dell'abbigliamento, ma non è uno strumento adatto a sostenere situazioni di forte conflittualità.
Una questione importante nell'analisi della dinamica della moda è l'identificazione delle sue modalità di cambiamento, e a questo proposito va ricordato che gli elementi di base di molte teorie odierne erano già presenti nelle opere di Simmel.La prima teoria che esamineremo parte dal presupposto che la moda abbia la sua origine nelle differenze fra le classi sociali ed esprima quindi prevalentemente la differenziazione sociale: le classi superiori, dopo aver lanciato una determinata moda, la abbandonano nel momento in cui se ne appropriano le classi inferiori. La seconda teoria analizza la dinamica interna della moda (Eigendynamik), mentre la terza presenta la moda come un'espressione dello 'spirito del tempo' (Zeitgeist): ogni moda stabilisce sempre una frontiera fra passato e futuro e trasmette, specialmente nel momento della sua massima diffusione, un forte sentimento del presente (v. §§ 4a-4c).
Esporremo in seguito un'interpretazione della moda come sistema, cercando di evidenziare l'importanza di alcuni fattori nell'accelerare la sua dinamica di cambiamento (Simmel - v., 1986 - menziona a questo proposito il ruolo che possono avere gli stessi produttori degli articoli di moda). Un'altra teoria attribuisce un ruolo essenziale al meccanismo di contestazione delle convenzioni e alla spinta verso la trasgressione: il primo scopo della moda sarebbe quello di distruggere gli stili passati. Infine presenteremo la teoria della moda come strumento sociale per canalizzare bisogni espressivi e psicologici (v. §§ 4d-4f).
Molti studiosi hanno indicato il punto di partenza della dinamica della moda nella stratificazione della società in classi. A parte i già citati Simmel e Veblen, i principali esponenti di queste teorie sono F.H. Allport, R.M. McIver, R.L. Steiner e J. Weiss, B. Barber e L.S. Lobel, L.A. Fallers, e infine Q. Bell. L'analisi della diffusione della moda fornita da Veblen (v., 1899) è diventata ormai un classico. Le mode nascono nella classe agiata, il gruppo maggiormente favorito a livello economico, e la capacità di attrazione di cui sono dotate deriva dal fatto di coinvolgere beni di consumo molto costosi, che vengono presto adottati dalle classi medie con ambizioni di mobilità sociale ascendente. Così la moda si diffonde 'a cascata' (trickles down), diventando man mano consumo di massa di prodotti che sono imitazioni poco costose. Anche Simmel (v., 1904) ha interpretato la moda come possibilità di differenziazione di gruppi sociali che mirano a rendere visibile la distanza che li separa da altri gruppi.Veblen e Simmel descrivono entrambi due aspetti della moda: da una parte essa favorisce l'omogeneità sociale, dall'altra la differenziazione. Una volta diffusasi nella società, una moda perde ovviamente il suo potere di demarcazione e deve quindi rinnovarsi per poter mantenere la sua doppia funzione sociale di omologazione rispetto al proprio gruppo e di distinzione rispetto agli altri. Questo modello di cambiamento implica che la moda sia un fenomeno sociale che coinvolge, nei suoi tratti essenziali, due gruppi antagonisti, i leaders o 'pionieri' e i 'gregari', cioè coloro che vogliono mantenere visibile la distanza fra i due gruppi e coloro che mirano ad annullarla. Questo modello è stato chiamato 'modello a cascata' perché implica che la moda si diffonda dall'alto verso il basso nella scala sociale. Per la presenza di questi due momenti antagonistici - l'imitazione, ossia la diffusione verso il basso, e il cambiamento con cui le classi superiori vogliono distinguersi - il meccanismo della diffusione della moda è stato anche chiamato 'modello della caccia e della fuga' (v. McCracken, 1988) o 'modello della caccia alla volpe' (v. Featherstone, 1991).
Il modello dell'imitazione-distinzione proposto da Simmel e Veblen è stato ripreso da una importante corrente di studiosi. Bernard Barber e Lyle S. Lobel (v., 1953), seguendo la teoria di Veblen in alcuni dei suoi tratti principali, analizzano la moda e i suoi cambiamenti nella società di classe americana. La moda comincia il suo cammino nella classe agiata per subire poi, in un secondo momento, un processo di diffusione verso il basso che spesso ne altera il contenuto. Riprendendo il concetto vebleniano di 'consumo delegato' Barber e Lobel osservano come le donne segnalino, mediante la loro esibizione di oggetti di moda, le possibilità economiche del proprio marito. La moda è dunque, in questa prospettiva, tutt'altro che un fenomeno irrazionale, e ha invece lo scopo preciso di evidenziare la prosperità economica.
La rapida diffusione della moda nella società può essere spiegata anche dal bisogno degli individui di riaffermare la loro personalità. Coloro che adottano per primi una nuova moda per esprimere la loro identità sono rapidamente seguiti da numerosi gregari e indotti così a cambiare continuamente i contenuti di quella stessa moda.
Veblen, partendo dall'analisi degli oggetti della vita quotidiana, aveva formulato una teoria basata sulla stratificazione sociale, in grado di spiegare i cambiamenti della moda. Rifacendosi a questa teoria Quentin Bell (v., 1976²), dopo aver criticato Marx ed Engels, che nelle loro analisi avevano ignorato gli oggetti della vita quotidiana e le arti minori, sostiene che la competizione economica sarebbe la forza predominante nella dinamica della moda. Per le classi medie e superiori l'abbigliamento è essenzialmente espressione della ricchezza, che si manifesta nel consumo vistoso (conspicuous consumption), nel tempo libero vistoso (conspicuous leisure) e nello spreco vistoso (conspicuous waste). A queste categorie vebleniane Bell ne aggiunge un'altra, lo scandalo vistoso (conspicuous outrage), che consiste nel servirsi deliberatamente di una moda al fine di provocare una evidente rottura con le convenzioni prevalenti del gusto. Secondo questa prospettiva chi guida la moda sceglie volutamente un tipo di abbigliamento che non si conforma a ciò che viene considerato 'di buon gusto'. Steiner e Weiss (v., 1951) descrivono, sulla scia di Veblen e Simmel, un comportamento tipico adottato dall'élite per distinguersi dalle altre classi sociali: il contro-snobismo. Per distinguersi dai nuovi ricchi le élites rinunciano al consumo vistoso e adottano la sobrietà come segno distintivo di classe. La teoria sopra descritta, in cui hanno un ruolo centrale l'imitazione di coloro che sono socialmente superiori e la volontà di questi di distinguersi dai membri della società considerati inferiori, è stata adottata anche in molti studi sui cambiamenti negli stili di vita, nei gusti e nei modelli di consumo in generale. Secondo Pierre Bourdieu (v., 1979) la scelta individuale, per esempio in materia di arredamento, sarebbe un modo per assicurarsi una posizione nello spazio sociale, in quanto le scelte di consumo definirebbero la collocazione dell'attore sociale rispetto al gruppo immediatamente inferiore, in un rapporto chiaramente antagonistico. Nella sua teoria Bourdieu accentua la differenziazione sociale fino a individuare sottili forme di segmentazione all'interno di una stessa classe.
Anche nella teoria di Veblen sulla dinamica della diffusione a cascata il consumo di lusso da parte della classe agiata era interpretato soprattutto in termini di ostentazione. In un primo momento il prezzo elevato conferirebbe prestigio a un certo tipo di beni di consumo, ma il desiderio di ostentare la propria potenza economica diventerebbe pian piano un sintomo insopportabile di cattivo gusto e sarebbe, secondo Veblen, un altro motore del cambiamento della moda. In questo caso il cambiamento sarebbe indotto dalla saturazione e dal bisogno di rinnovamento a essa legato.
Anche gli studiosi che presentano modelli alternativi di diffusione della moda prendono spesso come punto di partenza la teoria della differenziazione sociale, che interpreta la moda come strumento di distinzione della classe agiata in una società stratificata gerarchicamente, mentre i critici del modello vebleniano insistono soprattutto sul fatto che questa interpretazione poteva essere valida nelle società gerarchiche del Sette-Ottocento, ma non ha più rilevanza nel quadro della società contemporanea (v. Blumer, 1969; v. Campbell, 1992). Francesco Alberoni (v., 1964) critica la prospettiva unidimensionale dei primi studiosi della moda e osserva che le classi superiori hanno perso la loro posizione di leadership, tanto più che per gli uomini d'oggi i modelli da seguire non si individuano più in una prospettiva locale. Secondo Alberoni oggi si possono distinguere due tipi di élites: una politica ed economica, che detiene il potere, e una senza potere, costituita dai cosiddetti 'divi', i quali, oggetto di una imitazione affascinata, presentano stili di vita e modelli di consumo alternativi. Tom Burns (v., 1966) ha descritto, dal canto suo, un'élite che detiene la leadership a livello dei consumi, differenziandola da quella aristocratica e da quella che C.W. Mills (v., 1956) ha descritto come una oligarchia del potere.
Dallo studio di Simmel sulla dinamica del cambiamento della moda emerge un'altra idea: le forze antagonistiche in atto in tale dinamica implicano di per sé il processo di cambiamento. Nella moda agiscono in un rapporto antagonistico, come su un campo di battaglia, coppie di tendenze opposte. Essa si caratterizza infatti per la sua capacità di differenziare e nello stesso tempo rendere omogeneo, per la sua superficialità espressiva e, nello stesso tempo, per la sua capacità di mettere in luce tratti individuali profondi. Le spinte verso la libertà e la dipendenza, la distruzione e la costruzione permettono l'espressione individuale ma inducono anche all'imitazione.Sono queste forze antagonistiche che operano all'interno del fenomeno moda a indurre i cambiamenti. Birgitta Nedelmann (v., 1990) ne ha descritto la dinamica interna (Eigendynamik) concentrando la propria attenzione su quei processi autonomi di interazione sociale che sono caratteristici della sua evoluzione. La moda è di per sé un processo di cambiamento: seguita da alcuni individui per una loro tendenza all'imitazione, essa induce per reazione un processo di differenziazione che, mentre limita la sua stessa diffusione, è responsabile del suo continuo rinnovarsi. Nedelmann evidenzia le dimensioni verticale e orizzontale dei processi in atto: i processi verticali si sviluppano fra i membri di classi differenti, mentre quelli orizzontali determinano l'interazione sociale fra i membri di una stessa classe e strutturano le relazioni sociali all'interno di un gruppo. L'osservazione di Simmel (v., 1971 e 1986), secondo cui quanto più la classe superiore è omogenea, tanto maggiori sono le motivazioni all'imitazione da parte di altri gruppi e la conseguente fuga in avanti verso l'innovazione da parte della classe superiore stessa, è ripresa da Nedelmann che la inserisce in un quadro sociologico più articolato. Più la classe superiore si rinchiude in se stessa e afferma la sua identità con l'aiuto di una moda ben riconoscibile, più le classi inferiori saranno indotte all'imitazione. Viceversa, più i membri delle classi inferiori si differenziano fra loro in termini di stile, meno la classe superiore sarà portata a cambiare la moda che, in una simile società, non avrà una grande importanza.
Come Nedelmann, anche Ann-Mari Sellerberg (v., 1987 e 1993) prende Simmel come punto di partenza per la propria analisi della moda. Secondo questa studiosa alla base dell'evoluzione della moda vi è una contraddizione dialettica: da un lato la moda tende a ridurre la complessità, in quanto ordina in categorie e definisce attraverso nomi ed etichette precise; dall'altro essa genera complessità, in quanto distingue sfumature, accessori e altre caratteristiche particolari. In altre parole, la moda riduce e nello stesso tempo aumenta la complessità. L'evoluzione della moda è dovuta alla presenza di molte polarità di questo tipo. La teoria di Simmel illustra i modi in cui tali contraddizioni intrinseche nella moda sono responsabili del suo incessante e inevitabile cambiamento. Anche l'atteggiamento degli individui nei confronti della moda è duplice, in quanto è improntato sia alla distanza che al coinvolgimento. Dato questo essenziale dualismo, il nostro atteggiamento verso la moda è caratterizzato dalla disponibilità verso il cambiamento, determinata dall'interesse per le novità, e dal desiderio di liberarsi di ogni moda che sia diventata superata.
Un altro sviluppo delle teorie di Simmel si deve a Fred Davis (v., 1989 e 1992) che, rifacendosi alla teoria simmeliana della moda come espressione di forze antagonistiche, pone l'accento sull'ambivalenza che spesso la moda mette in luce, per esempio permettendo di dare risalto alle differenze di classe ma allo stesso tempo di nascondere quelle differenze. Anche la sessualità determinerebbe ambivalenza nella moda; seguendo J.C. Flugel (v., 1930), Davis nota come la moda permetta sia l'espressione dell'erotismo che quella della pudicizia.
La moda istituisce una linea di demarcazione fra presente e passato e comunica un certo sentimento dell'attualità: a questa affermazione simmeliana si sono ispirate molte teorie che considerano la moda un 'riflesso del presente'. James Laver (v., 1959) paragona lo sviluppo della moda a quello dell'architettura: in entrambi i casi i designers elaborano uno stile nuovo partendo dalle loro idee personali, ma riflettendo anche lo spirito del tempo. Il lavoro di Laver è un classico nel campo della moda dell'abbigliamento. Egli ha elaborato il seguente 'calendario della moda' che illustra il variare del giudizio su un determinato abito a seconda della distanza che lo separa da quello che Laver chiama il "suo tempo" (v. Laver, 1937).
indecente 10 anni prima del suo tempo
spudorato 5 anni prima del suo tempo
audace 1 anno prima del suo tempo
elegante -
inelegante 1 anno dopo il suo tempo
orrendo 10 anni dopo il suo tempo
ridicolo 20 anni dopo il suo tempo
divertente 30 anni dopo il suo tempo
originale 50 anni dopo il suo tempo
incantevole 70 anni dopo il suo tempo
romantico 100 anni dopo il suo tempo
meraviglioso 150 anni dopo il suo tempo
Le teorie di Laver sul rapporto moda-società sono alla base dello studio di Geoffrey Squire sull'abbigliamento europeo nel periodo dal 1960 al 1970. Squire (v., 1974) sostiene che gli abiti - come l'architettura e tutte le arti visive, la musica e la filosofia - sono parte di un tutto che esprime un determinato tempo. Gli eventi storici lasciano tracce nella moda (è successo per esempio con la scoperta delle tombe egizie o il cambiamento di status delle donne) poiché essa è l'espressione di tutto ciò che accade in una determinata epoca, ne rivela lo spirito, lo Zeitgeist (v. Blumer, 1969).
Già in Simmel (v., 1986) troviamo i primi accenni di una teoria della moda come sistema quando descrive il ruolo dei produttori che intervengono sull'andamento della diffusione della moda dagli strati sociali più elevati ai ceti medi, e possono anche influenzare la velocità del processo di cambiamento della moda stessa. Davis (v., 1992) evidenzia due modelli nello studio sociologico della moda dell'abbigliamento. Con il primo, chiamato "modello populistico" e centrato sul ruolo del consumatore, vengono analizzati l'uso e la funzione degli abiti nella grande massa dei consumatori e la loro innovazione. Esso serve come punto di partenza per quegli studiosi che si interessano ai meccanismi del consumo di massa nel campo della moda. Il secondo modello viene chiamato da Davis "sistemico", ed è frutto dell'incontro tra la prospettiva classica della sociologia europea, ad esempio quella di Simmel, e l'interazionismo nordamericano, ad esempio quello di Blumer. In base a questo modello esistono centri da cui l'innovazione si diffonde. In questi centri, come Parigi o Milano, si svolgono le sfilate di moda, lavorano i designers, gli stilisti, i giornalisti specializzati, i grossisti; fuori del centro si trovano invece i grandi magazzini, i venditori e i consumatori, che costituiscono così una periferia. Davis ha descritto l'interazione tra gli attori del centro e quelli della periferia.Gli studiosi della moda come sistema privilegiano l'analisi di particolari gruppi sociali, quali ad esempio i designers e i consumatori innovativi, dei quali viene messo in evidenza il ruolo, a volte determinante, nella dinamica di cambiamento della moda. L'interazione tra i diversi attori o gruppi di attori - quali i produttori, i distributori e i consumatori - si realizza entro un network in cui la comunicazione si svolge a spirale (v. Meyersohn e Katz, 1957). Davis analizza l'andamento della moda nei diversi stadi - l'invenzione, l'introduzione, l'innovazione, la diffusione nel corpo sociale, e infine la scomparsa - nei quali vengono coinvolti diversi tipi di attori sociali, dal designer al consumatore. I ricercatori che adottano questo approccio cercano spesso di definire l'influenza di determinate componenti all'interno dell'intero sistema della moda. Tamar Horowitz (v., 1976) ha cercato di delineare l'influenza dei designers: essi sarebbero degli intermediari attivi, il cui successo dipenderebbe dalla loro capacità di interpretare, attraverso processi di scelta personale e di decisione, le attese dei consumatori e di trasformarle in prodotto. Horowitz confuta così la tesi di Mills (v., 1969) secondo cui i designers sarebbero intermediari senza potere.
Secondo Simmel (v., 1904) la moda esprime due pulsioni opposte, alla distruzione e alla costruzione: nella sua dinamica il bisogno di distruggere ciò che esiste e il desiderio della novità non possono essere separati. Colin Campbell (v., 1992) modifica questa teoria del cambiamento e individua tre tipi di novità: ciò che è nuovo (the new), ciò che è innovativo (the innovative), e ciò che è originale (the novel). Nel contesto della moda agisce quest'ultimo, cioè quello che è diverso e rompe con ciò che è stato. Sono evidenti le notevoli analogie fra la teoria di Campbell e quella di Simmel, soprattutto là dove il primo afferma che nella società contemporanea ciò che è eccezionale, bizzarro e vistoso esercita un'attrazione spontanea sugli attori sociali.
Campbell critica le teorie della moda che partono dalla premessa che la stratificazione sociale non rappresenta più un assunto valido quando ci si riferisca alla società contemporanea, e mette invece in evidenza, in accordo con König, il ruolo dei gruppi marginali nella dinamica della moda. Essi manifestano spesso la tendenza a innovare e a contestare le convenzioni stabilite: non sarebbe quindi la classe superiore ad avviare la diffusione della moda, ma gruppi che sono alla periferia della società - gli artisti, i bohémiens, ecc. - e desiderano rompere con la quotidianità. Ma come mai il desiderio del nuovo e dello straordinario si riscontra anche negli strati più conformisti della società? Secondo Campbell la moda offre uno spazio "onirico" in cui compensare le delusioni del quotidiano, e la gente comune, identificandosi tramite gli oggetti di moda con gruppi marginali che offrono un modello di vita lontano dalla banalità quotidiana, cercherebbe una risposta al suo bisogno di sognare, di evadere. Anche Campbell vede nella dinamica della moda un processo ininterrotto di innovazione e di imitazione.
Queste interpretazioni della moda come costante violazione delle convenzioni contengono di fatto una critica alla teoria che assegna agli strati sociali superiori la leadership in materia di moda. La ragione è che le classi superiori non sono quelle che violano deliberatamente le convenzioni del gusto. Inoltre occorre ricordare che sebbene la moda continui a infrangere le convenzioni correnti, crea però anche costantemente nuove regole. In questo modo il sistema effimero della moda crea una sorta di ordine sociale, che diventa un equivalente funzionale dell'ordine sociale incarnato nel buon gusto. Blumer (v., 1969) sottolinea efficacemente che, opponendosi alla staticità dell'abitudine, la moda contribuisce al rinnovamento ininterrotto dell'ordine sociale. Tutte le mode emergono da un processo di scelta collettiva (collective selection): nello stadio innovativo vengono presentate diverse alternative che un processo di selezione riduce man mano; quelle che rimangono costituiscono la moda di un determinato periodo. La moda opera in un campo in cui non ci sono criteri oggettivi che dividono il 'vero' dal 'falso' e, dal punto di vista sociologico, stabilisce nuove regole che vanno contro le convenzioni consolidate. Si verifica perciò una tensione continua tra la cultura istituzionale e la moda in quanto fenomeno marginale, ma in realtà quella della moda è sostanzialmente una pseudo-rottura delle convenzioni, non una vera e propria rottura. La violazione delle convenzioni operata dal meccanismo della moda non possiede la pericolosità potenziale propria di rotture culturali violente in altri settori. Ad esempio, le mode che aboliscono la distinzione tra abbigliamento femminile e abbigliamento maschile sono solo una sorta di flirt con il transessualismo. In quanto mode, queste violazioni delle convenzioni perdono il loro carattere 'pericoloso': in questo caso non abbiamo a che fare con individui che infrangono le regole, né con la responsabilità individuale, bensì con un vasto gruppo di persone che segue semplicemente una moda (v. Wilson, 1985).
Secondo Simmel la moda, nonostante sia un fenomeno di imitazione, permette l'espressione della propria individualità: ciò che è alla moda offre, paradossalmente, delle possibilità di espressione personale; chi segue la moda in modo ossessivo esprime, proprio con questo, qualcosa di molto individuale.La moda permette l'espressione non solo di tratti psicologici personali, ma anche di proteste di carattere sociale. König (v., 1967) ha sostenuto che un certo tipo di moda sviluppato nell'ambiente dei gruppi culturali marginali permette agli individui di esprimere pulsioni e desideri senza vederli sanzionati dalle convenzioni sociali.
Le teorie di orientamento psicologico si interessano di solito alle motivazioni e ai bisogni individuali che darebbero origine alla dinamica della moda: ad esempio il bisogno di rafforzare il proprio ego, il bisogno di riconoscimento sociale, o anche motivazioni sessuali. La moda dà al singolo individuo un mezzo per farsi notare, ma questo bisogno di 'visibilità' non è sempre l'espressione di un desiderio di riconoscimento sociale. Esso può benissimo esprimere una rivendicazione egoistica (guardami!), messa in atto con l'adozione di una moda appariscente. In questa prospettiva la moda indicherebbe una disperata ricerca di identità in un contesto sociale insicuro, in cui le mode e le voghe esprimono l'angoscia che caratterizza il nostro tempo (v. Klapp, 1969). La ribellione allo stile dominante sarebbe dunque una protesta simbolica contro l'ordine sociale stabilito; in essa Klapp individua cinque tipi di stili ribelli: scimmiottatura, dandismo, trascuratezza, barbarismo, puritanesimo.
Queste interpretazioni della moda come espressione psicologica sono state criticate: Blumer (v., 1969), per esempio, ha osservato che considerare la moda come espressione di bisogni psicologici non spiega perché il cambiamento cui essa è soggetta sia in alcune società più rapido che in altre.A seconda dei contesti la moda metterebbe in evidenza particolari esigenze psicologiche dei vari gruppi sociali. König interpreta la moda giovanile come l'espressione del cambiamento di status dei giovani nella società: essi esprimono la loro posizione adottando una controuniforme, ossia seguendo una antimoda (v. König, 1973 e 1975). Si è fortemente criticato anche il fatto che la moda si appropri ai suoi fini della protesta sociale. Secondo Julia Emberley (v., 1987) gli stili che contengono una forma esplicita di opposizione e di protesta, per esempio il punk, sono stati talvolta incorporati nella moda come stili alternativi e l'espressione di una protesta è stata trasformata in uno stile da sfruttare economicamente.
La moda tuttavia è una possibilità espressiva generica e non solo di protesta. Gli individui della società odierna usano la moda come facile strumento per rendere esplicito il rapporto che li lega a una società sottoposta a continui cambiamenti, in cui si debbono spesso recidere i legami con il passato: la moda offre allora una via d'uscita e un collegamento con il futuro. In tal senso il fenomeno della moda è coerente con la società contemporanea (v. Blumer, 1969).Oggi i produttori di moda offrono grandi possibilità espressive, e l'abbigliamento permette quindi di individuare il colore politico, la collocazione sociale e perfino le preferenze sessuali di chi lo adotta.
Per concludere questa analisi delle capacità espressive della moda, si può notare come Simmel abbia messo in luce anche l'esistenza di un fenomeno opposto: la moda sarebbe anche una protezione, un modo di difendersi evitando una vera espressività personale. Individui sensibili possono proteggere se stessi con l'aiuto della moda, che sa fornire una maschera dietro cui nascondersi. La moda dunque non toccherebbe la sfera intima dell'individuo ma, rimanendo in superficie, offrirebbe con il suo continuo cambiamento un riparo a chi non vuole rivelare la propria personalità.
Alcuni studiosi non si sono interessati tanto alla dinamica sociale della moda, quanto ai suoi diversi cicli. Questo approccio non interpreta le mode in termini di novità: esse non nascono dal nulla ma sono, in molti casi, riscoperte di fenomeni passati. Alfred L. Kroeber (v., 1919) è stato uno dei primi a basare le proprie ricerche sull'analisi di dati empirici allo scopo di individuare un ordine nello sviluppo delle culture umane; successivamente, insieme a Jane Richardson, egli ha preso in esame sei aspetti formali degli abiti femminili per osservare i loro mutamenti ciclici durante un periodo di tre secoli: la lunghezza e la larghezza delle gonne, per esempio, vennero osservate dal 1844 al 1919. Secondo Kroeber i singoli cicli sono troppo lunghi per poter essere attribuiti a un unico stilista. Le innovazioni più notevoli si osservano quando si verifica un forte cambiamento sociale oppure nel passaggio da una generazione all'altra (v. Richardson e Kroeber, 1940). L'impostazione empirica di Kroeber e la sua ipotesi di intervalli lunghi e regolari nei cambiamenti della moda sono state seguite da altri studiosi. Dwight E. Robinson (v., 1976) analizza la periodicità della moda studiando l'evoluzione della foggia della barba nel periodo 1842-1972, e dimostra con l'aiuto di serie temporali che l'immagine degli uomini è altrettanto dipendente dalla dinamica della moda di quella delle donne. La foggia della barba segue nel suo andamento temporale una periodicità simile a quella della moda femminile. Per capire meglio come si articolano gli intervalli di tempo tra le mode ricorrenti Robinson si rifà al lavoro di Agnes Brook Young (v., 1937), la quale aveva sostenuto che i cambiamenti ciclici della moda sono dominati da alcune regole di base: ad esempio, un certo atteggiamento viene evitato con cura dai giovani di un gruppo fintanto che rientra nelle abitudini dei membri più autorevoli; un'altra regola vuole che una determinata moda possa riapparire in un nuovo ciclo solo dopo la sua totale scomparsa.
La grande rilevanza simbolica della moda è stata considerata in contrasto con la sua mancanza di importanza pratica. L'uomo moderno - razionalmente orientato, secondo la terminologia weberiana - tende ad avere un atteggiamento ambivalente nei confronti della moda, dovuto all'assenza di un suo fondamento pratico, concreto. In alcuni contesti, tuttavia, è difficile non tener conto della praticità e della razionalità (v. Sellerberg, 1987). Per questo motivo l'uomo moderno talvolta accampa pretesti e adduce motivi pratici per giustificare la sua scelta di prodotti alla moda.
Queste interpretazioni della moda come fenomeno a forte valenza simbolica hanno spesso sottolineato come essa sia un indicatore simbolico della collocazione sociale e del modo di pensare del singolo individuo. Tuttavia Mike Featherstone (v., 1991) ha osservato quanto, in realtà, nella nostra società sia tutt'altro che facile l'interpretazione dell'abbigliamento e dei consumi in generale in termini di status sociale. Il gran numero di merci in rapida circolazione sul mercato fa sì che il loro significato simbolico, soprattutto in riferimento all'appartenenza a un determinato gruppo sociale, abbia scarse possibilità di radicarsi in un quadro interpretativo stabile. Anche secondo Gail Faurschou (v., 1987) la moda oggi non è più un sistema in cui si può verificare un interscambio simbolico trasparente, come dimostra il fatto che essa non è più circoscritta al mondo dell'abbigliamento. Mentre in questo settore si manifesta soprattutto una forma di scambio simbolico, nella moda in generale non abbiamo più un sistema di scambio simbolico cui partecipano gli individui, ma piuttosto un sistema di segni (signifying system). In questa prospettiva gli abiti costituiscono un linguaggio (v. Barthes, 1960; v. Lurie, 1976): un abito appena creato si inserisce in un campo semantico, diventa parte di un esercizio semantico; ogni lettore dei giornali di moda impara come gli accessori significhino - tramite forme e colori - gioventù, primavera, ecc. (V. anche Bisogni; Consumi; Lusso).
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