MODERNISMO (ted. Reformkatholizismus)
Con questo termine o, più esattamente, con quello di modernismo cattolico si indica quel movimento di riforma interna del cattolicismo patrocinato da una minoranza del clero e, in minima parte, del laicato cattolici agl'inizî del sec. XX e condannato da Pio X soprattutto nell'enciclica Pascendi (1907). Doveva spettare alla Chiesa il dare la prima esposizione sintetica delle dottrine dei modernisti, inquadrando in formule teologiche e in un unico logico schema tendenze fra loro sparse e ispirate a indirizzi diversi, le quali rappresentavano molto spesso nei singoli modernisti più l'espressione di un temperamento individuale che non una posizione intellettuale e religiosa ben chiara e definita.
Ma se, sotto questo aspetto, l'enciclica Pascendi fu veramente "il reattivo che separa i diversi elementi di un ambiente particolarmente confuso e ne realizza la differenziazione", come documento dottrinale essa non fu, né poteva essere una compiuta esposizione storica di tutto quel movimento, né quindi poteva riuscire un quadro del modernismo nella sua genesi e nei suoi sviluppi. Occorre, per aver questo, partire dagli scritti più significativi degli stessi modernisti.
I modernisti, che hanno vivacemente protestato contro l'uso del termine "modernismo" da parte degli avversarî (il termine appare, nel senso tecnico che qui interessa, nelle opere degli scrittori antimodernisti italiani durante gli anni 1904-1905; per quanto non manchino attestazioni anteriori del suo uso in un significato assai vicino a quello canonizzato), affermavano voler essere il loro atteggiamento religioso "semplicemente quello di cristiani e di cattolici, viventi in armonia con lo spirito del loro tempo" (Programma dei modernisti).
Ma, accanto a questa disposizione particolarmente benevola verso tutte le conquiste dell'epoca moderna nel dominio della cultura e del progresso sociale" sta l'altra, assolutamente caratteristica del modernismo, di voler "adattare" la religione cattolica a tutte queste conquiste, il presupposto che il cattolicesimo possa conciliarsi con esse senza smarrire i suoi specifici connotati, e il proposito di voler rimanere a ogni costo nella Chiesa per operare una riforma in essa e non contro di essa.
È stato osservato - da scrittori modernisti o filomodernisti - che la tendenza ad armonizzare i dati centrali della rivelazione neotestamentaria con le forme mutevoli della cultura e della spiritualità "moderna" circostante, costituisce più che una crisi specifica dell'età nostra, una tendenza immanente del fatto cristiano. Ma in realtà se questa estensione, che ha un significato squisitamente polemico, coglie in un certo senso nel segno, trascura un dato essenziale del problema: l'intrinseca natura, cioè, e le caratteristiche differenziali di quella che noi oggi chiamiamo cultura "moderna", di fronte alla natura e alle caratteristiche di quello che poté essere "cultura" moderna per S. Paolo, Origene, S. Agostino, S. Tommaso.
Solo nella nostra epoca moderna, infatti, è nata una filosofia che, negando possa conoscersi un reale fuori dell'uomo e del pensiero, non solo si è iscritta in falso contro quelli che erano stati in passato i cardini di ogni metafisica, ma ha scrollato le basi stesse della fede religiosa. Solo nella nostra epoca moderna si può parlare di una scienza storica, agnostica nei suoi presupposti e totalitaria nel suo campo d'applicazione, che si accinge alla ricerca senza sapere a priori quali siano per esserne i risultati. Ed è appunto questo carattere laico, scettico e, in un certo senso, areligioso, della critica filosofica e storica moderna che conferisce al modernismo "moderno" assoluta originalità, di fronte a qualsiasi altro tentativo anteriore di rivivere, in termini di cultura "moderna", i dati tradizionali della fede cristiana.
La critica storica indipendente, figlia legittima così del soggettivismo filosofico come del positivismo, applicando alla storia delle religioni in genere e alla storia del cristianesimo in particolare gli stessi metodi d'indagine applicati alla storia profana, ha distrutto il concetto di una "storia sacra", ha considerato documenti quali il Vecchio e il Nuovo Testamento, che il fedele ritiene ispirati, come qualsiasi altro documento letterario, ne ha negato il carattere soprannaturale, ne ha messo in discussione e spesso negato il valore storico; ha contestato l'attendibilità storica di fatti (come la fondazione della Chiesa da parte di Cristo, la risurrezione di Cristo, ecc.) cardinali per la fede del cristiano; rigettando il concetto cattolico secondo il quale la rivelazione si è conchiusa con l'epoca degli Apostoli, ha considerato la storia stessa dei dogmi non già come l'enucleazione progressiva di una soprannaturale verità in germe contenuta tutta nei documenti della Rivelazione, ma come la risultante di tutta una serie di fattori umani, estranei al contenuto iniziale del messaggio cristiano. Lo stesso cristianesimo, abbassato dal metodo storico-comparativo al livello di qualsiasi altra manifestazione religiosa dell'umanità, si è veduto contestare ogni titolo privilegiato.
D'altro canto mentre filosofia e critica storica compivano questo lavoro di demolizione, le dottrine sociali, espressione della molteplicità dei fattori dai quali è nato il mondo moderno, affermavano sempre più la tendenza a considerare gli uomini in sempre nuovi ordini di rapporti: in quanto membri di una nazione, o seguaci di una particolare idealità politica, o partecipi di una determinata categoria d'interessi economici; e a questi rapporti hanno dato sempre maggior rilievo fino a minare irrimediabilmente quell'assolutezza o almeno preponderanza di valore che aveva fino allora avuto il rapporto degli uomini in quanto credenti in una stessa fede.
Chi avesse accettato come dati di fatto incontrovertibili i risultati negativi ai quali la critica storica, filosofica e sociale affermava di essere giunta, non poteva avere che due alternative: o ripudiare nettamente tutto il patrimonio religioso cattolico e cristiano, sia affermando di contro ai valori cristiani i nuovi valori sociali, sia considerando il cristianesimo e il fatto religioso in genere come un momento ormai superato della vita dello spirito (fu questo in sostanza il punto di vista difeso dall'idealismo italiano); o affermare che il cattolicesimo si raccomanda a valori più alti, non toccati dai colpi portati dalla critica moderna all'interpretazione scolastica del cattolicesimo e quindi costruire su di essi una nuova apologetica, che mantenesse al cattolicesimo la sua efficacia fra gli uomini. E fu questo l'atteggiamento assunto dal movimento modernista.
Così inquadrata la crisi modernista attinge alimento da tutto il complesso di coefficienti che hanno determinato il sorgere dell'età moderna. Facile quindi, ma assolutamente privo di significato, cercare affermazioni di un modernismo avant la lettre in scrittori anteriori a quella che si considera l'epoca della crisi. Più interessante invece ricercare nelle caratteristiche di alcuni atti del pontificato di Leone XIII, o quanto meno nella particolare interpretazione che di essi poté essere data, le ragioni immediate per le quali la crisi modernista si manifestò, come in "un momento predestinato", proprio all'indomani del pontificato di un pontefice "visibilmente desideroso di adattare l'azione della Chiesa ai bisogni del mondo moderno e di mostrare che essa ne era capace".
Alla fine del sec. XIX il cattolicesimo francese è, si può dire, all'avanguardia di quel movimento generale di rinnovamento della scienza ecclesiastica che i provvedimenti di Leone XIII sembravano voler incoraggiare. All'Institut catholique di Parigi L. Duchesne dava vigoroso impulso coi suoi lavori storici e con la pubblicazione del Bulletin critique, da lui fondato nel 1880, agli studî di storia ecclesiastica. Uno dei suoi migliori allievi, l'abate A. Loisy, applicava gli stessi metodi critici allo studio della Bibbia e nel 1896 fondava con Paul Leiay e Joseph Turmel quella Revue d'histoire et de littérature religieuses che doveva per molti anni rimanere una delle più autorevoli riviste europee di studî religiosi. M. Jacquier e J. Tixeront a Lione e P. Batiffol a Tolosa - quest'ultimo direttore, dal 1899, di un Bulletin de littérature ecclésiastique - tenevano alto il nome della scienza ecclesiastica nelle città di provincia, e il centro di studî biblici fondato a Gerusalemme dal domenicano M.-J. Lagrange pubblicava dal 1892 una Revue biblique internationale diventata ben presto organo autorevolissimo. Riviste di volgarizzazione come la Revue du clergé français e la Quinzaine diffondevano nel gran pubblico ecclesiastico e laico i risultati di questo vivace e fecondo movimento di studî e di idee. Anche in campo filosofico le Annales de philosophie chrétienne ricevevano da Ch. Denis, loro direttore dal 1889, e dalla collaborazione di L. Laberthonnière, un'impronta completamente nuova, ispirata alla tendenza di chiedere alla filosofia moderna le armi per una nuova apologetica. Nel campo sociale La vie catholique di Pierre Dabry, la Justice sociale di Paul Naudet, il Sillon di Marc Sangnier e l'attività di Jules Lemire diffondevano fra la gioventù laica cattolica e nelle file del giovane clero un vivace interessamento per i problemi sociali e per una loro soluzione in senso democratico-cristiano.
Tutta questa intensa attività - che sembrava trovare in alcune peculiari tradizioni del cattolicesimo francese il terreno più propizio al suo fecondo sviluppo e che le prime avvisaglie di una reazione in senso conservatore, lungi dal rallentare, intensificarono, creando un vasto interessamento intorno alle polemiche che ne seguirono (echi della controversia americanistica, v. americanismo; controversia provocata da L'action di M. Blondel; attacchi di J. Fontaine contro "le infiltrazioni protestanti e kantiane nel clero francese", 1901-1902) - venne a poco a poco a creare le condizioni di fatto al sorgere della crisi modernista che giunse ad avere espressione di un movimento concreto, proprio sul terreno delle clamorose, spesso babeliche, ripercussioni che destò in tutto il mondo cattolico la pubblicazione di alcune opere di scrittori cattolici francesi, prima e più significativa di tutte L'évangile et l'église di A. Loisy (1902).
Allo storico del modernismo, più che la posizione assunta in questo libro dal Loisy nei riguardi del problema, posto dalla critica indipendente, dell'essenza del cristianesimo (v. cristianesimo, XI, p. 963), interessa vedere come il Loisy, pur patrocinando in merito a questo problema conclusioni del tutto negative nei riguardi delle posizioni tradizionali, credette di poter restare sul terreno cattolico opponendo alla tesi, d'ispirazione schiettamente protestante, patrocinata da A. Harnack (Das Wesen des Christentums, 1900), di una continua degenerazione dell'originario messaggio cristiano attraverso le diverse forme del cristianesimo storico, l'altra tesi, che il Loisy presentò come cattolica, di una continua evoluzione, resasi necessaria per adattare la nozione del regno alla quale il Loisy riduceva l'essenza del Vangelo - alle condizioni variabili dei tempi e dei luoghi. Quest'evoluzione - secondo il Loisy - non va intesa "come una scorza avventizia intorno a un nucleo immutabile, ma come sviluppo organico del germe iniziale, in cui la continuità, dinamica e non statica, era data dalla persistenza dell'impulso e dello spirito originarî, non da una credenza unica, formulata astrattamente una volta per sempre" (L. Salvatorelli). Ripubblicando dopo 27 anni il suo libro il Loisy ne ha indicato chiaramente (1929) il fine apologetico e l'ispirazione modernista. Il libro aveva il fine, dice il Loisy, d'istruire il clero cattolico "sullo stato reale del problema delle origini cristiane, dimostrando contro la critica protestante che questo stato non rendeva impossibile l'apologia del cattolicesimo... Chè se l'esposizione critica rovinava incontestabilmente le dottrine assolute del cattolicesimo ufficiale... era intenzione dell'autore suggerirne la riforma nell'interesse stesso della Chiesa cattolica".
Quasi a completare quella che, da un punto di vista modernista, doveva sembrare una lacuna dell'apologetica loisyana - lo scarso posto cioè fatto dal Loisy, accanto alla tradizione, all'esperienza religiosa collettiva, pragmatisticamente intesa come fattore permanentemente creativo - entrava in lizza un laico, il matematico Edoardo Le Roy. In un articolo da lui pubblicato nella Quinzaine del 15 aprile 1905 (v. il volume successivo Dogme et critique, Parigi 1907) egli affermava di contro alla nozione intellettualista, estrinsecista del dogma cattolico, il valore prevalente del senso pratico e morale del dogma stesso, aprendo così la via a una reinterpretazione pragmatista del dogma a tutto scapito del valore intellettuale della Rivelazione. Intanto, richiamandosi al metodo apologetico difeso ne L'action di M. Blondel, le Annales de philosophie chrétienne e il loro più significativo esponente L. Laberthonnière, affermavano l'insufficienza dell'apologetica tradizionale e la necessità di sostituire questa con un'apologetica immanentista, che traesse argomento, per una dimostrazione del divino, dalle intime esigenze dell'anima individuale, sola capace di offrire una raffigurazione della verità sempre in contatto e in armonia con la vita stessa e le sue mutevoli esigenze.
Accanto a queste manifestazioni salienti del modernismo francese ha importanza capitale, nella storia della controversia, l'opera di un gesuita inglese, Giorgio Tyrrell, che, richiamandosi per più di un punto della sua formazione spirituale a idee centrali dell'apologetica di John Henry Nemman (i modernisti hanno sempre sostenuto che la proposizione 25 condannata dal decreto Lamentabili costituisce il Leitmotiv della Grammar newmaniana), formulava con chiarezza i presupposti mistici ed extrarazionali impliciti nell'interpretazione modernista del cristianesimo. Nelle sue opere pseudonime Religion as a factor of life (1902, pseudonimo Ernest Engels), The Church and the future (1903, pseudonimo Hilaire Bourdon) e nell'anonima Lettera a un professore di antropologia (ripubblicata firmata col titolo A much abused letter, Londra 1906) il Tyrrell riportava la religione a un fattore puramente extrarazionale, da lui definito "il senso dell'assoluto" (si ricordi il "numinoso" di R. Otto) e affermava che solo in un secondo momento quest'esigenza primordiale, autonoma, immanente del nostro spirito è tradotta in simboli concettuali che hanno un valore puramente pragmatico. Applicando questi concetti al cattolicismo (il Tyrrell veniva implicitamente a identificare il cristianesimo con una pura e semplice manifestazione storica del sentimento religioso) egli, contestando qualsiasi assolutezza all'intellettualismo teologico cattolico, affermava essere la Chiesa "un organismo spirituale alla vitalità del quale noi partecipiamo, mentre la teologia non è che un tentativo di questa vitalità per formularsi e comprendersi essa stessa, tentativo che può mancare in tutto o in parte, senza diminuire il valore o la realtà di questa vita". Come la coscienza è guidata dalle forze insondabili del subcosciente, così la massa dei fedeli esprime dal proprio seno il proprio governo rappresentativo. Sicché le decisioni dei vescovi e del papa stesso valgono solo in quanto esprimono questo consensus fidelium unico depositario della vera autorità della Chiesa. Indicato da un'indiscrezione giornalistica (Corriere della sera, 31 dicembre 1905) come autore della Lettera, il Tyrrell era espulso dalla Compagnia di Gesù (i febbraio 1906) e sospeso a divinis.
Tutto questo intenso moto di idee nuove destò, anche nel clero italiano, echi larghi e profondi, per quanto il modernismo italiano non si sia mostrato in quel periodo ricco d'individualità originali: la democrazia cristiana di Romolo Murri, nonostante l'innegabile influenza allora esercitata fra il clero dalla rivista La cultura sociale, è rimasta sempre sostanzialmente estranea al movimento modernista propriamente detto. Fin dal 1901 Salvatore Minocchi fondava a Firenze gli Studi religiosi che, valendosi della collaborazione di un gruppo di ecclesiastici (U. Fracassini, G. Bonaccorsi, G. Semeria, E. Buonaiuti) intendeva diffondere nel clero italiano i risultati della critica storica in tutte le branche della scienza ecclesiastica, e aiutare in tal modo "il nuovo cattolicismo italiano a trarre, dai resultati della scienza religiosa moderna, una difesa della fede e un piano di propaganda conforme alle esigenze della spiritualità contemporanea". Con identico programma lo stesso E. Buonaiuti assumeva nel 1905 la direzione di una Rivista storico-critica delle scienze teologiche, che, per essere pubblicata a Roma e con l'imprimatur della Curia, ebbe larghissima diffusione nel clero. Nel gennaio 1907 un gruppo di laici milanesi, Alessandro Casati, Tommaso Gallarati-Scotti, Stefano Jacini, Aiace Alfieri, pubblicavano una terza rivista con programma apertamente modernista: Il rinnovamento, che apriva le sue pagine alla collaborazione pseudonima di quei sacerdoti modernisti costretti dal profilarsi della reazione (nella quale si segnalarono specialmente L'unità cattolica di Firenze e La Civiltà cattolica di Roma) a un atteggiamento esterno sempre più prudente. Ma più che questa anonima, attiva, incontrollabile, opera di propaganda - forse la più significativa manifestazione, anche in seguito, del modernismo italiano - diede clamorosa notorietà al movimento un romanzo: Il Santo di Antonio Fogazzaro (novembre 1905) che intese con esso affermarsi interprete delle aspirazioni dei modernisti, ma in realtà non riuscì che a difendere un modernismo in perfetta armonia con le caratteristiche così peculiari del suo incerto temperamento.
Il caso Fogazzaro è del resto un sintomo eloquente di quello che è stato certo un fattore negativo per una possibile affermazione del modernismo: l'assoluta eterogeneità, così nelle idee come nel carattere, degli elementi che gli avversarî, a torto o a ragione, qualificavano come modernisti. L'attività schiettamente modernista di molti ecclesiastici trovava alimento nella simpatia di larghi strati del laicato, molto spesso scarsamente consapevoli di ciò che i modernisti volessero o, al più, soprattutto attirati da ciò che per i modernisti rappresentava una manifestazione assolutamente marginale: la loro simpatia per le correnti politico-sociali di sinistra; trovava favore e incoraggiamento in personalità come Friedrich von Hügel e Paul Sabatier accostatisi ai modernisti per certa vaga similarità di vedute, ma con tutte le riserve che la loro formazione spirituale, concretatasi indipendentemente dal modernismo, imponeva; stringeva pericolose alleanze con individualità marginali - quali per esempio Albert Houtin, Marcel Hébert e Joseph Turmel - estranee e indifferenti, in sostanza, al mondo vero degl'ideali modernisti; e, peggio, con quanti, molto spesso per casi e interessi assolutamente personali, vedevano nelle nuove idee più che altro un elemento di disgregazione del cattolicismo (riviste Demain, Battaglie d'oggi, Cultura moderna, Dovere). Ma, comunque, è chiaro che, pur attraverso tanta confusione di lingue, un movimento concreto era nato e dotato di vitalità sufficiente a dare se non altro alla Chiesa la sensazione di una crisi pericolosa. La reazione, manifestatasi quasi subito in seno alla parte più conservatrice del clero e quindi anche fra quegli elementi del clero stesso genericamente favorevoli a un vago spirito di modernità ma assolutamente decisi a non passare certi limiti, trovò alfine in una serie di atti della Santa Sede la sua concreta e definitiva sanzione.
Fra il dicembre 1903 e il luglio 1907 una serie di decreti del S. Ufficio poneva all'Indice dei libri proibiti alcune opere fra le più significative dei modernisti: Ch. Denis, Carême apologétique (4 dicembre 1903); opere di A. Loisy; e A. Houtin, La question biblique au XIXe siècle (23 dicembre 1903); P. Viollet, L'infaillibilité du pape et le Syllabus; opere di L. Laberthonnière; Il Santo di A. Fogazzaro (4 aprile 1906); Éd. Le Roy, Dogme et critique (26 luglio 1907). Più significativa, per valutare esattamente l'atteggiamento assunto dalla Santa Sede, l'azione della Commissione biblica pontificia la quale, prima ancora che la Pascendi precisasse il punto di vista dottrinale della Chiesa, scendeva a contestare l'attendibilità scientifica di alcune delle conclusioni critiche che più recisamente avevano impugnato le posizioni tradizionali: il 13 febbraio 1905 era risolta negativamente la questione delle citazioni implicite; il 23 giugno 1905 era riaffermato che i libri della S. Scrittura hanno carattere assolutamente storico; il 27 giugno 1906 era confermata l'autenticità mosaica del Pentateuco; il 29 maggio 1907 era confermata l'autenticità giovannea del IV Vangelo e l'assoluta attendibilità storica di questo. Il primo allarme ufficiale dell'episcopato fu quello formulato il 25 dicembre 1905 in una pastorale collettiva dei vescovi del Piemonte che è anche il primo documento ecclesiastico in cui sia stato pronunciato il termine "modernismo". Seguì l'enciclica Pieni l'animo (28 luglio 1906) diretta da Pio X specie ai vescovi italiani e che aveva però di mira principalmente la democrazia cristiana di Murri.
Ma i tre documenti nei quali si è oggi soliti compendiare l'azione antimodernista della Santa Sede sono il decreto del S. Ufficio Lamentabili (3 luglio 1907, pubblicato il 17; testo in Acta Sanctae Sedis, XL, 1907, p. 470 segg.); l'enciclica Pascendi dominici gregis (7 settembre 1907, pubblicata il 16; testo in Acta Sanctae Sedis, XL, 1907, p. 593 segg.) e il motu proprio papale Sacrorum antistitum (i settembre 1910, testo in Acta Apostolicae Sedis, II, 1910, p. 669 segg.).
Il decreto Lamentabili consta di una breve prefazione e di un elenco di 65 proposizioni ritenute erronee e pertanto condannate. La maggior parte delle proposizioni condannate sono tratte dalle opere di A. Loisy e probabilmente attraverso il memoriale presentato nell'ottobre 1903 da due teologi parigini all'arcivescovo di Parigi e contenente appunto 25 proposizioni erronee da essi estratte dai due scritti di A. Loisy, L'évangile et l'église e Autour d'un petit livre. Secondo l'acuta indagine che del decreto ha fatto J. Rivière sono in esso discernibili due ordini di proposizioni: nel primo sono sostanzialmente richiamate alcune decisioni dottrinali già da gran tempo opposte dal magistero ecclesiastico al protestantesimo e al razionalismo, e ora rinnovate in modo da "mantenere in tutto il suo rigore e da preservare... la nozione fondamentale di una rivelazione obiettiva, della quale la Scrittura ispirata contiene il principale deposito e della quale la Chiesa ha missione di assicurare la salvaguardia". Sono queste: autorità della Chiesa in materia d'interpretazione della Scrittura (proposizioni contrarie condannate nn. 2-4); sua giurisdizione sull'oggetto della fede (1, 5, 7-8); rivendicazione del concetto cattolico di rivelazione, di fede e di dogma (20-22, 25-26); condanna della posizione intesa a negare in nome della ragione ciò che si tiene per vero in nome della fede (23-24); riaffermazione del principio dell'immutabilità dei dogmi (58-65) e della nozione dell'ispirazione scritturale (9-12, 19). Nel secondo ordine le proposizioni condannate interessano punti fino allora non definiti dal magistero ecclesiastico e le condanne formulate "rispondono al bisogno del tutto nuovo di preservare contro le negazioni della critica storica l'origine dei dogmi e... di riportarne il principio iniziale al pensiero stesso di Gesù. È pertanto riaffermata la veracità storica e l'integrità dei Vangeli (contro le proposizioni condannate 13-15), specialmente è rivendicata la storicità del IV Vangelo (16-18); è stabilito che nei quattro Vangeli sono i fondamenti autentici della cristologia e soteriologia tradizionali (27-38), del dogma sacramentale in generale (39-41) e dei diversi sacramenti in particolare (42-51), della Chiesa e del primato pontificio (52-56). Il decreto condanna infine come erronea la proposizione (65) non potersi l'odierno cattolicesimo armonizzare con la vera scienza.
L'enciclica Pascendi afferma essere il modernismo un sistema complesso alla base del quale vi è una concezione filosofica che ha i suoi cardini in un atteggiamento puramente negativo (agnosticismo) e in una dottrina positiva che fa scaturire la verità religiosa dai bisogni della vita (immanenza vitale). Fede è quindi percezione, in virtù della legge d'immanenza, di Dio presente nell'intimo dell'uomo e il dogma si forma per via di sviluppo vitale grazie al lavorio dell'intelletto su questo dato primitivo. Il modernista, come storico, scarta ogni elemento soprannaturale e domanda alla sola immanenza le armi della sua apologetica. Come riformatore il modernista esige la riforma dell'insegnamento nei seminarî, l'espurgazione del catechismo e delle pratiche devozionali, l'adattamento del governo ecclesiastico alla democrazia moderna, con riguardo speciale al S. Ufficio e all'Indice; riprende il programma degli americanisti sul primato delle virtù attive, vuole ricondotto il clero all'antica umiltà e povertà e abolito il celibato ecclesiastico. Il modernismo, "sintesi di tutte le eresie" e "strada all'ateismo" trova la sua genesi psicologica in due cause morali (curiosità e superbia) e in una intellettuale (ignoranza). L'enciclica si diffonde quindi nel descrivere "le arti dei modernisti nel propagare i loro errori" e nell'elencare una serie di rimedî, anche pratici, per combatterli: principalissimo quello di imperniare tutto l'insegnamento seminaristico sulla filosofia e teologia scolastica.
Il motu proprio Sacrorum antistitum, ha soprattutto importanza perché prescrisse a tutti i sacerdoti il cosiddetto giuramento antimodernista che è sostanzialmente la professione di fede di Pio IV, aggiornata dopo il 1870 per accogliere la definizione dell'infallibilità pontificia, e integrata con un supplemento avente di mira il modernismo.
Non si può negare che questi atti della Santa Sede sembrarono apportare in un primo momento una recrudescenza nell'agitazione. Ma in realtà il modernismo francese con la scomunica (7 marzo 1908) del Loisy e peggio, con l'aver questo praticamente rinnegato il suo atteggiamento modernista, perdette quasi di colpo, almeno in quanto movimento, ogni forza di propulsione, nonostante qualche tentativo isolato, come il manifesto Lendemains d'encyclique (gennaio 1908) firmato "catholici", ma ispirato da mons. Lacroix vescovo di Tarentaise. Né l'aperta, vivacissima opposizione agli atti della Santa Sede spiegata in senso apertamente modernista da G. Tyrrell, riuscì a mantenere in vita intorno a sé (come poteva ritenersi) un saldo movimento, stroncato come fu dalla morte di lui, improvvisamente sopravvenuta il 15 gennaio 1909. Né, infine, si dimostrarono più vitali alcuni tentativi o abbozzi di tentativi di organizzazione internazionale: principale la fondazione a Ginevra di una Revue moderniste internationale diretta da Antonino de Stefano e pubblicata nel gennaio 1910 (cessò le pubblicazioni nel giugno 1912) quando già la fase acuta della crisi poteva dirsi domata.
Singolare l'atteggiamento di resistenza provocato dagli atti della Santa Sede in Germania. Il modernismo tedesco, ha riconosciuto Th. Engert, che pure ne è stato uno dei principali fautori, ha tutte le caratteristiche dell'articolo d'importazione. Infatti, sarebbe difficile scorgere negli scritti apologetici di Hermann Schell (1850-1906), per quanto ispirati a vivo sentimento liberale, anche il più tenue rapporto con il metodo d'immanenza e in genere con tutte le posizioni tipiche dell'apologetica e della critica modernista. Né la lotta contro l'ultramontanismo condotta da Fr. X. Kraus (1840-1901) e, dopo di lui, dalla Krausgesellschaft, può essere comunque assimilabile al modernismo. Il quale si sviluppò in Gemania in opposizione alla Pascendi e soprattutto al motu proprio imponente il giuramento antimodernista, come difesa dell'autonomia della scienza religiosa nel cattolicismo e come grido d'allarme in vista della situazione d'inferiorità nella quale, ottemperando alle disposizioni della Santa Sede, i professori delle facoltà cattoliche tedesche si sarebbero venuti a trovare - come essi affermavano - di fronte ai proprî colleghi protestanti. Sta di fatto che se queste polemiche condussero in Germania a qualche atto isolato di rottura definitiva (Taddeo Engert, Giuseppe Schnitzer, Francesco e Costantino Wieland, Ugo Koch), la Santa Sede stessa fu indotta a considerare in modo tutto particolare la situazione tedesca e ad accordare ai professori di quelle facoltà teologiche cattoliche, i quali non avessero cura d'anime, l'esonero dall'obbligo di prestare il giuramento antimodernista.
In Italia mentre R. Murri credeva di poter approvare in pieno l'enciclica Pascendi (v. il suo scritto La filosofia nuova e l'enciclica contro il modernismo, Roma 1908) e separava nettamente la sua azione da quella dei modernisti (ma ciononostante era scomunicato il 22 marzo 1909), mentre S. Minocchi, sospeso a divinis (23 gennaio 1908) in seguito ad alcune conferenze sulla Genesi, abbandonava definitivamente la causa modernista; mentre il famoso convegno modernista di Molveno (settembre 1907) si chiudeva senza che i partecipanti (Fr. von Hügel, A. Fogazzaro, U. Fracassini, E. Buonaiuti, B. Casciola, F. Mari, R. Murri, L. Piastrelli, T. Gallarati-Scotti, A. Casati) avessero potuto - lontani come erano l'uno dall'altro per idee e preparazione - accordarsi su un qualsiasi piano di azione pratica; la resistenza più attiva era organizzata da un gruppo di sacerdoti romani capeggiato da E. Buonaiuti, all'opera del quale è stata attribuita la redazione de Il Programma dei modernisti; risposta all'enciclica di Pio X (Roma 1908), delle Lettere di un prete modernista (Roma 1909) e la direzione effettiva della rivista Nova et Vetera (Roma 1908).
Erano queste le ultime voci di un movimento che andava incamminandosi verso la sconfitta. Che fu certamente determinata dagli atti della Santa Sede, dall'opera di repressione in mille modi esercitata dalla grande maggioranza del clero, dall'indifferenza e spesso dall'ostilità di buona parte della cultura laica, ma anche, e non fu certo ultimo fattore, da alcune intime, intrinseche caratteristiche del movimento stesso. Il quale trovava storicamente i suoi presupposti lontani in un'interpretazione eccessivamente larga di alcuni atti di Leone XIII e della continuità che essi avrebbero potuto avere sotto il governo del suo successore. E soprattutto, è stato espressione di esigenze di ordine troppo spiccatamente intellettuale, per essere sentite profondamente da quella massa fidelium nella quale pure il Tyrrell asseriva consistere la vita vera della Chiesa. Inoltre, il modernismo ricevette espressione concreta nella difesa di posizioni - come quelle del Loisy - che pure rappresentavano un momento puntuale, evanescente, assolutamente passeggero di una crisi individuale destinata a proseguire la sua evoluzione e a sfociare prestissimo in una aperta professione d'incredulità. Chi consideri quanti modernisti seguirono evoluzioni analoghe a quella del Loisy per finire poi in professioni di puro razionalismo; chi pensi che a pochi mesi di distanza lo stesso scrittore che nel Programma dei modernisti aveva riaffermato la possibilità di conciliare la vita della Chiesa con certe posizioni assolutamente negative della critica storica e filosofica moderna, patrocinava nelle Lettere di un prete modernista l'ideale di un socialismo cristiano da predicare fuori dei quadri della Chiesa, non può non concludere che il modernismo, come programma di riforma interna della Chiesa, portava in sé stesso, in certa contradditoria assurdità del suo programma, il motivo più profondo del suo insuccesso.
Eppure, ancora di recente si è potuto parlare di modernismo come di una posizione spirituale tuttora difensibile da quanti siano disposti ad affermare - come ha scritto uno di questi "modernisti" - "il valore predialettico della religiosità, il contenuto morale ed escatologico del messaggio cristiano, la continuità dell'evoluzione cristiana nella storia, il ritorno ai dati eterni del Vangelo in vista d'un rinnovellamento universale degli spiriti, nelle categorie "numinose" della salvezza morale" (E. Buonaiuti, Le modernisme catholique). Ma è chiaro che un modernismo così inteso può essere solo difeso da quanti intendano rivivere il cristianesimo fuori dell'ambito della tradizione canonizzata di ogni chiesa.
Bibliografia
La migliore opera storica sul modernismo è quella di J. Rivière, Le modernisme dans l'église, Parigi 1929 (cattolica), con una completa bibliografia (pp. xiii-xxix). Gli atti e i documenti ufficiali in A. Vermeersch, De Modernismo. Tractatus et notae canonicae, Bruges-Parigi-Roma 1910 (cattolica). Si veda inoltre, fra le opere più note: A. Houtin, Histoire du modernisme catholique, Parigi 1913 (opera classificata dal Rivière fra quelle degli "increduli"); J. Schnitzer, Der katholische Modernismus, in Zeitschrift für Politik, V (1912), pp. 1-218 (modernista); M.D. Petre, Modernism. Its failure and its fruits, Londra 1918 (modernista); G. Gentile, Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, 2ª ed., Bari 1921 (esprime il punto di vista dell'idealismo italiano); E. Buonaiuti, Le modernisme catholique, Parigi 1927 (modernista).