Mohammad Reza Pahlavi
Secondo e ultimo scià dell’Iran della dinastia Pahlavi (Teheran 1919-Il Cairo 1980). Salì al trono nel 1941, dopo l’abdicazione forzata del padre Reza, e intraprese una politica di modernizzazione del Paese dall’alto, non senza incontrare da subito un’ampia opposizione interna, che si rivelò durante il braccio di ferro con il primo ministro M. Mossadeq, fra il 1951 e il 1953. Mentre si rafforzava l’alleanza con i Paesi del blocco occidentale, il regime dello scià s’irrigidì notevolmente all’interno. Nel 1963, il lancio della cd. rivoluzione bianca, volta a riformare e modernizzare radicalmente le strutture economiche e sociali del Paese, condusse allo scontro dello scià con vasti settori della società, in particolare con il clero sciita conservatore, guidato dall’ayatollah R. Khomeini, poi costretto all’esilio. Proseguì nello sforzo di accrescere il peso politico e militare del suo Paese sulla scena internazionale con una politica di prestigio culminata nelle celebrazioni fastose dei 2500 anni della monarchia iraniana, nel 1971, e con l’armamento dell’esercito, entrambi finanziati dalle ingenti rendite petrolifere. Sul versante interno, il suo regime divenne autocratico – con l’abolizione del parlamentarismo – e poliziesco, con la brutale repressione di ogni tipo di opposizione. I disordini iniziati nel 1977, che avrebbero condotto alla rivoluzione del 1979, colsero di sorpresa gli osservatori internazionali, rivelando il suo isolamento. Incapace di contenere le manifestazioni di dissenso, abbandonò il Paese all’inizio del 1979, dirigendosi prima negli Stati Uniti per ricevere cure mediche, quindi in Egitto, dove morì.