Mondo come volonta e rappresentazione, Il (Die Welt als Wille und Vorstellung)
(Die Welt als Wille und Vorstellung) Opera (1819; edd. ampliate 1844, 1859) di A. Schopenhauer. Sviluppando le tesi esposte nella precedente opera, Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (1813, 2a ed. 1847), Schopenhauer organizza la «struttura organica» (Prefazione) dello scritto in quattro parti, cui segue l’appendice Critica della filosofia kantiana (Kritik der Kantischen Philsophie) e, nelle edd. successive, vengono aggiunti i Supplementi (Ergänzungen). Il mondo è una ‘rappresentazione’ sottomessa al «principio di ragione» (I), ossia allo spazio e al tempo, e alla «legge della causalità»; tale principio, che determina sia l’esperienza sia i giudizi, e unifica soggetto e oggetto nell’ambito della rappresentazione, ha un’esistenza solo relativa, «è Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali» (I, 3). Il mondo è però anche volontà (II), conosciuta attraverso il corpo, in quanto «tutto unico» (II, 18) con l’atto del corpo che la oggettiva. La volontà, «quell’alcunché direttamente conosciuto da ciascuno», è l’«unica conoscenza che abbiamo dell’intima essenza del mondo» (II, 22). Essa, in quanto «cosa in sé» è l’essenza sia del mondo sia dell’individuo, ma non si esaurisce in essi; ‘motivi’ e accadimenti sono soltanto determinazioni occasionali in cui si manifesta (II, 20). La volontà che precede la rappresentazione, e dunque non sottostà al principio di ragione, trascina l’individuo, sua funzione, come tendenza infinita verso l’esistenza, scevra di ragioni o scopi (II, 29). La rappresentazione può essere considerata indipendentemente dal principio di ragione, nell’oggetto dell’arte (III). Mediante la fugace e disinteressata contemplazione estetica si perviene, infatti, all’oggettivazione eterna e immutabile della volontà nelle idee platoniche, colte dalla metafisica dell’arte. Le idee, diversamente dai concetti, determinano i fenomeni, ma restano al di fuori della rappresentazione; esse vengono colte mediante il ‘genio’ (III, 36) presente, in diversa misura, sia in chi realizza l’opera d’arte, sia in chi la «apprezza» (III, 37). Nella gerarchia delle arti (e delle idee) il vertice è rappresentato dalla musica, espressione diretta della volontà: «la musica non è […] come l’altre arti, l’immagine delle idee, bensì immagine della volontà stessa» (III, 52). Diversamente dalla contemplazione estetica, che rende possibile il superamento della rappresentazione, l’ascesi, cui Schopenhauer dedica la parte conclusiva dell’opera, rende possibile il superamento della volontà fino a giungere alla sua negazione (IV). La liberazione dall’egoismo, illusione prodotta dalla volontà che origina insoddisfazione e dolore, viene indagata nei diversi livelli della ‘giustizia’, discoprendo la sovrapersonale ‘eterna giustizia’ (fondata sull’«identità della volontà in tutti i suoi fenomeni», IV, 64) della ‘compassione’ (superamento della distinzione fra la propria e l’altrui persona; IV, 67) e dell’‘ascesi’ (IV, 68), sereno distacco dai dolori come dai piaceri illusori della vita e accettazione della morte che culmina nella ‘negazione della volontà’, intesa nella sua essenzialità come volontà di vivere, una «conoscenza negativa» che culmina nel nulla assoluto (nihil negativum): «non più volontà, non più rappresentazione, non più mondo» (IV, 71).