moneta
Strumento che funge da intermediario degli scambi e da comune misura dei valori. Con l’ampliarsi dei mercati e il progredire della divisione del lavoro nella storia sono andate crescendo l’esigenza di andare oltre la produzione per il consumo diretto e oltre il baratto e, con essa, la ricerca di un bene che svolgesse appunto sia la funzione di intermediario negli scambi sia quella di misura di valore. I beni più diversi sono stati scelti come m.: conchiglie, bestiame, pelli, e infine metalli, quelli nobili, come l’oro e l’argento, e altri metalli e leghe, come il rame e il bronzo. I metalli nobili costituiscono la m. fondamentale, usata negli scambi di rilevante entità; gli altri metalli vengono usati nei piccoli pagamenti e costituiscono la m. detta divisionaria o sussidiaria. Alle m. metalliche, con il passare del tempo, si sono affiancate quelle cartacee.
La prima utilizzazione dei metalli, soprattutto preziosi (oro, argento), come intermediari dello scambio si ebbe sotto forma di lingotti, che venivano pesati a ogni transazione. Successivamente l’apposizione di un marchio sui lingotti a garanzia della buona qualità del metallo e del peso semplificò le operazioni di pagamento, eliminando la necessità delle ripetute pesature, e rappresentò il passaggio alla m. vera e propria. Tuttavia la transizione non fu rapida, né simultanea in tutte le aree interessate: si verificò anche l’uso contemporaneo dei due sistemi in uno stesso luogo. Il passaggio al nuovo strumento monetale avvenne negli ultimi decenni del sec. 7° a.C. a opera dei lidi. Le prime serie monetali lidie ebbero forma globulare e notevole spessore; una faccia era adornata da immagini in rilievo (per lo più teste di animali). La produzione di esemplari di dimensioni diverse, fino a frazioni piccolissime, assicurò alla giovane m. la più larga possibilità di utilizzazione. Queste m., e quelle simili emesse da varie città greche dell’Asia Minore e dell’Egeo, erano realizzate in elettro, una lega di oro e argento. Trattandosi però di una lega naturale, poteva essere varia la proporzione reciproca dei suoi componenti, cosa che alterava il valore delle monete. Questo inconveniente consigliò la sostituzione dell’elettro con l’oro e/o con l’argento. Dalla tradizione è attribuita al re Creso (560-540 a.C.) l’introduzione di una regolare monetazione bimetallica: in puro oro e in puro argento, con un rapporto di valore reciproco tra le monete di 1/20. Nel passaggio alla Grecia propria e alle isole, la m. privilegiò l’impiego dell’argento, presente con abbondanza nelle miniere locali. Si ritiene che appartengano a Egina le prime m. della Grecia, che su una faccia recavano l’immagine di una tartaruga. Questa m. ebbe larghissima diffusione, legata anche all’intensa attività mercantile degli egineti, e il suo standard ponderale fu imitato da altre città della Grecia, di Creta, dell’Asia Minore. Con la monetazione ionica presenta qualche somiglianza anche la prima produzione di Atene, le cosiddette m. araldiche. Si trattava di emissioni contemporanee di didramme che, come nell’elettro, avevano tutte il medesimo quadrato incuso sul rovescio, ma una gran varietà di immagini sull’altra faccia. Emesse per qualche decennio, a partire dal 560 circa a.C., queste serie sembra fossero destinate comunque a un uso locale. Con ben altri propositi nacque la nuova monetazione ateniese, che sostituì le m. araldiche alla fine del sec. 6°. La nuova monetazione si basava su un pezzo da quattro dracme (tetradracma), e si qualificava immediatamente come ateniese soprattutto attraverso le immagini: la testa con elmo di Atena su una faccia, la civetta, uccello sacro ad Atena, sull’altra. Efficace strumento per i traffici internazionali, le tetradracme si diffusero rapidamente raggiungendo la Sicilia, l’Egeo e altre regioni lontane. Tra le numerose zecche greche più antiche deve essere ricordata anche quella di Corinto, rivale tradizionale di Atene, la cui m. cominciò a circolare forse intorno al 570-560 a.C. La diffusione della m. fu assicurata sulle coste del Mediterraneo, fino alla Magna Grecia. Anche numerose città dell’Italia meridionale si aprirono all’uso e alla produzione di m. negli ultimi decenni del sec. 6°: si trattava di colonie greche, le quali si adeguarono ai modi di far m. della madrepatria. Originali e peculiari di questa area gli argenti coniati a Sibari, Crotone, Metaponto e Caulonia. Si trattava di tondelli sottili che ripetevano la stessa immagine (una per ogni polis) su entrambe le facce, rendendola in rilievo su una e in incavo sull’altra. Quanto alle prime zecche della Sicilia greca, esse furono aperte, negli ultimi decenni del sec. 6°, a Nasso, Zancle, Imera, Selinunte, e poi a Gela, Agrigento e Siracusa. Nel 5° secolo si registrò l’esplosione della m. siracusana, che raggiunse un eccezionale volume di massa monetata, sulla quale venne ripetuto il tema della quadriga sul dritto, e della testa femminile (la ninfa Aretusa) sul rovescio. Contemporaneamente, anche altre zecche greche di Sicilia parteciparono della stessa temperie artistica, ma nessuna di queste serie monetali raggiunse l’ampiezza di circolazione della m. della madrepatria greca. Un fenomeno in certo senso analogo si ripeté soltanto durante l’ellenismo con le serie di Filippo di Macedonia prima, e poi, ancor più, con quelle di suo figlio, Alessandro Magno. Questi modellò la propria monetazione trimetallica sul sistema attico, facendola diventare il circolante unico all’interno del suo vasto impero (336-323 a.C.). Le numerose zecche attive contemporaneamente, impiantate via via nei territori di nuova accessione, coniavano tutte le medesime m., con il nome di Alessandro e le immagini di Atena, Zeus, Eracle. Era così superato il particolarismo monetale greco col superamento di quello politico. Il ritratto farà la sua apparizione sulle m. con i successori di Alessandro. I primi saranno Tolomeo I in Egitto e Seleuco Nicatore in Asia. Fu così introdotta una sostanziale innovazione: la rappresentazione di un personaggio vivente, prima d’allora vietata sulla m. greca, e che sarebbe rimasta oggetto di interdizione anche tra i Romani. Questi inizialmente utilizzarono le sole immagini divine per adornare le m.; solo nella tarda fase repubblicana iniziarono ad apparire i ritratti di personaggi defunti, a partire dagli antenati dei magistrati. Le teste postume di Silla e di Pompeo precedono il caso di Cesare, ritratto vivente su m. del 44 a.C. I suoi successori, i triumviri, non ebbero remore a coniare m. col proprio ritratto, spianando la strada agli imperatori. Alla m. Roma arrivò piuttosto tardi, allineandosi alla Grecia nella tecnica, nello stile e nel peso, per produrre, in parte nella stessa Italia meridionale, alcune serie di argento e di bronzo. Nell’Urbe invece si iniziò fondendo pesanti m. di bronzo, organizzate in un sistema di multipli e sottomultipli di un’unità chiamata as (asse). L’asse, che era contrassegnato dalla testa di Giano e dalla prora di una nave e inizialmente aveva il peso di una libra, fu poi (probabilmente fra il 4° e il 3° sec. a.C.) raccordato nel valore alle nuove serie dell’argento, quelle del denario, la m. destinata a rimanere basilare nel sistema romano. L’abbondante emissione di serie successive di denari, caratterizzati da immagini sempre diverse, contrasta con la fissità delle raffigurazioni del bronzo. Quest’ultimo, soprattutto sotto forma di assi, costituisce la massa monetaria circolante a Roma per tutto il periodo repubblicano e oltre, registrando una progressiva diminuzione di peso. La riforma di Augusto, intorno al 23 a.C., stabilì che l’asse, come il suo sottomultiplo semisse, fosse coniato in rame, diversamente dall’altro sottomultiplo (quadrante) e dai due multipli (dupondio e sesterzio), realizzati in oricalco, una lega simile all’ottone. Il provvedimento stabilizzò il peso di tutte le m., e introdusse un rapporto fisso di valore tra l’oro e l’argento (la cui coniazione era riservata strettamente all’imperatore), permettendo così l’adozione di un sistema bimetallico. La m. aurea divenne parte regolare della monetazione. Il suo peso tuttavia subì una graduale erosione, corrispondente a quella del denario, codificata dagli interventi di riforma del sistema monetale posti in atto da alcuni imperatori, da Nerone (64 d.C.) a Caracalla (215 d.C.). Con quest’ultimo al posto del denario fu introdotto l’antoniniano, in lega migliore, così chiamato dal nome dello stesso Caracalla, Antoninus. Fu Aureliano, restauratore dell’unità dell’impero, a tentare nel 274 di riportare ordine anche nella monetazione: incidendo sul contenuto metallico dei nominali, diede nuovamente al pezzo d’oro il valore del suo contenuto e contrassegnò il circolante argenteo (peraltro ormai prodotto in una lega al 5% di argento) con il segno di valore. I provvedimenti presi successivamente da Diocleziano (284-305) diedero una base sistematica a queste innovazioni: fu attribuito un valore fisso alle m. d’oro e d’argento; fu abolito l’asse e creato un nuovo valore, il follis. Inoltre per la prima volta l’impero romano, in tutta la sua estensione, riuscì a far uso di una m. comune, uniforme nei nominali, nelle immagini, nei modi della circolazione. Tuttavia le nuove m. d’argento e di bronzo furono travolte da una progressiva diminuzione di valore. L’aureo invece, giunto inalterato a Costantino (307-337), fu battuto col nuovo nome di solidus, e rimase il nominale di base di queste e delle successive monetazioni in oro, arrivando con le stesse caratteristiche fino al Medioevo. Furono inoltre introdotti due nuovi nominali argentei, la siliqua e il suo doppio, il miliarense, quest’ultimo ancora in uso in età bizantina. Il sistema monetario in vigore al volgere del sec. 4° appare piuttosto semplificato: da una parte fu limitato il numero delle zecche attive, e a una sola tra esse (normalmente quella della sede imperiale) fu riservato il diritto di coniare l’oro; dall’altra, venne ridotto il numero dei nominali in corso a tre aurei (con preferenza per solido e tremisse), tre argentei (con predominanza della siliqua) e quattro bronzi (con un nuovo nominale, il piccolo centennionale, che finì per sostituire il follis). Con la morte di Teodosio (395) e la spartizione dell’impero tra i suoi due figli, Onorio e Arcadio, si accentuò l’indipendenza di ciascuna parte dell’impero nella scelta dei nominali da coniare. Tuttavia giuridicamente e formalmente il sistema monetario rimase unitario. Nelle linee generali questo sistema fu ereditato dai regni romano-barbarici e dall’impero d’Oriente, ma presto dovette essere riadattato alle variate condizioni e disponibilità. Si rese anzitutto necessario, a Occidente come a Oriente, surrogare la carenza di nominali di argento con l’emissione di nuovi esemplari di bronzo e si riprese l’uso di indicare sulle m. il loro valore.
Allorché i barbari si insediarono nelle province dell’impero non avevano m. propria, ma conoscevano quella romana, che era loro pervenuta attraverso il commercio, il pagamento dei mercenari, i tributi. Di essa continuarono a servirsi, e quando iniziarono a coniarne di propria la modellarono su quella: così fu per l’oro di svevi, visigoti, franchi, burgundi, così per l’argento di ostrogoti e vandali. L’imitazione della m. romana si spinse fino alla riproduzione delle immagini e alla riproposizione dei ritratti dei defunti imperatori. In alcuni casi tuttavia, su m. di argento, accompagnò questa tipologia il monogramma della nuova autorità: i primi esempi in Italia furono dovuti allo svevo Ricimero (461-465), su m. di Severo, seguito dall’erulo Odoacre (476-493), che fece del proprio monogramma, in m. ravennati, il soggetto che riempiva l’intero campo del rovescio. Ben presto il nome venne indicato per intero: l’ostrogoto Teodorico (493-526) lasciò comparire il proprio nome per esteso su esemplari di bronzo. Con la riforma della monetazione bizantina, intrapresa da Anastasio I (498), i grandi multipli di bronzo contraddistinti dal segno del valore, allora introdotti, segnarono l’inizio della divaricazione tra le monetazioni d’Oriente e d’Occidente. I pesanti nominali bizantini, nati in Oriente, vi rimasero confinati, senza alcuna incidenza sulla circolazione occidentale. Questa di contro consentì al bronzo un ruolo sempre meno significativo, che condusse all’abbandono della relativa coniazione. Tra i Merovingi intanto la m. cessava di essere prerogativa esclusiva dello Stato: chiunque avesse disponibilità di oro, poteva convertirlo in m.; ed essenzialmente aurea fu la monetazione merovingia, che imitò, ancora, i tipi imperiali, ma sostituendo al nome dell’imperatore quello del monetiere o del re. Questa m. privata ebbe lunga vita, e solo ai Carolingi riuscì di restaurare in modo definitivo il monopolio statale della monetazione. Lo stesso cammino percorse la Britannia, che a seguito dell’invasione degli anglo-sassoni aveva smesso la produzione e la circolazione di m.: nel sec. 7° riprese a batterne a opera di privati, dando luogo all’emissione di thryma in oro e sceattas in argento. Al contrario, nell’Italia contemporanea la centralizzazione della produzione monetale fu ribadita con forza dal re longobardo Rotari (635-652) in un editto che comminava pene severe a quanti emettessero m. al di fuori dell’autorità imperiale. Ma la m. d’oro andò lentamente cedendo a quella argentea, che nel sec. 8° finì per sostituirla totalmente. Questo processo venne portato a compimento da Carlomagno (768-814), che recuperò il perduto carattere pubblico della monetazione. Introdusse quindi il suo denaro d’argento, che fu la m. dominante nella circolazione europea per i successivi secoli. Con la frammentazione dell’impero carolingio seguita alla morte di Carlo, scomparve nuovamente in Francia la direzione centrale della coniazione. I conti, ai quali erano stati affidati da Carlomagno la responsabilità e il controllo della coniazione, se ne fecero signori, e cominciarono a emettere m. nel proprio interesse, seguiti da vescovi e monasteri. La parcellizzazione della m. fu seguita da una fase di carenza dell’argento, e successivamente da una carenza della stessa moneta, che investì gran parte dell’Europa occidentale. Nel secolo successivo la Germania si dotò di una ricca monetazione argentea, che si estese alla Boemia e poi alla Polonia e alla Scandinavia. Intanto l’oro, che non era più monetato in Europa, rimase in uso secondo modalità diverse tra i bizantini e tra i musulmani della Spagna e dell’Italia meridionale. Nel 12° sec. alle m. si affiancarono le , ossia i titoli di credito. Le più significative trasformazioni del sistema monetario europeo si verificarono però nel sec. 13° con l’introduzione di una nuova m. d’argento, il grosso, e con la ricomparsa della m. aurea. L’operazione mirava a fornire a un’economia in rapida espansione un adeguato mezzo di pagamento, e fu sostenuta dall’accresciuta disponibilità di metalli nobili. In Italia, dove questi fenomeni monetali trovarono la loro origine, essi furono indotti da una progressiva svalutazione della m. d’argento. Venezia però, dovendo costruire nuove navi per le crociate, e dunque sostenere ingenti pagamenti, avvertì la necessità di una m. con un più alto potere d’acquisto. Nacque così nel 1202 il primo ducato d’argento, più generalmente noto come grosso o matapan. Si trattava di un pezzo da 2,2 g di argento purissimo (965‰), emesso in rapporto fisso con il denaro, al nome del doge Enrico Dandolo. Il matapan si dimostrò subito m. di gran successo, replicata da tante altre zecche dell’Italia centrosettentrionale, mentre nel Sud Carlo I d’Angiò, re di Napoli, coniò il carlino d’argento. Questo ha le stesse impronte del carlino d’oro o saluto, il nominale che completò la riforma del 1278. Anche nel resto dell’Italia comparve in quegli anni la m. d’oro: nel 1252 a Genova col genovino e a Firenze col fiorino, pesanti entrambi 3,5 g di oro puro, ai quali si aggiunse nel 1284 lo zecchino veneziano. In particolare, gli ultimi due influenzarono la successiva monetazione d’Oltralpe (il fiorino) e del Mediterraneo orientale (lo zecchino). Dall’Italia queste innovazioni si estesero a tutto l’Occidente. Così, per es., la Francia, che visse nel sec. 13° lo sviluppo della monetazione reale a scapito di quella feudale, emise con Luigi IX (1266) un grosso d’argento fino, a imitazione di quelli delle città mercantili italiane: fu il primo grosso battuto fuori d’Italia, ripreso quindi da numerose zecche, in Provenza, in Olanda, in Renania ecc. Minore successo riscosse la creazione dello scudo d’oro, col quale la Francia tornò al bimetallismo monetario. Dalla Gran Bretagna, invece, la sterlina si diffuse sul continente nel sec. 13°, al seguito dell’espansione del commercio inglese e delle spedizioni oltremare. La crisi economica del sec. 14° ebbe i suoi effetti anche nel sistema monetale. Nella prima metà del secolo, la svalutazione della m. d’argento, che si accompagnò alla carenza dello stesso metallo, era in contrasto con l’abbondanza di oro e di monete dello stesso metallo. In Italia molti nominali aurei circolavano al Nord e al Centro; al Sud invece l’oro praticamente cessò d’essere coniato, sostituito dall’argento. Si diffuse intanto nel commercio mediterraneo il gigliato, emesso in massicce quantità a Napoli da Carlo II d’Angiò (1303) e poi per lungo tempo dai suoi successori. L’omologo siciliano del gigliato fu il pierreale creato da Pietro e Costanza nel 1282, per una certa fase m. egemone nel Mediterraneo occidentale. L’Inghilterra viveva intanto una fase di floridezza economica, nella quale il grosso (groat) d’argento era fortemente sopravvalutato in rapporto alle corrispondenti m. straniere. Ben presto le esigenze finanziarie poste dalla guerra dei Cent’anni imposero coniazioni auree, che si stabilizzarono nel noble. Nel frattempo però intervennero in Europa modifiche della monetazione così significative da fare del sec. 15° il discrimine tra la m. medioevale e la m. moderna. Ancora una volta i fenomeni presero l’avvio dall’Italia: qui nacque la lira d’argento, che rimpiazzò le piccole e sottili m. precedenti; la coniazione del biglione venne pian piano abbandonata a favore di serie in rame; sulle nuove monete fu introdotto il ritratto. Francesco Sforza affidò le proprie fattezze al ducato d’oro milanese, dando luogo alla prima m. italiana con ritratto (1450). Il suo successore, Galeazzo Maria Sforza, estese l’apposizione del ritratto alle m. d’argento, tra le quali la lira (o testone), creata nel 1474, diventò il modello per le serie similari del resto d’Italia. Anche la produzione papale assunse con Nicolò V (1447-1455) caratteristiche simili: due nominali d’oro, il ducato papale, di peso e valore pari al ducato veneziano, e il ducato di camera, più leggero, portavano le immagini dei santi Pietro e Paolo, e facevano riferimento al pontefice in carica attraverso il suo stemma. Ma presto anche lo Stato pontificio aderì alla moda del ritratto, e Sisto IV (1471-1484) fece raffigurare il proprio. Altrettanto alta la qualità dei ritratti che Ferrante d’Aragona (1458-1494) impose alle sue abbondanti emissioni napoletane di ducati e di grossi. Queste innovazioni peraltro trovarono riscontro oltralpe, come negli esemplari tagliati sulla dimensione dei testoni nella Germania meridionale, o nel guldiner di Sigismondo del Tirolo. Una generale disponibilità di metalli preziosi, provenienti da vecchie e nuove miniere, oltre che dall’arrivo in India dei portoghesi e in America degli spagnoli, aprì infine la nuova era.
Nel 1484 proprio in Tirolo si ebbero i primi talleri d’argento. A queste grosse m. si accompagnava la monetazione di rame, puro o in lega di bronzo, che venne introdotto per dare alle m. di poco valore maggior peso e consistenza. Con l’inizio dell’epoca moderna il campo della storia monetaria si fa più vasto e indeterminato, mancando un punto comune di riferimento. Il bimetallismo prevaleva in quasi tutta l’Europa occidentale; nell’Oriente, dopo la caduta di Bisanzio e l’avvento degli arabi, iniziò a vigere la m. aurea. La scoperta di nuove miniere d’argento in Europa e l’inizio dei traffici con il Nuovo Mondo portarono a un rivolgimento. Il formarsi di grandi Stati la cui m. acquistava più larga diffusione costringeva i piccoli Stati a mettersi sulla via dell’imitazione e della contraffazione, che furono tra i maggiori mali della circolazione monetaria moderna. La lettera di cambio, intanto, cominciava ad acquisire una funzione di tipo monetario, grazie all’introduzione della «girata», che poteva essere ripetuta più volte, fino a quando chi riceveva la lettera di cambio non decideva di riscuotere in m. la somma promessa. Contro le lettere di cambio, le banche potevano offrire le proprie promesse di pagamento, che erano anch’esse accettate come m., e che tesero a soppiantarle. La m. riuscì tuttavia a mantenere il suo primato come strumento di scambio. Perfezionamento materiale notevole nel conio delle m. si raggiunse verso la metà del sec. 17°, quando le zecche maggiori cominciarono a battere m. di regolare forma rotonda; fra il sec. 17° e il 18° le m. erano in genere perfettamente regolari, con impronte precise. Anche la composizione delle figurazioni raggiungeva spesso valore d’arte. Il moltiplicarsi delle specie, il variare continuo del titolo e del rapporto fra oro e argento, i fenomeni d’inflazione, portarono a uno stato di cose caotico, cui Napoleone cercò di porre rimedio facendo adottare al suo vasto impero la m. decimale e il sistema bimetallico; dopo la caduta di Napoleone molti stati tornarono ai sistemi precedenti. Nel 1816 la Gran Bretagna abbandonò il sistema bimetallico, rendendo effettiva la lira sterlina di conto (pezzo d’oro a carati 22 di 7,988 g: sovereign). Alla fine del sec. 18° era comparso il dollaro statunitense d’argento, che però nel 1875 si trasformò in m. aurea a tipo monometallico. Nel 1865 a Parigi fu stipulata l’Unione monetaria latina (Belgio, Italia, Svizzera e Francia), per cui gli Stati aderenti, che erano nel frattempo tornati al bimetallismo, si impegnarono, fra l’altro, a non emettere m. non conformi ai tipi stabiliti dalla stessa Unione, esempio poi seguito anche da altri Stati europei e dall’America. Inoltre, anche nei Paesi in cui operavano diverse banche autorizzate a emettere biglietti, si affermò man mano la tendenza verso l’unificazione, cosicché alla fine emerse una sola banca di emissione per ciascun Paese, quella che poi sarà la «banca centrale». Tecnicamente le m. di questo periodo si possono dire quasi perfette; sotto l’aspetto artistico, viceversa, esse si uniformarono a un tipo povero di motivi e di esecuzione fredda. Negli ultimi anni del sec. 19° si registrò un netto cambiamento, sia nei motivi variati sia nell’esecuzione affidata ad artisti scelti e preparati. Peraltro, nel sec. 19°, accanto alle m. metalliche si diffuse in misura crescente anche la circolazione di surrogati, sotto forma di biglietti di banca o di Stato convertibili in m., a corso fiduciario o legale (m. fiduciaria), e poi anche di assegni, sempre a corso fiduciario (m. bancaria). Questi titoli di credito, quando riscuotevano la fiducia del pubblico, erano perfettamente in grado di adempiere come la m. metallica alla funzione d’intermediazione negli scambi e non impedivano che la m. da loro rappresentata seguitasse a esplicare l’altra sua importante funzione di misura comune dei valori, permettendo che ogni bene esistente nel mercato avesse un solo prezzo, espresso appunto in moneta. I biglietti a corso legale avevano inoltre potere liberatorio nei pagamenti come le m. metalliche e come queste potevano, in condizioni di stabilità dei prezzi, permettere di accumulare valori per il futuro, attraverso il risparmio, o di trasportarli nello spazio (mediante, per es., vendita di immobili in un luogo e acquisto col ricavato di altri immobili in luogo diverso). Soltanto le funzioni di riserva metallica delle banche, ossia di copertura della circolazione cartacea, non potevano ovviamente essere svolte dai biglietti emessi dalle banche stesse, che per il resto erano in grado di rappresentare pienamente le m. propriamente dette, e, con qualche limitazione, gli assegni potevano a loro volta rappresentare i biglietti a corso legale.
Nel 20° sec. la circolazione della m. fu strettamente legata al monometallismo aureo (gold standard). Quest’ultimo andò sempre più trasformandosi in un sistema in cui accanto e in luogo delle m. d’oro circolavano i biglietti di banca o di Stato a corso legale in esse convertibili, e questo sistema fu largamente attuato nella sua forma classica fino alla Prima guerra mondiale. Dopo il conflitto, che aveva costretto a sospendere il regime aureo per adottare il «corso forzoso», e in seguito alla grande crisi del 1929-31, sorse l’esigenza di un sistema monetario internazionale che disciplinasse il regime dei cambi tra le varie m., le modalità per effettuare transazioni con l’estero, le caratteristiche degli strumenti che fungono da m. di riserva, e infine le modalità per correggere situazioni di squilibrio nei pagamenti internazionali. Con gli accordi di Bretton Woods del 1944 il sistema aureo fu quindi ripristinato sotto forma di gold exchange standard (in cui i biglietti sono convertibili in divise esterne equiparate, cioè a loro volta convertibili in oro in altri paesi), e all’egemonia della sterlina come m. di scambio internazionale iniziò a subentrare quella del dollaro statunitense. L’uso di tale m. come divisa di riserva mondiale ha fatto quindi parlare di «signoraggio del dollaro». Nel 1973, dopo la crisi del sistema di Bretton Woods, si è instaurato un sistema ibrido basato sulla fluttuazione dei cambi e in cui coesistono una pluralità di strumenti di riserva e, soprattutto dal 1985, una gestione più attiva e coordinata dei cambi da parte delle autorità dei principali paesi. Un tale sistema, consentendo con una certa flessibilità l’adeguamento ai mutamenti economici e sociali, tendeva verso tassi di cambio più stabili grazie a una sorveglianza multilaterale dei tassi e l’istituzione di «zone obiettivo», e cioè di bande di fluttuazione di ampiezza predeterminata (di cui un esempio era il Sistema monetario europeo). Nel 1995 i Paesi aderenti all’Unione Europea decisero di dar vita a una m. comune, l’euro, entrato ufficialmente in vigore in 12 Stati il 1° gennaio 2002, e diffuso sia in m. metalliche sia in banconote cartacee.