MONETA (XXIII, p. 632; App. I, p. 861)
La seconda Guerra mondiale - come già la prima, ma con grande diversità - ha modificato profondamente il funzionamento della moneta nel sistema dell'economia collettiva nazionale e internazionale.
La circolazione monetaria durante e dopo la seconda Guerra mondiale. - A determinare tale differenza ha molto contribuito la diversità fra le situazioni iniziali dei paesi, sia belligeranti, sia neutrali, al momento dello scoppio dei due conflitti. La prima guerra sopravvenne dopo un lungo periodo di convivenza pacifica fra gli stati, caratterizzato da un assetto economico adatto a un mantenimento indefinito della pace e dalla prevalenza della politica economica liberale e del regime monetario aureo. La situazione e il sistema economico vigente nel 1913 erano rimasti nella impressione dei popoli come situazione e sistema di ottimo equilibrio, di cui fosse desiderabile il ripristino, e questa sensazione ebbe una grande influenza sulla politica monetaria che si svolse dopo il 1918. La seconda Guerra, invece, si è iniziata in un ambiente remotissimo da quello del 1913, con assetto economico assai rigido, conforme ai principî dell'economia regolata, in cui, nella generalità, era praticato il regime della moneta manovrata ed erano assai frequenti i casi di controllo sul commercio con l'estero (v. App. I, p. 871).
All'inizio della prima Guerra mondiale era stata scarsamente svolta la dottrina dell'economia bellica e le previsioni sui probabili effetti del conflitto che si apriva erano molto imperfettamente concretate; si avevano esperienze di casi macroscopici di inflazione, ma come fenomeni isolati; sia negli ambienti politici, sia nella popolazione in generale erano scarse e imperfette le cognizioni sugli sviluppi e gli effetti delle estese inflazioni che sarebbero derivate dalla guerra. La condotta economica della seconda Guerra fu, invece, nel suo complesso in molti paesi più avveduta e appropriata e fu caratterizzata dall'adozione più tempestiva e coordinata di procedimenti intesi a promuovere certe importazioni ed esportazioni, dall'impiego massimo dei mezzi per soddisfare bisogni militari, dalla riduzione dei consumi non militari, dall'utilizzazione sistematica delle riserve finanziarie disponibili all'estero. La politica della regolata distribuzione di materie prime, di articoli semilavorati, di prodotti finiti e di vettovaglie non fu soltanto concretata in vista dell'impiego migliore delle disponibilità sempre scarse, ma in parecchi paesi fu coordinata con quella relativa alla produzione e circolazione della moneta e al movimento del credito. A differenza del primo conflitto, si è cercato generalmente di rendere quanto più ampia possibile la quota dell'onere finanziario per la guerra gravante sui tributi e sui prestiti e di ridurre al minimo la quota procurata con l'emissione di carta moneta. Si è cercato anche di restringere l'inflazione creditizia automatica e la produzione di moneta bancaria. L'esperienza della prima Guerra aveva mostrato come la dilatazione nella massa di moneta trovantesi nelle mani della popolazione civile non possa - attraverso il rialzo dei prezzi - agire in senso da dilatare la produzione dei beni e ciò in quanto per molti beni domandati durante la guerra l'offerta è assai rigida e la rigidità si accentua appunto per circostanze determinate dalla guerra: durante la guerra infatti il movimento globale degli affari è più ristretto che in tempo di pace e, se non si vuole che i prezzi salgano, è necessario ridurre la circolazione monetaria.
Le accennate differenze fra la vita economica, durante e dopo le due Guerre mondiali, concorrono a spiegare le differenze fra i due "dopoguerra monetaria. All'indomani della prima Guerra, era generale l'aspirazione a una nuova realizzazione del regime aureo, ed era sembrato logico e conveniente che una tale realizzazione si dovesse effettuare in maniera "frammentaria", mediante riforme monetarie isolate, operate da ciascun paese per conto proprio; indirizzo questo in cui si riflettevano i ricordi, le tradizioni e le consuetudini formatisi lungo il secolo XIX, specialmente in occasione dei casi isolati di corso forzoso. Nulla di simile si è verificato nel secondo dopoguerra, nel quale la politica monetaria si è ispirata alla recente esperienza della moneta manovrata e non è quindi risorta alcuna aspirazione ad assetti monetarî recanti l'automatica stabilità dei cambî. Gli ambienti degli affari avevano da molti anni conosciuto il controllo sui mercati monetarî, esercitato mediante i fondi di perequazione dei cambî, nonché i cambî-tariffe, mantenuti artificialmente durante la guerra; essi ricordavano ancora i perturbamenti che accompagnarono le riforme monetarie attuate fra il 1920 e il 1930 e non pensarono perciò a ripetere analoghi tentativi di rapide, singole sistemazioni di nuovi regimi monetarî stabili.
In diversi paesi - i quali tutti erano stati soggetti all'occupazione nemica e ove pertanto si era svolta in misura notevole l'inflazione indotta dall'esterno - alla ripresa del regime politico nazionale si trovò che la massa monetaria era aumentata in misura proporzionalmente maggiore di quanto fossero cresciuti i prezzi nel commercio all'ingrosso e nel commercio al minuto e il livello delle mercedi. In conseguenza anche delle vicissitudini politiche, una parte, talora considerevole, del medio circolante inflatorio emesso poteva essere andata distrutta o trovarsi accantonata senza attuale possibilità di effettiva circolazione e sembrò opportuno pertanto tentare di evitarne il riflusso nella circolazione ad impedire che questi quantitativi di moneta venissero a pesare sul mercato. Sorse così in varî paesi - Belgio, Francia, Olanda, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Austria, URSS - fra il 1944 e il 1947, il proposito di eliminare dalla circolazione una considerevole parte del medio circolante - sia avente la forma di carta moneta sia quella di depositi bancarî - attraverso denunzie obbligatorie delle disponibilità individuali dell'anteriore medio circolante e sostituzione di questo con segni monetarî nuovi o segni anteriori stampigliati. I segni anteriori e quelli non stampigliati dovevano perdere immediatamente la possibilità di circolazione come moneta legale. La sostituzione o la stampigliatura dovevano avvenire previa una certa decurtazione nella disponibilità individuale di biglietti o una coattiva diminuzione nella dimensione di ciascun deposito "bloccato".
Il cambio dei biglietti si doveva accompagnare così con un'operazione di deflazione istantanea e meccanica, cioè con un procedimento molto più rapido e agevole di quello della deflazione creditizia o tributaria, seguito tradizionalmente nei casi di corsi forzosi isolati e anche nelle riforme monetarie successive alla prima guerra. Mentre in queste riforme precedenti si era mirato a realizzare faticosamente e gradualmente l'equilibrio fra il mercato monetario interno e quello internazionale, mediante la lunga e difficile operazione della contrazione del movimento creditizio, attraverso una rigorosa selezione delle imprese da mantenere in vita col generale abbassamento dei costi e dei prezzi e l'alterazione nel sistema dei rapporti commerciali con l'estero, la deflazione del nuovo tipo avrebbe raggiunto l'intento col minimo perturbamento dell'economia nazionale, se fosse riuscita a eliminare precisamente una parte della circolazione pari a quella rimasta inerte e che comunque non aveva ancora agito sul livello dei prezzi, e avrebbe potuto avere anche una maggiore efficacia sui prezzi per l'effetto psicologico sugli operatori, traducentesi in un più attivo movimento di affari.
Troppo lungo sarebbe descrivere qui i procedimenti tecnici seguiti nei varî paesi per questa vasta operazione di sostituzione e diminuzione della circolazione monetaria; si può dire però che il "cambio dei biglietti" ha servito dovunque a migliorare le condizioni della circolazione (in alcuni paesi è bastato l'annuncio del cambio per dilatare la sottoscrizione di prestiti e il flusso dei depositi creditizî), ma che non sembra abbia in generale determinato una durevole deflazione, dato che dopo un breve intervallo di tempo la tendenza all'espansione della circolazione si è ripresentata. Il cambio dei biglietti non poteva infatti significare di per sé l'inizio di un adeguato nuovo indirizzo nella politica economica.
Nell'autunno del 1948 una condizione di discreto assestamento della circolazione monetaria si presentava soltanto nelle due Americhe, cioè nei territorî dove circolano monete cosiddette "forti". Nei paesi europei e nella generalità degli altri territorî dell'antico continente, dove circolano monete "deboli", o che appartengono all'area della sterlina, la circolazione monetaria è ancora in condizioni più o meno irregolari, senza che sia prevedibile quando potrà essere raggiunta una condizione di stabilità e quale potrà essere l'effettiva organizzazione monetaria ad essa corrispondente.
Le aree monetarie. - L'individuazione dell'area della sterlina come aggregato di territorî nei quali circolano monete coordinate con quella britannica e rispetto alle quali le autorità monetarie inglesi esercitano una comune politica monetaria, fu determinata dal regime della moneta manovrata tra la prima e la seconda Guerra mondiale e l'esistenza di quest'area facilitò, senza dubbio, le manovre monetarie e il raggiungimento dei relativi fini.
Il carattere e il funzionamento dell'area della sterlina mutarono con lo scoppio della guerra. I paesi inclusi furono ufficialmente designati in provvedimenti legislativi inglesi e questa associazione di stati risultò limitata ai paesi facenti parte dell'organizzazione politica britannica, esclusi il Canada e Terranuova, in quanto la loro economia è coordinata con la zona del dollaro. L'area si trovò così riconosciuta come elemento del sistema politico britannico e strumento del controllo sui cambî, sulle operazioni in divise, sulla circolazione del capitale, sulle disponibilità auree private e sui movimenti di oro verso l'estero. Si concretò tra i varî paesi dell'area l'impegno più stretto e rigoroso di mantenere un rapporto fisso di cambio fra le altre monete e la sterlina e di serbare, parzialmente o integralmente, le riserve, sotto forma di sterline "a breve tempo" depositate a Londra. L'area divenne così la zona entro la quale lo stato britannico poteva pagare in sterline tutte quante le merci comperate o, più semplicemente, poteva fare gli acquisti di materiali militari. La potenzialità della Gran Bretagna quale paese belligerante ne risultò accresciuta e una parte cospicua delle spese di guerra rifluiva automaticamente sotto forma di giacenze in sterline a facilitare ulteriori sforzi bellici.
Questa politica monetaria e finanziaria di guerra ha determinato accumulazioni di giacenze da parte delle nazioni componenti l'area, note sotto il nome di abnormal wartime balances, fondi cioè depositati a Londra dalle nazioni satelliti e che questa dovrebbe restituire. Alla fine della guerra la Gran Bretagna aveva però quasi esaurito i risparmî accumulati attraverso un lunghissimo passato di floridezza economica, e non è certo in grado per ora - né lo sarà a breve scadenza - di effettuare il rimborso dell'enorme debito così contratto verso il Commonwealth e anche verso molti altri paesi estranei. Varî accordi sono già stati stipulati dalla Gran Bretagna con i paesi creditori per il regolamento di questi "saldi in sterline" che si può dire siano attualmente "congelati". Essi non sono perciò e non saranno per un tempo indefinito, ma certo non breve, utilizzabili dai paesi che li hanno depositati; date però le secolari tradizioni britanniche è da presumere che l'Inghilterra terrà fede anche a questi impegni, trasformatisi in debiti a lunga scadenza.
Il funzionamento attuale e prossimo dell'area della sterlina è connesso con le vicende relative ai rapporti creditizî della Grdn Bretagna con gli Stati Uniti. L'accordo finanziario del dicembre 1945 condizionò infatti, tra l'altro, la concessione di un vistoso prestito americano al ripristino della convertibilità della sterlina in altre monete: ripristino che, per essere stato prematuro, non poté avere che vita brevissima (v. gran Bretagna: Finanze, in questa App.).
Accanto all'area della sterlina, altre zone monetarie si sono delineate durante la seconda Guerra mondiale, zone cioè soggette all'egemonia di una data moneta riguardo ai movimenti economici internazionali. La sola area avente caratteri definiti e legali fu quella del marco tedesco, la quale funzionò sino alla sconfitta della Germania. Essa comprendeva paesi europei occupati o alleati: erano mantenuti corsi stabili dei cambî e funzionava a Berlino un meccanismo di compensazione multilaterale per la regolazione dei rapporti di credito e di debito. Detto funzionamento era però limitato in un solo senso, dato che non si presentavano alternative nei rapporti; la Germania era sempre soltanto debitrice di tutti i paesi con cui poteva commerciare. La zona del dollaro comprendente la maggior parte dei paesi dell'emisfero occidentale, quali detentori di fondi cospicui presso la Confederazione americana, ebbe ed ha un carattere meno concreto di quella della sterlina, per circostanze varie fra cui quella che il mercato americano non fu assoggettato a un rigoroso controllo dei cambî; il controllo sui fondi esteri depositatì negli S.U. funzionò essenzialmente come strumento di guerra finanziaria, rispetto allo svolgimento del conflitto. Meno concreta ancora nella sua costituzione e nel suo funzionamento è l'area del franco francese, che ha preso vita dopo la cessazione delle ostilità.
Importante è anche la distinzione in tre categorie delle monete circolanti nel mondo (monete forti, monete costituenti il gruppó della sterlina e monete deboli): è questa una discriminazione dell'ultimo dopoguerra per "grado di bontà", con riferimento ai singoli territorî dove le monete circolano, ma non ha un significato topografico né politico e pertanto non è assimilabile al fenomeno della formazione delle aree monetarie. La ripartizione del mondo monetario avviene in relazione alla situazione e alla politica valutaria dei rispettivi paesi e ha riferimento soprattutto alle modalità delle formazioni e estinzioni di indebitamenti internazionali.
La moneta come strumento di politica economica. - Lo svolgimento della vita economica fra la prima e la seconda Guerra non è solo contrassegnato da profonde differenze nella fenomenologia e nella politica monetaria, ma anche dalla più frequente adozione della moneta come strumento di regolazione della vita economica. I due decennî decorsi dallo scoppio della grande crisi economica mondiale (1929) hanno segnato una estesa affermazione dei principî della economia programmata, cioè della economia regolata attraverso interventi dello stato, in antitesi ai principî dell'economia liberale, basati sulla nozione che lo svolgimento della vita economica di una nazione (o anche della economia internazionale), con limitazione al minimo degli interventi dello stato secondo gli schemi della libera concorrenza e con piena autonomia nella manifestazione della singola iniziativa, adduce in maniera spontanea alla formazione del più basso livello di costi e di prezzi e alla migliore utilizzazione del complesso dei fattori produttivi disponibili nel sistema economico nazionale, sempre che esista nel mercato la piena e perfetta concorrenza, senza formazione di monopolî privati o pubblici, e la piena, libera mobilità interlocale tra impresa e impresa, tra professione e professione della domanda e offerta di beni e di servizî, e sempre che gli operatori abbiano tutti piena e adeguata conoscenza delle disponibilità esistenti nel mercato e della loro utilizzabilità. Secondo i principî dell'economia liberale, la libertà di iniziativa avrebbe automaticamente portato alla realizzazione, nella economia nazionale o internazionale, del massimo benessere economico, ma gli assertori dell'economia liberale - mentre ritenevano che l'economia della concorrenza avrebbe permesso il raggiungimento di questo massimo benessere, nei rispetti della utilizzazione dei mezzi produttivi - riconoscevano che la concorrenza non avrebbe portato automaticamente alla migliore condizione di benessere per quanto si riferisce alla ripartizione dei redditi fra i componenti la popolazione e per quanto si riferisce anche alla dinamica della vita economica, soprattutto riguardo allo svolgimento del reddito nazionale complessivo attraverso il tempo. Gli stessi liberisti ritenevano così necessario l'intervento economico dello stato, specialmente sotto la forma di politica fiscale volta ad attenuare le differenze nella dimensione dei redditi individuali fra i diversi operatori, e più di rado riconoscevano la convenienza di interventi di politica economica per attenuare le fluttuazioni generali attraverso il tempo nei risultati dell'attività produttiva e soprattutto per attenuare le fluttuazioni nell'impiego della manodopera.
Durante il ventennio 1929-48, si è accentuata in molti paesi la fiducia nella economia pianificata, sebbene tuttora non manchino negli ambienti della dottrina economica, come negli stessi ambienti politici, elementi che mantengono la loro piena fiducia nei procedimenti della libertà economica, ritenendo altresì che le difficoltà dell'economia del dopoguerra sarebbero state minori se si fossero di nuovo affermati i principî della libertà economica.
In questa fase di tanto marcata diffusione dei principî della economia programmatica, la moneta è più spesso considerata quale strumento di svolgimento della politica economica. È soprattutto importante la frequenza con cui si considera la moneta come mezzo per la realizzazione di una condizione di pieno impiego dei fattori produttivi in un mercato e soprattutto di piena occupazione della manodopera. La dottrina del full employment, che ha trovato il suo massimo assertore in J. M. Keynes e il suo più efficace propagandista in W. Beveridge, nega la tesi dell'economia classica, dianzi accennata, secondo cui, in condizioni di perfetta concorrenza e di piena mobilità dei fattori produttivi si realizza l'utilizzazione dei fattori disponibili, salvo gli effetti degli attriti, e pone in evidenza la deficienza nella domanda di beni, che è determinata dalla decisione di risparmiare: nel sistema economico, l'eccessiva propensione per la liquidità significa astensione eccessiva dalla spesa, cioè appunto deficienza nella domanda di beni, risolventesi in contrazione nella domanda di braccia e cioè formazione di disoccupazione. Questo fatto ha svolgimento cumulativo per gli effetti "secondarî" che ne derivano, in quanto alla disoccupazione "primaria", prodotta dalla contrazione della domanda, fa seguito l'ulteriore minorazione, provocata dal cessato flusso di mercedi per gli operai divenuti disoccupati. La teoria keynesiana della piena occupazione ha portato a un notevole svolgimento, sia dottrinale, sia di effettivi provvedimenti di politica economica per la dilatazione e stabilizzazione della domanda effettiva di beni sul mercato, specialmente riguardo alla domanda svolta attraverso il bilancio dello stato, alla regolazione del credito e alle variazioni nella globale domanda privata attraverso la variazione nella distribuzione dei redditi, effettuata mediante la politica fiscale. La proporzione della spesa rispetto al reddito non è uniforme presso tutti i gruppi sociali e quindi un inasprimento della tassazione sui maggiori reddituarî e lo sgravio sui minori può servire ad aumentare in complesso il flusso della spesa e dilatare l'occupazione di lavoratori.
Sviluppi delle dottrine monetarie. - La complessa fenomenologia monetaria, che si è svolta, con le grandi guerre e conseguenti crisi, attraverso il secolo XX, ha portato anche a mutamenti nelle dottrine monetarie prevalenti. Il mondo monetario precedente la prima Guerra mondiale, dominato dal regime aureo, era orientato nel pensiero scientifico essenzialmente dalla teoria classica, nota quale teoria quantitativa della moneta, in quanto poneva soprattutto in evidenza le variazioni nella quantità di medio circolante operante nel mercato, quali determinanti delle variazioni nel potere di acquisto. Questa teoria aveva trovato nel 1911 una nitida esposizione nel libro dell'economista americano Irving Fisher, The purchasing power of money, libro che ha avuto una grande diffusione, in quanto giovava a spiegare sia i grandi perturbamenti economici determinati dalle alterazioni monetarie operate dagli stati nei secoli precedenti, sia i fenomeni provocati anche nel secolo XIX dai corsi forzosi causati per lo più dalla mala condotta bancaria. Nella sua semplicità e superficialità, la teoria quantitativa si mostrò inadatta alla bisogna di fronte alla complessità dei fenomeni derivati dalla prima Guerra mondiale, specialmente riguardo allo svolgimento e alla misura delle variazioni nel potere d'acquisto della moneta su un mercato e allo svolgimento delle variazioni nei corsi dei cambî fra due mercati. Con l'ulteriore svolgimento della fenomenologia monetaria fra le due guerre, hanno trovato maggiore evidenza le connessioni fra i movimenti monetarî e quelli creditizî, sia per quanto si riferisce alla formazione e circolazione della moneta bancaria, sia soprattutto per quanto si riferisce alla connessione fra il saggio di interesse praticato sul mercato per i prestiti bancarî e il sistema dei prezzi che si forma sul mercato: se il tasso di interesse bancario coincide col tasso "naturale", secondo il quale la domanda dei capitali reali coincide con l'offerta del risparmio reale, si ha la stabilità nel livello dei prezzi. Questa dottrina è stata posta in evidenza alla fine del secolo XIX dall'economista svedese Knut Wicksell (risultò poi che di essa esistevano già cenni concreti presso varî scrittori monetarî del principio del secolo XIX); essa ha avuto ora un grande svolgimento presso autori svedesi, austriaci e inglesi e ha portato alla analisi della nozione di equilibrio monetario.
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