MONOTEISMO (dal gr. μόνος "solo, unico" e θεός "dio")
È la credenza in un Dio solo, propria delle religioni che si chiamano appunto "monoteistiche" in contrapposizione alle "politeistiche", che ammettono l'esistenza di più divinità (v. politeismo). Il politeismo è la forma religiosa prevalente nel mondo antico; nel mondo moderno prevale il monoteismo, col cristianesimo e l'islamismo. Altra religione monoteistica è, già nell'antichità, il giudaismo, da cui il cristianesimo e l'islamismo geneticamente dipendono. Fuori di questa linea unitaria e continua rappresentata dal giudaismo (Jahvè), dal cristianesimo e dall'islamismo (Allāh) c'è un'altra sola religione monoteistica - conservatasi dall'antichità fino a oggi - cioè lo zoroastrismo, nella quale il monoteismo solo apparentemente è annullato dal dualismo, perché Ahura Mazdāh (v. ōrmazd) è il solo Dio, e il suo antagonista Ahriman non è Dio, anzi è l'anti-Dio, cioè l'inversione di Dio in tutti i suoi valori (il dualismo è il monoteismo stesso nei suoi due aspetti contrarî, positivo e negativo).
Per lo svolgimento della religione giudaica, v. ebrei: Storia e religione, XIII, p. 331 segg. Secondo l'interpretazione critica di questo svolgimento, l'unicità di Jahvè, concepita da prima limitatamente al popolo ebraico, senza esclusione, anzi con tacita ammissione, dell'esistenza di altri iddii presso altri popoli, come Kemoš in Moab, Aššur in Assiria, ecc. (v. monolatria), si svolse poi in monoteismo assoluto (Jahvè come Dio unico di tutte le genti), con l'esplicita negazione di ogni altro dio intesa in senso universale (Isaia, XLIII, 11; cfr. Esodo, XX, 2-3: "Io sono Jahvè Iddio tuo, tu non avrai altri iddii oltre a me"; Deuteronomio, V, 6-7, cfr. IV, 19 e 35; VI, 4), e ciò specialmente a partire dall'esilio. Questa concezione è passata integralmente nel cristianesimo (οὐδεὶς ϑεὸς [ἕτερος] εἰ μὴ εἷς, I Corinzî, VIII, 4; εἷς ἐστὶν καὶ οὐκ ἔστιν ἄλλος πλὴν αὐτοῦ, Marco, XII, 29 e 32) e nell'islamismo (la ilāha illa-llāh); ma la negazione di ogni altro dio, complementare dell'affermazione del Dio unico, si trova pure implicitamente nello zoroastrismo (inversione semasiologica onde daeva, "dio", assume il senso di "demonio"). Essa è dunque un carattere essenziale del monoteismo.
Il monoteismo giudaico e poi cristiano, a contatto con le religioni politeistiche, si pose il problema dell'origine dei molti dei adorati dai gentili; al problema furono date varie risposte - nel giudaismo ellenistico, p. es., accogliendo le dottrine di Evemero (v.) - tutte concordi nel considerare il politeismo come una depravazione del monoteismo della rivelazione primitiva. Dall'apologetica e dalla patristica passando nella scolastica, questa teoria della rivelazione primitiva durò, tanto nella teologia cattolica quanto poi nella protestante. La stessa posizione mantennero, in sostanza, i filosofi razionalisti dei secoli XVII e XVIII, soltanto sostituendo alla religione rivelata la religione "naturale" e "razionale" come rappresentante del monoteismo originario, e all'insidia del demonio la debolezza o l'invenzione interessata degli uomini (preti, governanti, ecc.) come causa della successiva degenerazione politeistica. "J'ose croire" - scriveva il Voltaire (Dictionnaire Philosophique, 1764) - "qu'on a commencé d'abord par connaître un seul Dieu, et qu'ensuite la faiblesse humaine en a adopté plusieurs". D. Hume fu il primo a capovolgere la posizione dei due termini, affermando che "polytheism and idolatry was, and necessarily must have been, the first and most ancient religion of mankind" (The Natural History of Religion, 1755, pubblicata nel 1757); e poco dopo (1762) J.-J. Rousseau ripeteva che "le polythéisme a été leur première religion et l'idolatrie leur premier culte" (Émile, lib. IV). È da notare che tanto il Hume quanto il Rousseau includevano nel politeismo le credenze dei selvaggi, per le quali, circa allo stesso tempo, C. De Brosses adottava il termine speciale feticismo (Du Culte des Dieux Fétiches, 1757, pubbl. nel 1700). Feticismo, politeismo, monoteismo furono assunti come i tre gradi dell'evoluzione religiosa nel sistema di A. Comte (Cours de philosophie positive, 1830-1842), che diventò poi, con la sostituzione del primo termine, il sistema "classico" dell'evoluzionismo quale fu formulato da E. B. Tylor (Primitive Culture, 1871): animismo, politeismo, monoteismo. Un distacco dall'evoluzionismo sistematico è già implicito nell'idea di E. Renan (Nouvelles considérations sur le caractère général des peuples sémitiques et en particulier sur leur tendance au monothéisme, 1859), che il monoteismo, suggerito dalla visione del deserto, sia stato una specialità dei popoli semitici. Criticando il Renan, F. Max Müller (Semitic Monotheism, in The Times, 1860), poneva come originario l'"enoteismo" (v.), cioè una specie di monoteismo relativo, da cui si sarebbe svolto tanto il politeismo quanto il monoteismo vero e proprio. In opposizione al Tylor, A. Lang (The Making of Religion, 1898) segnalò presso varie popolazioni primitive la credenza in esseri supremi, non iddii, non spiriti, e dunque indipendenti dal politeismo come dall'animismo, inesplicabili con la teoria evoluzionistica, rappresentanti di un'elevata religiosità primordiale poi decaduta, non però di un vero monoteismo né della religione rivelata. In seguito alla segnalazione degli esseri supremi dei popoli primitivi, fatta dal Lang, la dottrina ortodossa del monoteismo primordiale è stata ultimamente ripresa in forma scientifica in base ai dati dell'etnologia religiosa elaborati secondo l'indirizzo anti-evoluzionistico della scuola etnologico-culturale (W. Schmidt).
La tesi evoluzionistica che il monoteismo si sia svolto dal politeismo è contraddetta dalla definizione del monoteismo come negazione del politeismo. Ciò che si produce evoluzionisticamente in seno al politeismo stesso è una progressiva riduzione delle figure divine da molte a poche, da più a meno; ma il monoteismo - si osserva - sta fuori di questo processo evolutivo, esso non è un'ultima riduzione dei pochi all'uno, bensì l'affermazione dell'uno attraverso la negazione dei più: esso procede dal politeismo non per evoluzione, ma per negazione, che è come dire per rivoluzione. Lungi dall'essere qualche cosa di necessario, d'implicito nei progressi del pensiero umano (i Greci, con tutto lo sviluppo del loro pensiero filosofico, non trasformarono mai il loro politeismo in monoteismo, e i Giapponesi anche oggi aderiscono ufficialmente allo shintoismo, che è una religione politeistica), il monoteismo è invece un fatto storico che si è prodotto raramente e ogni volta con l'intervento di una grande personalità religiosa (Mosè, Gesù, Maometto, Zarathustra). Le pretese "tendenze monoteistiche" che si sono volute trovare in seno a varie religioni politeistiche - egizia, babilonese, assira, cinese, greca, ecc. - rappresentano tutt'al più uno pseudo-monoteismo, in quanto si riducono sia alla supremazia di una divinità sulle altre, sia all'assorbimento di varie divinità in una sola, ma sempre in modo che accanto alla divinità suprema ne sussistono altre (inferiori), e con ciò il politeismo non si può certo dire superato.
D'altra parte, chi ammette che il monoteismo sia antitesi e superamento del politeismo, non può porlo se non dopo di questo. In base a tale concezione, appaiono infondati i varî tentativi sopra accennati di fondare la storia religiosa dell'umanità sul monoteismo primordiale. Gli studî recenti sugli esseri supremi dei popoli "primitivi" tendono a illuminare la preistoria delle religioni monoteistiche (N. Soderblom), e a indicare in quelli, almeno in parte, gli antecedenti ultimi degli iddii unici. E alla recentissima ripresa del concetto del monoteismo primordiale si obietta che col vero concetto monoteistico non va confusa quella che è semplicemente la nozione di un essere supremo.
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