Montecassino
"Fredericus quondam Romanorum Imperator et post eum duo filii eius Corradus videlicet et Manfredus, subtractis iuribus et rebus nostri Monasterii Casin[ensis] cui in patiencia divina licet immeriti spiritualiter et temporaliter presidemus speluncam latronum de templo domini facientes, viginti et sex fere annis ante ingressum nostrum in arcem dampnabiliter tenuerunt" (Regesti Bernardi I, 1890, p. 145): l'impietoso quanto realistico giudizio dell'abate cassinese Bernardo Aiglerio (1263-1282) ‒ già monaco dell'abbazia benedettina di S. Martino di Savigny, nei dintorni di Lione, e abate di Lérins ‒ riflette la travagliata condizione di Montecassino negli anni precedenti, allorché l'antica istituzione monastica subisce in pieno l'onda d'urto generata dal progressivo e poi flagrante conflitto tra papa Gregorio IX e Federico II, destinato a sfociare nell'aprile del 1239, "Imperatore mandante", nell'occupazione militare del monastero (Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 199). L'eco di quell'evento fu tale da perdurare come topos letterario ancora nelle stanze Per la Storia d'Italia di Ludovico Ariosto, ove l'imperatore è colui che "spoglia Monte Cassino e dà di piglio / e mette taglia a' monachi e agli abbati" (Casadei, 1992, p. 86).
Tuttavia quell'episodio, tra i più gravi della plurisecolare storia cassinese, affondava le sue radici già nel ruolo stesso di Montecassino durante il passaggio dalla dominazione normanna a quella sveva, quindi nel caos conseguente alla precarietà e al vuoto politico caratterizzanti gli anni della minorità di Federico II, e infine nelle ostilità tra papa e imperatore, con effetti a tal punto devastanti da essere superati solo vari decenni dopo, grazie agli impulsi di rinascita patrimoniale e spirituale che si registrano a partire dall'abbaziato del già menzionato Aiglerio.
Nell'agitata fase di lotte tra Enrico VI e Tancredi di Lecce che funestarono l'Italia meridionale dopo la scomparsa di Federico Barbarossa e di Guglielmo II d'Altavilla, l'abate cassinese Roffredo de Insula (1188-1210), dal 1191 cardinale prete del titolo dei SS. Pietro e Marcellino, dopo aver aderito inizialmente al partito di Tancredi, ben presto si schierò dalla parte del sovrano svevo, come fece ancor più attivamente Atenolfo di Caserta, decano del monastero cassinese e futuro abate (1211-1215). Quest'ultimo negli anni anteriori alla morte di Enrico (1197), in accordo con Dipoldo di Schweinspeunt, castellano di Rocca d'Arce e acerrimo persecutore dei seguaci di Tancredi, fu militarmente impegnato nell'occupazione di castelli strategici quali Piumarola, S. Angelo in Theodice, Pontecorvo, Castelnuovo, Fratte, rafforzando intorno a Montecassino posizioni favorevoli a Enrico, al punto di provocare, intorno alla fine del 1191, la scomunica di papa Celestino III e quindi l'interdetto sul monastero (Kehr, 1935, nr. 312, p. 192). Dopo la morte dell'imperatrice Costanza nel novembre del 1198, con l'inasprirsi dei conflitti tra la feudalità tedesca e quella del Regno, Montecassino fu coinvolto in pieno nelle vicende connesse alla lotta per la reggenza che Marcovaldo di Annweiler, principale sostenitore di Enrico VI, rivendicava per sé, mentre Costanza, che ne ordinò l'esilio, aveva designato per testamento papa Innocenzo III quale reggente del Regno e tutore del figlio Federico, affidando a Gualtiero di Palearia, cancelliere del Regno, l'educazione del bambino. Marcovaldo, al quale nel 1198-1199 si era alleato lo stesso Dipoldo, dopo essere penetrato nel comitato di Molise inviò legati all'abate Roffredo con proposte di pace, purché ne riconoscesse l'autorità di reggente e amministratore del Regno, un disegno che tuttavia l'abate non assecondò. Apertamente allineato sulle posizioni della Sede pontificia, nel gennaio del 1199 il monastero cassinese scampava all'assedio dell'esercito di Dipoldo e Marcovaldo, che il mese seguente conquistava San Germano; l'abate Roffredo nondimeno nel marzo dell'anno successivo, nonostante il fallito attacco a Montecassino, dovette questa volta abbandonare la città e rifugiarsi prima ad Atina e poi nella Marsica, allorché Dipoldo, venuto meno al giuramento di non più molestare la Terra Sancti Benedicti, ne mise a ferro e fuoco il principale centro cittadino. Di lì a poco, l'abate Roffredo, ottenuti aiuti da Rinaldo Sinibaldi dei Marsi e fortificata Rocca Ianula, unitosi quindi alle forze militari del genero di Tancredi, Gualterio di Brienne, nuovo appoggio a papa Innocenzo III, con Malgerio Sorello guidò il saccheggio e l'incendio della città di Venafro, testa di ponte per gli attacchi tedeschi all'Arce cassinese. La superiorità delle forze pontificie in campo era evidente, come mostra la vittoria conseguita a Canne, in Puglia, nell'ottobre del 1201 dall'esercito di Gualterio di Brienne fiancheggiato dall'abate Roffredo e dal legato pontificio Pietro, cardinale vescovo di Porto e S. Rufina. Nel 1202 lo stesso Roffredo fu inviato da Innocenzo III quale suo legato in Sicilia (Regesta Pontificum, 1874-1875, nr. 1687) dove Marcovaldo, che nel frattempo governava in nome del giovane re Federico, morì in quello stesso anno e fu sostituito dal capitano tedesco Guglielmo Capparone; questi tenne sotto controllo lo stesso Federico fino al 1206, allorché Dipoldo di Schweinspeunt, messo da parte Capparone, affidò il re al cancelliere Gualtiero di Palearia, e dopo essere sfuggito a quest'ultimo, che con l'inganno aveva cercato di tenerlo prigioniero, ritornò in Terra di Lavoro. Qui all'inizio del 1208 forze congiunte di nobili del territorio meridionale del Patrimonio di S. Pietro e vassalli dell'abate Roffredo di Montecassino si impadronirono di Sora, Sorella e Rocca d'Arce, liberando così il limite settentrionale del Regno dalle forze germaniche. La contea di Sora fu quindi affidata al fratello di Innocenzo III, Riccardo, e lo stesso papa nel giugno di quell'anno veniva accolto in San Germano dall'abate Roffredo, al quale il 25 luglio seguente rilasciava un privilegio di conferma di beni, diritti ed immunità spettanti al monastero (ibid., nr. 3470), mentre a sua volta Federico il 14 gennaio 1210 indirizzava da Messina all'abate una lettera per ragguagliarlo circa la congiura ordita contro di lui da Anfuso de Roto conte di Tropea insieme ai conti Paolo e Ruggero di Gerace (Riccardo di San Germano, 1936-1938, pp. 29-31). Defunto Roffredo il 30 maggio di quello stesso 1210 e trascorso il breve abbaziato di Pietro (1210-1211), l'antico decano Atenolfo venne eletto prima del 4 giugno, probabilmente nel marzo 1211, ma la sua precedente condotta politica e l'elezione avvenuta non secondo le norme previste ne ritardarono la conferma pontificia, che giunse soltanto nel giugno 1212; nondimeno la sua politica eccessivamente proclive a favorire membri della propria famiglia non poteva non rinnovare il conflitto con il papa, che infine ne decretò la deposizione e l'incarceramento alla fine di agosto del 1215. Nuovo abate il 13 settembre fu eletto Stefano Marsicano (1215-1227), al quale è dedicata la prima redazione della Chronica di Riccardo di San Germano con la narrazione degli avvenimenti dal 1208 al 1226, dalla quale non a caso emerge che Riccardo, pubblico notaio del monastero cassinese e di San Germano, accompagnò personalmente al concilio lateranense del 1215 il nuovo abate. Il 20 settembre dello stesso anno Innocenzo III, a testimonianza della particolare cura da lui riservata alle questioni cassinesi, dettava fondamentali norme di riforma per l'abbazia (Regesta Pontificum, 1874-1875, nr. 4996; Abbazia di Montecassino. I Regesti, 1964, nr. 8, p. 167), dalle quali deriveranno in quello stesso secolo gli Statuta Casinensia, che per Montecassino rappresentano le prime nuove consuetudini di vita regolare dopo quelle codificate nel primo Alto Medioevo. Alcuni anni dopo, il 22 novembre 1220, alla cerimonia di incoronazione imperiale in S. Pietro a Roma, tra i partecipanti più in vista, Ruggero dell'Aquila conte di Fondi, Giacomo di S. Severino conte di Avellino, Riccardo conte di Celano e altri baroni del Regno, si registrava anche la presenza dell'abate Stefano, che in dicembre accolse lo stesso Federico a Montecassino, ottenendo da lui tra l'altro il riconoscimento del potere di giurisdizione in materia criminale conferito al monastero da Enrico VI nel 1194, anche se nel gennaio 1221 l'imperatore garantiva all'abate esplicitamente la sola competenza giurisdizionale in ambito civile, tacendo circa quella relativa all'amministrazione della giustizia penale (Historia diplomatica, II, 1, pp. 101-102; Regesta Imperii, nrr. 1269, 1270, 1271), competenza che infine dieci anni dopo, nel 1231, avrebbe espressamente sottratto ai poteri feudali e riservato al maestro giustiziere e ai giustizieri del Regno (Const. I, 49). Nondimeno l'atteggiamento di Federico verso Montecassino in questo momento è improntato al rispetto delle precedenti concessioni regie, come testimonia il fatto che nel febbraio 1223 l'imperatore ribadisce a favore della comunità, delle dipendenze e degli homines cassinesi la piena disponibilità di diritti e immunità concessi da Guglielmo (Historia diplomatica, II, 1, pp. 320-321; Regesta Imperii, nr. 1452; Abbazia di Montecassino. I Regesti, 1965, nr. 13, p. 144).
La morte di Stefano (21 luglio) e la designazione in dicembre del nuovo abate cassinese nella persona di Landolfo Sinibaldo (1227-1236) coincidono con una nuova fase storica contrassegnata dall'elezione del pontefice Gregorio IX (19 marzo 1227) e dalla partenza di Federico per la crociata in Terrasanta, alla quale Montecassino contribuiva con il mantenimento di cento soldati. Poco dopo, con il repentino rientro dell'imperatore a seguito dell'epidemia scoppiata nel suo esercito (agosto 1227) e la conseguente scomunica irrogata dal papa a Federico da Anagni il 29 settembre 1227, rinnovata nel marzo 1228, si innescava un conflitto che avrebbe reso nuovamente Montecassino teatro di guerra. Dopo l'invasione del Regno decisa dal papa in seguito agli attacchi condotti nella Marca anconetana e nel ducato di Spoleto dal reggente del Regno Rainaldo, l'esercito pontificio, oltrepassata Aquino, raggiungeva nel marzo 1229 la Terra Sancti Benedicti, mentre quello imperiale al comando di Enrico di Morra, maestro giustiziere del Regno, si attestava in Montecassino; solo dopo aspri combattimenti l'abate Landolfo consegnava il monastero al legato papale Pelagio, cardinale vescovo di Albano, il quale tra l'altro, nel prosieguo delle operazioni militari congiuntamente a Giovanni di Brienne, non potendo ottenere un prestito in denaro, ordinava al vescovo di Carinola di attingere risorse dal tesoro della Chiesa di Montecassino e di San Germano. Nel frattempo, ritornato dall'Oriente nel giugno di quell'anno, l'imperatore riguadagnava via via le terre invase dalle truppe pontificie, non senza stigmatizzare l'operato pontificio e abbaziale nella nota lettera dell'agosto 1229 a Fakhr al-Dīn, personaggio autorevole alla corte del sultano d'Egitto al-Malik al-Kāmil e ambasciatore in Sicilia: "il papa con il tradimento e l'inganno ha preso una delle nostre fortezze, chiamata Montecassino, rimessagli dal suo malvagio abate" (Abulafia, 1990, p. 165; cf. anche Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. XIV n. 4). L'avanzata di Federico costringeva pertanto il cardinale, accompagnato dai vescovi di Alife e Aquino, a rifugiarsi in Montecassino, che fu cinto d'assedio dalle truppe imperiali; qui il cardinale legato Tommaso di Capua trovò il suo collega Pelagio ammalato e ne ottenne infine la liberazione poco prima della sua morte (30 gennaio), nel quadro delle trattative che, condotte insieme al Gran Maestro dell'Ordine teutonico Ermanno di Salza, condussero alla pace di San Germano nell'estate del 1230. Di quella che in realtà era solo una tregua beneficiò anche Montecassino, che ottenne dall'imperatore lettere "de remissione offense", in favore sia dell'abate che dei monaci, a causa dello scontro appena concluso tra Gregorio IX e Federico (ibid., p. 164). Fu probabilmente in quello stesso anno che il piccolo Tommaso d'Aquino, il futuro dottore della Chiesa, entrò come oblato a Montecassino, da dove poi sarebbe uscito definitivamente in un anno tra i più infausti negli annali dell'abbazia, quel 1239 in cui, dopo la nuova scomunica pronunciata il 24 marzo da papa Gregorio contro l'imperatore, il monastero, che aveva un nuovo abate in Stefano "de Corvaria" (1238-1248), piombava nel vortice di un altro più grave conflitto che in aprile ne provocava l'occupazione da parte delle milizie imperiali, con l'espulsione di gran parte della comunità, non senza un'eco anche fuori d'Italia, come testimonia, ad esempio, il contemporaneo cronista inglese Matteo Paris (Ex Mathei Parisiensis operibus, 1888, pp. 185, Chronica Majora; 411-412, Historia Anglorum). In quei frangenti lasciava Montecassino anche il monaco Erasmo, che in piena età federiciana avrebbe contribuito allo sviluppo dell'aristotelismo, cominciando le sue lezioni di teologia nella giovane Università di Napoli già verso l'autunno del 1241. Quasi simbolo del depauperamento al quale veniva sottoposto il monastero, come pure altri edifici di culto meridionali nella tormenta delle necessità belliche, è l'irreparabile perdita dell'antependium aureo di età desideriana, asportato nel 1241 insieme ad altra suppellettile liturgica nel corso del rastrellamento al quale furono sottoposti i "thesauri ecclesiarum" del Regno "in commodato pro principe" (Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 209). Si registrano tuttavia anche provvedimenti imperiali intesi a reintegrare in qualche misura il patrimonio del monastero dopo le perdite subite pure a causa di illustri personalità, come Pier della Vigna: con lettera datata il 28 giugno 1250 infatti l'imperatore confermava alla comunità dei monaci cassinesi il pacifico possesso di una terra nelle vicinanze di Capua, un tempo da essi data in concessione all'ormai defunto logoteta del Regno, e di cui questi aveva indebitamente disposto mediante permuta con il conseguente trapasso di proprietà (Regesto di Tommaso Decano, 1915, pp. 104-106 nr. 53).
Tra Chiesa e Impero l'abbazia cassinese incarna la sua difficile posizione nella persona stessa dell'abate Stefano, il cui nome è menzionato tra i membri di una delegazione, comprendente tra gli altri l'arcivescovo di Palermo e il vescovo di Pavia, inviata da Federico a Innocenzo IV in Lione (23 maggio 1246; Historia diplomatica, II, 1, pp. 425-428; Regesta Imperii, V, 1-3, 1881-1901, nr. 7635) per cercare una soluzione alla scomunica inflittagli dallo stesso papa il 13 aprile dell'anno precedente: segno di una stima parimenti assicurata all'abate cassinese da entrambi i sovrani.
La morte di Federico II (13 dicembre 1250) non pose fine all'occupazione del monastero, che continuò a risentire in pieno dell'incertezza politica del momento con Corrado IV, suo figlio designato erede, e con il figlio naturale Manfredi reggente del Regno. Solo più tardi, quando nuovi scenari politici si andavano delineando nell'Italia meridionale grazie alle scelte di campo operate da papa Urbano IV, che tra il 1262 e il 1263 concludeva l'accordo in base al quale la corona di Sicilia era offerta a Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX re di Francia, anche per Montecassino si aprirono nuovi spiragli di ripresa: nel 1263 Bernardo Aiglerio, pur egli, come il papa, di origine francese, fu chiamato da quest'ultimo al governo dell'abbazia, assumendo però di fatto il suo ufficio solo nel 1266, allorché Manfredi venne sconfitto a Benevento a opera di Carlo, e l'abate Teodino (1262-1263), creatura di Manfredi, venne definitivamente neutralizzato, quasi a dimostrazione del disegno pontificio incline a facilitare in ogni modo l'ingresso di Carlo nel Regno meridionale.
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