MONUMENTO EQUESTRE
Si designa con questo termine la rappresentazione scultorea a tutto tondo di figure a cavallo, isolate o in gruppo. Di questa tipologia artistica, tra le più diffuse nel mondo greco-romano, si possono seguire agevolmente le variazioni espressive dall'età arcaica fino alla tarda antichità (pur senza la completezza della documentazione diretta), poiché l'enorme diffusione del soggetto equestre nei diversi prodotti delle arti minori e nella pittura ha conservato la traccia anche di quei monumenti perduti nell'originale versione a tutto tondo.
La fortuna dell'iconografia equestre è dovuta alle molteplici possibilità di esaltazione, individuale e collettiva, che essa offriva alla componente maschile delle società antiche: dall'ostentazione di ricchezza alla celebrazione di capacità atletiche e belliche, fino all'espressione di metafore più concettuali, quali la capacità di controllo degli istinti selvaggi dell'uomo (e in questo senso l'uomo che monta il cavallo si contrappone all'iconografia del centauro, che rappresenta invece la fusione tra la natura umana e quella animale), e quale mezzo, infine, di riconoscimento pubblico di virtù civiche. A questi, che si possono definire come valori laici dell'autorappresentazione, si deve aggiungere anche il significato religioso delle statue equestri raffiguranti divinità e quelle offerte come ex voto nei santuari.
Eretti su basi (quasi sempre corredate da iscrizioni, in forma di parallelepipedo rettangolare, in calcare o in marmo, con cornici più o meno modanate, o di pilastro, recante a volte anche fregi figurati), posti contro uno sfondo libero o, più spesso, colonnato, i m. e. occupano posizioni di rilievo nelle città e nei santuarî. Si trovano, infatti, nelle piazze pubbliche, lungo percorsi privilegiati (quali le vie processionali e trionfali) o davanti alle facciate dei templi. Rara, ma documentata nell'Asklepièion di Epidauro e a Olimpia (Siedentopf, 1968, cat. II, pp. 139-140, n. 174 e pp. 96-97, n. 34), è la collocazione di una statua equestre su plinto sovrapposto a un'esedra.
Fin dall'età micenea l'immagine del cavaliere appare schematicamente abbozzata in statuette di terracotta offerte nei santuari e, dall'VIII sec. a.C., si trova anche deposta in sepolture come segno qualificante il rango del defunto. Nel VII sec. a.C. il frammento di una statua equestre rinvenuta a Delo (Vogt, 1991, pp. 227-228, n. 612, fìgg. 160-161) si pone già come precedente per gli esiti tipologici dei gruppi equestri che, a un secolo di distanza, si diffonderanno soprattutto in Attica. È nel VI sec. a.C. che troviamo, infatti, il primo esempio, classificabile in senso stretto come m. e., nel Cavaliere Rampin. La scultura, in marmo e di misura poco inferiore al vero, offerta come ex voto sull'Acropoli di Atene intorno al 560/550 a.C., era associata a un'analoga figura equestre. Nei due cavalieri si è da tempo proposto di riconoscere i figli di Pisistrato, forse assimilati ai Dioscuri, e se l'ipotesi fosse corretta potremmo ancorare già alla fase arcaica della tirannide l'adozione di quelle formule artistiche per l'esaltazione individuale che troveranno larga diffusione nel mondo mediterraneo nell'età ellenistica, e cioè l'assimilazione a divinità, il ritratto individuale, il ricorso all'iconografia equestre come forma monumentale eroizzante. È comunque significativo che fin dall'età arcaica, in Grecia, il gruppo equestre si pone come alternativa, forse non solo artistica, alla rappresentazione su carro che domina invece come schema distintivo del rango sociale nelle civiltà orientali.
Accenni di animazione nella posizione del busto del Cavaliere Rampin e nella resa della doppia fila di crini lungo il collo della sua cavalcatura, rivelano una, seppur contenuta, vitalità dell'insieme. La posizione stante è comunque prevalente nelle rappresentazioni equestri dell'età arcaica; l'unica eccezione è data dall'iconografia agonistica adottata nelle pitture vascolari, su rilievi e appliques di bronzo. Anche nella statuaria celebrativa di gare atletiche domina tuttavia la posizione stante, come mostrano le statuette in bronzo di cavaliere del Museo Nazionale di Atene, a Samo, a Olimpia e nel Museum of Fine Arts di Boston (Maul-Mandelartz, 1990).
Forme statiche e pesanti mostra il gruppo equestre del Museo dell'Acropoli n. 606, databile intorno al 540 a.C., proposto come raffigurazione di un tiranno della Tracia in base all'abito indossato dal cavaliere. Verso la fine del VI sec. a.C. una più decisa tendenza a snellire e a rendere più agili le forme del cavallo e del cavaliere si rileva ad Atene nel gruppo n. 70, sempre al Museo dell'Acropoli, e nell'altro del Museo del Ceramico (Ρ 1051).
Un'edizione schematica del gruppo equestre a tutto tondo si avverte ancora in un bronzetto proveniente da Grumento (v.), al British Museum, databile nella seconda metà del VI sec. a.C. Alla nudità eroica dei coevi gruppi statuari ateniesi il bronzetto lucano oppone la raffigurazione del guerriero armato, con il volto interamente coperto dall'elmo, chiara espressione della volontà di comunicare una tipologia, piuttosto che far riconoscere un individuo. La resa della muscolatura del cavallo è calligrafica, e innaturale risulta anche la costruzione d'insieme della corporatura e ciò contrasta con la ricerca del corretto movimento dell'animale, raffigurato al passo. La criniera, plasticamente resa a rilievo con lunghe ciocche ricadenti sul collo e ai lati della fronte, testimonia un uso diverso rispetto a quello documentato dai coevi gruppi ateniesi, caratterizzati dal taglio, più o meno articolato, dei crini lungo il collo del cavallo. Tale diversità continuerà anche in epoche successive a distinguere i gruppi equestri italici, rispetto a quelli prodotti in Grecia e nelle zone di diretta influenza ellenica.
Il gruppo equestre in terracotta che costituiva l'acroterio centrale del Tempio di Casa Marafioti, della seconda metà del V sec. a.C., al Museo Nazionale di Reggio Calabria (v. vol. IV, fig. 795), mostra la piena aderenza all'ideale efebico dei contemporanei esempi ateniesi, noti nell'età classica soprattutto grazie alle dediche degli ipparchi e per le raffigurazioni vascolari. Espressione del mutato regime politico che privilegia le celebrazioni di gruppo (basti pensare alla cavalcata degli efebi nel fregio del Partenone), il soggetto equestre diventa ora, ad Atene, un tramite iconografico per esaltare i valori della pòlis, mentre nelle regioni settentrionali continua a servire come mezzo di esaltazione individuale. In questo senso l'immagine monetale adottata da Alessandro I di Macedonia (495445 a.C.) aiuta a comprendere non solo la diversa scelta propagandistica di un regime monarchico, ma anche la persistenza di schemi già adottati dai ceramografi attici della prima generazione dello stile severo (kỳlix a figure nere di Hischylos ed Epiktetos con efebo a cavallo, Londra, British Museum; kỳlix di Euphronios con efebo a cavallo, Monaco, Antikensammlungen). L'interesse per l'immagine equestre sugli octodrammi di Alessandro I consiste anche nel fatto che si pone come precedente per i più noti esiti iconografici dell'età di Filippo II e di Alessandro Magno.
Da Pella proviene un piccolo gruppo equestre in marmo, realizzato a tutto tondo nella prima metà del IV sec. a.C., da considerare forse come una raffigurazione molto giovanile di Alessandro Magno. La statuetta, esposta nel Museo Archeologico di Pella, con il particolare dell'adesione del mantello del cavaliere al corpo del cavallo, e con la staticità di quest'ultimo, mostra che il contrasto con le soluzioni figurative adottate in rilievi e pitture coeve, dove nei gruppi equestri prevale la resa del movimento, è dovuto più a difficoltà tecniche che non a scelte iconografiche. Già intorno al 380 a.C., infatti, Timotheos libera dal fondo immagini equestri molto animate e, pure nella particolare situazione tecnica data dagli ancoraggi al Tempio di Asclepio, possiamo dire che le Nereidi o Aure, e soprattutto l'Amazzone del frontone O di Epidauro (v. vol. ill, fig. 444), rappresentano un precedente iconografico a tutto tondo dello schema del cavallo rampante che sarà largamente usato dalla seconda metà del IV sec. a.C. in poi. Il m. e. più famoso di quest'ultimo periodo, celebrato con enfasi dalle fonti letterarie e all'origine di numerose derivazioni e copie fino all'età imperiale romana, è certamente la «turma Alexandri». Commissionato da Alessandro Magno a Lisippo (v.), il gruppo commemorava i venticinque cavalieri morti nel maggio del 334 a.C. nella battaglia del fiume Granico. Nel monumento che celebrava i caduti del primo e decisivo scontro con i Persiani sul suolo asiatico, Alessandro fece inserire anche la propria immagine e l'insieme delle ventisei statue equestri in bronzo, verosimilmente puntellate da statue di Persiani caduti, fu dedicato a Dion, in Macedonia, all'interno del recinto del Santuario di Zeus Olimpio. Del Gruppo del Granico, del quale resta probabilmente un originale da identificare nel Cavallo di bronzo del Museo Nuovo dei Conservatori, era particolarmente apprezzato - secondo la testimonianza delle fonti - l'alto numero delle statue realizzate e il fatto che i personaggi fossero contraddistinti da ritratti. A ciò possiamo aggiungere, in base alle copie e alle derivazioni, che l'animazione e la variazione dei gesti dei cavalieri, dell'andatura dei cavalli e della posizione dei Persiani caduti, rendeva ormai perfettamente coerente l'iconografia di m. e. a tutto tondo, quali il Gruppo del Granico, alle contemporanee raffigurazioni pittoriche e a rilievo.
Il motivo dell'antagonista caduto, usato come puntello, è tra i più diffusi nei m. e. greci, non solo nel IV sec. a.C., ma almeno dal secolo precedente e continuerà nell'iconografia romana con il tipo del barbaro travolto dal cavallo dell'imperatore. Sono documentati, e pensabili soprattutto nelle statue di formato ridotto, puntelli in forma di vegetale, di timone (v. vol. I, fig. 357), di colonnina. Nei gruppi a più figure la presenza del puntello poteva essere ovviata dalla posizione affrontata dei cavalli che si toccano con le zampe anteriori, e tale situazione è documentata, p.es., nel m. e. di Filopemene a Delfi (v. oltre).
Al periodo della conquista macedone dell'Asia risalgono altri m. e., realizzati dallo stesso Lisippo, che vedevano Alessandro impegnato in situazioni diverse (Moreno, 1987 e 1993). Allo schema di battaglia aderiva l'immagine equestre del sovrano compresa nel gruppo di Zeus con Alessandro e barbaro; numerose risultano le celebrazioni di cacce. Di diverso valore semantico era il m. e. dell’Alessandro fondatore, innalzato ad Alessandria, in Egitto.
Nel 306 a.C. il Senato romano conferiva a Quinto Marcio Tremulo, console in quell'anno, l'onore di una statua equestre che fu innalzata a Roma davanti al Tempio dei Castori (Cic., Phil., 6,13; Liv., IX, 43,22; Plin., Nat. hist., XXXIV, 23) e lo schema, tramandatoci da una moneta del 113-112 a.C. di Lucio Marcio Filippo, risulta già allineato ai m. e. di Alessandro Magno.
Le iconografie create per Alessandro condizioneranno per secoli gli schemi: se l'immagine dell’Alessandro fondatore può riassumere il modello per le eroizzazioni individuali, il Gruppo del Granico dava le coordinate per monumenti più complessi. La notizia che uno dei figli di Lisippo, bronzista come il padre, fosse autore di un proelium equestre (Plin., Nat. hist., XXXIV, 66) testimonia probabilmente la prima derivazione del celebre m. e. di Dion, che sarà trasferito a Roma nel 146 a.C. da Quinto Cecilio Metello.
Debitori del sistema iconografico del Gruppo del Granico erano forse anche i gruppi di battaglia che celebravano a Pergamo le vittorie sui Galati. Non sarebbe comunque pensabile l'enorme diffusione di m. e. nell'età ellenistica senza il fenomeno dell’imitatio Alexandri che caratterizza i diadochi e i loro eredi.
La statua equestre di Demetrio Poliorcete (v.) ad Atene, quelle dei Seleucidi a Delfi, degli Attalidi a Delo (Hintzen-Bohlen, 1992) e le numerose altre testimoniate ormai solo da iscrizioni o da fonti letterarie, documentano un uso della statua equestre anche in senso dinastico. Oltre ai re, anche militari al servizio delle corti e strateghi delle leghe ricevettero l'onore di m. e.: famoso era, p.es., quello eretto a Delfi dopo il 183 a.C. per Filopemene, stratega del koinòn degli Achei (Plut., Phil., 2 e 10).
La portata del valore politico dell'iconografia equestre è documentata anche dalla sovrapposizione di immagini dei generali romani su basi progettate per m. e. di sovrani ellenistici, quale è il caso, p.es., del monumento di Perseo a Delfi, ultimato da Emilio Paolo dopo il 168 a.C.
Ma l'esempio più completo e raro, per il fatto di essere stato eseguito in bronzo, di m. e. della piena età ellenistica è costituito da un gruppo celebrativo di una gara atletica: si tratta del fantino fanciullo con il cavallo lanciato al galoppo, ripescato presso il Capo Artemisio.
Rispetto al passato si arricchiscono le leghe delle statue equestri in bronzo che, oltre a presentare parti aggiunte in materiali diversi, sono ageminate e in qualche caso anche argentate o dorate, secondo un costume che ancora nell'età imperiale romana caratterizzerà le immagini di divinità e di sovrani.
Nell'eco della tradizione lisippea della «turma Alexandri», il donario dedicato da Lucio Licinio Murena nel Santuario di Giunone Sospita a Lanuvio riprende lo schema dei cavalli rampanti e, pur non rispettando l'iconografia d'insieme del gruppo macedone (Calcani, 1984), la scelta artistica di Murena si pone in linea con una serie di m. e. innalzati a Roma nell'età repubblicana e noti dalle fonti letterarie e dai tipi monetali (La Rocca, 1990).
È da notare inoltre che una non casuale convergenza d'immagine lega, in questo periodo, le raffigurazioni equestri dei cittadini romani a quelle dei Dioscuri, divinità protettrici dell'ordine equestre.
La ripresa iconografica di modelli qualificanti non esclude, ancora nella seconda metà del I sec. a.C., l'appropriazione fisica di monumenti del passato: emblematico è il caso di Giulio Cesare che utilizzò una statua in bronzo di Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, completandolo con una propria immagine per un m. e. innalzato davanti al Tempio di Venere nel foro da lui stesso dedicato (Stat., Silv., I, ι, 84-90).
Ma la scelta di schemi animati, con cavalli rampanti e torsioni nei cavalieri, propria dell'età di Alessandro e dei regni ellenistici, lascerà il posto a iconografie stanti. Già il gruppo equestre del Museo Nazionale di Atene, proveniente dall'isola di Milo, la cui datazione è stata giustamente rialzata alla metà c.a del I sec. a.C. (Coarelli 1981, p. 248), recupera l'incedere tranquillo delle statue del passato, ma non sono più, ormai, ragioni tecniche a far preferire la posizione stante.
La diversa scelta iconografica per i m. e. è coerente con gli altri indizî del processo di «standardizzazione» visiva che si compie negli anni del principato di Augusto. Il frammento di statua in bronzo ripescata nel 1979 nell'Egeo settentrionale, tra le isole di Haghios Eustratios e Lemno, al Museo Nazionale di Atene, mostra il princeps a capo scoperto, vestito di tunica corta e mantello, mentre solleva il braccio destro nel gesto dell'adlocutio. La fermezza del busto e la posizione rilassata del braccio e della mano sinistra che teneva le redini, permettono di ricostruire un'iconografia stante, quale quella adottata per il m. e. di Ottaviano decretato nel 43 a.C. ed eretto nel Foro Romano, noto da immagini monetali.
Da Roma tale modello si diffonde e, nella stessa età augustea, ne sono testimonianza m. e. che raffigurano, forse, componenti della stessa famiglia imperiale, quali il gruppo in bronzo dorato di Cartoceto (v.) e statue di magistrati come quelle erette per Nonio Balbo (v.) a Ercolano e per altri personaggi pubblici di Pompei, al Museo Nazionale di Napoli.
Nei m. e. di età imperiale si registra quella contrazione di significati per le dediche private che caratterizza anche altre produzioni artistiche; in particolare va notato che i valori militari saranno espressi solo dalle statue degli imperatori. Nell'insieme possiamo dire che non vi sono grandi variazioni: gli schemi sono quelli codificati entro l'età ellenistica e l'alternativa si pone, per quel che riguarda i monumenti di carattere politico, tra la posizione stante (che rimanda all'esempio di Augusto) e quella rampante (che recupera l'immagine eroica di Alessandro). L'adesione all'uno o all'altro schema condiziona, in maniera coerente, anche l'abbigliamento del cavaliere che è tipicamente romano nel primo caso e consiste di tunica e paludamentum·, mentre nel secondo è alla greca e prevede il thòrax stàdios, la corazza a corsetto rigido e ptèryges, e il mantello.
L'equipaggiamento alla greca e il cavallo rampante caratterizzano la statua equestre in bronzo di Domiziano, poi trasformata per Nerva, proveniente da Miseno, attualmente al Museo dei Campi Flegrei di Baia, nella quale è stata riconosciuta l'eco più diretta dell'iconografia di Alessandro (Moreno, 1987); mentre il m. e. di Marco Aurelio (v. restauro), ai Musei Capitolini, rispecchia la linea di adesione al modello augusteo.
La stessa ripetitività delle occasioni di dedica agli imperatori di statue equestri lega inevitabilmente a formule standardizzate: l’adventus (v.), la profectio (v.), il trionfo, sono momenti che scandiscono la vita dell'impero e coincidono spesso con celebrazioni artistiche, e i gesti, così come l'intero schema dei m. e., esprimono il momento dell'adlocutio, dell'incitamento alla battaglia, della pacificazione. L'idea da comunicare era, comunque, quella dell’imperator invictus. A mutare è, sostanzialmente, lo stile delle figure e ciò sembra influire su alcuni particolari, quali le criniere dei cavalli che diventano fluenti e riccamente lavorate nell'età antonina, a differenza delle epoche precedenti; ma l'adattamento al gusto estetico di un'epoca non implica, comunque, l'abbandono delle vie iconografiche già sperimentate.
Forse proprio per aumentare il significato di schemi troppo ripetuti si aumentano le proporzioni e così alle statue dei privati, grandi generalmente metà del vero, fa eco il gigantismo dei m. e. di imperatori, come quello di Domiziano, eretto nel Foro Romano (Stat., Silv., I, ι, 99) ma demolito in seguito alla damnatio memoriae, cui seguirà quello innalzato da Traiano al centro del suo foro. In entrambi i casi l'imperatore indossava tunica e paludamentum e teneva nella mano protesa una statuetta, raffigurante Minerva nell’equus Domitiani e Vittoria in quello di Traiano (von Roques de Maumont 1958, p. 52 s., fig. 27 a). Nel Foro Romano è ricordato (Herodian., 11, 9, 5) ancora un m. e. di Settimio Severo e se in Grecia i santuari erano il luogo di maggiore esposizione delle statue equestri, a Roma si cerca la presenza negli spazi civili e, soprattutto nel foro più antico della città.
La collocazione nei luoghi pubblici (fori, teatri, basiliche) si trova anche al di fuori dell'Urbe, come è già nel caso dell'Agorà degli Italiani a Délo, o del teatro di Ercolano. Un affresco del Museo Nazionale di Napoli illustra tre statue equestri innalzate nel foro di Pompei, stillo sfondo della basilica. Particolarmente interessante risulta, anche nei monumenti fuori di Roma, la connessione tra statua equestre e arco trionfale, come nel caso della dedica a Gaio e Lucio Cesari nel foro di Pisa (CIL, XI, 1420-21).
Tra le innovazioni sul tema equestre istituite nei territori provinciali vanno ricordate l'iconografia del Cavaliere Tracio (v.) e quella del Cavaliere che combatte contro un mostro anguipede, tipica dell'area gallica e renana.
Per quel che riguarda i gruppi di caccia, non esistono alternative al tipo divenuto canonico già alla fine del IV sec. a.C. Da quel momento, fino all'età tardoantica, lo schema dominante è quello con la preda affiancata al cavallo, raffigurato al galoppo più o meno lanciato, e con il cavaliere armato di giavellotto che colpisce ruotando il busto rispetto alle gambe. Tale iconografia caratterizza sia le rappresentazioni imperiali, sia quelle di privati, come evidenzia il confronto, p.es., tra le scene di caccia al leone e al cinghiale scolpite sui tondi adrianei dell'Arco di Costantino e la statuetta di cacciatore nella Sala degli Animali, in Vaticano (n. 403), proveniente da una villa nei pressi del Laterano e datata fra l'età di Traiano e i primi anni del regno di Adriano, o con l'altra del Museo Archeologico di Torino, pure alta a metà del vero e datata in età antonina. Anche le cacce di fanciulli seguono il medesimo schema e ne è un esempio la statuetta di età post-gallienica, proveniente da una tomba di Acilia, sulla Via Ostiense, al Museo Nazionale Romano.
Gruppi di caccia, m. e. greci depredati, statue celebrative repubblicane e imperiali, affollavano Roma ed erano visibili fino all'età tardoantica, quando si contavano ventidue equi magni (Curiosum urbis Romae, ed. H. Jordan, p. 572) e numerose altre statue («mandrie» addirittura) di «cavalli che vanno custoditi con la cautela uguale alla cura con cui appaiono dedicati» (Cassiod., Var., VII, 13, 1), segno di una continuità di fortuna che non cesserà neppure nelle epoche successive.
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