Vedi MONUMENTO FUNERARIO dell'anno: 1963 - 1995
MONUMENTO FUNERARIO (v. vol. V, p. 170)
Egitto. - Gli elementi costanti nella concezione del m. f. egiziano sono la parte dedicata esclusivamente al defunto (l'infrastruttura invisibile) e quella in cui il defunto è ancora in contatto con il mondo dei viventi (la sovrastruttura, il m. f.). Nella sovrastruttura si distinguono il corpo dell'edificio, che può avere stanze adibite a magazzini ove vengono deposte le provvigioni per il defunto nell'aldilà, e il luogo ove viene praticato il culto e vengono deposte le offerte necessarie al rito funerario.
Peculiare all'Egitto sin dalla preistoria è l'indissolubilità di pensiero politico e religioso-funerario incarnata nella figura del re. Il sovrano è divino prima e dopo la morte ed è proprio l'edificio funerario a riassumere in sé tale concezione, documentando per il faraone una sopravvivenza privilegiata rispetto al comune mortale.
La mastaba (v. vol. IV, p. 925) è il primo esempio di edificio funerario che in forma monumentale è dedicato al faraone. Essa si sviluppò da semplice tumulo regolare, segnacolo indicante il luogo della sepoltura ove venivano deposte le offerte, a complesso edificio parallelepipedo racchiudente vani con funzione di magazzini e appartamenti funerarî sotterranei. Nel tardo predinastico e nel protodinastico (3100-2650 a.C.) la mastaba è un complesso in cui sovrastruttura, infrastruttura e luogo di culto sono un tutt'uno e non accessibili al vivente. Il luogo di culto è ricavato all'interno a Ν o costruito all'esterno dell'edificio; nelle dinastie successive si trova accostato a Ν o a S del suo lato orientale. Le grandi mastabe di Saqqāra e Tarkhan sono decorate esternamente da gruppi di nicchie inframmezzate da lesene, che verrebbero a riprodurre nella forma della porta di accesso al palazzo il simbolo stesso della regalità. Le mastabe reali di Abido, forse anteriori a quelle di Saqqāra, non presentano la decorazione a facciata di palazzo, ma sono blocchi lisci e compatti in cui solo due stele a distanza dalla sovrastruttura diventano legame con il vivente. Le tombe, più monumentali delle altre coeve, suggeriscono la preminenza di un singolo capo, e forniscono un indizio topografico per le generazioni successive.
I funzionari beneficiano di prerogative reali con l'adozione dello stesso edificio architettonico in scala ridotta posto attorno alla mastaba reale. Nei cimiteri di provincia (Tarkhan, Mahasna, Bet Khallaf), le mastabe monumentali, simili a quelle reali, sono invece sintomo della persistenza di autonomie locali, residuo del periodo preunitario e prerogativa di una élite che può aspirare a un aldilà privilegiato. Le mastabe in mattoni della III dinastia (Gīza, Saqqāra, Bet Khallaf, Reqaqna, Naqa ed-Deir) conservano il motivo a nicchie e pilastri solo su alcune delle facciate oppure presentano pareti lievemente rastremate. Rilievi e pitture decorano le pareti del luogo di culto e le stele a falsa porta all'esterno.
Durante la III dinastia il faraone Djoser fece elevare un grandioso m. f. a Saqqāra: a una mastaba originaria in pietra ne vennero aggiunte altre di dimensioni decrescenti, formando un'imponente piramide a gradoni. Il complesso che circonda la piramide è articolato in edifici e cortili destinati a riti connessi alla regalità. Il luogo di culto funerario è situato a Ν come nelle mastabe più antiche. Simile a questo doveva essere il vicino complesso di Sekhemkhet.
Snofru, capostipite della IV dinastia, è il primo a tentare, a Dahšūr, la costruzione di una piramide di forma regolare con le c.d. piramidi romboidale e ottusa. In seguito la piramide assume con Kheops la sua forma definitiva e permane come simbolo della sepoltura regale sicuramente fino alla XIII dinastia e forse alla XVII (Šaykh 'abd el-Qurna); risale agli inizî della XVIII dinastia l'ultimo esemplare, nel cenotafio della regina Tetisheri ad Abido. Muteranno la tecnica costruttiva, le dimensioni sempre meno imponenti del corpo piramidale, che testimoniano le fluttuazioni del potere regale, e i materiali, generalmente più poveri con l'uso del mattone, ma non la raffinatezza dell'esecuzione.
Le tombe private più importanti della IV dinastia a Gīza erano situate tra la Grande Piramide e il Nilo, le meno prestigiose a O della Grande Piramide. Erano tutte massicce e per la prima volta costruite in pietra; rilievi e pitture raffiguranti processioni di portatori di offerte decorano le pareti delle camere e l'esterno della sovrastruttura. Il gruppo occidentale di mastabe era invece privo di ogni decorazione. Tale mancanza segna un regresso rispetto alle tombe della III dinastia in quanto rivela una limitazione rispetto all'accresciuto patrimonio degli scritti e del repertorio figurativo a rilievo.
Alla fine della IV e in particolare all'inizio della V dinastia, i m. f. reali e privati divennero più piccoli, ma più riccamente decorati con scene di vita del defunto, mentre aveva inizio una letteratura non regale nelle tombe dei funzionari di alto rango a Saqqära e Abu Sir. L'ultimo esempio di monumento reale a mastaba, nella zona cimiteriale di Saqqāra, è della IV dinastia. Diversa dalle piramidi più antiche, con una rottura della tradizione secolare del sepolcro reale a piramide, è la Mastabat el-Fara'un, la cui sommità riprende la forma del coperchio di un sarcofago, suggerendo l'ipotesi che nella forma a blocco compatto della mastaba vi fosse l'intenzione di rappresentare il contenitore del defunto.
La piramide di grandi dimensioni è elemento strutturale a sé stante e probabilmente anche per ragioni tecniche non incorpora, come avverrà dal Nuovo Regno, quando diviene elemento simbolico, il luogo di culto o complesso templare. Questo, con Djoser sul lato Ν e dopo di lui sul lato E della piramide, consta di due nuclei principali costituiti dal tempio a valle con «imbarcadero», dove le barche processionali approdavano, e dal tempio in alto, edificio massiccio, parallelepipedo all'esterno con scarso vuoto all'interno, collegato con il primo tramite una rampa ascendente. Al tempio a valle si accede per due ingressi in facciata affiancati da due sfingi. Con Snofru il tempio a valle riceve maggior risalto con una serie di ambienti: in alto si trova un semplice sacrario. Nelle grandi piramidi di Gīza ambedue i templi sono importanti. Dalla V dinastia in poi il tempio a valle è ridotto al solo imbarcadero. Fino alla V dinastia il tragitto ai vani di culto non è assiale; poi il percorso diviene assiale dall'ingresso unico del tempio a valle fino al tempio in alto. Il tempio funerario compare durante la V dinastia anche nelle tombe dei privati. Le raffigurazioni dei complessi funerari a partire dalla V dinastia si distribuiscono, parallelamente al progressivo aprirsi dei culti a una stretta cerchia di funzionari, all'interno delle loro mastabe in pietra, svuotate seguendo i contorni del profilo esterno. I vani con le statue al termine di un cortile a pilastri all'interno della mastaba presentano lo stesso schema di accesso assiale (p.es. la mastaba di Ptashepses ad Abu Sir).
Durante il primo periodo intermedio alcuni monarchi cominciarono a essere sepolti vicino alle loro capitali, adottando il tipo di tomba scavata nelle pendici rocciose degli altipiani desertici. I primi esempi di tomba rupestre comparvero già durante la III dinastia (p.es. Gīza, Assuan), costituiti da un luogo di culto simile a quello ricavato all'interno della sovrastruttura della mastaba. Da esso si diparte il pozzo che conduce agli appartamenti funerari. È molto probabile che furono scavate in modo da risparmiare materiale, ma non a scapito della monumentalità. In alcuni esempi, come la tomba di Mekhu e Sabni ad Assuan, della VI dinastia, una rampa conduce a un probabile imbarcadero sul Nilo. Durante la XII dinastia le tombe rupestri dei monarchi di Qaw el-Kebir con tempio a valle, rampa e tempio in alto come nelle piramidi, sono segno evidente della volontà di affermazione dei privilegi locali dei monarchi.
La mastaba non scompare. Nel Medio Regno, se ci si basa sui resti di cappelle private e templi reali funerari, l'accesso è al centro del lato minore, assiale rispetto alla camera di culto. La mastaba si va progressivamente trasformando da edificio con poco spazio riservato alle offerte a semplice cappella per il culto funerario, attraverso una inversione di proporzioni con più spazio per il luogo di culto, che può essere interno o esterno alla mastaba, e con la scomparsa delle camere adibite a magazzini. Le mastabe e i cenotafî a mastaba di Abido sono camere voltate a botte o blocchi solidi in muratura talvolta prospicienti un cortile, adibiti a luogo di culto.
Il periodo che va dalla XIII alla XVIII dinastia è caratterizzato dall'assenza di un potere centrale che si riflette anche in una mancanza di m. f. che rispondano a una tipologia unitaria. Nel Delta (Tell ed-Dab'a) mantengono le caratteristiche tradizionali, ma sono individuabili anche influssi asiatici, mutuati attraverso le genti Hyksos. L'estremo Sud invece subisce l'influenza della cultura delle «Pan-graves» proveniente dalla Nubia e caratterizzata dai tumuli circolari e dal diverso corredo.
A Tebe i sovrani del Nuovo Regno fanno scavare nelle pendici rocciose dell'Altopiano libico camere sepolcrali le cui pareti recano un repertorio di formule magico-religiose (p.es. Libro dell'Amduat, delle Porte, Litanie del Sole) destinate di nuovo esclusivamente al sovrano, come già era avvenuto nell'Antico Regno. La camera funeraria della piramide di Unis, ultimo sovrano della V dinastia, reca incisi per la prima volta su colonne i Testi delle Piramidi che si ritrovano nella XII dinastia, insieme ai Testi dei Sarcofagi, in alcune cripte di mastabe (p.es. Senusertankh a el-Lišt) e di tombe rupestri (p.es. Henib e Wahka II a Qaw el-Kebir).
Il luogo di culto funerario del Nuovo Regno consta di un tempio a sé stante, situato generalmente al limite delle coltivazioni nella piana di Tebe, dedicato al sovrano vivente, ad altre divinità e, dopo la morte, allo stesso re defunto. A pianta longitudinale, può essere formato da ambienti affiancati e asimmetrici rispetto all'asse (Amenophis I, Thutmosis I e II); a peristilio come il tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahrl, che riprende l'esempio dell'adiacente monumento di Mentuhotep II della XI dinastia e che conserva fino a Thutmosis IV; oppure ad aula quadrata, tipico della XIX dinastia, dove un cortile porticato sul fondo immette su uno o due vestiboli verso un'aula quadrata con quattro pilastri con al fondo il luogo di culto (Seti I a Šaykh 'abd elQurna, Ramesse II a Tebe, Ramesse III a Medlnet Habu). Il repertorio figurativo di scene rituali celebra il sovrano e gli dei. Le scene di vita pubblica rappresentano cacce e battaglie.
La piramide abbandonata dai faraoni viene ripresa dai privati nelle necropoli tebane (p.es. Deir el-Medīna), dove una cappella è addossata alla faccia orientale della piramide o riservata dentro la medesima, e a Saqqāra per le cappelle degli alti funzionari (p.es. tomba di Horemheb, Tia e Tia, Iniuiu) ridotta in dimensioni e ormai simbolo della possibilità dei cittadini più abbienti di beneficiare di culti un tempo riservati al sovrano. Passa poi in uso anche in Nubia nelle sepolture dei coloni ad Aniba dalla XVIII dinastia, dove la piramide poggiante direttamente sul suolo contiene l'ambiente di culto soffittato a volta come negli esempi della necropoli tebana, tipologia ripresa e adottata come sepoltura regale dalla XXV dinastia a Napata e in epoca meroitica dai re di Kush (300 a.C.-350 d.C.). Lo schema della cappella funeraria strutturata come un tempio di dimensioni ridotte sarà in uso fino in epoca tolemaica. La tomba di Petosiri a Tuna el-Gebel (300 a.C.) ha la forma di un tempio egizio tolemaico. All'interno, le scene scolpite sulle pareti svolgono i consueti temi funerari antico-egizi, ma inedita è la conciliazione tra stile egizio e stile ellenico alternati nei bassorilievi.
Dopo il Nuovo Regno si assiste all'affermarsi delle tipologie «regionali» anche per le sepolture dei sovrani e dei personaggi più abbienti.
I principi libici della XXII dinastia a Memfi sono sepolti dentro la cinta del tempio principale in camere sotterranee come i reali contemporanei a Tanis. La decorazione delle cripte riprende capitoli dei Testi delle Piramidi e del Libro dei Morti per deliberato ritorno al passato ovvero eredità di tradizioni locali. Ai sacerdoti della XXIIXXIV dinastia, entro il recinto dei templi di Medlnet Habu a Tebe, furono dedicate cappelle a una o tre camere di culto precedute da un cortile, epigoni della cappella funeraria privata del Nuovo Regno (p.es. Horemheb a Saqqāra).
Nella zona tebana dell'Asasif le cripte grandissime delle tombe a ipogeo dei grandi dignitari della XXV-XXVI dinastia (p.es. Petamenophis, Montemhat, Sheshonq) sottostanno a un grande tempio in mattoni crudi che imita quelli funerari dei sovrani della XIX dinastia e, nella decorazione a nicchie e lesene, le mastabe reali della I-II dinastia ad Abido.
Sovrastruttura (luogo di culto) e infrastruttura (luogo di sepoltura) tornano ora a fondersi in un unico blocco, così come lo erano nell'architettura funeraria precedente alla creazione della piramide.
Bibl.: H. Ricke, Bemerkungen zur ägyptischen Baukunst des Alten Reiches (BÄBA, 1-2), Heidelberg 1944-1950; J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne. I. Les époques de formation. La préhistoire, Parigi 1952; id., Manuel d'archéologie égyptienne. ii. Les grandes époques. L'architecture funéraire, Parigi 1954; A. Badawy, A History of Egyptian Architecture, I-III, Il Cairo-Berkeley-Los Angeles 19541968; S. Donadoni, Arte Egizia, Torino 1955; A. Badawy, The Ideology of the Superstructure of the Mastaba Tomb in Egypt, in JNES, XV, 1956, pp. 180-183; C. A. Rinaldi, V. Maragioglio, L'architettura delle piramidi menfite, I-II, Torino 1962-1963, III-V, Rapallo 1964-1966; J. Brinks, Die Entwicklung der königlichen Grabanlagen des Alten Reiches, Amburgo 1979; S. Curto, L'Antico Egitto, Torino 1981; E. Dziobek, The Architectural Development of the Theban Tombs in the Early Eighteenth Dynasty, in J. Assmann (ed.), Problems and Priorities in Egyptian Archaeology, Londra 1987; J. Brinks, Die Entwicklung der Mastaba bis zum Ende des Alten Reiches, in Akten des vierten Internationalen Agyptologenkongresses, München 1985, Amburgo 1989, pp. 35-44.
(E. Fiore Marochetti)
Vicino Oriente. - La costruzione di strutture complesse destinate alla sepoltura di personaggi di rango inizia nel Vicino Oriente con l'emergere di società stratificate a carattere urbano, fra la seconda metà del IV e gli inizî del III millennio a.C.
In Anatolia, le tombe più comuni sono inumazioni o cremazioni deposte in pozzetti. A Ilica una serie di megaliti infissi nel terreno segna la presenza di tombe. Questi megaliti sono disposti in una o due file lunghe oltre 200 m. A Gâvurkale una via cerimoniale conduce a una piattaforma sulla cima di una collina, circondata da mura ciclopiche presso cui si trova un bassorilievo raffigurante due personaggi, forse divini, di fronte a una divinità femminile seduta, mentre una camera funeraria scavata nella roccia si trova nei pressi della piattaforma. La struttura è databile al periodo ittita, e potrebbe essere quella di un re o di un personaggio di rango molto elevato. A Gordion grandi tumuli ricoprono tombe a cista. Il più grande è alto 50 m e ha oltre 250 m di circonferenza. Gli scavi condotti nel 1957 hanno rivelato la presenza di una camera funeraria costruita con travi e tronchi di legno, a costituire le pareti interne ed esterne rispettivamente. La tomba era intatta e conteneva un solo individuo con un ricchissimo corredo di bronzi, arredi in legno e tessuti che mostrano segni di influenza urartea e assira. La tomba, forse appartenente a un re frigio, è datata al tardo VIII sec. a.C.
In Urartu le tombe monumentali erano ricavate scavando la roccia attorno a esse. Le tre tombe più grandi rinvenute sul lato meridionale della cittadella di Van sono sicuramente reali. Una appartiene ad Argišti I, morto nel 764 a.C.
Anche in Frigia le tombe monumentali sono scavate nella roccia. Quella c.d. dei leoni a Köhnüş, chiamata Arslan Taş, ha due gigantesche leonesse affrontate scolpite sulla facciata a proteggere l'entrata alla camera. Il monumento è stato anche interpretato come luogo di culto, e variamente datato fra il XII e il VI sec. a.C.
In Licia si rinviene un discreto numero di tombe costruite, fra cui tumuli, tombe c.d. a pilastro e tombe a forma di casa o tempio, databili fra il VI e il V sec. a.C. Alla metà del VI sec. a.C. si data la tomba a piramide di Sardi, di c.a 5 m di altezza, costruita con l'aspetto di una ziqqurat a 12 gradini, con la camera posta all'interno dei sette gradini superiori.
Per quanto riguarda l'area siriana, le tombe reali di Ebla sono degli ipogei costruiti nei pressi del palazzo, con ricchi corredi ma senza nessuna pretesa di monumentalità. Le tombe monumentali del Bronzo Tardo (c.a 1550-1200 a.C.) a Ras Šamra (Ugarit) sono spesso situate all'interno di edifici, e sono costituite da un dròmos a gradini che dà accesso a una camera con falsa volta e pavimento in lastre di pietra. In rari casi una piccola camera è annessa a quella principale. Nel pavimento di quest'ultima si apriva il pozzo funerario, dove veniva deposto il corpo del defunto. Il dròmos di queste tombe ha una lunghezza di c.a 3 m e una larghezza di poco superiore aim, mentre la camera sepolcrale supera i 3 m di lunghezza e i 2 m di larghezza; anche l'altezza è spesso superiore ai 2 m. La costruzione di queste strutture è impeccabile: le grandi lastre di pietra sono messe in opera in accuratissima connessione, non di rado anche a incastro. La loro presenza all'interno di edifici di una certa importanza e i corredi in esse rinvenuti sono un chiaro segno del prestigio associato a queste strutture.
A Tell Halaf tombe dell'VIII-VII sec. a.C. hanno camere multiple con copertura a volta, con annessa una cappella contenente la statua funeraria o un bacino con canaletti di scarico.
In Fenicia non vi sono m. f. propri fino a epoca tarda. A Biblo nel Bronzo Antico e Medio le tombe sono camere scavate nella roccia con accesso tramite pozzo e breve dròmos, una tipologia comune in tutto il Levante dell'Età del Bronzo. Tombe costruite di epoca fenicia sono quella di Ešmunazar a Sidone (fine VI sec. a.C.), parzialmente scavata nella roccia e con camera d'accesso costruita in superficie. Un po' più tarde (V-IV sec. a.C., ma la data è considerata troppo alta per alcuni studiosi, che propendono per il I sec. a.C.) sono le tombe di Amrit, sempre scavate nella roccia e con accesso a dròmos, ma questa volta sormontate da un monumento funerario. Delle tre tombe di Amrit, una è sormontata da una struttura cilindrica, un'altra da una struttura piramidale a cinque lati sopra un tronco di cono e la terza da una piramide sovrastante una base a prisma.
In Palestina e Transgiordania m. f. preclassici propriamente detti sono pressoché assenti. Se si escludono i grandi monumenti megalitici del Calcolitico e dell'Età del Bronzo, non esistono molti altri esempi che possono essere qui menzionati. Dolmen e tumuli sono piuttosto comuni in queste regioni, dove assumono diverse tipologie. La più comune è quella del dolmen composto da due grandi lastre di pietra infisse verticalmente nel terreno e coperte da una terza lastra. Nella valle del Giordano se ne sono rinvenuti alcuni con due ulteriori lastre poste a chiusura dei lati corti, una delle quali con un foro quadrangolare che dava accesso alla camera funeraria. Alcuni dolmen di questo tipo potevano avere due piani sovrapposti, con due entrate separate, e il pavimento del piano superiore costituito da lastre di pietra appoggiate ad altre lastre allineate lungo le pareti principali.
Le dimensioni di queste strutture sono di c.a 1,50 x 0,80 m all'interno della camera, mentre la lastra di copertura supera spesso i 2 m di diametro, fino a raggiungere anche i 4 o 5 m, per un peso che supera le 10 tonnellate. Spesso attorno ai dolmen si osserva un cerchio di pietre o una piattaforma: si tratta dei resti del tumulo che in origine ricopriva queste strutture. La loro data è generalmente posta fra la fine del Calcolitico e gli inizî del Bronzo Antico (c.a 3500-3200 a.C.), ma non sono rari riutilizzi consecutivi, fino a epoche tarde. I tumuli giunti fino a noi ricoprono di solito tombe a cista o piccoli dolmen, e si trovano in particolare nella pianura costiera palestinese, in Galilea e sul Golan. La loro datazione varia fra la metà del IV e la seconda metà del II millennio a.C. Un tumulo di dimensioni insolite è quello di Ruğm el-Hiri, sul Golan, databile alla fine del IV millennio a.C., la cui camera funeraria fu ricostruita e riutilizzata nel corso del Bronzo Tardo, fra il 1550 e il 1200 a.C. Il tumulo è circondato da una serie di muri costruiti ad anelli concentrici, mentre muri intersecanti, perpendicolari agli anelli, formano una sorta di labirinto. A questa struttura, che ha un diametro totale di 140 m, è stato assegnato un significato astronomico o cultuale, pur riconoscendosene la caratteristica funeraria. Per tutta la durata dell'Età del Bronzo la sepoltura più comune resta quella della camera scavata nella roccia con accesso a pozzo. Tombe costruite sono molto rare: a Bāb edh-Dhra‛, in Transgiordania, alcune tombe collettive databili al Bronzo Antico II-III (c.a 2900-2300 a.C.) erano costruite in mattoni crudi, avevano forma rettangolare e un'unica entrata al centro di uno dei lati lunghi. Queste strutture, definite «charnel houses», erano costruite in superficie e contenevano i resti cremati di centinaia di individui.
A Gerusalemme la necropoli reale si trovava all'interno della «città di David». La maggior parte delle tombe, scavate nella roccia, fu danneggiata in periodo romano dall'estrazione di pietre e materiali da costruzione. Queste tombe a camera erano in origine provviste di un pozzo e di un tunnel di accesso, che in un caso supera i 16 m di lunghezza. Le tombe della necropoli reale sono databili all'VIII sec. a.C. e risentono di influenza fenicia; in particolare, i confronti più stretti sono con le tombe di Akhziv, a Ν di ‛Akko. La c.d. Tomba della figlia del Faraone, che si trova fra altre tombe monumentali, nel villaggio di Silwan, sulle pendici superiori della valle del Kidron, si data fra il IX e la fine dell'VIII sec. a.C. ed è caratterizzata da una camera scavata nella roccia su quattro lati (in modo tale da isolarla dalla roccia circostante), sormontata da un soffitto piramidale costruito con grandi blocchi di pietra. Il suo stile egittizzante la differenzia da quello di altre tombe nelle sue vicinanze.
In Mesopotomia, le tombe reali di Ur, di periodo protodinastico, erano sotterranee, costruite in pietra, e con false volte in pietra o mattoni. La loro semplicità e l'assenza di ogni riferimento all'esterno contrasta con l'estrema ricchezza dei corredi e la complessità del rito funebre, che comprendeva anche il sacrificio di decine di soldati e servitori del re o della regina defunti. A Tello, A. Parrot ha identificato un enigmatico complesso, forse una sorta di mausoleo attribuibile a Ur-Ningirsu e a suo figlio Ugme, che consiste in due strutture distinte e simmetriche a E e O di una doppia rampa. Ognuna di esse ha due camere affiancate, di cui quelle a O sono precedute da un lungo corridoio.
Sempre a Ur, nel periodo della III Dinastia (2112-2004 a.C.) le tombe di Ur-Nammu e di due suoi successori, Šulgi e Amar-Sin, sono costruite in mattoni con false volte e lunghe scalinate che conducono alle camere funerarie. Queste tombe si trovano nei pressi della necropoli reale protodinastica. Al di sopra delle camere funerarie sono stati rinvenuti tre mausolei, costruiti in fasi successive da Šulgi e dal suo successore Amar-Sin. Quello centrale e quello aggiunto all'angolo NE hanno pianta simile, con corte centrale e una serie di ambienti lungo le pareti. In entrambi questi mausolei l'unico accesso è attraverso una porta decentrata su uno dei lati lunghi. Il mausoleo centrale, costruito da Šulgi, è di 38 x 26 m c.a, con muri spessi quasi 2,5 m. L. Woolley, che scavò queste strutture, ritiene che le porte, e in alcuni casi anche le pareti dell'edificio fossero decorate con lamine d'oro e intarsi in agata e lapislazzuli. Nel cortile centrale si trovava una vasca per abluzioni. La stanza 5, in asse all'entrata al mausoleo, aveva in origine le pareti rivestite d'oro. Tre piattaforme rinvenute nella stanza erano forse altari per le offerte di cibo e libagioni; in due di esse si trovavano dei canaletti che conducevano a piccole vasche poste alla base delle piattaforme. Secondo Woolley i canaletti servivano a far scorrere oli incensati in fuochi accesi all'interno delle piccole vasche. L'accesso alla tomba vera e propria si trovava fra le camere 6 e 7. Due corridoi a gradini con falsa volta scendevano verso due camere funerarie. Prima della costruzione del mausoleo sovrastante i corridoi furono riempiti di terra; l'accesso fu poi bloccato rialzando il pavimento della stanza 6 e costruendo un muro nella porta fra le stanze 6 e 7. Le due camere funerarie, entrambe con falsa volta, avevano una lunghezza di c.a 10 m e si trovavano rispettivamente sotto alle stanze 10, 11 e 5. Le due stanze, elemento comune anche agli altri due mausolei, furono usate e sigillate allo stesso momento, ed erano destinate una al re e l'altra ai servitori sacrificati nel corso del rito funebre. Il mausoleo di NO è il più tardo dei tre. Fu forse costruito da Amar-Sin, ma il rinvenimento al suo interno di tavolette d'argilla recanti il nome di Ibbi-Sin, ultimo re della III dinastia di Ur, ne data l'uso fino alla fine del III millennio a.C. È probabile che i mausolei vennero distrutti quando la città fu conquistata da Larsa, alle soglie del II millennio a.C.
In periodo tardo-assiro Ássurnasirpal II costruì una grande tomba a vòlta all'interno del palazzo di Assur, dove fece sistemare il proprio sarcofago in basalto. I re successivi seguirono il suo esempio.
Nella regione araba, tombe a tumulo sono comuni nella penisola di ‛Omān, dove sono datate alla fine del IV millennio a.C. Molte sono costituite da cumuli di pietre a formare strutture ad alveare o a cupola con piccola camera (1,5-2 m di diametro) con accesso a dròmos, al centro di un tumulo di 8-9 m di diametro. Della seconda metà del III millennio sono le tombe della fase di Umm an-Nār, a pianta circolare e con varie divisioni interne, a costituire diverse camere (da due a dieci). Il muro esterno è in genere in pietra grezza, ma le tombe più importanti sono rivestite da blocchi di pietra in ottima connessione. Il tipo di copertura è sconosciuto, e vengono suggerite diverse soluzioni, da un tetto piatto a uno a cupola. Due tombe scavate negli anni '60 a Umm an-Nār e a Hili da archeologi danesi sono particolarmente importanti: queste tombe hanno un diametro di 12 m, e alcuni dei blocchi esterni hanno rappresentazioni in bassorilievo di animali e scene erotiche. !
Nell'isola di Bahrain si trovano c.a 150.000 tumuli funerari, la maggior parte dei quali si data agli inizî del II millennio a.C. I tumuli sono spesso costruiti addossati gli uni agli altri, a costituire delle strutture «cellulari». La camera funeraria è di tipo dolmenico, di forma allungata, ed è collegata al centro del tumulo. Tombe a pianta rettangolare o absidata sono comuni nel corso del II millennio a.C. nella penisola di ‛Omān. Il tipo più monumentale è quello c.d. khatt, a pianta ovale o rettangolare a doppia abside, e due muri concentrici a formare una camera centrale e una circolare. L'intera struttura poteva raggiungere i 16 m sull'asse principale. Dalla fine del II millennio fino all'epoca persiana le tombe nell'area del Golfo perdono il carattere di megalitismo, trasformandosi in semplici inumazioni in sarcofagi di terracotta o in giare, o in tombe a pozzo.
Bibl.: Anatolia: H. Otten, Hetitische Totenrituale, Berlino 1958; R. S. Youg, The Gordion Campaign of 1957: Preliminary Report, in AJA, LXII, 1958, pp. 139-154; M. J. Mellink, A Hittite Cemetery at Gordion, Filadelfia 1965; W. Orthmann, Das Graberfeld bei Ilica, Wiesbaden 1967; P. Z. Spanos, Der Arslantaş in Phrygien, in ZA, LXV, 1975, pp. 133-154.
Siria: E. Will, La tour funéraire de la Syrie et les monuments apparentés, in Syria, XXVI, 1949, pp. 258-3L2; J.-C. Margueron, Ras Shamra 1975 et 1976. Rapport préliminaire sur les campagnes d'automne, ibid., LIV, 1977, pp. 151-188; P. Wagner, Der ägyptische Einfluss auf die phönizische Architektur, Bonn 1980, p. 169 ss.; Ν. Saliby, Restauration du caveau du Palais Nord d'Ibn Hani, in La Syrie au Bronze Récent, Parigi 1982, pp. 37-43; P. Matthiae, Ebla, un impero ritrovato, Torino 1990, pp. 175-185 (con bibl. prec.).
Palestina e Transgiordania: N. Avigad, Ancient Monuments in the Kidron Valley (in ebraico), Gerusalemme 1954, passim·, D. Ussishkin, The Village of Silwan: The Necropolis from the Period of the Judean Kingdom (in ebraico), Gerusalemme 1986; R. T. Schaub, W. Rast, Bab edh-Dhra: Excavations in the Cemetery Directed by Paul W. Lapp (1965-1967), Winona Lake 1989; E. Bloch-Smith, Judahite Burial Practices and Beliefs about the Dead, Sheffield 1992; R. Gonen, Burial Patterns and Cultural Diversity in Late Bronze Age Canaan, Winona Lake 1992.
Mesopotamia: L. Woolley, Ur Excavations II. The Royal Cemetery, Londra 1934; A. Parrot, Tello. Vingt campagnes de fouilles (1877-1933), Parigi 1948; L. Woolley, Excavations at Ur, Londra 1955, pp. 52-90, 150-159; H. J. Nissen, Zur Datierung des Königsfriedhofs von Ur, Bonn 1966.
Penisola araba: E. C. L. During Caspers, The Bahrain Tumuli: an Illustrated Catalogue of Two Important Collections, Istanbul L980; M. Ibrahim, Excavations of the Arab Expedition at Sar el-Jisr, 1978-79, Bahrain, Manama 1982; M. R. Mughal, Tha Dilmun Burial Complex at Sar: The 1980-82 Excavations in Bahrain, Manama 1982; S. H. A. al-Khalifa, M. Rice (ed.), Bahrain Through the Ages. The Archaeology, Londra 1986, passim; D. T. Potts, The Arabian Gulf in Antiquity. I. From Prehistory to the Fall of the Achaemenid Empire, Oxford 1990, passim; K. Frifelt, The Island of Umm an-Nar. I, Third Millennium Graves, Aarhus 1991.
(G. Palumbo)
Grecia e Roma. - Per quanto riguarda la civiltà greca possono essere modificate le cronologie di alcuni monumenti e il panorama complessivo si è certamente ampliato e infittito di particolari (con la scoperta di nuove strutture funerarie), ma le linee interpretative proposte da Mansuelli trent'anni orsono riescono ancora a costituire un efficace strumento di lettura.
Relativamente alla civiltà romana i nuovi scavi hanno consentito di accrescere a dismisura il numero dei m. f., ma pure essi si collocano agevolmente all'interno dell'intelaiatura già definita.
Di questi, però, si propone negli studi più recenti una lettura ideologica che, seppure non possa definirsi nuova, trova senza dubbio applicazione più costante e si propone in formulazioni più affinate e consapevoli, in grado di collegare determinati schemi monumentali a precise categorie sociali.
Civiltà greca - In Macedonia in questi anni sono state portate alla luce alcune tombe a camera di eccezionale importanza. Una di esse è la Grande Tomba di Leukadià, nota anche come Tomba del Giudizio (v. s 1970, p. 452, s.v. Macedonia). La sua scoperta risale al 1954, ma la conoscenza del monumento data dal 1966. La tomba (300-280 a.C.) è costituita da due ambienti coperti con volta a botte e disposti assialmente: una camera funeraria a pianta quasi quadrata e un vestibolo rettangolare, eccezionalmente ampio, a sostegno di una imponente facciata. Essa riproduce la Porta dell'Ade, in uno schema a due piani che influenzerà anche alcuni m. f. dell'Italia meridionale, come la Tomba Lagrasta 3 di Canosa e taluni rilievi funerari di età tardo-repubblicana. In accordo con la simbologia che il progetto dell'intera facciata vuol suggerire stanno le pitture collocate nella parte superiore degli intercolumni del primo piano, raffiguranti il defunto accompagnato da Hermes Psychopompòs, giunto nell'aldilà, dove sta per/essere sottoposto al giudizio di Eaco e Radamante.
Le Tombe Reali di Verghina (v. aigai, I°) sono state scoperte tra il 1977 e il 1978, sotto un tumulo alto più di 4 m e del diametro di 20, costruito da Antigono Gonata, dopo che nel 274 a.C. i mercenari di Pirro avevano saccheggiato una delle tre tombe, quella detta di Persefone. Questa è formata da una piccola camera con pitture che raffigurano il rapimento di Persefone da parte di Ade, le tre Parche e la defunta nell'aspetto di Demetra (v. nikomachos, I°). La seconda tomba, detta del Principe, è decorata da un fregio pittorico con corse di carri. La Tomba di Filippo II è la più imponente. Si compone di due ambienti con copertura a volta e ha una facciata dorica coronata da una grandiosa scena di caccia. Nella camera funeraria è stato rinvenuto un sarcofago ili marmo che conteneva una làrnax in oro massiccio: al suo interno erano frammenti ossei e una corona aurea. Davanti al sarcofago si trovavano un letto di legno incrostato d'avorio, d'oro e di pasta di vetro e cinque piccole teste in avorio, in cui sono stati riconosciuti, fra gli altri, Filippo II, Olimpiade e Alessandro Magno. Nella camera funeraria inoltre erano stati deposti vasi d'argento, schinieri, una spada, una corazza e uno scudo.
Lontano dai confini geografici del mondo greco, ma sicuro testimone del clima barocco del medio ellenismo, è il Mausoleo Β di Sabratha, ricostruito negli anni '70. Eretto nei primi decenni del II sec. a.C. da maestranze puniche che avevano cercato ispirazione nella cultura alessandrina, il monumento è a pianta triangolare, con i lati concavi; la sua altezza è di m 23,70. Sorge da un imponente basamento a gradini e si articola in due piani coronati da una slanciata cuspide. Il primo piano ha colonne applicate agli angoli, il secondo pilastri scanalati, davanti ai quali sono collocati tre leoni seduti che sorreggono delle consolles, sulle quali si innalzano kouroi alti c.a 3 m. Fra i leoni sono inserite tre metope scolpite: quella del lato principale rappresenta il dio Bes, la seconda Eracle in lotta con il leone nemeo, mentre della terza si intravede appena il contenuto.
Meno appariscente, ma di estremo interesse per la conoscenza della genesi delle tombe a edicola su alto podio diffuse in età romana, è stata la scoperta nel 1968 a Kallithea di un m. f. della fine del IV sec. a.C. Per la formazione di questa categoria di tombe si è costantemente messo in rilievo il ruolo svolto dall'architettura dell'Asia Minore e in modo particolare dalla Tomba delle Nereidi, dal Mausoleo di Alicarnasso e dal Mausoleo di Antioco II a Belevi. Ma la tomba di Kallithea testimonia anche un sostanziale contributo dell'Attica all'impostazione e allo sviluppo dello schema monumentale. Essa ha la forma di un'edicola distila prostila su alto podio e rivela pertanto la completa fusione tra le forme microasiatiche (podio) e quelle attiche (naìskos), in una tipologia che non presenta sostanziali differenze con le edicole su podio di età romana. La tomba attica, infatti, all'interno dell'edicola ospitava le statue e, soprattutto, aveva rinunciato al principio dell'«omnilateralità» (nei mausolei d'Asia Minore essa era evidenziata dalla struttura períptera e dalla copertura piramidale) a favore di una visione esclusivamente frontale, come si verificherà in ambito romano.
Civiltà romana. - Gli studi recenti dedicati all'arte funeraria romana ne hanno sottolineato la costante e preoccupata tensione ad assicurare un ricordo personalizzato del defunto. Essa si realizza attraverso una monumentalizzazione che non è frenata da confini sociali o economici; avviene in direzione esclusivamente autobiografica e, in certi casi, può dichiarare per l'ultima volta, ma in maniera duratura, le convinzioni ideologiche del defunto.
Un caso emblematico del processo di monumentalizzazione è costituito dalle cupulae o cupae, un tipo di monumento che ha l'aspetto di un cassone allungato con la parte superiore convessa. Le cupulae possono essere costruite in muratura o ricavate in un unico blocco di pietra e sono collocate sopra il luogo della sepoltura. Un'iscrizione posta su un fianco o su un lato breve riporta i dati anagrafici essenziali del defunto, che consentono di collegare questi monumenti con un ambito sociale omogeneo, formato in gran parte da liberti, schiavi e loro discendenti. Coerente con il livello sociale della committenza è il processo genetico che si scopre all'origine delle cupulae e che consiste nella litizzazione e nella progressiva monumentalizzazione del semplice tumulo di terra, al fine di trasformarlo in segnacolo duraturo.
La personalizzazione del ricordo si avvale delle iscrizioni, che enunciano i dati anagrafici del defunto, ma rivelano anche le circostanze della morte, dichiarano i sentimenti e gli affetti, si soffermano a illustrare i successi e le cariche ottenute; si affida all'apparato figurativo che propone l'immagine del morto, presenta gli strumenti della sua attività; dispiega fregi che ne ricordino le imprese o la gloria di un giorno importante. Ma l'autobiografismo può anche piegare e finalizzare strutture funzionali e forme architettoniche, come nel sepolcro del fornaio Marco Virgilio Eurisace, dove l'urna della moglie Atistia ha la forma di un cesto per il pane e gli elementi architettonici del corpo del monumento riproducono i recipienti utilizzati per impastare la farina.
La scelta degli schemi monumentali non è determinata solo dalla disponibilità economica del committente, ma anche da precise scelte ideologiche e perfino politiche. Così i m. f. con fregio dorico appaiono in larga misura legati ai membri delle aristocrazie locali e le tombe arcaicizzanti a tumulo adottate soprattutto da personaggi «pubblici». Quest'ultima tipologia monumentale viene riattualizzata da Augusto, che la oppone alla decisione di Antonio di voler essere sepolto nella tomba dei Tolemei e la trasforma, in tal modo, in un messaggio politico incentrato sulla fedeltà alle tradizioni patrie. Dopo la ripresa promossa da Augusto il m. f. a tumulo verrà utilizzato a Roma e nell'Italia centrale da magistrati e personaggi di alto rango militare e nei municipi e nelle colonie dai membri dell'aristocrazia locale, a garantire e segnalare fedeltà alle tradizioni romane.
Bibl.: Civiltà greca: F. Tinè Bertocchi, La pittura funeraria apula, Napoli 1964; A. Adriani, Repertorio d'arte dell'Egitto greco-romano, Serie C, Palermo 1966, pp. 107-197; Ph. M. Petsas, Ο τάφος των Λευκαδιων, Atene 1966; V. Karagheorghis, Excavations in the Necropolis of Salamis, Nicosia 1967; Ε. Κ. Tsirivakos, in AAA, 1968, p. 33 ss.; 1971, p. 108 ss.; P. Coupel, P. Demargne, Le Monument des Néréides. L'architecture, Parigi 1969; L. Beschi, Divinità funerarie cirenaiche, in ASAtene, XLVII-XLVIII, 1969-1970, p. 133 ss.; J. C. Richard, Mausoleum. D'Halicarnasse â Rome, puis à Alexandrie, in Latomus, XXIX, 1970, 2, p. 370 ss.; D. G. Kurtz, J. Boardman, Greek Burial Customs, Londra 1971; M. G. Pierini, La tomba di «Menecrate» a Barce in Cirenaica, in QuadALibia, VI, 1971, p. 23 ss.; V. Purcaro, Gasr Stillu, tomba ellenistica e fattoria bizantina nella campagna di Cirene, ibid., p. 35 ss.; P. Demargne, Tombes-maisons, tombes rupestres et sarcophages, Parigi 1974; S. Stucchi, Architettura cirenaica, Roma 1975, passim·, A. Di Vita, Il Mausoleo punico-ellenistico Β di Sabratha, in RM, LXXXIII, 1976, p. 273 ss.; P. M. Frazer, Rhodian Funerary Monuments, Oxford 1977; L. Quagliano Palmucci, L'architettura funeraria dell'Asia minore. Rapporti con Aquileia, in Aquileia e l'Oriente mediterraneo (Antichità Altoadriatiche, XII), Udine 1977, p. 165 ss.; S. G. Miller, Hellenistic Macedonian Architecture: Its Style and Painted Ornamentation, Ann Arbor 1979; F. Rakob, Numidische Königsarchitektur in Nordafrika, in H. G. Horn, Ch. Β. Rüger, Die Numider, Bonn 1979, p. 119 ss.; L. Bacchielli, La Tomba delle «Cariatidi» ed il decorativismo nell'architettura tardo-ellenistica di Cirene, in QuadALibia, XI, 1980, p. 11 ss.; G. Gossel, Makedonische Kammergräber, Berlino 1980; S. G. Miller, Macedonian Tombs: Their Architecture and Architectural Decoration, in B. Barr-Sharrar (ed.), Macedonia and Greece in Late Classical and Early Hellenistic Times, Washington 1982, p. 156 ss.; L. Bacchielli, " Unità di luogo» fra architettura e megalografia nella facciata della Grande Tomba di Leukadià, in RendLinc, s. VIII, XXXVIII, 1983, p. 13 ss.; Μ. Andronikos, Verghino, The Royal Tombs and the Ancient City, Atene 1984; K. L. Sismanides, Μακεδονικοι τάφοι στην πολη της Θεσσαλονίκης, in. Thessalonike, I, 1985, p. 35 ss.; M. Tsimpidou-Aulonite, Ενας νεος μακεδονικος τάφος στη Θεσσαλονίκη, in Makedonika, XXV, 1985-86, p. 117 ss.; S. Ensoli, L'heróon di Dexileos nel Ceramico di Atene, in MemAccLinc, XXIX, 1987, pp. 156-329; S. Stucchi, L'architettura funeraria suburbana cirenaica, in QuadALibia, XII, 1987, p. 249 ss.; M. Andronikos, Some Reflections on the Macedonian Tombs, in BSA, LXXXII, 1987, p. 1 ss.; W. A. P. Childs, P. Demargne, Le Monument des Néréides. Le décor sculpté, Parigi 1989; G. de Francovich, Santuari e tombe rupestri dell'antica Frigia, Roma 1990; J. McKenzie, The Architecture of Petra, Oxford 1990; J. Fedak, Monumental Tombs of the Hellenistic Age, Toronto 1990; N. G. L. Hammond, The Royal Tombs at Verghino. Evolution and Identities, in BSA, LXXXVI, 1991, p. 69 ss.; G. L'Arab, L'ipogeo delle Cariatidi di Vaste, in Taras, XI, 1991, p. 19 ss.; Ν. Bonacasa, Un inedito di Achille Adriani sulla Tomba di Alessandro, in S. Stucchi (ed.), Giornate di studio in onore di Achille Adriani (StMisc, XXVIII), Roma 1991, p. 3 ss.; L. Bacchielli, J. Reynolds, B. Rees, La Tomba di Demetria a Cirene, in QuadALibia, XV, 1992, p. 5 ss.; A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte di Paestum, Modena 1992.
Civiltà romana: B. Andreae, Studien zur römischen Grabkunst, Heidelberg 1963; S. Aurigemma, I monumenti della necropoli romana di Sarsina (Bollettino del Centro di Studi per la Storia dell'Architettura, XIX), Roma 1963, p. 89 ss.; id., Il mausoleo di Gasr Dóga in territorio di Tarhúna, in QuadALibia, III, 1964, p. 13 ss.; D. Julia, Les monuments funéraires en forme de demicylindre, in MélCasaVelasquez, I, 1965, p. 29 ss.; R. Bianchi Bandinelli e altri, II monumento teatino di C. Lusius Storax al Museo di Chieti, in StMisc, X, 1966, p. 57 ss.; F. Coarelli, Su un monumento funerario romano nell'abbazia di San Guglielmo al Goleto, in DArch, I, 1967, p. 46 ss.; A. Machatschek, Die Nekropolen und Grabmäler im Gebiet von Elaiussa Sebaste und Korykos im Rauhen Kilikien, Vienna 1967; M. Torelli, Monumenti funerari romani con fregio dorico, in DArch, II, 1968, p. 32 ss.; H. Rolland, Le Mausolée de Glanum, Parigi 1969; I. Berciu, W. Wolski, Un nouveau type de tombe mis au jour à Apulum et le problème des sarcophages à voûte de l'Empire romain, in Latomus, XXIX, 1970, p. 921 ss.; J. M. C. Toynbee, Death and Burial in the Roman World, Londra 1971 (ed. it. Roma 1993); J. Klemenc, V. Kolsëk, P. Petru, Antične Grobnice v Sempetru («Antichi monumenti funerari a Sempeter»), Lubiana 1972; E. Schneider Equini, La necropoli di Hierapolis di Frigia, in MonAnt, XLVIII, 1972, p. 95 ss.; P. Ciancio Rossetto, Il sepolcro del fornaio Marco Virgilio Eurisace a Porta Maggiore, Roma 1973; W. von Sydow, Die Grabexedra eines römischen Feldherren, in Jdl, LXXXIX, 1974, p. 187 ss.; M. Verzar, Frühaugusteischer Grabbau in Sestine, in MEFRA, LXXXVI, 1974, p. 387 ss.; M. Bouchenaki, Fouilles de la nécropole occidentale de Tipasa (Matarès), 1968-1972, Algeri 1975; G. Precht, Das Grabmal des Lucius Poblicius, Colonia 1975; H. Gabelmann, Römische Grabbauten in Italien und den Nordprovinzen, in Festschrift für F. Brommer, Magonza 1977, p. 106 ss.; W. von Sydow, Eine Grabrotunde an der Via Appia Antica, in Jdl, XCII, 1977, p. 241 ss.; F. Rebecchi, Antefatti tipologici delle porte a galleria. Su alcuni rilievi funerari di età tardo-repubblicana con raffigurazione di porte urbiche, in BullCom, LXXXVI, 1978-79, p. 153 ss.; H. Gabelmann, Römische Grabbauten der frühen Kaiserzeit, Stoccarda 1979; J. N. Bonneville, Les cupae de Barcellone: les origines du type monumental, in MélCasa Velasquez, XVII, 1981, p. 5 ss.; G. Gamer, Sepulcrum Cnei et Pubi. Corn. Scipionum. Das Monument bei Tarragona und andere Bauten in der Nachfolge des Maussolleions von Halikamass, in MM, XXIII, 1982, p. 296 ss.; F. von Wonterghem, Monumento funerario di un tribunus militum a Corfinio, in ActaALov, XXI, 1982, p. 99 ss.; A. D'Ambrosio, S. De Caro, Fotopiano e documentazione della Necropoli di Porta Nocera, Milano 1983; V. Kockel, Die Grabbauten vor dem Herkulaner Tor in Pompeji, Magonza 1983; W. K. Kovacsovics, Römische Grabdenkmäler, Waldassen 1983; I. Baldassarre, Una necropoli imperiale romana: proposte di lettura, in AnnAStorAnt,, VI, 1984, p. 141 ss.; O. Brogan, D. J. Smith, Ghirza, A Libyan Settlement in the Roman Period, Tripoli 1984; J. Ganzen, Das Kenotaph für Gaius Caesar in Limyra. Architektur und Bauornamentik, Tubinga 1984; E. Schneider Equini, La «Tomba di Nerone» sulla Via Cassia, Roma 1984; L. Mercando, L. Bacchielli, G. Paci, Monumenti funerari di Ricina, in BdA, XIX, 1984, pp. 11-52; J. N. Andrikopoulou-Strack, Grabbauten des I. Jahrh. n. Chr. im Rheingebiet. Untersuchungen zu Chronologie und Typologie, Colonia 1986; L. Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula: origine e diffusione in Italia meridionale, in A. Mastino (ed.), L'Africa Romana. Atti del III Convegno di Studio, Sassari 1985, Sassari 1986, p. 303 ss.; M. Eisner, Zur Typologie der Grabbauten im Suburbium Roms, Magonza 1986; Th. Schäfer, Imperii insignia. Sella curulis und Fasces, Magonza 1986; N. Ferchiou, Le mausolée de C. Iulius Felix à Henchir Messaouer, in RM, XCIV, 1987, p. 413 ss.; ead., Les mausolées augustéens d'Assuras, in MEFRA, XCIX, 1987, p. 797 ss.; F. Silvestrini, Sepulcrum Marci Artori Gemini. La tomba detta dei Platorini nel Museo Nazionale Romano, Roma 1987; Römische Gräberstrassen. Selbstdarstellung, Status, Standard. Kolloquium in München 1985, Monaco 1987; M. Amand, La réapparition de la sépulture sous tumulus dans l'empire romain, in AntCl, LVI, 1987, p. 162 ss. e LVII, 1988, p. 176 ss.; N. Ferchiou, Le mausolée de Q. Apuleius Maxssimus à el Amrouni, in BSR, LVII, 1989, p. 47 ss.; A. Sartre, Architecture funéraire de la Syrie, in J. M. Dentzer (ed.), Archéologie et histoire de la Syrie, II. La Syrie de l'époque achéménide à l'avénement de l'Islam, Saarbrücken 1989, p. 423 ss.; S. Stucchi, Il monumento funerario ad edicola circolare di Sestino, in Sestinum. Comunità antiche dell'Appennino tra Etruria e Adriatico. Atti del Convegno, Sestino 1983, Rimini 1989, p. 131 ss.; J. Beltrán Fortes, Mausoleos romanos en forma de altar del sur de la Península ibérica, in AEsp, LXIII, 1990, p. 183 ss.; H. Colvin, Architecture and the AfterLife, New Haven 1991; H. von Hesberg, Römische Grabbauten, Darmstadt 1992; L. Bacchielli, Pittura funeraria antica in Cirenaica, in The Society of Libyan Studies. Annual Report, XXIV, 1993, p. 77 ss.
(L. Bacchielli)
Iran. - Le poche sepolture monumentali presenti sull'altopiano iranico costituiscono un gruppo interessante e molto particolare di resti architettonici che, per le numerose e diverse valenze interpretative di volta in volta assegnatigli, ha sempre suscitato un acceso dibattito tra gli studiosi. Per molti di questi m. f., infatti, e soprattutto per quanto attiene alla loro attribuzione cronologica e appartenenza individuale, non c'è mai stato consenso unanime tra gli specialisti, e ogni ipotesi di interpretazione è sempre stata contraddetta da altre diverse. Lo scarso numero di m. f. è dovuto soprattutto al fatto che le pratiche rituali legate alla morte sono state in Iran fortemente condizionate da un contesto ideologico-religioso che ha proibito l'inumazione dei defunti e, di conseguenza, anche una loro deposizione monumentale.
È molto probabile che il termine antico-iranico dakhma abbia indicato la tomba, e che quindi gli Iranici anticamente abbiano praticato l'inumazione. La religione che in età storica si diffuse sull'altopiano, lo zoroastrismo, ammoniva invece esplicitamente che un corpo contaminato dalla morte non venisse, in alcun modo, in contatto con uno dei tre elementi sacri: la terra, l'acqua e il fuoco. Da qui l'uso, prescritto nel Vidēvdāt, dell'esposizione dei corpi come unico modo accettabile di trattare il corpo del defunto; della scarnificazione; dell'uso di ossuarî (astodān), e di quello, documentato anche da Erodoto (1, 140), dell'immersione o del rivestimento del cadavere di cera (un diverso tipo di imbalsamazione). A ulteriore conferma della centralità della prescrizione zoroastriana va detto che mentre il peccato della cremazione era punibile con pene corporali, quello dell'inumazione lo era con la morte. La mancanza quasi assoluta di una documentazione archeologica sui costumi funerari, pertanto, è stata giustificata dagli studiosi sulla base di quel divieto. Nonostante la proibizione religiosa, la pratica dell'inumazione è comunque presente nell'area iranica, anche dopo l'affermazione dello zoroastrismo, e si è protratta fino a tutta l'epoca partica e sasanide presso molte popolazioni nomadi di origine iranica, in aree periferiche all'impero persiano, come la Battriana e la Sogdiana. Le più evidenti eccezioni alla proibizione del seppellimento si ritrovano proprio in alcuni tra i più significativi monumenti iranici, e per di più attribuiti agli Alchemenidi (VI-IV sec. a.C.).
I tipi di m. f. presenti sull'altopiano sono: 1) tumuli; 2) tombe rupestri; 3) torri funerarie; 4) tombe a tempietto; 5) stele; 6) tombe di superficie senza fossa; 7) ciste e nicchie rupestri; 8) pìthoi; 9) sarcofagi; 10) ossuarî. Mentre per i primi cinque gruppi il valore monumentale si riconosce di per sé, per gli altri esso è molto più incerto e va suggerito solo con molta cautela.
Per le epoche protostoriche vanno segnalati interessanti m. f. del primo gruppo a SE di Girdan nella valle dell'Ušnu, nell'Iran nord-occidentale. Si tratta di tumuli in terra, con fosse rivestite in pietra, ancora problematicamente databili tra l'Età del Bronzo e la metà del I millennio a.C.; all'epoca del loro ritrovamento, all'inizio degli anni '70, questi tumuli costituirono una novità assoluta nel panorama della documentazione funeraria presente sull'altopiano, ma oggi, assieme ad altri tumuli databili intorno all'800 a.C., e segnalati in Azerbaigian, a NO di Bastam, a Qara Zia ed-Din, Maryam e Makhand e a quello di Tepe Masjed e Takht-e Solaymān, rappresentano un insieme cospicuo di monumenti di particolare importanza. Si rafforza così il convincimento che la tradizione nomadica e centroasiatica dei kurgan si sia estesa geograficamente e cronologicamente molto più di quanto si potesse finora immaginare. Il sistema socio-economico del nomadismo pastorale, che aveva trovato nel seppellimento un momento rituale importante per la testimonianza dell'eredità e della discendenza familiare, aveva altresì avvertito la necessità di erigere, sul piano simbolico e materiale, veri e propri «contenitori» di antenati, i kurgan·. questi monumenti vanno quindi intesi come manifestazioni fisiche di territorialità. L'uso di queste tombe particolari nell'Iran nord-occidentale, area molto vicina a quella delle interferenze nomadiche e da sempre considerata una delle principali vie d'accesso delle tribù indo-europee, evidenzia anche sull'altopiano, in un'epoca cruciale intermedia tra la nascita del regno di Urartu e l'impero achemenide, una consistente presenza nomadica.
Più generalizzato e presente in tutta l'area iranica (Fārs orientale, centrale e occidentale) e nella regione costiera del golfo Persico è l'uso di campi funerarî con deposizioni di superficie variamente ricoperte. Queste particolari forme di seppellimento, praticate anche da Mongoli, Tibetani, dalle tribù dei Kafiri e dei Dardi (Pakistan settentrionale), e nell'India meridionale, sono state più recentemente individuate come probabili antecedenti del rito zoroastriano dell'esposizione dei corpi.
Per l'Età del Ferro è testimoniato in Luristān, ad Arfan, vicino Behbehan (seconda metà dell'VIII sec.), l'uso di sarcofagi a forma di «U» in bronzo, e, in Azerbaigian nord-orientale, nella piana di Meškhin Šahr, vicino Ardabil a Arjaq Qal‛a, quello di stele in pietra con raffigurazioni umane. L'uso di queste stele antropomorfiche, conosciute come balbal, è ben documentato in un'area geografica assai estesa, dalla Mongolia alla Siberia, dalle steppe della Russia meridionale alla Crimea, fino al Medioevo.
Presumibilmente a partire dall'epoca meda (VIII-VII sec. a.C.) nell'Iran nord-occidentale comincia a diffondersi l'uso delle tombe rupestri, tra cui le più note si trovano a Qïzqapan, Sakavand, Dukkan-e Dowd, Faqriqa, Sahna. Nonostante la loro ancora incerta attribuzione cronologica e culturale, questi monumenti costituiscono il riferimento tipologico obbligatorio per le ben più famose tombe rupestri achemenidi di Persepoli e Naqš-e Rostam. Vere e proprie camere rettangolari scavate nella roccia, esse sono delimitate all'esterno da finte colonne e decorate a bassorilievo con scene tipiche di investitura e sacrificio; questi m. f. trovano riscontri tipologici in altri della stessa natura presenti nell'area urartea (Van, Kayalidere, Eski Doğubeyazit, Sangar, Aligar, Iz Kale) e in quella frigia-paflagonica.
Le tombe rupestri di età achemenide sono invece, a differenza di quelle precedenti, collocabili con maggiore precisione cronologica; la presenza di un'iscrizione nella tomba di Dario I ha consentito infatti, con quasi unanime consenso, l'attribuzione anche delle altre. Le quattro di Naqš-e Rostam sono state attribuite la prima a Dario I (522-486 a.C.), la seconda a Serse I (486-465 a.C.), la terza ad Artaserse I (465-424 a.C.) e la quarta a Dario II (423-404 a.C.), mentre le tre di Persepoli ad Artarserse II (404-359 a.C.), Artaserse III (359-338 a.C.) e Dario III Codomano (336-330 a.C.). Queste tombe, ricavate come le precedenti nel centro della parete rocciosa, a forma di croce, sono decorate da un bassorilievo diviso generalmente in due parti: una superiore in cui sono raffigurati il sovrano, la divinità e un altare, e l'altra inferiore con diversi personaggi che rappresentano simbolicamente le diverse etnie dell'impero, mentre sostengono il trono del re. Le camere, appartenenti oltre che al sovrano anche a membri della famiglia, si aprono al centro e alcune di esse presentano ancora dei sarcofagi in pietra, ormai vuoti.
Altre tombe rupestri di un certo interesse sono quelle, forse non finite, rinvenute a Ravansar (vicino a Kermänsäh) con un rilievo in stile e iconografia achemenide, e quelle di Qadamgāh, 50 km a SE di Persepoli, con due scalinate di 17 e 18 gradini ai due lati della parete rocciosa su cui è inserita la tomba. Il monumento risulta molto simile alla tomba di Persepoli attribuita ad Artaserse III, ed è databile non prima della metà del IV sec.; pur non essendo stata considerata imperiale, la tomba può essere attribuita a una famiglia di alto rango. Un'altra tomba rupestre a Da-u Dokhtar, nella regione di Mamassāni, non lontano da Fahliyān, presenta una facciata con un paio di semicolonne in stile protoionico, ed è stata attribuita a Ciro loa Teispe.
Il problema storico-archeologico posto da tali m. f. è di duplice natura: da un lato si tratta di affrontare la complessa questione della religiosità della dinastia achemenide e dei suoi rapporti con lo zoroastrismo, dall'altro quello della presenza di una ritualità funeraria di tipo quasi dinastico, per altri versi sconosciuta, che troverebbe invece proprio nei luoghi più significativi dell'impero, a Persepoli e a Naqš-e Rostam, una specie di consacrazione ufficiale. Se ancora prematura appare uná risposta definitiva su quest'argomento, resta comunque particolarmente significativa l'originalità tipologica di questi monumenti che costituiscono un unicum nella tradizione iranica.
Altri monumenti d'epoca achemenide di notevole importanza sono le torri di Zendān-e Solaymān, a Pasargade, e quella della Qa'ba-ye Zardošt a Naqš-e Rostam. Per entrambe è stata avanzata l'ipotesi che si possa trattare di tombe: le prime attribuite a Mandane e a Cassandane, rispettivamente madre e moglie di Ciro II, la seconda ad Achemene, il fondatore della dinastia, o Cambise I. Queste torri gemelle, per le quali sono stati avanzati confronti tipologici con altri monumenti iranici d'epoca più tarda, come quelli di Nurābād, Dum-e, Mill, Paikuli, Firuzābād, e ancora, fuori dall'altopiano, come quelli delle torri funerarie di Dura e Palmira e di quelle forse d'epoca islamica di Rayy, Baj-e Yazid, Qal'a-ye Qabri, Qal'a-ye Zahāk, restano tuttora monumenti di difficile interpretazione. Alcuni studiosi, infatti, non hanno escluso che possa trattarsi di edifici religiosi, o religiosi e funerari a un tempo, là dove la consacrazione di un nuovo re poteva esigere una forma di investitura e di incoronazione davanti alle tombe dei predecessori, come quelle di Naqš-e Rostam o quella di Ciro II a Pasargade.
Al tipo a tempietto appartiene la tomba di Ciro II a Pasargade; è il solo monumento di questo sito di cui è rimasta una descrizione presso autori classici, tra cui Arriano (Anab., VI, 29). L'edificio, alto complessivamente una decina di metri, è costituito da due elementi: uno inferiore, un plinto con sei gradini retrocedenti, e uno superiore, la camera sepolcrale, un parallelepipedo coperto da un tetto a doppio spiovente e accessibile tramite una bassa e stretta apertura. I confronti tipologici avanzati finora sono poco convincenti: si era infatti pensato per la forma complessiva alle ziqqurat mesopotamiche, per il tetto a doppio spiovente a certe costruzione urartee, e, per quanto poteva essere suggerito dal concetto di naòs, al mondo greco. Se una siffatta costruzione conferma le perplessità circa una reale adesione della dinastia achemenide ai dettami zoroastriani, resta la profonda diversità di questa rispetto a tutte le altre tombe dei sovrani achemenidi, diversità che è stata giustificata con il diverso ambiente culturale nel quale il primo re della dinastia si trovò a vivere. Tornando alle questioni tipologiche, i confronti più pertinenti per le coperture a doppio spiovente sono forniti da Frigia, Licia e Lidia (p.es. la tomba-piramide reale di Sardi), mentre alcuni elementi decorativi della cornice - la cyma reversa, una modanatura a doppia curvatura (superiore convessa, inferiore concava), i dentelli, il gèison o corona - sono di ispirazione occidentale.
Simile alla tomba di Ciro II è quella di Buzpar, nell'Iran meridionale, 20-25 km a SO di Sar Mašhad, la «Gur-e Dokhtar». Attribuita a Ciro I, la costruzione si compone di un piccolo edificio rettangolare, relativamente ben conservato, che si eleva su di un plinto a tre gradini, in blocchi di calcare in pieno stile architettonico achemenide; la camera sepolcrale è coperta, come quella di Ciro II, da un tetto a doppio spiovente.
Per le epoche più recenti, i m. f. in Iran divengono numericamente meno consistenti; abbastanza significativi sono i sarcofagi di Warka in terracotta invetriata a forma di scarpa, la stele d'epoca partica (III sec.) ad Āb-e Ātābeq, vicino Mehermar sul fiume Karun, decorata con una figura tipica nello stile dell'epoca; gli ossuarî d'epoca sasanide a Esaqvand vicino Estakhr, Akhor-e Rostam e Bandar Tahiri. Altrettanto importanti sono le «torri del silenzio» di Sar Mašhad, le ciste rupestri di Tang-e Khosk vicino a Sivand e sopra la cittadella di Bišāpur, le nicchie rupestri di Husain Kuh e Kuh-e Zāde, e le tombe a pìthos d'epoca sasanide vicino a Estakhr, Husain Kuh e Tang-e Karun. Le grotte di Karaftu nell'Azerbaigian occidentale, per le quali si era ipotizzata un'utilizzazione religiosa e funeraria, sono oggi più ragionevolmente considerate semplici edifici residenziali.
Bibl.: J. Edmonds, A Tomb in Kurdistan, in Iraq, 1, 1934, p. 190; E. Will, La tour funéraire de Palmyre, in Syria, XXVI, 1949, 1-2, pp. 87-116; id., La tour funéraire de la Syrie et les monuments apparentés, ibid., 3-4, pp. 258-312; L. Vanden Berghe, Récentes découvertes de monuments sassanides dans le Fars, in IrAnt, I, 1961, pp. 163-198; E. Benveniste, Coutumes funéraires de l'Arachosie ancienne, in W. B. Henning, E. Yarshater (ed.), A Locust's Leg. Studies in Honour of S. H. Taqizadeh, Londra 1962, pp. 39-43; L. Vanden Berghe, Le tombeau achéménide de Buzpar, in Vorderasiatische Archäologie. Festschrift A. Moortgat, Berlino 1964, pp. 243-258; H. Wiegartz, Die Ausgrabungen aus Tumulus Tepe Madjid, in AA, 1965, pp. 788-789; J. Edmonds, Some Ancient Monuments on the Iraqi-Persian Boundary, in Iraq, XXVIII, 1966, pp. 139-163; H. von Gall, Die paphlagonischen Felsgräber (IstMitt, Suppl. 1), Istanbul 1966; O. W. Muscarella, The Tumuli at Sè Girdan. A Preliminary Report, in MetrMusJ, II, 1969, pp. 5-25; D. Huff, Zur Rekonstruktion des Turmes von Firuzabad, in IstMitt, XIX-XX, 1969-1970, pp. 319-338; D. Huff, Das Felsgrab von Fakhrikah, ibid., XXI, 1971, pp. 161-171; O. W. Muscarella, The Tumuli at Sè Girdan. Second Report, in MetrMusJ, IV, 1971, pp. 5-28; H. von Gall, Persische und medische Stämme, in AMI, n.s., V, 1972, pp. 261-283; D. Huff, Der Takht-i Nishin in Firuzabad, Mass-Systeme sasanidischer Bauwerke I, in AA, 1972, 3, pp. 517-540; C. Lamberg-Karlovsky, The Cairn Burials of Southeastern Iran, in The Memorial Volume. Vth International Congress of Iranian Art and Archaeology, Teheran 1972, 1, pp. 102-110; O. W. Muscarella, The Date of the Tumuli at Sè Girdan, in Iran, XI, 1973, pp. 178-180; H. von Gall, Neue Beobachtungen zu den sogenannten medischen Felsgräbem, in Proceedings of the 2nd Annual Symposium on Archaeological Research in Iran, 1973, Teheran 1974, pp. 139-154; P. Calmeyer, The Subject of the Achaemenid Tomb Relief, in Proceedings of the 3rd Annual Symposium on Archaeological Research in Iran, 1974, Teheran 1975, pp. 233-242; id., Zur Genese altiranischer Motive III, Felsgräber, in AMI, n.s., VIII, 1975, pp. 99-113; E. Haerinck, Quelques monuments funéraires de l'île de Kharg dans le Golfe Persique, in IrAnt, XI, 1975, pp. 134-167; D. Huff, Nurabad, Dum-i Mill, in AMI, n.s., VIII, 1975, pp. 167-209; W. Kleiss, P. Calmeyer, Das unvollendete achaemenidische Felsgrab bei Persepolis, ibid., pp. 81-98; W. Summer, Excavations at Tall-i Malyan (Anshan) 1974, in Iran, XIV, 1976, pp. 103-115; D. Stronach, Notes on the Tomb of Cyrus, the Zendan and the Ka'bah, in The Memorial Volume. VI International Congress of Iranian Art and Archaeology, Oxford 1972, Oxford 1976, pp. 313-317; L. Trümpelmann, Metrologische Untersuchungen am Kyrosgrab in Pasargadae, ibid., pp. 319-326; G. Hermann, Naqsh-i Rustam (Iranische Denkmäler, VIII), Berlino 1977; P. Calmeyer, Das Grabrelief von Ravansar, in AMI, XI, 1978, pp. 73-85; W. Kleiss, Hügelgräber in Nordwest-Aserbeidschan, ibid., pp. 13-18; D. Stronach, The Tombs of Gur-i Dukhtar, Takht-i Rustam, and DauDukhtar, in D. Stronach, Pasargadae, Oxford 1978, pp. 302-304; id., Sasanian Rock-Cut Monuments, ibid., pp. 163-165; J. Curtis, Loftus' Parthian Cemetery at Warka, in Akten des VII. Internationalen Kongresses für Iranische Kunst und Archäologie, München 1976 (AMI, Suppl. 6), Berlino 1979, pp. 309-317; L. Trümpelmann, Die Gräber der Sasanidenkönige, ibid., pp. 370-371; H. von Gall, Bemerkungen zum Kyrosgrab in Pasargadae und zu verwandten Denkmälern, in AMI, n.s., XII, 1979, pp. 271-279; N. L. Ingrahan, P. Gurners, Stelae and Settlements in the Meshkin Shahr Plain, Northeastern Azerbaijan, Iran, ibid., pp. 67-101; W. Kleiss, Das Grab des Kyros als islamischen Heiligtum, ibid., pp. 281-287; E. Imoto, The Ka'ba-i Zardust, in Orient, XV, 1979, pp. 65-69; G. Azarpay, Cairns, Kurums and Dambs. A Note on Pre-Islamic Surface Burials in Eastern Iran and Central Asia, in Monumentum Georg Morgenstieme I (Acta Iranica, 21), Leida 1981, pp. 12-21; Y. van Hulsteyn, Urartian Built and Rock-Cut Tombs (diss.), Ann Arbor-Londra 1981; D. Stronach, Notes on Median and Early Achaemenian Religious Monuments, in Temples and High Places in Biblical Times, Gerusalemme 1981, pp. 127-130; E. De Waele, La stèle funéraire élymêenne d'Ab-e Atabeq près de Meheman sur le Karun, in Studia Paulo Naster Oblata (Orientalia Lovaniensia Analecta, 13), II, Lovanio 1982, pp. 45-47; R. Pohanka, Zum Bautyp des Pavillons von Qal'eh Zohak, Nordost Aserbeidschan, Iran, in AMI, n.s., XVI, 1983, pp. 237-254; H. Sancisi-Weerdenburg, The Zendan and the Ka'bah, in H. Koch, D. N. Mackenzie (ed.), Kunst, Kultur und Geschichte der Achämenidenzeit und ihr Fortleben (AMI, Suppl. 10), Berlino 1983, pp. 145-151; L. Trümpelmann, Sasanian Graves and Burial Customs, in R. Boucharlat, J.-F. Salles (ed.), Arabie orientale, Mésopotamie et Iran Méridional de l'àge du Fer au début de la période islamique (Recherche sur les civilisations, 37), Parigi ,1984, pp. 317-329; M. Boyce, A Tomb for Cassandone, in Orientalia J. Duchesne Guillemin Emerito Oblata (Acta Iranica, 23), Leida 1984, pp. 67-71; D. Stronach, Notes on Religion in Iran in the Seventh and Sixth Centuries BC, ibid., pp. 479-490; A. Callot, M. Kervran, Les tombes parthes du secteur de la mosquée, in Recherches sur les niveaux islamiques de la ville des artisans (Cahiers de la Délégation Archéologique Française en Iran, XIV), Parigi 1984, pp. 99-102; A. Alizadeh, A Tomb of the Neo-Elamite Period at Arjan, near Behbahan, in AMI, n.s., XVIII, 1985, pp. 49-73; D. Huff, Das Felsgrab von Eski Dogubayazit, in IstMitt, XVIII, 1968, pp. 58-86; C. Lamberg-Karlovsky, W. Fitz, Cairn Burials in the Soghun Valley, Southern Iran, in Gh. Gnoli, L. Lanciotti (ed.), Orientalia Iosephi Tucci Memoriae Dicata, II, Roma 1987, pp. 747-774; H. von Gall, Das Felsgrab von Qizqapan. Ein Denkmal aus dem Urnfeld der achämenidischen Königsstraße, in BaM, XIX, 1988, pp. 557-582; R. Boucharlat, Cairns et pseudo-cairns du Fars. L'utilisation des tombes de surface au 1er millénaire de notre ère, in Archaeologia Iranica et Orientalis. Miscellanea in Honorem L. Vanden Berghe, II, Leida 1989, pp. 675-712; H. von Gall, Das Achämenidische Königsgrab. Neue Überlegungen und Beobachtungen, ibid., I, pp. 503-523; E. O. Negahban, in E. Yarshater (ed.), in Encyclopaedia Iranica, IV, 1990, pp. 557-559, s.v. Burial. L Pre-Historic Burial Sites; F. Grenet, ibid., pp. 559-561, s.v. Burial. II. Remnants of Burial Practices in Ancient Iran; J. R. Russel, ibid., pp. 561-563, s.v. Burial. III. In Zoroastrism; M. Dandamaev, ibid., V, 1990, p. 62, s. v. Cassandone.
(B. Genito)
Asia centrale. - Popolazioni nomadi. - Nell'antichità, parte del territorio delle ex-Repubbliche Sovietiche dell'Asia centrale e del Xinjiang (Cina) era abitato da gruppi di allevatori, che gradualmente passarono al nomadismo. Le testimonianze archeologiche di questi popoli sono costituite essenzialmente da m. f. di cui è però difficile ricostruire gli alzati.
Tombe a camera in pietra di allevatori locali sono attestate nel territorio compreso tra la riva E del Mar Caspio e la parte occidentale della Chorasmia e il delta dell'Amu Daryā, a E, e tra l'antico corso del fiume Uzboy, a S, e la parte settentrionale della piana dell'Ustyurt, a N; sono inoltre diffuse nel Ferghāna settentrionale e nel Čatkal. Nella regione caspica questi m. f. sono attestati tra il IV sec. a.C. e il IV-V sec. d.C. In superficie essi si presentano come tumuli di pietra e terra di forma circolare o allungata (diam. 4-15 m; alt. 0,2-2 m), risultanti dalla distruzione della camera funeraria interna. Per l'epoca compresa tra gli ultimi secoli a.C. e il IV-V sec. d.C. sono caratteristiche le tombe costruite con lastre di diverse misure, poste di piatto e gradualmente aggettanti verso l'interno a formare una «falsa volta». La superficie della camera interna varia tra 2 e 6 m2, lo spessore dei muri tra 0,5 e 2 m, l'altezza massima conservata è di 1-1,2 m. Ogni camera ospitava 10-15 inumati. Sono attestate anche camere con corridoio di accesso. La muratura è regolare solo nella parte a vista.
Nel Ferghāna queste strutture funerarie, denominate kurum o mugkhona, sono di aspetto più monumentale. Per una parte di esse è caratteristico un impianto a più file di muri (da 2 a 4) con corridoio di accesso e con copertura a volta sulla camera centrale. La loro datazione si pone tra il I e il IV sec. d.C.
Nelle altre regioni dell'Asia centrale, prevalgono m. f. ipogei segnalati in superficie da tumuli (kurgan) di terra e pietre (diam. 2-27 m, alt. 0,2-1 m). Questi ricoprivano camere funerarie di diverso tipo: profonde nicchie ricavate sui lati lunghi della fossa di accesso o camere voltate cavate sui lati brevi dei corridoi d'accesso. Le camere potevano essere un prolungamento del corridoio o perpendicolari a esso. L'accesso alla camera veniva murato con mattoni o pietre, e successivamente rivestito d'argilla. Il corridoio d'entrata era colmato di pietre e su queste veniva realizzato il kurgan. Una parte dei defunti giaceva in bare, ognuna delle quali conteneva di solito uno o due inumati. Questi m. f. sono attribuibili a tribù, locali o immigrate, di origine sarmatica.
Tipico del Kazakhstan è il kurgan «con baffi». Dal tumulo principale, nel quale si trova la sepoltura, si dipartono segmenti curvilinei di pietre, lunghi fino a 30 m (per una larghezza di 1-3 m). Un'esemplare ricostruzione di questi m. f. di epoca saka è stata effettuata già negli anni '60.
Necropoli a kurgan di epoca unno-sarmatica sono state esplorate in Siberia e in Mongolia. Nell'Altai ne sono state scavate su entrambe le rive del fiume Katun. I tumuli circolari di superficie (diam. 2,6 - 4 m, alt. 0,1 - 0,2 m) presentavano ai margini diversi strati di grandi pietre o recinzioni anulari. Entrambi i tipi erano poi internamente colmati di pietrame. Al di sotto dei tumuli erano fosse rettangolari, sul cui fondo erano collocate delle «casse» di lastre di pietra accuratamente combacianti e contenenti inumazioni individuali.
Nella regione del Baikal e in Mongolia sono stati riportati alla luce m. f. dei Xiongnu. A 23 km dalla città di Kyakhta (Baikal), lo scavo di un kurgan ha rivelato un recinto di pianta quasi quadrata (16 m di lato, 1 m di altezza) in lastre di granito, con due muri supplementari a S e a N. All'interno era una grande fossa suddivisa da tramezzi in dieci settori. I tramezzi scendevano fino alle travi lignee della copertura, al di sotto della quale era un'armatura, anch'essa lignea, rivestita di lastre. Questa conteneva una tomba costruita in tavole lignee, originariamente dipinte di rosso e ricoperte di stoffe, fissate con chiodi decorati da placchette in bronzo a tre/quattro petali.
Simili m. f. sono stati esplorati in Mongolia, nella necropoli di Tebš-uul; qui, tuttavia, strutture di superficie si presentavano a forma di tumuli di pietra (diam. 5 - 8 m, alt. 0,2 - 0,6 m). Nelle sepolture, al di sopra delle coperture, consistenti in bastoni, tronchi e frammenti di carri, era anche una muratura in pietra.
Bibl.: A. M. Orazbaev, Kurgan s «usami» ν mogil'nike Džanajdar kak arkhitekturnyj pamjatnik («Il kurgan con 'baffi' nella necropoli di Janaydar come monumento architettonico»), in Kul'tura drevnikh skotovodov i zemledel'cev Kazakhstana, Alma-Ata 1969, p. 186, fig. 7; Β. Α. Litvinskij, Kurgany i kurumy zapadnoj Fergany («Kurgan e kurum del Ferghäna occidentale»), Mosca 1972; F. A. Arslanova, Kurgan s «usami». Vostočnogo Kazakhstana («I kurgan con 'baffi' del Kazakhstan orientale»), in Drevnosti Kazakhstana, Alma-Ata 1975, pp. 116-128; P. B. Konovalov, Khunnu v Zabajkal'e («I Xiongnu in Transbaikalia»), Ulan-Ude 1976, pp. 153-154; V. N. Jagodin, Arkheologičeskoe izučenie kurgannykh mogil'nikov («Indagine archeologica delle necropoli a kurgan»), in Arkheologija Priaral'ja, I, Taškent 1982, pp. 61-65, 115; Β. A. Litvinskij, Α. V. Sedov, Kul'ty i ritualy kušanskoj Baktrii («Culti e rituali della Battriana kuṣāṇa»), Mosca 1984, pp. 104-135; O. Cevendor, Novye dannyepo arkheologii khunnu (po materialam raskopok 1975-1977 gg.) («Nuovi dati sull'archeologia dei Xiongnu - in base ai materiali degli scavi del 1975-1977»), in Drevnie kul'tury Mongolii, Novosibirsk 1985, pp. 54-62; J. T. Mamadokov, Novye materialy gunno-sarmatskogo vremeni v Gomom Altae («Nuovi materiali di epoca unno-sarmatica nel Gornyj Aitai»), in Altaj ν epokhu kamnja i rannego metalla, Barnaul 1985, pp. 173-192; Kh. Jusupov, Drevnosti Uzboja («Le antichità dell'Uzboy»), Aškhabad 1986, pp. 40-119; J. S. Khudjakov, S. G. Skobelev, M. V. Moroz, Arkheologiieskie issledovanija v dolinakh reki Oroktoj i Edigan ν 1988 g. («Indagini archeologiche nelle valli dei fiumi Oroktoy e Edigan nel 1988»), in Arkheologiieskie issledovanija na Katuni, Novosibirsk 1990, pp. 95-150; O. V. Obel'čenko, Antičnaja kul'tura drevnego Sogda («La cultura classica dell'antica Sogdiana»), Mosca 1992, pp. 109-114.
(N. G. Gorbunova)
Popolazioni sedentarie. - In Asia centrale non sono noti edifici funerari pertinenti a culture sedentarie agricole tra l'epoca achemenide (VI-IV sec. a.C.) e quella dei primi Seleucidi. Tra il II sec. a.C. e il VII-VIII sec. d.C., a differenza dei kurgan dei nomadi, non di rado caratterizzati da un grandioso allestimento e dai ricchi corredi, i m. f. erano spesso di dimensioni relativamente modeste. La genesi di queste costruzioni funerarie è legata da un lato ai kurgan e agli altri tipi di m. f. caratteristici degli allevatori (nomadi, seminomadi, sedentarî), ma dall'altro anche ai mausolei e alle camere funerarie sotterranee delle civiltà antico-orientali e del mondo ellenistico. Perciò nelle diverse regioni agricole dell'Asia centrale gli edifici funerari mostrano caratteri specifici.
Il contesto archeologico della necropoli partica, fortemente danneggiata, di Nisa Nuova (II-I sec. a.C.), nei pressi di Aškhabad, capitale del Turkmenistan, non è del tutto chiaro. Accanto alla cinta muraria sono stati individuati i resti di cinque piccole camere funerarie addossate l'una all'altra, di pianta rettangolare (da 2 x 3 m a 2,3 x 3,2 m) con copertura a volta, alte fino a 2,5 m. Esse erano accessibili tramite un lungo corridoio-scala. Si suppone che le tombe fossero allestite, isolate o a coppia, in costruzioni funerarie in mattoni crudi dalle misure comprese tra 8 x 5 m e 11,5 x 5,5 m. Le pareti delle camere erano dipinte in rosso, nero e bianco. Non è stato possibile accertare se vi fosse praticata l'inumazione o la deposizione delle ossa preliminarmente ripulite dai tessuti molli (rito corrispondente alle prescrizioni di culti antico-iranici, concepite in particolare dai seguaci del testo sacro zoroastriano, l'Avesta). A giudicare dal rinvenimento di fili e placchette in oro e di una lucerna in bronzo di lavorazione ellenistica, si può concludere che le tombe di Nisa conservassero i resti di esponenti dell'aristocrazia partica.
Alle tipologie architettoniche funerarie degli stati ellenistici d'Oriente, rappresentate in parte nella regione dal mausoleo di Ai Khānum (v.), si richiamano chiaramente i m. f. in mattoni crudi della Battriana settentrionale (situate nel territorio della riva destra dell'Oxus, l'attuale Amu Daryā, regione successivamente denominata Tokhārestān). Nella letteratura archeologica questi edifici sono talvolta designati col termine nawwus e collegati allo zoroastrismo, sebbene ciò non sia del tutto corretto, in quanto il termine nawwus è attestato in fonti arabe della seconda metà del IX sec. e in relazione non al culto zoroastriano sasanide, ma ai cristiani siriaci; sepolture di questo tipo contengono spesso non solo ossa scarnificate, ma anche inumazioni.
La più antica sepoltura del genere suddetto è stata riportata alla luce 300 m a Ν del sito di Dalverzin Tepe (ν.) (Uzbekistan meridionale, valle del Surkhan Daryā). La costruzione (13 x 12,5 m) poggiava su un basso zoccolo in argilla pressata ed era costituitá da un corridoio centrale su cui si affacciavano ambienti laterali, quattro per lato. Questi ambienti (2,7 x 1,25 m; alt. 1,7 - 1,75 m) avevano coperture a volta e un ingresso ad arco, che veniva murato con mattoni crudi. Sono state accertate tre fasi di utilizzazione: alla prima, oltre a due inumazioni, è da collegare una deposizione di ossa; le circa quaranta sepolture della seconda fase sono tutte riconducibili al rito della deposizione di ossa preventivamente scarnificate; la terza fase comprende solo inumazioni. Tutte le sepolture erano accompagnate da vasellame in ceramica, ornamenti personali, piccoli oggetti e monete in rame. L'autore degli scavi del nawwus di Dalverzin Tepe, E. V. Rtveladze, data le due prime fasi al II sec. a.C.-inizî I sec. d.C. e la terza fase al II-III sec. d.C. È probabile, tuttavia, che le datazioni si possano abbassare di circa un secolo.
Alla stessa epoca risale l'edificio funerario II della necropoli di Tepe-ye Šāh, nella Battriana settentrionale (Tajikistan sud-occidentale); si tratta di una costruzione (11,7 x 8,65 m) che si alza su un basso stilobate e che consta di un corridoio centrale fiancheggiato da quattro camere (due per lato). Secondo B. A. Litvinskij, deposizioni di ossa scarnificate vennero ininterrottamente effettuate in questi ambienti tra il I sec. a.C. e la fine del III, o il IV sec. d.C. Le sepolture erano accompagnate da vasellame in ceramica, piccoli ornamenti, monete. Nella stessa necropoli è stato scavato l'edificio I, piccola costruzione (7,65 x 6,30 m) del II-IV sec. consistente in un solo ambiente con banchi d'argilla lungo le pareti. Sul pavimento e sui banchi giacevano le ossa sparse dei defunti, vasi in ceramica interi e frammentati, monili, monete di bronzo e altri piccoli oggetti. Il pavimento, i banchi e le pareti erano rivestiti da un intonaco d'argilla rifinito da un sottile strato di gesso (ganč).
Simili m. f. - a una o più camere - sono attestati in diverse località della Battriana settentrionale/Tokhārestān di epoca kuṣāṇa, con inumazioni e deposizioni di ossa scarnificate.
Edifici funerari sono stati oggetto di scavo anche nella necropoli dell'antica Merv, nel Turkmenistan meridionale. Al III-IV sec. risalgono due piccoli sepolcri a una camera con copertura a volta. Utilizzati, come sembra, anche nel V-VI sec., furono successivamente danneggiati da tombe a fossa. Altrettanto complessa è la storia di un grande edificio funerario in mattoni crudi scavato nella stessa necropoli e risalente al V-VII secolo. Esso racchiudeva 24 camere disposte intorno a una corte centrale. Come per le tombe più antiche, la ricostruzione delle fasi di uso dell'edificio è disturbata dalla presenza di tombe a fossa. Nelle due tombe più antiche e nelle camere dell'edificio funerario venivano deposte più di frequente le ossa scarnificate dei defunti; nel corso degli scavi esse sono state rinvenute in mucchi disordinati o in vasi di ceramica o in speciali ossuari a cassetta. Come indicato dalle iscrizioni, alcuni ossuarî contenevano i resti di individui di fede giudaica.
Nei secoli precedenti la conquista islamica, in quasi tutto il territorio dell'Asia centrale predomina il rituale della deposizione delle ossa in ossuarî (in iranico astodān), a loro volta spesso collocati in appositi m. f. (i nawwus delle fonti arabe). I nawwus della Sogdiana altomedievale derivano, con ogni probabilità, dai m. f. della Battriana/Tokhārestān. Sono stati oggetto di indagini particolarmente approfondite i nawwus di Penjikent (v.). Qui sono stati scavati più di trenta m. f. di questo tipo, ciascuno costituito da una camera coperta da una falsa volta in mattoni crudi (dall'esterno il tetto si presentava piano o leggermente inclinato). Di modeste dimensioni (da 1,95 x 1,7 m a 3,35 x 3,32 m), le camere presentavano di frequente banchi d'argilla addossati alle pareti, sui quali erano collocati gli ossuari a forma di cassetta, contenenti le ossa scarnificate, piccoli oggetti e monete di bronzo. Talvolta gli ossuarî erano alloggiati all'interno di nicchie parietali; si è inoltre riscontrata una certa varietà nei tipi e nella quantità dei banchi.
Costruzioni funerarie affini a quelle sogdiane si segnalano anche nelle regioni settentrionali dell'Asia centrale. Nella necropoli del sito di Tok-Kala (Chorasmia) è stato riportato alla luce un nawwus (4 x 4 m) di tipo analogo a quelli di Penjikent, con una piccola camera con tre banchi lungo le pareti e nicchie in cui erano collocati ossuari. Nelle vicinanze si trovava un altro m. f. (11 x 6 m) comprendente due camere comunicanti (6 x 3 m e 4,8 x 2,7 m): entrambe conservavano numerosi ossuarî; è da segnalare che questo edificio era seminterrato, forse per l'influsso della tradizione dei popoli allevatori.
Anche gli edifìci funerarî del Čač sono simili a quelli sogdiani, sebbene mostrino alcuni caratteri peculiari. Nell'area della cisterna di Tuyabuguz, p.es., sono state scavate oltre una decina di camere isolate (VII-VIII sec.), nelle quali è stato possibile accertare sia il rituale della deposizione delle ossa, sia l'inumazione. Ognuna di queste costruzioni, di pianta circolare (analogamente ai kurgan degli allevatori), con un diametro compreso tra gli 8 e i 10,2 m, racchiudeva una camera rettangolare (da 2,1 x 2,9 a 3,3 x 2,2 m) con copertura a volta, nicchie alle pareti e stretto passaggio voltato di accesso.
Bibl.: B. J. Staviskij, O. G. Bol'šakov, E. A. Mončadskaja, Pjanđžikentskij nekropoì' («La necropoli di Penjikent»), in Materialy i issledovanija po arkheologii SSSR, XXXVII, Mosca-Leningrado 1953, pp. 64-98; S. A. Eršov, Nekotorye itogi arkheologičeskogo izučenija nekropolja s ossuarnymi zakhoronenjami ν rajone goroda Bajram-Ali («Alcuni risultati dell'indagine archeologica della necropoli con sepolture a ossuarî nella regione di Bayram Ali»), in Trudy Instituía istorii, arkheologii i etnografii Akademii Nauk Turkmenskoj SSR, V, Aškhabad 1959, pp. 160-204 (edificio funerario nei pressi di Merv); T. Agzamkhodžaev, Tujabuguzskie nausy («I nawwus di Tuyabuguz»), in Istorija material'noj kul’tury Uzbekistana, III, Taškent 1962, pp. 71-79; A. V. Gudkova, Tok-Kala, Taškent 1964, pp. 86-89; P. Bernard, Une nauvelle contribution sovietique à l’histoire des Kouchans: la fouille de Dal’verzin-tépé (Uzbehistan), in BEFEO, LXVIII, 1980, pp. 313-344; F. Grenet, Les pratiques funéraires dans l’Asie centrale sédentaire de la conquête grecque à l’islamisation, Parigi 1984; G. A. KoIelenko (ed.), Drevnejfie gosudarstva Kavkaza i Srednej Azii («I più antichi stati del Caucaso e dell’Asia centrale») (Arkheologija SSSR), Mosca 1985, pp. 224, 239, 264 (edifici funerarî anteriori al V sec. d.C.).
(B. J. Staviskij)
India. - La relativa scarsità di m. f. nel Nord-Ovest e nelle regioni gangetiche è dovuta per lo più all'introduzione e alla sempre maggior diffusione del rituale dell'incinerazione caratteristico del mondo induista.
La documentazione più antica è costituita dai testi vedici (Ṛgveda, Atharvaveda, Śatapatha Brāhmaṇa), che riportano l'uso di erigere tumuli (smaśāna, «m. f.», ma anche più genericamente «cimitero») accanto a quello di altre pratiche funerarie che non prevedono l'erezione di monumenti funerarî. Poteva trattarsi di tumuli dei devoti ai deva (le divinità vediche): con pianta quadrangolare, e con le spoglie mortali deposte direttamente sul terreno. Gli adoratori degli asura (divinità sotterranee di natura «titanica»), invece, erigevano tumuli circolari sopra le salme o le giare contenenti le ceneri del morto.
Non è chiaro se i tumuli, le cui dimensioni variavano a seconda del sesso e della condizione sociale del defunto, contenessero deposizioni primarie oppure secondarie (tumulazione dei resti dopo incinerazione o scarnificazione). Tali m. f., che a volte presentavano un palo ligneo (sthūna) alla sommità, dovevano essere molto simili al tumulo con vedikā raffigurato su un rilievo con scene di vita di asceti non buddhisti (dal portale È dello stūpa i di Sāñcī).
Lo stūpa (v.), monumento con funzione di reliquiario o cenotafio la cui struttura assume un valore simbolico cosmologico legato al corpo del Buddha, deriverà da tali tumuli di tradizione vedica. Alle reiterate domande del discepolo Ananda sul modo in cui onorare le spoglie del Buddha, il Beato rispose che i resti mortali del Tathāgata si sarebbero dovuti onorare come quelli di un cakravartin (potente monarca); specificando inoltre che, a cremazione avvenuta, le ceneri fossero tumulate in uno stūpa posto a un crocevia e che chiunque trovatosi a passare di lì avesse presentato offerte, o semplicemente avesse provato uno stato di calma interiore, ne avrebbe tratto buoni meriti e un durevole beneficio.
Su alcuni rilievi gandharici databili al II-III sec. d.C. sono visibili diversi tipi di m. f. in scene di carattere narrativo ambientate in luoghi di sepoltura. Si possono distinguere i tipi seguenti: un tumulo circolare, simile a una capanna in laterizio e analogo anche a talune raffigurazioni di capanne di asceti; un piccolo segnacolo cilindrico, a base quadrata, con la sommità emisferica; una struttura sormontata da una volta, in laterizio, simile a un caityagṛha. Un unico rilievo, infine, mostra una camera sepolcrale verisímilmente ipogea, con una volta in mattoni, sormontata da un· piccolo stūpa. In questo caso si tratta forse di un tipo di m. f., definito eḍukā, la cui apparizione, secondo il Mahābhārata, sarebbe stata una delle cause della degenerazione degli uomini nel Kali yuga.
Monumenti megalitici di carattere funerario rinvenuti nella parte settentrionale dei monti Vindhya (nei distretti di Benares e Mirzapur, Uttar Pradesh) documentano la presenza e la diffusione di queste strutture anche nella regione gangetica.
Nel Deccan i m. f. sono ampiamente attestati per un vasto arco di tempo (circa fine Il/fine I millennio a.C.) e condividono tutti, sia pure con varianti, la caratteristica struttura megalitica. Questa può consistere in una camera funeraria realizzata con lastre di pietra che misurano mediamente 1,5 x 2 m; nel semplice tumulo di terra e pietrame, che ricopre la sepoltura, con l'altezza e il diametro oscillanti rispettivamente intorno a 1 - 1,5 m e 5 - 8 m; oppure solamente dal circolo megalitico, con diametro medio di 10 m circa.
Le molteplici indagini archeologiche degli ultimi decenni hanno permesso di stabilire una cronologia meno approssimativa, basata per lo più sul confronto dei corredi funerarî e, più raramente, sull'analisi al radiocarbonio.
Una problematica ancora irrisolta è quella dell'origine delle popolazioni responsabili della comparsa dei m. f. megalitici e del loro rapporto con quelle dravidiche; ma necessita ulteriori considerazioni anche il rapporto tra la «cultura» megalitica, in genere, e quella dell'Età del Ferro.
La diffusione dei m. f. megalitici copre una vasta area compresa tra la regione himalayana e quella meridionale e Śrī Lanka, con una distribuzione essenzialmente concentrata nella regione del Deccan centrale e in alcune aree del Tamil Nadu. A seconda dell'aspetto geologico delle varie regioni in cui sono attestati, i m. f. megalitici sono realizzati con diversi tipi di pietra: granito, arenaria o blocchi di laterite. Possono essere raggruppati per semplicità nelle classi che seguono.
Tombe a cista con apertura su uno degli ortostati (port-holed eist). Quelle di Brahmagiri (Karnataka), datate tra il III sec. a.C. e la prima metà del I sec. d.C., sono composte da quattro ortostati disposti in modo da formare in pianta uno svastika (per lo più orientato in senso antiorario), da una lastra di pavimentazione e una di copertura, e da un circolo di pietre non lavorate. L'apertura circolare (port-hole, diam. c.a 50 cm), chiusa da una lastra minore - generalmente posta sulla lastra E, può essere associata a una piccola «anticamera» formata da altre lastre minori - più che da uno scopo funzionale sembra dipendere da un motivo simbolico connesso al rituale funerario. Una variante interessante, con anticamera di passaggio (talvolta con un transetto formato da due ulteriori ortostati paralleli nella camera sepolcrale e nell'anticamera) è attestata a Satanikota (v.), Andhra Pradesh, almeno dal III sec. a.C. Quando la camera sepolcrale non è interrata completamente, e una parte sporge al di sopra del piano di campagna, viene definita dolmenoid eist. Tombe di questo tipo differiscono da quelle appena considerate per il fatto che, oltre a essere seminterrate, generalmente possono contenere sarcofagi in terracotta, come, p.es., quello rinvenuto a Sutukeny (Pondicherry, seconda metà del II sec. a.C.).
Sarcofagi in terracotta sono stati rinvenuti talvolta anche in tombe a fossa con ampio circolo megalitico, come quello rinvenuto a Maski (Karnataka). La profonda fossa ovoidale (oltre 2 m), scavata con una stretta rampa di accesso a E chiusa da una piccola pietra e pavimentata con diverse lastre, in genere contiene, oltre al corredo, un'urna funeraria (o i resti ossei), ed è coperta da una grande lastra di granito.
Tumuli delimitati da uno o più filari di pietre (cairn circles) possono essere eretti su semplici tombe a fossa (pit circles), su urne o sarcofagi in terracotta, oppure su una camera sepolcrale. Quest'ultima può presentare forme diverse. Può essere a pianta rettangolare con un breve corridoio in genere orientato a S. In questo caso innalzata sul terreno, ma talvolta parzialmente ipogea, è inscritta in un doppio o singolo circolo litico, oppure in un circolo e un rettangolo, ed è composta in genere da cinque lastre di pietra, una delle quali è usata come copertura e le altre come ortostati. Il corridoio è formato da pietre di minor taglio. Può presentare pianta circolare, con copertura talvolta sostenuta da pilastri, costituita anche da più lastre disposte radialmente dal centro, caratteristica delle regioni del Deccan. Un modello più complesso di camera sepolcrale con corridoio presenta una pianta a croce greca o latina, generalmente con il corridoio orientato a S, e talvolta con quattro pilastri per sostenere la copertura.
Tumuli semplici senza circolo o perimetro megalitico rettangolare, con camera sepolcrale, con corridoio, a fossa, ecc., sono noti come barrows. Talora il tumulo poggia su un basamento quadrangolare; quando più tumuli (in genere due o tre) si trovano sullo stesso basamento il monumento viene definito long barrow. Nel Kerala sono documentate diverse tombe ipogee scavate nella roccia databili tra il III sec. a.C. e il I sec. d.C. Il tipo più diffuso ha una forma a cupola con pilastro centrale o apertura circolare sulla sommità e banconi lungo le pareti. Sono presenti inoltre ipogei a una o più stanze quadrangolari a soffitto piano.
I menhir, che possono essere considerati monumenti commemorativi, sono poco diffusi. Nel Deccan sono associati a circoli megalitici (p.es. Maski), ma vi sono attestati anche allineamenti di menhir; nel Kerala di solito sono isolati, anche se in un caso è documentata l'associazione di un'urna con corredo e un gruppo di monoliti.
Simile alla classe dei menhir, per la loro natura commemorativa, è quella dei piccoli m. f., che nel Kerala vengono definiti topikal (ombrello di pietra) per il loro aspetto: una pietra conica al di sopra di quattro lastre che formano una piccola camera sepolcrale. Questi segnacoli possono anche essere eretti sul posto dove è stato eseguito il rituale d'incinerazione. Una variante (kodakallu, «cappello di pietra») è costituita dal semplice «ombrello» posto direttamente sul terreno a proteggere e segnalare la fossa tombale; sono documentati pure rinvenimenti con più segnacoli a «cappello» (da tre a cinque) associati all'interno di uno stesso circolo megalitico.
Una classe a sé di m. f. è costituita dai pilastri commemorativi (chāyāstaṃbha, «pilastro dell'ombra») innalzati per onorare la memoria di condottieri, religiosi, capi di corporazioni, mogli virtuose (volontariamente immolatesi sulla pira del defunto marito: satī), e personaggi che si sono distinti per la condotta eroica in determinate circostanze (vīvagal, o pietre degli eroi), p.es. la liberazione di un luogo afflitto dai saccheggi dei banditi. Questi memoriali oltre a riportare nomi, date e avvenimenti, raffigurano le scene della vita e le azioni compiute dall'eroe (come p.es. i memoriali eretti a Nāgārjunakoṇḍa, v., nel periodo ikṣvaku intorno al III sec. d.C.); per questo motivo risultano molto interessanti per la ricostruzione e lo studio in genere della vita sociale e culturale. La pratica di innalzare pilastri commemorativi sembra essere originaria delle regioni occidentali del Gujarat, agli inizî dell'era volgare, da dove si diffuse poi in quelle meridionali, perdurando addirittura fino all'età moderna.
Bibl.: J. Przyluski, Le parinirvana et les funérailles du Buddha. IV. Les éléments rituels dans les funérailles du Buddha, in Journal Asiatique, XV, 1920, pp. 5-54; K. R. Srinivasan, The Megalithic Burials and Um-Fields of South India in the Light of Tamil Literature and Tradition, in Ancient India, II, 1946, pp. 9-16; R. E. M. Wheeler, Brahmagiri and Chandravalli 1947: Megalithic and Other Culture in the Chitaldrug District, Mysore State, ibid., IV, 1947-1948, pp. 181-310; J.-M. e G. Casal, Site urbain et sites funéraires des environs de Pondichéry, Virampatnam-Mouttrapaléon-Souttoukèni, Parigi 1956; Y. D. Sharma, Rock Cut Caves in Cochin, in Ancient India, XII, 1956, pp. 93-115; F. R. Allchin, Sanskrit Edukä-Pali Elüka, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, XX, 1957, pp. 1-5; B. K. Thapar, Maski 1954: a Calcholithic Site of the Southern Deccan, in Ancient India, XIII, 1957, pp. 4-142; M. Bénisti, Etude sur le stttpa dans l'Inde ancienne, in BEFEO, L, 1960, pp. 40-116 (in part. 42-53); S. B. Deo, Excavations at Takalghat and Khapa (1968-69), Nagpur 1970; K. S. Ramachandra, A Bibliography on Indian Megaliths, Madras 1971; P. Pal, The Aiduka of Visnudharmottarapurâna and Certain Aspects of Stupa Symbolism, in Journal of the Indian Society of Oriental Art, n.s., IV, 1971-1972, pp. 49-62; S. P. Gupta, The Disposal of the Dead and Physical Types in Ancient India, Delhi 1972; B. K. Gururaja Rao, Megalithic Culture in South India, Mysore 1972; A. Parpola, Arguments for an Aryan Origin of the South Indian Megaliths, Madras 1973; L. S. Leshnik, South Indian 'Megalithic' Burials. The Pandukal Complex, Wiesbaden 1974; id., Nomads and Burials in the Early History of South India, in L. S. Leshnik, G. D. Sontheimer (ed.), Pastoralist and Nomads in South Asia, Wiesbaden 1975, pp. 40-67; A. Sundara, The Early Chamber Tombs of South India, Delhi 1975; S. Pant, The Origin and Development of Stūpa Architecture in India, Benares 1976 (in part. pp. 1-47); R. N. Mehta, K. M. George, Megaliths at Machad and Pazhayannur·, Talppally Taluka, Trichur District, Kerala State, Baroda 1978; J. N. Tiwari, Disposal of the Dead in the Mahabharata. A Study in the Funeral Custom in Ancient India, Benares 1979; R. Thapar, Death and the Hero, in S. C. Humphreys, H. King (ed.), Mortality and Immortality: the Anthropology and Archaeology of Death, Londra 1981, pp. 293-315; S. Settar, G. D. Sontheimer, Memorial Stones, Dharwad - Heidelberg 1982; B. e R. Allchin, The Rise of CiVIIIzation in India and Pakistan, Cambridge 1983, pp. 331-346; H. S. Ramanna, Megaliths of South India and South East Asia. A Comparative Study, Madras 1983; S. B. Deo, The Megalithic Problem: A Review, in V. N. Misra, P. Bellwood (ed.), Recent Advances in Indo-Pacific Prehistory. Proceedings of the International Symposium Held at Poona, 1978, Nuova Delhi-Bombay-Calcutta 1985, pp. 447-453; P. Singh, Megalithic Remains in the Vindhyas, ibid., pp. 473-476; G. R. Sharma, Megalithic Cultures of the Northern Vindhyas, ibid., pp. 477-480; P. C. Pant, The Megaliths of Jangal Mahal and Vedic Tradition, ibid., pp. 481-483; K. J. John, The Megalithic Culture of Kerala, ibid., pp. 485-489; S. B. Deo, The Personality of Vidarbha Megaliths, in S. B. Deo, M. K. Dhavalikar (ed.), Studies in Indian Archaeology, Professor H. D. Sankalia Felicitation Volume, Bombay 1985, pp. 23-31; A. Sundara, A New Type of Passage Chamber Tomb in Kaladgi District, Bijapur (Mysore State), ibid., pp. 216-226; J. R. Mcintosh, Dating the South Indian Megaliths, in J. Schotsmans, M. Taddei (ed.), SAA 1983, Napoli 1985, pp. 467-493; N. C. Ghosh, Excavations at Satanikota 1977-80 (MASI, 82), Nuova Delhi 1986; S. Settar, Inviting Death, Dharwad 1986; G. De Marco, The Stūpa as Funerary Monument. New Iconographical Evidence, in EastWest, XXXVII, 1987, pp. 191-246 (in part. 219-241); R. Moorti, Megalithic Karnataka. A Locational Analysis, in A. Sundara, K. G. Bhatsoori (ed.), Archaeology in Karnataka (Papers Presented at the National Seminar on Archaeology, 1985), Mysore 1990, pp. 154-171; P. P. Shirodkar, Megalithic Culture of Goa, ibid., pp. 172-180; S. B. Deo, The Megaliths of Maharashtra and Karnataka, ibid., pp. 181-197; K. P. Rao, Vidarbha Megaliths and Andhra-Karnataha: Contacts and Correlation, ibid., pp. 198-200; B. R. Subrahmanyam, J. S. Raju, The Megalithic Graves of the Srisailam Submersible Area, ibid., pp. 201-204; P. Singh, Megaliths of Varanasi-Allahabad Region and Karnataka. Some Aspects, ibid., pp. 205-209; R. L. Mishra, The Mortuary Monuments in Ancient and Medieval India, Delhi 1991 (in part. pp. 33-55); K. P. Rao, A Unique Iron Age Grave Complex from South India, in EastWest, XLI, 1991, pp. 363-369.
(A. A. Di Castro)
Cina. - L'uso di strutture funerarie con fine celebrativo è, anche in Cina, strettamente legato all'ideologia della «classe» dominante e si esprime, nella maggior parte dei casi a noi noti, attraverso una complessa simbologia cosmologica e cosmogonica. La più arcaica forma di m. f. potrebbe essere direttamente legata all'evidenza di concezioni magico-religiose che si manifestano con l'affermarsi di strutture sociali di tipo clanico patrilineare: a Xishuipo, presso la città di Puyang nella provincia di Henan, in un contesto riferibile alla locale facies della cultura neolitica Yangshao (c.a 5000-3000 a.C.), la sepoltura di un individuo maschio adulto contenuta in una grande fossa polilobata era fornita, oltre che di tre individui di accompagnamento, di due mosaici zoomorfi, realizzati con valve di molluschi d'acqua dolce, posti ai lati del defunto. In tali figure sono forse riconoscibili due tra i più importanti simboli della cosmologia cinese classica: un drago e una tigre. La monumentalità di tale sepoltura non risiede tanto nelle sue dimensioni, pur cospicue in confronto con le contemporanee strutture sepolcrali del sito, quanto piuttosto in quel probabile uso di elementi ordinatori dello spazio: il drago e la tigre, che nella più tarda tradizione del sistema geomantico della Cina arcaica noto come Feng Shui simboleggiano tra l'altro l'Est e l'Ovest.
La monumentalità con netta valenza cosmologica sembra aver caratterizzato l'architettura funeraria delle élites della Cina arcaica fino almeno all'epoca della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.); inizialmente l'aspetto celebrativo sembra essere una funzione indiretta della monumentalità, un suo diretto corollario. Infatti, l'obiettivo primario è quello della disposizione e organizzazione geomantica dello spazio sepolcrale - la tomba in sé e, quando presenti, le strutture di culto a essa connesse - inteso come riproduzione della struttura dell'Universo; in tale microcosmo l'equilibrio e il regolare fluire delle «energie» che provengono dal macrocosmo devono assicurare alle anime del defunto l'armonioso trascorrere della loro esistenza ultraterrena; e tanto più importante è il ruolo sociale che il personaggio ebbe in vita, tanto maggiore sarà la complessità del sepolcro. Non possiamo ravvisare in ciò un intento celebrativo, mancando totalmente l'elemento iconografico a ricordo delle gesta del trapassato, piuttosto vi traspare una pietas - che nell'etica confuciana troverà la sua massima espressione - tutta rivolta al benessere e alla pace ultraterrena provenienti anche dall'esposizione ottimale del luogo di sepoltura rispetto all'ambiente circostante e alle forze che lo permeano, come dalla partizione dello spazio sepolcrale rispetto ai principî cosmologici, geomantici e magici correnti nello specifico momento di costruzione della tomba.
Una sicura testimonianza di m. f. ispirati ai principî accennati è quella fornita dalle tombe ascrivibili all'aristocrazia della dinastia Shang nella c.d. fase di Yin (XIII-XI sec. a.C.). A Dasikongcun, presso il sito della capitale Shang a Xiatoun (An'yang), è infatti localizzato un complesso cimiteriale comprendente undici grandi sepolture ipogee, orientate sull'asse N-S, distinte in due gruppi: occidentale, con otto tombe (M1001, M1002, M1003, M1004, M1217, M1500, M1550 e M1567), tra cui una (M1567) non terminata, a pianta quadrangolare con rampa di accesso su ciascun lato (si immagini una piramide a gradoni rovesciata); orientale, comprendente cinque sepolture (M1129, M1400, M1443, M260 e la c.d. Grande Tomba di Wuguancun) di cui una a pianta cruciforme; due, di dimensioni minori, a pianta rettangolare con rampa di accesso sui lati Ν e S, e due, di dimensioni minori rispetto alle precedenti, a pianta rettangolare con unica rampa di accesso. Nelle grandi tombe cruciformi possiamo riconoscere i m. f. dei re Shang della fase dinastica: la monumentalità di tali sepolture è evidente nelle loro dimensioni (le fosse sono profonde tra i 10 e i 20 m con una superficie media di 100 m2), nella forza lavoro necessaria alla loro realizzazione, nello sfoggio di ricchezza riflesso dai sontuosi - benché ripetutamente depredati - corredi funebri e nelle centinaia di vittime sacrificali, sia umane sia animali, in esse rinvenute. Come suggerisce S. Allan (1991), lo scopo principale di tale monumentalità è con ogni probabilità quello di ricreare nella pianta cruciforme, usata anche per le grandi camere sepolcrali lignee (guo) poste sul fondo della fossa e al cui centro era il sarcofago (guan) anch'esso in legno, la forma della Terra quale forse essa aveva nella concezione cosmologica Shang. L'uso di costruire ambienti rituali in legno sopra le grandi fosse è testimoniato in diverse sepolture aristocratiche, tra cui la sepoltura M4 nella necropoli di Qianzhangdai a Tengzhou (Shandong) e la Tomba di Fu Hao («regina» Hao) a Yin (o Xiatun), ascrivibile all'ultima fase della necropoli (inizio XIII sec. a.C.) all'interno della città Shang, quindi immediatamente precedente la necropoli reale di Dasikongcun; tale evidenza permette di ipotizzare che anche le sepolture reali fossero fornite di strutture, in materiale deperibile, per il culto ancestrale. Certamente in connessione con le tombe nella necropoli reale, per altro ancora non completamente scavata, erano le centinaia di sepolture sacrificali tra cui spiccano per monumentalità le fosse contenenti cavalli e aurighi sacrificati e accompagnati da carri (v. carro).
L'uso di m. f. a pianta cruciforme sembra essersi diffuso, in epoca Shang, anche presso alcune delle aristocrazie direttamente interessate dall'espansione della cultura Shang, come dimostrerebbe, p.es., la grande tomba di Sifudun presso Yidu (Shandong); nelle regioni più distanti, invece, la monumentalità funeraria si esprime continuando precedenti tradizioni locali, p.es. l'uso di monoliti eretti come segnacolo di sepolture, forse sacrificali, nel sito di Qiuwan presso Xuzhou (Jiangsu).
Dopo aver conquistato il territorio degli Shang (XI sec. a.C.), i Zhou integrano gran parte del proprio costrutto cosmologico con quello ereditato dalla precedente dinastia; nei m. f., infatti, all'uso della pianta cruciforme si tende a preferire quello della pianta rettangolare che, pur mantenendo lo stesso significato avuto in epoca Shang, potrebbe evidenziare una visione lievemente diversa della forma della Terra. Nel corso dell'epoca dei Zhou Occidentali (XI sec. - 771 a.C.) la tradizione del m. f. inteso come una grande fossa a gradoni a pianta rettangolare si mantiene sostanzialmente invariata, se si eccettua un aumento della complessità del guo (camera sepolcrale o sarcofago esterno) che si arricchisce di più o meno ampi vani accessori per la disposizione dei ricchi corredi funebri e delle vittime di accompagnamento. Una decisiva innovazione nella struttura del m. f. si verifica nei primi decenni dell'epoca delle «Primavere e Autunni» (770-475 a.C.) sotto la dinastia dei Zhou Orientali, allorché le grandi fosse iniziano a essere ricoperte da tumuli in terra battuta, come p.es. quelli ohe ricoprono le sepolture dei sovrani del regno di Yan a Xiadu (Hebei). Sulla sommità di tali tumuli, simili a piramidi a gradoni, sono state rinvenute tracce di strutture in legno destinate al culto del defunto; l'uso di tumuli in terra battuta sovrastati da strutture rituali in legno, spesso entro un recinto rettangolare delimitato da un muro in terra battuta, continua e anzi si sviluppa maggiormente nell'epoca degli «Stati Combattenti» (475-221 a.C.), come testimonia un eccezionale rinvenimento - presso la necropoli reale del piccolo regno di Zhongshan nelle vicinanze della città di Pingshan (Hebei) - di una pianta di m. f. reali, incisa su una tavola di bronzo e databile al IV sec. a.C., che riporta la disposizione dei tumuli, degli edifici del culto ancestrale, dei recinti perimetrali e dei portali monumentali di accesso.
La struttura dei m. f. dei re di Zhongshan si riflette in quella del mausoleo del primo imperatore, Qin Shi Huangdi, a Lintong presso Xi'an; alla valenza strettamente cosmologica si era venuta, però, sovrapponendo, con il mutare della struttura e dell'ideologia del potere, quella celebrativa sia nei confronti della posterità sia nei confronti del mondo ultraterreno in cui il defunto avrebbe mantenuto il rango e le ricchezze accumulate in vita. Il mausoleo di Qin Shi Huang, iniziato al momento della sua ascesa al trono di Qin nel 247 a.C. e non terminato alla sua morte nel 210 a.C., secondo diversi autori riprodurrebbe in scala minore l'assetto della capitale imperiale, Xian Yang, fondata dallo stesso imperatore. Questo m. f. che si sviluppa con le sue diverse strutture su una superficie di c.a 56,25 km2, è posto tra il monte Li a S e il fiume Wei a Ν sicuramente in base a principi geomantici, e ha per fulcro il tumulo sepolcrale (alt. attuale 50,5 m, originaria c.a 150 m) a pianta quadrata (c.a 350 x 345 m) in posizione lievemente eccentrica nel più interno (c.a m 1335 N-S x 580 E-O) di due recinti rituali, dove erano anche posti alcuni dei templi per il culto ancestrale, mentre tutto intorno, per un raggio di c.a 15 km, erano le fosse sacrificali di accompagnamento. A O del tumulo, nel 1980, ne fu rinvenuta una contenente due carri in bronzo con tiro a quattro, a metà della grandezza naturale, da considerare un capolavoro dell'arte fusoria nella Cina antica; non distanti dai carri sono state messe in luce 18 fosse contenenti uccelli e animali selvatici e 13 fosse contenenti statuine fittili raffiguranti ancelle e servi che nel loro complesso dovrebbero simboleggiare il terreno di caccia imperiale. All'esterno del recinto, in direzione E, sono state scavate 93 fosse contenenti, oltre a utensili in ceramica e ferro e statuine di servitori, una moltitudine di scheletri di cavallo; tali fosse, come attestano le iscrizioni su tavole in pietra rinvenute al loro interno, rappresentano le stalle imperiali. A O di queste sono state rinvenute 17 ricche sepolture in cui, come testimoniano alcuni sigilli, furono sepolti concubine e membri del clan reale. È a 1,5 km dal tumulo che, tra il 1974 e il 1976, furono scoperte le tre fosse del famoso «esercito di terracotta»: 7000 soldati, 600 cavalli e 100 carri da combattimento a difesa del lato E del complesso monumentale, l'unico lato privo di difese naturali.
Nella struttura del m. f. della successiva dinastia degli Han Occidentali (206 a.C.-23 d.C.) sono chiaramente ravvisabili i mutamenti occorsi nella struttura sociale dell'impero, in seguito all'opera unificatrice e innovatrice condotta da Qin Shi Huang, con l'affermarsi di nuove aristocrazie e di una più accentuata ridistribuzione della ricchezza; per quanto contraddittoria, la visione del mondo dell'epoca Han sembrerebbe caratterizzata da una maggiore «laicizzazione» della vita pubblica contrapposta a una più accentuata diffusione di principi - derivati da diverse dottrine filosofiche - di tipo magico-rituale nella sfera del privato. L'uso della sepoltura in fossa verticale viene velocemente sostituito, nelle regioni centrali dell'impero lungo la media e bassa valle del Fiume Giallo, dall'uso di cavità orizzontali scavate alla base di un pozzo d'accesso e foderate nell'epoca degli Han Occidentali con grosse lastre cave di ceramica, mentre a partire dagli Han Orientali (25-220 d.C.) con piccoli mattoni pieni, che permettono una maggiore complessità e diversificazione funzionale degli ambienti ipogei. Per quanto l'uso di fosse verticali con grandi camere lignee si mantenga in alcune regioni periferiche (p.es. le tombe della famiglia del Marchese di Dai a Mawangdui presso Changsha nel Hunan, o le sepolture principesche di Yandaishan presso Yicheng nel Jiangsu), dove il rituale dell'inumazione e le leggi suntuarie che regolano la composizione dei ricchi corredi sono ancora quelle di epoca Zhou, la nuova aristocrazia Han e le nuove classi sociali a essa legate (grandi proprietari terrieri e funzionari imperiali) adottano il nuovo modello architettonico che sostituisce alla ricreazione rituale del macrocosmo quella del più umano spazio domestico pur determinato da principi geomantici, cosmologici e magici che si riflettono sia nelle decorazioni parietali delle sepolture, con motivi ispirati ai temi della cosmogonia di tradizione Zhou, sia nella disposizione rituale dei corredi, sia nell'uso della giada (v.), da pochi elementi per l'ostruzione degli orifizî del corpo umano a vere e proprie vesti funebri, ritenuta capace di tenere unite le anime vitali del defunto e, quindi, di impedirne la decomposizione. Veri e propri «Palazzi Sotterranei» (Dixia Gongdian) - p.es. le sepolture monumentali in grotte artificiali di Liu Sheng, principe di Zhongshan e di sua moglie Douwan a Mancheng (Hebei) o del principe Lu di Qufu presso l'omonima città dello Shandong, per l'epoca degli Han Occidentali, oppure le tombe in mattoni del principe Jing di Pincheng a Xuzhou (Jiangsu) e del principe Jian di Zhongshan a Dingxian (Hebei), per l'epoca degli Han Orientali - i m. f. di epoca Han continuano e ampliano l'uso delle grandi strutture a livello del suolo di tarda epoca Zhou e Qin. Il tumulo in terra assume l'aspetto e le dimensioni di una collina naturale, come p.es. i mausolei imperiali Han a Xi'an; i «templi» per i culti ancestrali, in legno con tegole in ceramica, e le piccole cappelle votive in mattoni o in lastre di pietra, si fissano all'interno del recinto rituale presso il tumulo dove, a partire dagli Han Orientali, si ergono anche portali monumentali in mattoni a forma di torre (Que) e stele celebrative del cursus honorum del defunto, finalmente rendendo evidente la funzione celebrativa, oltreché magico-rituale, del monumento funerario. Un ulteriore importante elemento che compare e si diffonde in epoca Han è l'uso della pietra per sculture zoomorfe o antropomorfe poste in prossimità del tumulo. Il più antico esempio di tale innovazione è ravvisabile, a Xi'an, nelle sculture poste sul tumulo del generale Huo Qubing, conquistatore dell'Asia centrale, morto nel 116 a.C. L'uso di statue - per lo più coppie che raffigurano solitamente funzionari ciVIII e generali, animali reali e animali fantastici - trovò nel corso dell'epoca degli Han Orientali e, soprattutto, nella successiva epoca delle Dinastie del Nord e del Sud (420-581 d.C.) una canonica collocazione lungo lo Sheng Dao («Via dello Spirito») che conduceva dal recinto esterno al tumulo sepolcrale; si tratta di raffigurazioni simboliche che, sia nel caso delle figure umane che rappresentano la «guardia d'onore» sia nel caso degli animali fantastici, hanno la duplice funzione di simbolo apotropaico e di simbolo di condizione sociale.
A partire dalla fine dell'epoca Han, quindi, la struttura del m. f. trova una definitiva canonizzazione nella partizione tra a) sepoltura ipogea con ambienti più o meno articolati, per lo più decorati con affreschi ispirati a scene di vita quotidiana e di corte - come nelle tombe nobiliari dell'epoca delle Dinastie del Nord e del Sud, Sui e Tang - e b) «mausoleo» esterno formato dal recinto funerario, i portali, lo Sheng Dao, fiancheggiato da coppie o gruppi speculari di statue in pietra, gli edifici per il culto ancestrale e il tumulo, come p.es. nelle grandiose tombe imperiali Tang a Ν di Xi'an.
Bibl.: W. Fairbank, The Offering Shrines of «Wu Liang Tz'u», in Harvard Journal of Asiatic Studies, VI, 1941, I, pp. 1-36; id., A Structural Key to Han Mural Art, ibid., VII, 1942, 2, pp. 52-88; W. Fairbank, K. Masao, Han Mural Paintings in the Pei-yuan Tomb at Liao-yang, South Manchuria, in ArtAs, XVII, 1954, 3-4, pp. 238-264; Τ. K. Cheng, Chou China, Cambridge 1963, pp. 46-182; J. Hay, L'Antica Cina, Roma 1977, pp. 118-129; Κ. C. Chang, Shang CiVIIIzation, Yale 1980, pp. 110-124; Hebei sheng Wenwu guanliju, Mancheng Han mu fajue baogao («Rapporto di scavo delle tombe di epoca Han presso Mancheng»), Pechino 1980; Z. S. Wang, Han CiVIIIzation, Yale 1982, pp. 175-213; H. C. Yang, The Shang Dinasty Cemetery System, in K. C. Chang (ed.), Studies of Shang Archaeology, Yale 1986, pp. 49-63; Q. Z. Liu, Y. F. Li, Xi Han Shiyi Ling («Gli Undici Mausolei [imperiali] degli Han occidentali»), Xi'an 1987; The Museum of Qin Terracotta Figures, Terracotta Warriors and Horses of Emperor Qin Shi Huan, Hong Kong 1987; R. Ciarla, Two Decorated Hollow Bricks of Han Date in the Museo Nazionale d'Arte Orientale, Rome, in EastWest, XXXVIII, 1988, 1-4, pp. 231-267; Puyang shi Wenwu guanli weiyuanhui e altri, Henan Puyang Xishuipo yizhi fajue jianbao («Breve rapporto sullo scavo del sito di Xishuipo presso Puyang-Henan»), in Wenwu, 1988, 3, pp. 1-6; S. Allan, The Shape of the Turtle. Myth, Art and Cosmos in Early China, New York 1991.
(R. Ciarla)
Pittura funeraria. - Le prime evidenze di pittura funeraria in Cina sono costituite da stendardi di stoffa rinvenuti in sepolture della Cina meridionale, quali quelli riportati alla luce in alcune tombe del IV sec. a.C. localizzate presso Jiangling (provincia dello Hunan). Se tuttavia in questo caso rimane incerta l'esclusiva destinazione funeraria dei reperti in seta, essa è invece sicuramente accertata nel caso del drappo impiegato per avvolgere il sarcofago esterno della Marchesa di Dai, rinvenuto nel 1974 a Mawangdui (v.), datato al 168 a.C. Nell'opinione della maggior parte degli studiosi, la complessa ornamentazione del drappo raffigurerebbe il viaggio dell'anima della defunta nel mondo dei morti, nonché una vera e propria rappresentazione del cosmo così come era concepito all'epoca Han. Pitture funerarie su sete simili a questa, seppur meno ricche iconograficamente, sono venute alla luce in altre tombe, sempre del periodo Han, come la Tomba 3 a Mawangdui e una sepoltura del sito di Jinjueshan (provincia dello Shandong). L'uso di stendardi funerarî su stoffa è inoltre attestato, secoli più tardi, durante la dinastia Tang (618-907 d.C.), come dimostrano i rinvenimenti effettuati in alcune tombe del cimitero di Asiana (regione di Turfan, provincia del Xinjiang); tali pitture funerarie su stoffa venivano appese a una delle pareti della camera sepolcrale: nella maggior parte dei casi recavano dipinta l'immagine della coppia cosmica Fu Xi e Nu Wa (esseri mitologici con la parte superiore del corpo antropomorfa e quella inferiore in forma di code serpentine intrecciantesi tra di loro) che avevano probabilmente valore beneaugurale e propiziatorio.
Le prime consistenti evidenze di tombe affrescate datano dal periodo Han, quali p.es. le sepolture rinvenute nei pressi di Luoyang, a Pinglu (provincia dello Shaanxi) o a Wangdu, nello Hebei. I soggetti principali di queste pitture sono prevalentemente costituiti da rappresentazioni del mondo dei morti e degli spiriti, e in esse ricorrono tutte le figurazioni tipiche del periodo: la Regina Madre dell'Occidente, immagini di Immortali (v.), creature mitiche, costellazioni, xiongrui («segni di buon auspicio»). Non mancano tuttavia anche scene ispirate alla vita di corte - come la processione di dignitari nell'affresco rinvenuto in una tomba a Liaoyang, in Manciuria - o a storie confuciane a sfondo moraleggiante, come nel caso delle mattonelle dipinte conservate presso il Museum of Fine Arts di Boston. Anche le attività quotidiane costituiscono uno dei soggetti più frequenti, non solo nella pittura funeraria Han, ma anche in quella dei periodi immediatamente successivi. Esemplificativa in questo senso è la Tomba 6 del cimitero presso Jiayuguan, nel Gansu, risalente al periodo Wei (220-265 d.C.). Interamente realizzata in mattoni, presenta la maggior parte di essi decorati con scene di vita quotidiana - attività venatorie o domestiche - o incentrate sulla vita del defunto, mentre la porta di accesso alla tomba è ornata con figure, anch'esse dipinte sui mattoni, di animali mitologici che proteggono la sepoltura.
La successiva grande fioritura della pittura funeraria cinese si registra sotto la dinastia dei Tang, alla quale risalgono numerosi affreschi rinvenuti nelle tombe imperiali site nelle vicinanze dell'odierna Xi'an. I soggetti delle pitture vanno da scene di caccia a parate militari - quali quelli presenti nella tomba di Li Shou, datata al 630 d.C. - a immagini della vita domestica o di corte, come quelle rinvenute nella tomba della principessa Fang Ling. Non mancano anche ritratti di inviati e ambasciatori stranieri, che compaiono nelle pitture della tomba di Li Xian.
Bibl.: M. Loewe, Ways to Paradise. The Chinese Quest for Immortality, Londra 1979; J. M. James, A Provisional Iconology of Western Han Funerary Art, in Oriental Art, XXV, 1979, 3, pp. 347-357; L. Caterina, Una pagina sepolta della pittura cinese: dipinti murali in alcune tombe Tang, ili Cina a Venezia (cat.), Milano 1986, pp. 80-95; Shaanxi Provincial Museum, Highlights of the Tang Dynasty Tomb Frescoes (testo in cinese e inglese), Hong Kong 1991.
(F. Salviati)
Corea. - Preistoria e protostoria. - Le più antiche sepolture coreane sembrano essere state del tipo a fossa (t'ojang) e «a cumulo di pietre». La natura prevalentemente acida del suolo ha finora consentito il ritrovamento di un numero molto scarso di resti organici, soprattutto quelli dei periodi più antichi. Ciò nonostante, sepolture a fossa databili intorno alla fine del II millennio a.C. sono state riconosciute, soprattutto nella zona del fiume Turnan, nella Corea nord-orientale. Le tombe a «cumulo di pietre», oggi difficilmente rintracciabili, dovettero essere abbondanti durante il Neolitico (c.a 5000-600 a.C.), prevalentemente in prossimità delle coste e dei corsi d'acqua, luoghi tradizionalmente ricchi di ciottoli.
I primi m. f. attestati sono i dolmen. Pur se variamente datati, essi sono comunque presenti in Corea sicuramente per buona parte del I millennio a.C. e il loro uso perdura in alcuni casi fino ai primi secoli dell'era volgare, abbracciando così un arco cronologico-culturale che va dal Neolitico Finale fino, forse, alla primissima fase del periodo dei Tre Regni (c.a 300-668 d.C.) attraverso le Età del Bronzo e del Ferro.
La Corea è il paese dell'Asia orientale con la maggior concentrazione di dolmen. Ciò nondimeno, una forte presenza di tali tombe megalitiche anche nella Cina nordorientale (e nella regione del Liaoning in particolare) induce a pensare che da qui il fenomeno si sia successivamente irradiato attraverso la penisola coreana, fino ad arrivare in Giappone. In quel periodo la regione del Liaoning era culturalmente più vicina alla Corea che non alla Cina.
I dolmen della Corea possono essere distinti in due tipi: settentrionale e meridionale. Il primo presenta la classica forma «a tavola», con due pietre di sostegno e una lastra di copertura. L'aggiunta di altre due pietre accanto a quelle portanti formava uno spazio quadrangolare che costituiva la camera funeraria, situata al di sopra del livello del suolo. La camera funeraria ha spesso uno sviluppo perimetrale assai limitato, e ciò fa supporre che già anticamente fosse in uso il sistema della sepoltura provvisoria a tutt'oggi in uso in alcune zone periferiche della penisola, e menzionata anche in alcune fonti cinesi (come il Sui shu).
I dolmen di tipo meridionale si compongono di una grande pietra di copertura che poggia talvolta su tre o quattro piccole pietre di sostegno. Contrariamente a quanto avviene per il tipo settentrionale, qui lo spazio sepolcrale è ipogeo e generalmente comprende più di una inumazione. Per questo motivo, la struttura dei dolmen di tipo meridionale risulta più complessa: sotto il masso di copertura si trovano spesso tombe a lastre. La simbiosi tra dolmen e tombe a lastre, in particolare, è interessante perché questi due sistemi di sepoltura in epoca più antica sono per lo più indipendenti l'uno dall'altro e sono i più rappresentativi per tutta l'Età del Bronzo (c.a VI-IV sec. a.C.). Pur essendo coevi, inoltre, essi restituiscono corredi tombali completamente differenti: i dolmen, per la maggior parte oggetti litici (coltelli «a mezzaluna», pugnali, punte di frecce), le tombe a lastre oggetti in bronzo (specialmente armi). Tale diversità è solitamente spiegata con una diversa condizione sociale dei costruttori delle tombe, ma a questa ipotesi si oppone la semplice considerazione che le tombe all'apparenza più «povere» restituiscono gli oggetti più pregiati.
Nella prima fase dell'Età del Ferro (fine IV sec. a.C.-inizî del I sec. d.C.) si diffondono anche le sepolture in giara e le sepolture sotterranee in sarcofagi lignei, queste ultime di origine siberiana e molto comuni nel regno detto di Wiman Chosŏn (c.a 190-108 a.C.). Nel 108 a.C., i Cinesi distrussero questo regno e costituirono, nella Corea centro-settentrionale, quattro province militari, la più importante delle quali ebbe come capoluogo Lolang (coreano: Nangnang) che sorgeva nei pressi dell'attuale Pyongyang e che nel 313 cadde nelle mani di Koguryŏ. La fondazione di Lolang portò all'uso di tumuli sepolcrali di tipo cinese, distinguibili in due gruppi: con camera lignea e con camera in mattoni. Nel primo caso veniva eretto un palo più o meno al centro e poi, con assi di legno, veniva delimitata un'area più piccola. All'interno dell'ambiente minore venivano posti i sarcofagi (anch'essi lignei) mentre, nella parte restante, a «L», veniva sistemato il corredo funerario. I tumuli con camera in mattoni (con copertura simile a una thòlos) furono in uso specialmente durante l'ultimo periodo di Lolang (III-IV sec.) e in alcuni casi continuarono anche dopo la caduta di questa sotto Koguryŏ. La camera aveva il pavimento sotto il livello del suolo, ma le sue pareti emergevano al di sopra della superficie per circa la metà della loro altezza. Sia le camere in legno che quelle in mattoni venivano poi ricoperte da tumuli di terra.
I Tre Regni: Koguryŏ. - I tumuli di Koguryŏ sono a copertura in pietra e a camera con copertura in terra. I tumuli a copertura in pietra sono i più antichi e sono originariamente e prevalentemente edificati lungo i corsi d'acqua. Sono abbastanza frequenti, p.es., nella regione del fiume Tongno e anche in Manciuria. A partire dal III sec. essi vengono anche costruiti lontano dai corsi d'acqua e per la loro erezione si usano pietre comuni. La costruzione era molto semplice: su un basamento di pietre venivano sistemate le bare in legno (esistono però anche sepolture singole) che poi erano a loro volta ricoperte di pietre disposte a strati fino a formare il tumulo o, piuttosto, una sorta di piramide. La mancanza di una via di accesso ai sarcofagi fa supporre che, nel caso di tombe per coppie di sposi, vigesse l'uso di seppellire insieme al defunto anche il coniuge, vivo o dopo averlo ucciso. Successivamente, la struttura di simili tumuli viene modificata e resa più complessa. Pur rimanendo in uso fino alla fine di Koguryŏ (668), questi m. f. (tra cui ricordiamo quello colossale del re Kwanggaet'o, morto nel 413) perdono nel corso del V sec. la loro supremazia a vantaggio dei tumuli a camera. Questi ultimi, copiati probabilmente da modelli cinesi, si sviluppano a partire dal IV secolo. La tomba del comandante Tongsu (morto nel 357), che sorge nei pressi di Anak, nella regione dello Hwanghae, presenta già gli elementi caratteristici che contrassegnano i tumuli a camera di Koguryŏ. La camera sepolcrale, costruita in pietra, è preceduta da un lungo corridoio affiancato a una certa altezza da due piccoli ambienti a destra e a sinistra. Fino alla fine del V sec. i tumuli a camera di Koguryŏ si attengono generalmente a questo canone costruttivo, come è possibile osservare, p.es., nelle tombe di Singyeri e Ansŏngdong, nella regione del P'yŏng'an meridionale. In una seconda fase, che abbraccia circa tutto il VI sec., la lunghezza del corridoio d'accesso alla camera si riduce notevolmente, fino a scomparire del tutto nelle tombe dell'ultima fase di Koguryŏ, nel corso del VII secolo. I tumuli di Koguryŏ sono famosi per le pitture murali che decorano molte delle loro camere mortuarie. La già citata tomba del comandante Tongsu ad Anak è con ogni probabilità la più antica tomba in Corea a possedere pitture parietali; l'uso di decorare l'interno delle tombe ad affresco fu quasi certamente introdotto a Koguryŏ dalla Cina, ma nel regno coreano trovò un terreno fertilissimo per attecchire e affermarsi con motivi e sfumature molto originali, tutte permeate dal gusto locale, a partire dall'insolito vigoroso tratto del pennello. Nella tomba di Tongsu il defunto è raffigurato in posizione frontale, in compagnia della propria sposa, e l'effigie dei defunti, spesso accompagnati dal loro seguito di cortigiani, è proprio uno dei temi caratteristici della prima fase delle pitture parietali delle tombe di Koguryŏ.
In una fase successiva, all'immagine dei defunti si accompagna anche una narrazione figurata dei principali eventi da essi trascorsi durante la vita terrena, mentre le volte della camera funeraria possono essere adornate di pitture di figure fantastiche, che possono avere un valore apotropaico o essere connesse in misura più o meno maggiore con il tema dell'immortalità. È il caso, p.es., di una tomba di Tokhŭng-ni, e della Tomba «dei due pilastri», entrambe a O di Pyongyang, datate rispettivamente al 408 e alla fine del V sec.; ma anche della Tomba «dei danzatori» (Muyong-ch'ong), dove il defunto è raffigurato nel mezzo di una festa da lui organizzata in onore di alcuni monaci buddhismi, e di quella «dei lottatori» (Kakchŏ-ch'ong), entrambe datate alla prima metà del V sec. e poste poco a Ν del fiume Yalu, nel territorio dell'odierna Repubblica Popolare Cinese.
Un altro motivo decorativo, anche questo d'origine cinese, che ebbe molta fortuna nella fase più tarda dei tumuli di Koguryŏ, è quello delle c.d. quattro divinità (sasin) connesse con i punti cardinali, ossia la tartaruga per il Nord, la fenice per il Sud, il drago per l'Est e la tigre per l'Ovest. A partire dal VI sec. le camere sepolcrali delle tombe di Koguryŏ riportano insistentemente questo motivo, quasi a voler con questo ricreare un microcosmo intorno al defunto. Le tombe c.d. grande e media di Kangsŏ (letteralmente: «a O del fiume» che, per inciso, è il Tae dong) vicino a Pyongyang, datate alla prima metà del VI sec., forniscono appunto splendidi esempi di pitture raffiguranti questi motivi, ma anche altri tumuli - come quello detto «delle quattro divinità» (Sasin-ch’ong), anch’esso oggi in territorio cinese e datato tra la fine del VI e l’inizio del VII sec. - presentano al loro interno decorazioni di valore assoluto.
Paekche. - I tumuli di Paekche possono essere sommariamente divisi in due gruppi: con nucleo in pietra e a semplice copertura di terra; inoltre, poiché il regno di Paekche cambiò la propria capitale per ben tre volte, la distribuzione dei m. f. sul territorio è molto ampia. I tumuli della zona di Seul, in buona parte del tipo con nucleo in pietra, appartengono a una fase piuttosto antica, così come in genere sono antichi quelli di tutta la parte settentrionale quando la capitale era Hansŏng. Resta ancora da stabilire se i tumuli della zona settentrionale di Paekche siano o meno stati costruiti dagli abitanti di Koguryŏ. Infatti l’influenza di quest’ultimo si nota anche nei tumuli di Paekche lontani dalla linea di confine tra i due stati, sia nella struttura sia nelle pitture parietali. I tumuli di Nŭngsanni, vicino a Puyŏ, sono a tale riguardo molto significativi. I tumuli della zona di Kongju, nella regione del Ch’ungch’ŏng meridionale, sono generalmente del tipo a camera, di forma quadrata o rettangolare, costruita in pietra o in mattoni. A quest’ultimo tipo appartiene il grandioso m. f. del re Muryŏng (501-523), scoperto casualmente nel 1971 a Songsalli: costruito sfruttando una collinetta naturale, scavata su un fianco a mo’ di galleria, presenta una camera funeraria in mattoni decorati con fiori di loto, preceduta da un breve corridoio; le pareti della camera presentano complessivamente cinque nicchie che dovevano alloggiare delle lucerne a olio; la camera, alta quasi 3 m e con una superficie di c.a 12 m2, conteneva in origine due sarcofagi in legno che due epigrafi indicavano come quelli del re e della regina. Il corredo funebre conteneva anche alcuni oggetti simbolici tra i quali un unicorno (?) in pietra rinvenuto a metà del corridoio e certamente posto lì a guardia dei defunti.
Nel regno di Paekche, così come a Silla, l’uso di pitture tombali è quasi inesistente, se paragonato alla grandiosità espressa in tal senso da Koguryŏ. Gli esempi forniti da un tumulo di Kongju e da Nŭngsanni, vicino a Puyŏ, sono praticamente gli unici di pitture parietali all’interno di tombe in questo regno, e c’è anche chi considera tali sepolcri l’ultima dimora di personaggi venuti da Koguryŏ. Le tombe di Kongju e Nŭngsanni sembrano poter risalire fino alla seconda metà del VI sec. e presentano, come motivo dominante delle loro pitture, le già citate quattro divinità connesse coi punti cardinali.
Silla. - Anche se i maggiori m. f. di Silla si trovano nella zona di Kyŏngju (capitale del regno fino alla sua capitolazione nel 935) tombe meno grandiose sono diffuse un po’ su tutto il territorio, compresa anche l’area un tempo occupata dal regno di Kaya (all’estremo Sud della penisola). I tumuli di Silla sono di tre tipi fondamentali: a camera di pietra e copertura in terra; a semplice sarcofago esterno in pietra e copertura in terra (sŏkkwakpun); a nucleo in pietra e sarcofago esterno in legno. Per i Coreani la differenza fra «sarcofago esterno» e «camera» sta solo nelle dimensioni, che nella seconda sono maggiori, consentendo a una persona di starvi in posizione eretta.
Le tombe a camera di pietra (spesso con un breve corridoio annesso) si trovano soprattutto nella zona del fiume Naktong (Samalli e Koadong a O, Yangsan a E). Le tombe a sarcofago esterno in pietra venivano costruite erigendo intorno alla bara bassi muri a secco e usando come copertura delle lastre più grandi. Il tutto veniva poi ricoperto con terra fino a formare un tumulo che era delimitato alla base da una fila continua di alte pietre. Queste sepolture sono diffuse su tutto il territorio di Silla, compresa la zona di Kyŏngju, dove rappresentano, probabilmente, il tipo di tumulo più antico. Le tombe a nucleo in pietra e sarcofago esterno in legno possono essere a sepoltura multipla (tombe di famiglia come la Tomba 109 di Sŏngnamdong), limitata a una coppia di sposi, oppure singole. Alcuni studiosi coreani ritengono che le tombe a sepoltura singola siano le più recenti, rappresentando così la tappa finale di un processo iniziato con le tombe di famiglia e proseguito poi con le tombe per marito e moglie.
Tra i m. f. di Silla degni di menzione, si ricorderà, p.es., la Tomba Reale 155, detta comunemente «del cavallo celeste», scoperta nel 1973: del tipo a nucleo in pietra e a sepoltura singola, è datata alla seconda metà del V sec.; il sarcofago esterno in legno (oggi scomparso) - che poggiava direttamente sul terreno e conteneva la bara e la cassa per il grandioso corredo funerario (entrambi in legno) - era ricoperto da un primo tumulo in pietre alto c.a 7,5 m, e il tutto era poi ricoperto di terra fino a un'altezza di quasi 13 m. Finimenti di cavallo (forse retaggio di antichi sacrifici equestri) rinvenuti presso la sommità del tumulo, vogliono forse simboleggiare il cavallo come mezzo per ascendere al cielo.
Due tumuli a Yŏngju e uno a Koryŏng, tutti tardi e fortemente danneggiati, presentano in pratica gli unici esempi di pitture tombali del regno di Silla. La tomba di Koryŏng, in particolare, rivela una struttura interna simile a quelle in uso a Koguryŏ, e per questo motivo è considerata un monumento funerario a uso di un personaggio venuto da tale regno. Alcuni fiori di loto sulla volta del corridoio d'ingresso sono tutto quanto rimane delle sue pitture.
Silla unificato. - Le tombe di Silla unificato (668-935 d.C.) hanno i loro esemplari più rappresentativi nelle tombe reali di Kyŏngju. Tipologicamente non differiscono molto dalle tombe di Silla antico, del quale invero continuano la tradizione tecnica costruttiva. Le tombe a camera di pietra sono però più diffuse e presenti anche nella zona della capitale. Le pietre che circondano i tumuli assumono talora dimensioni e criteri di messa in posa molto particolari come, p.es., nella tomba del re Sinmun (morto nel 691), che oltre alla recinzione solita presenta anche, a intervalli regolari, grandi pietre poste in senso verticale. In questo periodo si intensifica nuovamente l'influenza della Cina, come è possibile constatare dai corredi funerarî e, per l'influsso sempre maggiore del buddhismo, si affermano metodi di sepoltura completamente nuovi come l'incinerazione, praticamente sconosciuta in Corea nelle epoche precedenti.
L'uso di affrescare le pareti interne delle tombe a tumulo scomparve con l'unificazione della penisola sotto Silla.
Bibl.: W. Kim , Han'gug-ŭi kobun («Le tombe della Corea)», Seul 1974; K. Kim, Han'gug-ŭi pyŏkhwa kobun («Le tombe con pitture murali della Corea»), Seul 1982; I. Kang, Samguk sidae pun'gumyo yŏn'gu («Studio sulle tombe a tumulo del periodo dei Tre Regni»), Taegu 1984; Ch'oe Pyŏnghyŏn, Silla, Kaya-ŭi kogohak («L'archeologia di Kaya e Silla»), in Han'guk kogohakpo, XXI, 1988, pp. 119-137; M. Riotto, The Bronze Age in Korea: a Historical-Archaeological Outline, Kyoto 1989; H. Yi, Koguryŏ-ŭüi kobun («Le tombe di Koguryŏ»), in Han'guk saron, XIX, 1989, pp. 1-73; Ch'oe Mujang, Im Yŏnch'ŏl (ed.), Koguryŏ pyŏkhwa kobun («Le tombe con pitture murali di Koguryŏ»), Seul 1990; Paekche munhwa yŏn'guso (ed.), Paekche Muryŏng wangnŭng («La tomba del re Muryŏng di Paekche»), Kongju 1993.
(M. Riotto)
Giappone. - Le più antiche testimonianze di pratiche funerarie in Giappone emergono dai kaizuka, i cumuli di conchiglie svuotate del contenuto, evidenti residui alimentari, che contrassegnano gli insediamenti umani più densamente popolati fin dagli inizî del periodo Jōmon (10500-300 a.C.). Gli inumati erano disposti in posizione fetale (kussō) nello strato protettivo dei cumuli, come attestato nei siti di Nakatsu (prefettura di Okayama) e Arami (prefettura di Chiba); talora una pietra veniva posta sul petto e ai lati della testa, come appare nel sito di Kō (prefettura di Osaka). Intorno alla metà del periodo Jōmon sono attestate inumazioni di bambini in piccole giare sepolte all'interno delle abitazioni o nei vicini kaizuka. Il progresso nella tecnica di fabbricazione del vasellame permise, soprattutto in epoca Yayoi (III sec. a.C.-III sec. d.C.), di realizzare giare sempre più grandi (kamekan) che potevano anche contenere le ossa di adulti.
Il corredo funerario, già dalla fine del periodo Jōmon, si compone generalmente di orecchini, bracciali, perle, ciondoli, soprattutto magatama (v.), e anche di prodotti in lacca importati dal continente, mentre la presenza di coroplastica (dogū), con raffigurazioni femminili dalle accentuate caratteristiche materne, sembra attestare la presenza di rituali legati alla fecondità.
I più antichi esemplari di tomba megalitica dell'Estremo Oriente diffusi nel NE della Cina, nella penisola dello Shandong e in Corea, fin dalla fine del Neolitico, si riscontrano anche in Giappone nel Kyushu settentrionale, soprattutto a Karatsu (prefettura di Saga), ove persistono fino al periodo Yayoi. Trattasi del tipo di dolmen (shisekibo) meridionale, ovvero simile a quello diffusosi dal centro della penisola coreana verso S, composto da un'unica pietra massiccia sostenuta da molte pietre di minori dimensioni disposte sul terreno più o meno a cerchio e distinto dal dolmen settentrionale che consisteva di una cella con pareti formate da tre o quattro grandi blocchi litici. La sepoltura megalitica poteva ricoprire giare funerarie di piccole dimensioni o più raramente un feretro litico o ligneo, come si verifica soprattutto nell'area del Kinki, nei siti di Ama e Uriseidō (Osaka) e di Katsube (prefettura di Wakayama), mentre nel Kantō si riscontrano sepolture con diversi individui nella stessa fossa o addirittura nella stessa giara. Il corredo funebre delle sepolture più ricche, sotto il diretto influsso continentale, comprende armi simili a quelle riscontrate nei dolmen coreani e specchi di fabbricazione cinese. Le giare, all'interno delle quali appaiono tracce di ocra con cui veniva cosparsa la salma, erano conficcate nel terreno in posizione verticale o obliqua. Esse venivano saldate da uno strato d'argilla, se composte da due valve, o sormontate da un coperchio di legno o di pietra, da cui si può ipotizzare lo sviluppo della tomba a tumulo tondeggiante. Un tipo di sepoltura nota come hōkei shūkōbo, documentato entro un'ampia fascia territoriale dal Kyushu al Kantō, è costituito da un tumulo di appena 1 m d'altezza, lungo da 6 a 25 m, disposto su una base quadrangolare cinta da un fossato, sul fondo del quale erano interrati vasi panciuti (tsubo). Tali tombe, il cui corredo consisteva prevalentemente di armi, spade e punte di frecce, si diffondono a cominciare dal primo Yayoi fino all'inizio del periodo Kofun (III-VII sec. d.C.) e sembrano contrassegnare le sepolture di una classe provinciale ancora egemone prima dell'ascesa al potere dello stato Yamato. È con l'affermarsi della prima compagine statale che si sviluppa il kofun (v.), tipo di sepoltura a tumulo che caratterizza il periodo omonimo, in cui il m. f., espressione visiva di un consolidato potere politico, raggiunge, in funzione dell'evoluzione dell'apparato sepolcrale, un rilievo architettonico e artistico mai più eguagliato nella storia giapponese (v. giapponese, arte). Il kofun è originariamente una tomba a fossa preparata sulla superficie del terreno o su una base sopraelevata. La sepoltura, inizialmente ricoperta da una semplice stele, venne poi contrassegnata da un tumulo di dimensioni sempre più ampie, che nelle sue classiche espressioni monumentali risulta lastricato in ardesia e contornato, a cerchi digradanti, da haniwa (v.), cilindri cavi in terracotta sormontati da figurazioni varie che presero via via il sopravvento sulla base primitiva.
Il tumulo funerario, attestato in Giappone fin dall'inizio del periodo Yayoi in monumenti di modeste dimensioni a pianta quadrata (hōkei shūkōbo) e documentato a cominciare dal medio Yayoi in tutte le regioni tranne che nell'Hokkaido e nel Kyushu, soltanto verso la fine del periodo raggiunge proporzioni rilevanti. Queste sepolture, che ospitavano da uno a tre nuclei familiari ciascuna, potevano contenere da cinque a quindici individui adulti o bambini, entro sarcofagi lignei o di terracotta. Riuniti in gruppi da dieci a trenta in prossimità delle abitazioni, tali tumuli formavano vere e proprie aree cimiteriali, in cui sono presenti anche sepolture individuali in sarcofagi o in semplici fosse isolate. Il tumulo, quale segno distintivo di un certo grado sociale, testimonia già nel medio Yayoi l'esistenza di una stratificazione sociale. Mentre le aree cimiteriali collettive persistono fino alla fine del periodo, separate da esse, generalmente su alture, cominciano ad apparire sepolture di grandi dimensioni, i c.d. funkyūbo, ovvero tumuli posti su colline in posizione dominante e che taluni archeologi giapponesi considerano gli antecedenti del classico kofun. Un significativo esempio è il tumulo di Tatetsuki, a Kurashiki (prefettura di Okayama) che, per la qualità delle strutture e l'abbondanza del corredo funerario, si distingue nettamente dai tumuli a base quadrata del periodo precedente. Scavato dal 1976 al 1979, esso misura 43 m di diametro e 4-5 m di altezza, con due appendici, aggettanti di c.a 15 m a NE e SO, le cui tracce sembrano far presumere una pianta quadrata. Lungo i fianchi, su due file concentriche erano conficcate verticalmente pietre alte da ι a 2 m, che non solo dovevano fungere da recinto sacrale, ma contribuivano anche al consolidamento del tumulo stesso. La struttura sepolcrale consiste in una fossa lunga 9 m, larga 5,5 m e profonda 1,8 m, scavata al centro della sommità del tumulo. Una cella funeraria con pareti lignee, lunga 3,5 x 1,5 m, conteneva un sarcofago ligneo cosparso di ocra, lungo 2 m, ove fu rinvenuta, in corrispondenza del capo dell'inumato, una collana con pendenti magatama in giadeite e altri elementi, cilindrici o tondi, in diaspro e impasto vetroso, mentre alla destra era collocata una spada in ferro insieme a centinaia di granuli cilindrici e tondi simili ai precedenti. I due sarcofagi lignei, meno elegantemente rifiniti e privi di corredo funebre, collocati in un'altra sezione del tumulo, al di fuori della cella funeraria, si ritiene appartengano a individui correlati con il personaggio principale, probabilmente il capo di una comunità. Sulla cella funeraria ricoperta di terra era stata creata una piattaforma litica formata da un fitto strato di sassi, entro cui sono emerse minuscole figure femminili e magatama in terracotta, nonché una certa quantità di vasellame con relativi piedistalli e basi d'appoggio, interpretati come corredo offerto in una cerimonia funebre successiva all'inumazione. Al tardo periodo Yayoi risalgono altri tumuli di struttura quadrangolare o tondeggiante, con diametro che varia da 20 a 40 m, quali quelli di Chūsenji (prefettura di Shimane), di Totsuki n. 2 (prefettura di Okayama), di Saijō n. 52 (prefettura di Hyōgo), di Goudo (prefettura di Chiba), di Nishi Katsurami (prefettura di Tottori) e di Suginami n. 4 (prefettura di Toyama). Fra questi merita particolare attenzione la struttura del tumulo di Goudo, a sezione circolare di c.a 30 m di diametro, circondato da un fossato interrotto nella sezione a S da un camminamento soprelevato che conduce lungo le pendici e che sembra avere la stessa funzione dell'appendice quadrangolare del tumulo di Tatetsuki. I nessi tra i tumuli del tardo periodo Yayoi e il classico mausoleo imperiale o nobiliare del periodo kofun sono evidenziati principalmente da alcuni elementi comuni in entrambi i casi: a) la dislocazione delle sepolture in luoghi isolati da altre aree cimiteriali; b) l'analogia tra le appendici quadrangolari o tondeggianti del tumulo principale Yayoi e la sezione romboidale del kofun a «toppa di serratura», ovvero un tumulo a pianta circolare sul retro (la vera e propria area sepolcrale) e a pianta quadrangolare anteriormente (originario spazio adibito a cerimonia); c) la lastricatura dei tumuli con file di pietre; d) la somiglianza del vasellame funerario dotato di basi d'appoggio con i successivi haniwa; l'analogia del resto del corredo funebre. Nonostante queste affinità si possono, però, rilevare divergenze che sottolineano ancora una certa discontinuità tra i due tipi di sepolture. Per quanto entrambi di aspetto monumentale, il classico kofun sopravanza di molto in volume il tumulo Yayoi. Anche le appendici del tumulo Yayoi, pur connesse con l'evoluzione formale del kofun a «toppa di serratura», avevano specifiche funzioni di vie di collegamento con la zona sacrale in occasione delle cerimonie funebri. Tali appendici risultano invece, nel classico kofun, del tutto assimilate al nucleo principale che eguagliano in volumetria. Inoltre, la nuova struttura sepolcrale, con bara lignea collocata entro una cella litica a fossa e l'orientamento del defunto con il capo rivolto a Ν nei primi kofun di tutta l'area del Kinai, fanno supporre l'introduzione di un rituale differenziato, come confermerebbe l'apparizione di nuovi motivi iconografici ricorrenti nel corredo funebre (in particolare le figure di divinità ferine incise entro cerchi bordati da minuscoli triangoli sugli specchi metallici di produzione cinese Wei). Inoltre, mentre le sepolture dei capi regionali del tardo Yayoi si presentano sotto svariate forme, il classico kofun a «toppa di serratura» conserva un'uniformità - dalle strutture architettoniche all'iconografia del corredo - tale che sembra testimoniare un nuovo consenso politico tra i capi delle regioni del Kinai e lo stato egemone dello Yamato, ove di regola si registrano i kofun di dimensioni maggiori. Nell'ambito della forma di kofun a «toppa di serratura», si è riscontrato, nel corso delle indagini archeologiche degli ultimi decenni, un numero crescente di sepolture con tumulo a pianta quadrata sul retro. Tali differenze in struttura e dimensioni indicano visibilmente varî gradi di una gerarchia sociale e politica della nuova compagine statale. Nella fase finale del periodo Kofun si assiste a una notevole proliferazione del tumulo funerario classico che, esteso a una fascia sempre più vasta della popolazione, riduce notevolmente le proprie dimensioni. Dall'inizio del VII sec. si verificano notevoli cambiamenti nella forma dei kofun·. accanto alle forme più ricorrenti, di sezione circolare (enfun), quadrata (hōfun) e a «toppa di serratura» (zenpō kōen) subentrano, verso la fine del periodo, tumuli forniti sul davanti e sul retro di appendici (baichō) a pianta quadrangolare, con funzione di deposito dell'ingente corredo funerario. Anche la struttura interna aveva subito nei secoli notevoli evoluzioni: alla primitiva cella funeraria, realizzata con apertura verticale (tateana) praticata dalla sommità del tumulo era stata sostituita, intorno al V sec., su influsso coreano, una più ampia camera sepolcrale dotata di corridoio laterale (yokoana) litico, edificato su base piatta consolidata (ishibutai), che permetteva l'accesso dal fianco del tumulo. Mentre con la cella-corridoio si allarga ulteriormente lo spazio sepolcrale, che può ospitare più componenti di uno stesso gruppo familiare, anche i sarcofagi assumono forme più elaborate, come p.es. quella di abitazione con tetto. La scoperta, nel 1972, del tumulo di Takamatsuzuka, databile tra la fine del VII e l'inizio del VIII sec., è stata una fondamentale occasione per studiare il periodo finale delle grandi sepolture e le relazioni con la cultura del continente: le raffigurazioni parietali della cella funeraria restano finora gli unici esemplari noti in Giappone che presentano chiare analogie stilistiche con la pittura cinese dei Tang e con quella rupestre della Corea settentrionale. Fra le ricerche archeologiche condotte, successivamente a Takamatsuzuka, sui tumuli del VII sec. ricordiamo quella della tomba di Ishinokarato e di Nakaoyama (prefettura di Nara), entrambi costruzioni geometriche a gradoni che sorgevano su base in terra battuta, rispettivamente a pianta quadrata e ottagonale, il che rappresenta una trasformazione del sistema del kofun a «toppa di serratura» in forme differenziate che, secondo studi recenti, sarebbero sintomatiche di una nuova concezione del potere supremo. Mentre le tombe «a toppa di serratura» erano dal III al VI sec. formalmente unificate e si differenziavano soltanto per entità volumetrica da quelle dell'imperatore - che quindi si configurava come un primus inter pares - dal VII sec., con il consolidarsi del potere del clan dei Soga, strettamente unito alla casa imperiale, la pianta classica del kofun venne sostituita, per le sepolture imperiali, con la pianta quadrata. È successivamente, nella seconda metà del secolo - con il tramonto del potere dei Soga e il consolidarsi di un'autorità pienamente centralizzata - le tombe imperiali si distaccarono ulteriormente dal resto delle grandi sepolture assumendo la pianta ottagonale. L'ultimo dei tumuli imperiali dalla classica forma a «toppa di serratura», quello dell'imperatore Bidatsu, situato nell'area di Osaka, risale al 585 e tale modello si conserva fino all'VIII sec. soltanto nelle regioni a È dello Yamato, il Kantō e il Tōhoku, ove la classe dominante locale tende a mantenere la grandiosità del classico kofun monumentale. Anche il corredo funebre mostra una particolare sontuosità e le figurine ornamentali degli haniwa raggiungono qui il massimo livello artistico. Evidenti connotazioni regionali presentano i c.d. tumuli ornati (sōshoku kofun) del Kyushu, dotati di sculture in pietra vulcanica che sostituiscono talora i consueti haniwa, mentre le pareti della cella sepolcrale del corridoio e del sarcofago sono generalmente decorate con motivi geometrici e animalistici incisi e dipinti.
Le pratiche di incinerazione legate al buddhismo, ormai religione nazionale, che sanciva dottrinalmente un'esigenza di autorità connessa anche a motivazioni di ordine economico, diedero il via al declino dei kofun e di ogni altra forma rilevante di m. f. nella storia antica del Giappone. Ciò corrisponde all'affermarsi, tra il V e l'VIII sec., di un nuovo tipo di sepoltura «a tunnel», noto come yokoana, sviluppatosi contemporaneamente all'omonima cella-corridoio a pareti litiche del kofun. Le tombe yokoana, atte a ospitare sepolture multiple e generalmente raggruppate in aree sepolcrali, divennero il tipo di sepoltura più consueto per la maggior parte della popolazione, dal momento che si preferiva ormai destinare le risorse economiche alla costruzione dei grandi templi buddhistici anziché ai mausolei. Due sono le tipologie della sepoltura yokoana; quella a corridoio, scavato direttamente lungo i fianchi di un'altura, e quella ipogea a «L», diffusa soprattutto nel Kyushu meridionale. All'interno delle sepolture più antiche si riscontrano piattaforme o varî tipi di sarcofagi, mentre in quelle più tarde semplici urne cinerarie in terracotta o in ceramica di Sue. La tipologia del corredo funebre, che comprende specchi metallici, armi, armature, elementi di bardature e pendenti, non si discosta molto da quella dei kofun più antichi. Le sepolture «a tunnel» più tarde, note come yagura, e diffuse soprattutto nell'area di Kamakura dopo il X sec., contengono, insieme alle urne cinerarie, immagini buddistiche di Jizo (Kṣitigarbha) o piccoli stūpa litici a cinque cerchi (gorintō), pervenuti in Giappone al seguito del buddhismo esoterico introdotto dal monaco Ennin nel IX secolo. Sorge così una nuova forma di tumulo che, pur riprendendo in proporzioni molto ridotte le strutture del tumulo funerario, aveva la sola funzione rituale di preservare i sacri testi buddhistici, il c.d. tumulo dei sūtra (kyōzuka), perpetuatosi in Giappone per quasi un millennio, fino alle soglie dell'età contemporanea.
Bibl.: J. E. Kidder, Il Giappone prima del Buddhismo, Milano 1960; Kumamoto Kenritsu Bijutsukan (Museo Prefetturale di Kumamoto), Soshoku kofun shitsu («Celle funerarie di kofun ornati»), Kumamoto 1976; V. Elisseef, Giappone, Ginevra 1976; Nara National Cultural Properties Research Institute, Guide to the Asuka Historical Museum, Nara 1978; Kodansha Encyclopedia of Japan, Tokyo 1983, IV, pp. 244-245, s.v. Kofun; VI, p. 119, s.v. Ornamented Tombs; p. 235, s.v. Prehistoric Burials; K. Tsuboi, Recent Archaeological Discoveries in Japan, Tokyo 1987.
(G. Poncini)