MOROZZO DELLA ROCCA, Carlo Lodovico
– Nacque a Torino il 5 agosto 1743 da Giuseppe Francesco, terzo marchese di Rocca dei Baldi, quarto conte di Morozzo, e da Ludovica Cristina Lucrezia Balbo Bertone, figlia di Giulio Cesare, signore di Revigliasco e Sambuy.
I Morozzo della Rocca, marchesi di Rocca dei Baldi e di Bianzè, appartenevano alla nobiltà colta di Mondovì. Al Piemonte avevano dato senatori, giudici, ministri, ambasciatori e alla Chiesa eminenti prelati. Il padre di Morozzo, laureato in legge e distinto letterato, dal 1739 al 1756 fu magistrato della Riforma dell’Università di Torino e sindaco della città dal 1747 al 1748. Sposò nel 1741, in seconde nozze, la Balbo Bertone e dal matrimonio nacquero undici figli.
Il padre di Morozzo, che proteggeva scrittori e scienziati (fu lui a convincere Carlo Emanuele III a nominare nel 1748 Giovanni Battista Beccaria alla cattedra di fisica), iscrisse il figlio sedicenne alla scuola d’artiglieria. Il giovane ebbe come maestro anche Giuseppe Luigi Lagrange che, allora, insegnava la meccanica. Dopo quattro anni entrò nel reggimento Guardie e vi militò fino al 1786. In quell’anno si crearono nuovi reggimenti provinciali e Morozzo fu destinato come ufficiale superiore a quello di Susa. Nel 1793 ebbe il comando del reggimento di Torino, nel 1796 fu nominato brigadiere dei Reali Eserciti, nel 1798 ispettore generale di tutta la fanteria provinciale e nel 1800 entrò a far parte del Consiglio supremo di governo.
Tornò agli interessi scientifici che aveva coltivato fin da giovanissimo e non aveva trascurato durante la vita militare. Ancora adolescente, insieme ad Angelo Carena, si era cimentato nella costruzione di strumenti ottici. Da militare, quando poteva, incontrava spesso gli amici fisici, in primo luogo Giovanni Cigna. Furono Cigna e Giuseppe Angelo Saluzzo a introdurlo nella Società reale, nata nel 1760 dalla Società privata che avevano fondato con Lagrange e che più tardi, nel 1783, sarebbe diventata l’Accademia delle scienze. Morozzo ne fu uno dei membri più attivi. Nel 1769 il Governo gli affidò una consulenza importante sulle proprietà tintorie della garanza e, nel 1781, del guado, candidato alla sostituzione dell’indaco. Fece parte della Deputazione per le tinture e, nel 1788, divenne presidente perpetuo dell’Accademia, organo di consulenza tecnica del re. In quest’ambito rientrò il concorso di chimica tintoria bandito nel 1790 in cui ebbe un ruolo di primo piano.
Morì a Collegno il 12 luglio 1804.
Di Morozzo si conoscono 35 lavori a stampa e alcuni inediti. Parte di questi sono di argomento naturalistico e trattano di zoologia, mineralogia, paleontologia e geofisica, qualcuno di zootecnia, astronomia, fisica, più della metà riguardano la chimica.
Iniziò occupandosi del colore dei fiori e di altri vegetali (1770-73), compiendo numerosi esperimenti al buio e alla luce e passando poi a studiare l’effetto del gas solforoso (SO2): vide che tutti i fiori azzurri o violacei scolorivano, mentre resistevano i fiori gialli e quelli color porpora. Notò che facendoli seccare in atmosfera di questo gas molti mantenevano inalterata la tinta vivace che possedevano al momento in cui erano stati recisi; constatò altresì che i fiori rossi impallidivano per l’azione del gas solforoso ma, esposti all’aria, riprendevano il colore primitivo, con maggior intensità presso l’estremità dei petali. Fece altre curiose osservazioni sul color nero delle foglie esposte al gas di palude (metano) e studiò anche l’azione del fuoco sui coloranti dei fiori. Convinto che resistessero alla combustione e, supponendo di ritrovarli nelle ceneri, le fece fondere con opportuni additivi per ottenere vetri colorati. Oltre alle ceneri vegetali, studiò anche quelle animali, per verificare se mantenessero il colore del materiale d’origine (1786-87). Prese in esame il sangue, le lane, penne variamente colorate, i coralli, la cocciniglia e altro, concludendo che anche i colori animali resistevano al fuoco, conclusione errata poiché responsabile del colore è il ferro, che aveva infatti trovato in tutti i tipi di cenere animale e vegetale. L’estensione delle ricerche lo portò a ipotizzare che la varietà dei colori dipendesse dai diversi composti del ferro.
Si interessò anche alla rugiada e ne analizzò i gas disciolti (1784-85). In un curioso esperimento, la filtrò e l’espose al sole per diversi giorni, riscontrando che diventava verdognola, mentre in superficie galleggiava una melma dello stesso colore, dalla quale si sprigionava un’aria (cioè un gas) che faceva ardere vivacemente una candela, non reagiva con l’acqua di calce e non conteneva aria infiammabile. Allora non era noto che la respirazione delle alghe consuma anidride carbonica e sviluppa ossigeno. Fece altri esperimenti sull’aria deflogisticata (ossigeno) e sulla respirazione delle piante. Studi minori di carattere naturalistico riguardarono l’aurora boreale straordinaria osservata a Torino nel 1780, il cigno selvatico catturato in Piemonte nel 1788, i pappagalli e altri uccelli.
Tra le memorie di carattere chimico vanno ricordati alcuni lavori sull’influenza esercitata dal carbone sui gas disciolti nell’acqua e sull’assorbimento di vari gas da parte del carbone incandescente (1794). Un’altra, tradotta in più lingue, approdata anche alla Royal Society londinese e tuttora citata dalla letteratura specializzata, è la Relation d’une violente détonation arrivée à Turin le 14 décembre 1785 dans un magasin de farine (Mémoires de l’Académie royale des sciences de Turin, 1786-87, pp. 478-488), in cui spiegava la causa dell’esplosione provocata da un garzone di fornaio accendendo una lampada in un magazzino dove aveva rimescolato con una pala la farina per trasferirla al forno attraverso una tramoggia. Morozzo, pur postulando che l’esplosione fosse stata causata da un gas sviluppato dalla farina, non mancò di riconoscere per primo il ruolo della nube di polvere nella sua propagazione. Insieme a Domenico Lino Morichini (1773-1836) pubblicò poi un altro lavoro di carattere pionieristico sulla composizione del tessuto dentale di un elefante fossile (Memorie di matematica e di fisica della Società italiana delle scienze, X [1803], parte I, pp. 166-170). Da citare anche l’esperienza compiuta nel 1803 sulla magnetizzazione degli aghi d’acciaio sottoposti all’azione della pila di Alessandro Volta.
Morozzo era socio di numerose accademie inclusa l’Accademia delle scienze di Bologna. I rapporti con i bolognesi sono testimoniati da due memorie. Nella prima (Expériences sur la fiole de Bologne, in Mémoires de l’Académie royale des sciences de Turin, 1786-87, pp. 449-464) riferì di esperimenti condotti sulle cosiddette fiale (o ampolle) di Bologna, piccoli recipienti di vetro dal comportamento inusuale perché fragili all’interno ma molto resistenti all’esterno. L’altra (De fosfori bolognesi ne’ differenti fluidi aeriformi, in Memorie di matematica e di fisica della Società italiana delle scienze, III [1786], pp. 420-438), riguardò i preparati fosforescenti ottenuti calcinando su carbone la polvere di baritina (minerale delle colline bolognesi) impastata con bianco d’uovo: secondo la teoria del flogisto, l’emissione luminosa del fosforo di Bologna era il risultato della combustione dello zolfo contenuto nel minerale, ma Morozzo non si sbilanciò nell’interpretazione dei risultati. Secondo James R. Partington egli fu, dopo Giovanni Antonio Giobert, uno dei primi ad aderire alla nouvelle chimie di Lavoisier. Altri storici lo includono fra i più riluttanti. La memoria sui fosfori prova che era indeciso.
Opere: la maggior parte degli articoli scientifici di Morozzo fu pubblicata in: Mémoires de l’Académie royale des sciences de Turin, Miscellanea philosophico-mathematica Societatis privatae Taurinensis, Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle scienze, Observations sur la physique, sur l’histoire naturelle, et sur les arts (dal 1794 Journal de physique, de chimie et d’histoire naturelle et des arts). La Relation d’une violente détonation…è stata ristampata a cura di N. Piccinini, Torino 1996.
Fonti e Bibl.: P. Balbo, C.L. M., in Biografia medica piemontese, II, Torino 1824, pp. 398-412; F. Selmi, Compendio storico della chimica, in Enciclopedia di chimica scientifica e industriale ossia Dizionario generale di chimica, XI, Torino 1878, pp. 685-687; G. Provenzal, Profili bio-bibliografici di chimici italiani, sec. XV-sec. XIX, Roma 1938, pp. 77-82; G.B. Di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Bologna 1965, p. 181 (anastatica, Pisa 1886-90); J.R. Partington, A history of chemistry, III, Mansfield Centre (Connecticut), 1970, p. 492; F. Abbri, “De utilitate chemiae in oeconomia reipublicae”. La rivoluzione chimica nel Piemonte dell’antico regime, in Studi storici, XXX (1989), pp. 401-433; L. Dolza, Utilitas o utilitarismo? Il ruolo sociale della scienza nell’Accademia delle scienze di Torino, in Il ruolo sociale della scienza (1789-1830), a cura di F. Abbri - M. Segala, «Biblioteca di Nuncius», XL, Firenze 2000, pp. 29-31; M. Taddia, Un chimico in giardino, in Sapere, LXXI (2005), pp. 34-38.