MOROZZO DELLA ROCCA, Robaldo
– Discendente di una nobile e antica casata originaria del Cuneese ma da secoli trapiantata a Torino, qui nacque il 16 maggio 1904, primogenito di Roberto, ufficiale di carriera, e di Maria Castagneri.
Si trasferì giovanissimo con la famiglia a Genova, dove frequentò il liceo classico Colombo. Si diplomò all’Accademia Ligustica di belle arti (1922) e completò il biennio fisico-matematico presso l’università (1923).Terminati gli studi affrescò, su invito del padre, le pareti della sala da pranzo nella dimora di famiglia in Rocca de’ Baldi con un ciclo decorativo dalle atmosfere novecentiste, mentre l’interesse per le discipline scientifiche sarebbe confluito, a distanza di decenni, in una coppia di sapienti pubblicazioni: La unità del moto (Casale Monferrato 1940) e Memorie intorno alla ipotesi di unità del moto (Genova 1952). Disponeva quindi di una solida e articolata cultura, quando, alla metà degli anni Venti, giunse a Roma per iscriversi alla Regia Scuola superiore di architettura, la struttura didattica istituita nel 1919 e preposta alla formazione di quell’architetto integrale, «sintesi di scienziato e umanista […] che è insieme artista, tecnico e persona colta» (G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, Roma 1916, p. 12).
A Roma fece propria la lezione disciplinare di Arnaldo Foschini, incentrata su una ricerca progettuale di impostazione classica, e derivò dal magistero didattico di Vincenzo Fasolo – del quale, ancora studente, fu assistente presso la cattedra di Storia e stili dell’architettura (1927-29) – quella propensione per le eversioni compositive di ascendenza barocca che costituirono una costante all’interno del suo percorso creativo. Già nel periodo formativo espresse chiaramente i segni di una personale poetica, all’interno della quale saldi organismi architettonici venivano articolati in configurazioni auliche e scenografiche, memori dell’eloquenza propria delle fabbriche del mondo tardo-antico.
Nel 1925 partecipò, con Carlo Domenico Rossi, al concorso bandito dall’Istituto case popolari per il quartiere dell’artigianato di Roma, che sarebbe dovuto sorgere nei pressi di porta S. Paolo, e ottenne il secondo premio con un progetto declinato sulla linea di quel barocchetto promosso dall’Associazione artistica tra i cultori di architettura, che da anni si prodigava nello studio e nella salvaguardia dell’edilizia minore dei rioni.
Nel 1927 beneficiò del premio speciale di incoraggiamento alla selezione per il Pensionato artistico nazionale; la sua proposta per una biblioteca in un giardino per una città di 100.000 abitanti rispecchiava una «concezione quasi neoclassica, a composizione di masse, con larghe superfici piene in cui il parsimonioso elemento decorativo acquista speciale risalto» (Piccinato, 1927-28, pp. 278 s.). Con il progetto per la biblioteca nazionale sul colle Oppio, redatto sotto la guida di Foschini per la tesi di laurea (1929), ottenne il premio Palanti e il premio Manfredi per il più meritevole dei laureati.
Il lavoro venne recensito sulle pagine di Architettura e arti decorative in questi termini: «L’edificio ha pianta di concezione fondamentalmente classica: l’insieme volumetrico, particolarmente complesso ed articolato, è stato tuttavia chiuso in uno schema robustamente unitario: l’architettura, basata pure su sensibilità classiche, è tuttavia sentita con originale sintetismo moderno» (1930-31, pp. 65 s.).
Conseguita nel 1929 l’abilitazione professionale, intraprese la carriera presso la soprintendenza ai monumenti di Genova; in qualità di architetto straordinario, portò a termine una serie di restauri, seguendo l’impalcatura teorica e la metodologia operativa fissate da Gustavo Giovannoni. Nella chiesa superiore della Commenda di S. Giovanni di Prè (1931) perseguì il recupero dell’unità figurativa del monumento attraverso la rimozione di aggiunte evidentemente prive di carattere estetico, mentre nella chiesa di S. Gerolamo degli Incurabili dell’ospedale dei Cronici (1932), travalicando vieti criteri stilistici, optò per il ripristino degli elementi storicamente determinati, seppur modesti ed eccentrici.
A cavallo degli anni Trenta, nel momento dell’esordio professionale, aderì al razionalismo; iscrittosi al MIAR (Movimento italiano per l’architettura razionale), s’inserì con determinazione nell’infuocata polemica intorno all’architettura razionale pubblicando un paio di contributi critici, attraverso i quali prendeva le distanze dal concetto di internazionalismo che Walter Gropius andava propagandando e che avrebbe ricevuto la propria consacrazione alla mostra TheInternational Style, allestita nel 1932 da Henry-Russell Hitchcock e Philip Johnson al MoMA (Museum of modern art) di NewYork.
«La classifica di razionale è cioè essenzialmente relativa ed è precipuamente funzione del tempo e del luogo. […] Un’architettura, per essere razionale, non può essere internazionale, fintantoché il mondo sia popolato da genti diverse e non può essere di ogni tempo finché esista un’oscillazione nell’evolvere del mondo. […] Se oggi in Italia la parola “razionale” è usata a costituire un programma di architettura, rimane implicito e sottinteso che è architettura razionale italiana 1931» (Architettura razionale. Valore di una parola, in Il Giornale di Genova, 22 maggio 1931). «Occorre rivendicare alle chiare architetture del nostro popolo, al nostro stile “Mediterraneo” i principi estetici di serenità che daranno all’Italia una foggia sua e al mondo una forma nuova» (La polemica sull’architettura, in Il lavoro fascista, 2 giugno 1931).
Nel 1931, partecipò alla II Esposizione di architettura razionale, presentando la «italianissima e raffinata» (Dorfles, 1931, p. 12) villa sulla scogliera d’Alassio (1929, demolita), magistralmente radicata nel luogo e perfettamente aderente ai nuovi stili di vita. Sulla stessa linea di ricerca impostò il progetto della palazzina presso il lido di Ostia (1930, demolita), esposto l’anno precedente alla IV Triennale di Monza, dove – secondo quell’ottica che accomunava alcuni tra i più abili e aggiornati progettisti, come Plinio Marconi, Giuseppe Capponi, Giuseppe Pagano e Guarniero Daniel, Luigi Cosenza e Bernard Rudofsky – riuscì a coniugare architetture minime mediterranee e architettura moderna.
In qualità di membro della commissione comunale per la redazione del piano regolatore del centro di Genova, nel 1932 avanzò una proposta per la riconfigurazione di piazza Dante, affrontando il tema della forma urbis in termini decisamente innovativi.
Suggestionato dalle icastiche immagini veicolate del cinema d’avanguardia (Metropolis di Fritz Lang) e facendo riferimento alle sperimentazioni americane, come l’Empire State Building, e alle prefigurazioni progettuali redatte dagli ingegneri utopisti attivi a Genova (Arturo Pettorelli, Stefano Cattaneo Adorno e, soprattutto, Renzo Picasso), concepì la piazza come un vero e proprio snodo urbano segnato ai vertici dall’emergenza di quattro grattacieli che, a partire da ariosi loggiati di 10 metri di altezza, andavano incrementando le proprie masse con progressivi scarti altimetrici. Proprio ai loggiati della tradizione insediativa ligure continuò a dedicare particolare attenzione, tanto da arrivare, al termine della carriera didattica, a prospettare la «riapertura delle Logge antiche; non tutte, né tutte allo stesso modo» (Le logge, 1977, p. 4).
Nel 1933 prese parte alla V Esposizione Triennale di Milano (con Giuseppe Crosa di Vergagni, Luigi Carlo Daneri, Alfredo Fineschi, Renato Haupt, Giacomo Carlo Nicoli, Luigi Vietti, Giulio Zappa) realizzando il padiglione ligure: il prototipo di una abitazione tipica a struttura d’acciaio volto a offrire una valida risposta alla crescente richiesta di alloggi.
Lasciato l’impiego pubblico, dopo una breve parentesi passata presso la soprintendenza ai monumenti e gallerie di Siena (1933), nel corso degli anni Trenta intensificò l’attività progettuale; affrontò impegni di ben altra portata rispetto ai temi dimessi degli esordi e prese parte a un consistente numero di concorsi nazionali. Operando lungo una linea di ricerca d’impronta novecentista, mise a punto potenti impianti architettonici, magistralmente inseriti all’interno del contesto urbano. Attraverso il sapiente dominio della grande dimensione conformò salde e nette volumetrie, superandone l’accentuato e vigoroso sintetismo con la calibrata articolazione degli elementi e il ricorso a sofisticate soluzioni compositive.
Nel 1934 ottenne il primo importante riconoscimento nazionale vincendo (con Bruno Ferrati) il concorso per la sistemazione della piazza alla Foce di Genova, con un progetto ispirato «alla serenità ritmica delle piazze italiane classiche» (Paniconi, 1934, p. 673). E nel 1938 raggiunse la piena affermazione professionale con la vittoria al concorso per la ricostruzione del teatro Regio di Torino presentando, in collaborazione con Aldo Morbelli, una soluzione architettonica di grande robustezza figurativa, dove l’emergenza dei volumi tecnici era inglobata all’interno di un piano attico sviluppato, lungo tutta la linea di gronda, in un’interrotta teoria di vasti archi.
Nel 1938 realizzò, a Genova, il palazzo in via delle Mura di S. Chiara, un blocco polito in perfetto equilibrio tra i profondi imbotti delle logge e gli incisivi ricorsi orizzontali dei marcapiani, mentre soltanto nel 1952 sarebbe riuscito a completare il singolare edificio in via Amba Alagi, un saldo organismo architettonico dalla facciata sinusoidale, sapientemente incastonato tra il palazzo del Principe e la chiesa di S. Benedetto.
Coinvolto da Foschini all’interno del programma INA-casa, nel secondo dopoguerra si occupò di edilizia popolare per il capoluogo ligure. Nel 1953 portò a termine, con Gino Levi Montalcini, il quartiere di Mura degli Angeli, seguendo le indicazioni fornite dall’Istituto (coincidenti con l’atteggiamento progettuale già promosso, a suo tempo, dall’Associazione artistica tra i cultori); creò un ambiente raccolto e ricco di scorci prospettici, alternando basse stecche di case a schiera, piegate a gomito, con le puntuali emergenze delle torri residenziali. Nel 1957 eresse sulla collina di Coronata la grande casa INA, una svettante piastra verticale di alloggi destinati ad accogliere i dipendenti dell’Ansaldo; per allontanare i fumi delle fabbriche sottostanti, scavò in profondità la facciata a valle fino a creare profonde logge rivolte verso il mare. Nel 1966, insieme a un nutrito gruppo di progettisti liguri, completò la costruzione dell’edificio «C» presso l’innovativo quartiere di edilizia popolare di Forte Quezzi. Travalicando qualsiasi tipologia consolidata e, facendo riferimento al «Plan Obus» di Le Corbusier e al complesso residenziale del Pedregulho costruito da Affonso Eduardo Reidy a Rio de Janeiro, portò a termine un’architettura a scala paesaggistica: una serpentina di abitazioni popolari snodata lungo le linee di livello collinare.
A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, travalicò gli etimi del moderno e mise a punto una maniera progettuale estremamente sofisticata e personale, continuando ad affermare, proprio nel periodo di massima affermazione dell’Inter-national Style, le ragioni della forma. Nel 1956 realizzò sulle pendici di Albaro, il quartiere residenziale della borghesia genovese, una palazzina concepita come cristallizzazione delle rovine della precedente villa Ollandini, distrutta dai bombardamenti alleati: squarciò la rigida volumetria rivestita da listelli di pietra di Finale in scorza, protendendo verso l’orizzonte le agili solette dei solai – abilmente slittate secondo un graduale e progressivo scarto planimetrico – e facendovi scorrere sopra, in posizione arretrata, sinuose pareti vetrate.
Nel progetto redatto per il concorso del teatro all’aperto di Pescara (1958) coniugò la memoria classica dell’impianto teatrale con una soluzione strutturale di chiara matrice futurista; per evitare giunti di dilatazione e predisporre le necessarie interruzioni degli spalti, frammentò la cavea in spicchi autonomi.
Con l’ultima versione redatta per la ricostruzione del teatro Regio di Torino (1962), ottava variante di una vicenda trentennale, mise a punto una straordinaria architettura parlante, prefigurando una colossale corona ad accogliere gli invasi della sala e del palcoscenico, «brillante di luce nelle sere di spettacolo» (Il teatro Regio, 1966). Il triste epilogo del Regio con il conferimento dell’incarico a Carlo Mollino decretò il declino dell’architetto.
Parallelamente all’attività professionale, intraprese un’articolata carriera universitaria: dal 1930 al 1932 insegnò scenografia alla Scuola superiore di architettura di Torino; nel 1955 ottenne il corso di disegno presso l’Università di Genova e nel 1962 quello di storia dell’arte e storia e stili dell’architettura (corsi che mantenne fino al pensionamento, avvenuto nella seconda metà degli anni Settanta).
Fu socio INU (Istituto nazionale di urbanistica) dal 1927 al 1973; insignito del titolo di accademico di merito nella classe di architettura dell’Accademia Ligustica di belle arti di Genova (1949); membro del Consiglio nazionale degli architetti dal 1952 al 1964. Fu nominato cavaliere del Sovrano Ordine di Malta (1952) e cavaliere ufficiale al merito della Repubblica (1954). Nel 1965 ricevette il premio regionale INARCH (Istituto nazionale di architettura) per la Liguria.
Morì a Genova, ormai cieco, l’11 giugno 1993.
Altre opere e progetti: 1929: Santo Domingo, concorso per il faro alla memoria di Cristoforo Colombo (con Luigi Vietti); 1932: Genova, concorso per il piano regolatore della zona orientale (con Luigi Carlo Daneri, Luigi Ferrari, Aldo Viale, Luigi Vietti, Giulio Zappa). 1933: Firenze, concorso per la stazione di S. Maria Novella (con Riccardo Haupt). 1934: Rapallo, villa sul mare; Roma, concorso per le vicequesture del quartiere Appio. 1935: Genova, ricostruzione de Il Paradisetto, concorso per il villaggio dei pescatori, prescelto. 1936: Genova, restauro del palazzo del Principe, concorso per la sede della Cassa di risparmio (con Luigi Carlo Daneri), I premio ex aequo. 1938: Genova, centralina elettrica del porto, concorso per la sede dell’Unione sindacati dell’industria (con Vittorio Giannini); Verona, concorso per il teatro Nuovo (con Aldo Morbelli), I premio. 1940: Genova, concorso per il quartiere operaio Ansaldo a Fegino (con Aldo Morbelli), I premio ex aequo. 1947: Roma, concorso per il completamento della stazione Termini (con Carlo Domenico Rossi), III premio ex aequo. 1948: Beirut, concorso per il palazzo di Giustizia. 1949: Genova, concorso per la ricostruzione del teatro Carlo Felice. 1950: Genova, ricostruzione del palazzo Balduino. 1962: Genova, progetto di un quartiere di abitazione a Sestri Ponente. 1964: Genova, edificio del centro direzionale di Piccapietra. 1966: Albenga, restauro interno della cattedrale di S. Michele. 1967: Genova, lavori all’interno della chiesa del Sacro Cuore e di S. Giacomo di Carignano.
Tra gli scritti: Architettura delle biblioteche moderne, in Architettura e arti decorative, VIII (1928-29), 2, pp. 529-551; Particolari ed attrezzatura delle biblioteche moderne, ibid., IX (1929-30), 2, pp. 337-360; La conservazione dell’architettura antica, in L’Architetto, 1962, nn. 7-8, pp. 30-37; Villa Cataldi a Genova, in Architettura. Cronache e storia, 1962, n. 77, pp. 774-779; Le cappelle patrizie della chiesa di S. Carlo in via Balbi a Genova, Genova 1965; Una questione tecnica. La spaziatura degli scalini, Genova 1966; Il teatro Regio. Ultima versione, Genova 1966; Modulazione sonora e visiva, Genova 1966; Le logge medioevali di Genova. Studi per la riapertura ed il restauro, Genova 1977.
Fonti e Bibl.: L. Piccinato, Il Pensionato artistico 1927, inArchitettura e arti decorative, VII (1927-28), 1, pp. 271-283; Lavori di laurea nella Scuola superiore di architettura in Roma, ibid., X (1930-31), 1, pp. 61-89; G. Dorfles, La II mostra di architettura razionale italiana, in Le arti plastiche, VIII (1931), p. 12; Ma. Pa. (M. Paniconi), Concorso per la sistemazione della piazza Foce a Genova, in Architettura, XIII (1934), pp. 672-678; P. Cevini, Genova anni ’30. Da Labò a Daneri, Genova 1989, passim; Architetto a Genova: 60 anni di professione (intervista a cura di M. Gerbaz - P. Bandini - F. Postani), in AL. Architetti Liguria, 1990, nn. 9-10, pp. 10-19; Architetture in Liguria dagli anni Venti agli anni Cinquanta, Milano 2004, passim; G. Duranti, R. M. d. R., Roma 2005; Catal. Bolaffi dell’architettura italiana, Torino 1966, pp. 402 s.; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, 1969, IV, p. 140.