Morte
La fine della vita
La morte è al contempo un evento biologico e un evento sociale. Da un punto di vista biologico è un fatto naturale e inevitabile, tuttavia il dolore e le sofferenze che comporta hanno da sempre spinto gli esseri umani alla ricerca del senso della morte. La domanda relativa al perché si muore ha rivestito e riveste grande importanza per tutte le società e per tutti gli esseri umani
Tutti gli organismi, compreso il corpo umano, vanno incontro a processi di decadimento (malattie, invecchiamento) che li portano inesorabilmente alla morte. La morte è, in questo senso, un fatto inevitabile e naturale che permette il riprodursi della vita: si pensi a un seme che deve disgregarsi per dare vita a una nuova pianta.
In un organismo è necessario che gli organi più importanti, chiamati appunto organi ‘vitali’, mantengano un’efficienza sufficiente a garantire i processi di sopravvivenza. Ogni incidente, o malattia grave, che renda impossibile anche una di queste funzioni, provoca la morte. Non c’è sopravvivenza senza un cuore che distribuisca il sangue agli altri organi, senza che gli organi della respirazione (polmoni e branchie) riforniscano il sangue di ossigeno, o che l’apparato digerente (stomaco e digestione) assorba le sostanze nutritizie. Per la vita è anche necessario che le sostanze dannose presenti nel sangue e nelle cellule siano trasformate in sostanze innocue nel fegato ed espulse dal rene, e che il sistema immunitario ci difenda dai microrganismi e dalle sostanze estranee. Infine il cervello deve essere capace di regolare la funzione di questi organi, soprattutto del cuore e dei polmoni.
A volte per verificare se un organismo complesso, come quello umano, ha cessato di vivere, è necessario l’accertamento – con strumenti che registrano le onde elettriche generate dalle funzioni nervose – della morte cerebrale, che avviene quando scompaiono tutte le funzioni psichiche di cui è capace il cervello. Esistono situazioni di morte apparente, come il cosiddetto coma profondo, che non è irreversibile e in cui il cervello mantiene funzioni anche molto ridotte. I neurologi sono in grado di individuare comunque queste situazioni e di distinguerle da quelle in cui si ha la morte cerebrale.
Molti organi, importanti per una vita completa e serena, non sono necessari per mantenerci in vita: come gambe e braccia, occhi, un rene su due, molti metri di intestino, milza, un polmone su due. La medicina oggi si ripropone di sostituire cellule e tessuti danneggiati grazie ai tessuti nuovi prodotti dalle cellule staminali ed è comunque in grado di effettuare trapianti di organi interi da donatori viventi, o da corpi ormai di fatto privi di cervello funzionante, quindi morti, i cui singoli organi sono tenuti in efficienza con macchine che continuano a nutrirli con sangue ossigenato.
Nella maggior parte dei paesi ricchi, compresa l’Italia, la vita media si è notevolmente allungata rispetto al passato: oggi si muore in età molto più avanzata, in media quasi a 80 anni, grazie a un miglioramento delle condizioni di vita e ai progressi della medicina.
Ma la morte prima o poi arriva e allora ci chiediamo perché sia biologicamente necessaria. Il motivo è che molecole, cellule, tessuti e organi sono sottoposti a un processo di invecchiamento, come il resto di tutta la materia che ci circonda. La morte delle singole cellule viene addirittura programmata mediante un processo chiamato apoptosi – una sorta cioè di ‘suicidio’ delle cellule – anche durante la crescita dell’embrione. La morte cellulare programmata è un modo ‘dolce’ di accompagnare al suo termine la vita della cellula e dà all’organismo la possibilità di rimuovere, senza danni per i tessuti vicini, una cellula quando diventa nociva, per esempio se il suo DNA è stato danneggiato seriamente, o se quella cellula rappresenta uno stadio superato in un processo di sviluppo. La vita quindi convive sempre, fin dai suoi inizi, con la sua compagna fedele, la morte.
Anche se molti animali sono capaci di riconoscere un organismo morto, soltanto il cervello dei Primati (l’uomo e le scimmie antropomorfe) ha la percezione della morte come fenomeno biologico. Forse soltanto la mente umana ha la conoscenza della morte come evento inevitabile.
Gli esseri umani, tuttavia, non si limitano a prendere atto della morte biologica: essi hanno da sempre cercato il senso della morte (un po’ come la protagonista della leggenda africana riportata più avanti). La morte infatti comporta sofferenza, dolore, smarrimento, disperazione, perdita di significato dell’esistenza.
Particolarmente tragiche sono quelle che gli storici chiamano le cattive morti, cioè le morti che sopraggiungono in giovane età o per cause violente (incidenti, omicidi, suicidi). Gli esseri umani non si sono arresi a questi eventi ma hanno da sempre cercato di dominare la morte (per esempio, allungando la vita attraverso i saperi e le pratiche mediche), o almeno di limitare i suoi effetti distruttivi.
Le credenze nella sopravvivenza dell’anima, le pratiche del lutto, il culto dei morti e degli antenati, le rappresentazioni dell’aldilà sono altrettanti modi di rispondere al ‘perché la morte’ e si ritrovano, in forme diverse, in tutte le culture umane.
Nella società contemporanea si discute molto di problemi legati alla morte e al morire. Alcuni studiosi hanno osservato, per esempio, che le società occidentali tendono a isolare i morenti (in case di cura, negli ospedali), privandoli così del contatto e della consolazione che verrebbe loro, in questa fase finale della vita, dalla presenza di parenti e amici. Molti sperano che in futuro si torni a morire tra le pareti domestiche, circondati dall’affetto dei propri cari.
Un altro problema molto controverso è fino a che punto devono spingersi le tecniche mediche nel cercare di tenere in vita corpi destinati a una morte imminente. È giusto prolungare a ogni costo la vita di chi soffre (il cosiddetto accanimento terapeutico) oppure è preferibile limitarsi a dare sollievo al dolore e consolazione al morente come sostengono i difensori delle cure palliative?
Anche il destino del corpo dopo la morte è oggetto di crescente attenzione. Se, qualche decennio fa, in Italia quasi tutti sceglievano di essere sepolti, oggi una percentuale significativa preferisce la cremazione (il corpo ridotto in cenere poco dopo la morte). Una recente legge dello Stato italiano rende possibile anche la dispersione delle ceneri in natura. La scelta del destino finale delle proprie spoglie mortali è uno dei modi di dare un senso alla morte, esprimendo per esempio le proprie credenze nella futura risurrezione (come fanno i cristiani), nella reincarnazione (come nel mondo induista), nella dissoluzione (per gli atei o gli agnostici).
Una leggenda degli Ila, popolazione africana dello Zambia, narra di una vecchia che nella sua vita fu colpita dalla morte di molti suoi cari. Quando era bambina morirono i suoi genitori; poi perse figli e nipoti.
La vecchia decise allora di andare alla ricerca di Leza (la più importante divinità degli Ila) per chiederle il senso di tutto ciò, il senso della morte.
Per arrivare fino a Leza la vecchia, in un primo tempo, cercò di costruire un edificio che si innalzasse fino al cielo: tuttavia le travi poste alla base marcirono e la costruzione crollò.
La vecchia decise allora di camminare fino a raggiungere il punto in cui la Terra e il cielo si toccano, formando l’orizzonte: là avrebbe trovato Leza. Camminò a lungo attraversando villaggi e territori diversi ma non riuscì mai a realizzare il suo desiderio: «Morì di crepacuore – narra la leggenda riportata dall’antropologo Paul Radin – e da allora ad adesso nessuno ha mai risolto il suo problema!».