LAMBERTI, Mosca
A dispetto della imperitura notorietà regalatagli da Dante (che lo colloca tra i dannati, come seminatore di discordia: Inferno, XXVIII, 103-111) e dallo stuolo dei suoi commentatori, le notizie storiche certe e documentabili intorno al L. sono assai scarne e frammentarie. Le vicende della sua vita risultano piuttosto nebulose, a cominciare da quelle relative alla nascita. Figlio di quel Lamberto eletto nel 1193 fra i sette consiglieri del podestà Gherardo Caponsacchi, il L. nacque a Firenze in data ignota, ragionevolmente collocabile tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta del XII secolo. Nell'ottobre 1202 risulta infatti, insieme con il padre, fra gli inviati che si recarono a ricevere il giuramento di fedeltà prestato al Comune di Firenze dagli abitanti di Montepulciano; appena un anno dopo risulta testimone in un atto con il quale i Senesi cedettero a Firenze dei territori: è quindi presumibile che all'inizio del XIII secolo egli avesse già circa vent'anni.
La famiglia del L. era certamente una delle più antiche di Firenze, anche volendo prescindere dalle fantasiose genealogie proposte dal Malispini (che la fa risalire a un mitico Arpidone, discendente di un re troiano Serpidone) e dal Villani (che la vuole invece originata da un barone Lamberto, venuto in Italia al seguito di Ottone I di Sassonia). Il guelfo Malispini spingeva la sua ammirazione per i ghibellini Lamberti fino a raccontare che, in considerazione della loro antica nobiltà e delle prodezze e imprese di cui erano stati protagonisti, fu loro concesso (non è chiaro da chi, forse si tratta di una sorta di privilegio imperiale) di essere seppelliti a cavallo di destrieri di metallo, probabilmente di bronzo e a grandezza naturale. Ipotesi meno leggendarie li vedono invece insediarsi stabilmente in città negli anni della prima espansione del Comune fiorentino nel contado, in alcuni luoghi del quale (per esempio, Calenzano e Travalle, in Val di Marina, nelle immediate adiacenze nordoccidentali di Firenze) possedevano terre e castelli ed esercitavano giurisdizione signorile, anche se non è chiaro se queste giurisdizioni fossero il portato di antica nobiltà o, invece, di più recenti acquisti. Una volta inurbati, i Lamberti elessero la residenza nel sestiere di S. Pancrazio, nei pressi del mercato vecchio, acquistandovi case, palazzi e quelle munite torri che valsero loro l'accusa di superbia mossa da Dante per bocca di Cacciaguida (Paradiso, XVI, 110).
Uno degli episodi più significativi della vita del L. è l'assassinio di Buondelmonte Buondelmonti (10 apr. 1216, giorno di Pasqua), evento al quale si fa convenzionalmente risalire la nascita e la contrapposizione delle due fazioni cittadine che presero poi il nome di guelfa e ghibellina.
All'inizio del 1216, durante un banchetto, uno scherzo aveva generato un aspro diverbio tra il cavaliere Buondelmonte Buondelmonti e Oddo Arrighi dei Fifanti, conclusosi con il ferimento del secondo da parte del primo. In un convegno fra vari consorti delle due principali parti in causa si decise di ristabilire la pace con un matrimonio che imparentasse le due famiglie all'origine della discordia: Buondelmonte avrebbe dovuto sposare la nipote di Oddo, figlia di Lambertuccio Pandolfini degli Amidei. Furono stipulati tutti gli accordi e fissata la data della stipula del contratto di matrimonio; nel frattempo Gualdrada moglie di Forese Donati, ansiosa di imparentarsi con il nobile Buondelmonti, gli aveva presentato la bella figlia, della quale il cavaliere si era invaghito al punto da disertare l'appuntamento con i parenti della promessa sposa per recarsi invece al palazzo dei Donati nel sestiere di Porta S. Piero per giurare fedeltà alla figlia di Forese. L'offesa era grande, aggravata dal fatto che già il primo matrimonio avrebbe dovuto costituire la riparazione di un'offesa precedente; agli occhi dei Fifanti e dei loro consorti Buondelmonte era così doppiamente colpevole ed essi si riunirono per stabilire la risposta da dare: fu deciso di tendergli un agguato e tra gli organizzatori ed esecutori materiali del medesimo c'erano gli esponenti più in vista di quelle che sarebbero state per alcuni decenni le famiglie ghibelline più influenti: Schiatta degli Uberti, Lambertuccio degli Amidei, Oderigo Fifanti, uno dei conti di Gangalandi e, appunto, il Lamberti.
Le cronache, Villani in testa, concordano nell'attribuire al L. una parte di primo piano nell'agguato e nella sua organizzazione, sostenendo che fu proprio lui il fautore della necessità di uccidere il Buondelmonti, mentre altri avrebbero considerato sufficiente limitarsi alle percosse e alla conseguente umiliazione.
L'episodio non ebbe conseguenze giudiziarie in quanto Buondelmonte, mancando alla sua promessa di matrimonio, aveva pur sempre arrecato grave onta alla famiglia di Lambertuccio Pandolfini degli Amidei. Tuttavia l'accaduto scavò un solco definitivo e incolmabile tra le fazioni cittadine, consolidando la loro ostilità: eventuali osmosi tra l'una e l'altra diventarono sempre più difficili, se non a prezzo di venire considerate veri e propri tradimenti. Tuttavia, specialmente nel periodo immediatamente successivo, il Comune fiorentino si sforzò di mostrarsi unito almeno nei rapporti con l'esterno e i protagonisti dell'omicidio non furono allontanati dalla vita pubblica. Nel secondo decennio del XIII secolo, nel quadro del progressivo indebolimento dei poteri signorili nel contado e dei primi scontri con i maggiori comuni limitrofi, Firenze si trovò ad acquisire dai conti Guidi il castello di Montemurlo, in precedenza promesso ai Pistoiesi: era un'operazione delicata, nella quale occorreva non allarmare troppo i vicini, ma anche dimostrare con chiarezza che il Comune fiorentino non temeva di mettersi in contrasto con alcuno pur di perseguire i propri interessi e la propria sicurezza. È quindi significativo che nel 1219 i due procuratori designati alla stipula dell'accordo con i conti Guidi per l'acquisizione di Montemurlo fossero il guelfo Aldobrandino Cavalcanti e uno dei capi ghibellini, appunto il Lamberti.
Negli anni immediatamente successivi, a dimostrazione della sua notorietà anche oltre i confini del territorio fiorentino, il L. fu chiamato a esercitare la funzione di podestà al di fuori della Toscana. Nel 1220 era podestà di Viterbo, carica confermatagli l'anno successivo. In questa veste si guadagnò qualche benemerenza per le notevoli capacità nel comporre, almeno provvisoriamente, le discordie private e politiche che agitavano le più potenti famiglie viterbesi.
Anche in questa circostanza il L. mostrò notevole decisione, adottando nei confronti dei rivali il confino politico, una misura che solo molti anni dopo sarebbe stata usata con frequenza anche in altre città, tra cui Firenze. Dispose infatti che sei tra i principali capi delle fazioni viterbesi fossero inviati in esilio a Firenze. È probabile che il L., convinto partigiano dell'imperatore, si sia recato a Roma, ancora nel 1220, in occasione dell'incoronazione di Federico II. Peraltro egli sembra essere in questo periodo anche in buonissimi rapporti col papa Onorio III, che cita il L. in un breve del 18 febbr. 1221.
Nel terzo decennio del XIII secolo il L. sembra essersi dedicato alla carriera di ufficiale forestiero; non è dato sapere se questa scelta possa essere stata motivata anche da momenti poco felici per lui nell'ambito della vita politica fiorentina. In ogni caso, le sue esperienze in quel periodo testimoniano della considerazione della quale doveva godere anche al di fuori delle mura fiorentine. Dopo le esperienze viterbesi lo troviamo podestà di Todi nel 1227, anche se di questa attività non sono rimaste tracce significative.
Al termine di questo incarico il L. ritornò a Firenze, riprendendo parte attiva nella vita politica cittadina, all'interno della quale si cercava di accantonare le latenti discordie almeno durante i periodi di tensione in politica estera. In queste fasi le sue riconosciute capacità militari fecero sì che egli venisse spesso designato fra i capi dell'oste fiorentina; ciò avvenne anche nel 1230, nel corso di una delle endemiche crisi tra Firenze e Siena.
Durante questa campagna militare si verificò un evento curioso, ma non infrequente in tempi nei quali si attribuiva spesso più importanza al consiglio e alle arti di astrologi e maghi che alle abilità tattiche e strategiche dei capi militari. Un individuo al soldo dei Senesi fu arrestato mentre tentava di introdursi nel campo fiorentino per cospargervi una imprecisata polvere magica che avrebbe dovuto in qualche modo propiziare la vittoria senese; la risposta da lui data quando gli venne chiesto il motivo della sua venuta all'accampamento fu che doveva portare del vino al Lamberti.
Nel decennio successivo troviamo ancora il L. attivo nella vita politica fiorentina, probabilmente con periodi di alti e bassi, a seconda del temporaneo prevalere dell'una o dell'altra parte politica, o comunque in stretta dipendenza dagli equilibri che di volta in volta venivano raggiunti. Nel 1234 lo troviamo in veste di console dei cavalieri (consul militum), insieme con un altro membro dell'élite magnatizia e con un banchiere; si trattava di una carica nella quale la caratterizzazione e le funzioni militari prevalevano abbastanza nettamente su quelle politiche, a ulteriore riprova del fatto che comunque non gli mancava la considerazione dei concittadini per il coraggio in battaglia e le doti di comandante.
Il L. tornò da protagonista sulla scena politica con l'inizio del quinto decennio del Duecento, quando i contrasti tra Federico II e il Papato si esprimevano spesso in vere e proprie guerre e provocavano inoltre nuove insorgenze nelle città tradizionalmente ostili all'Impero, in primo luogo quelle lombarde. Molte altre città si mantennero invece sempre fedeli a Federico e a suo figlio Enzo, inviando le loro truppe a sostegno di quelle imperiali; tra queste, Reggio nell'Emilia, la cui cavalleria combatté al fianco di Enzo proprio contro le città della Lombardia. In quel tempo Lambertesco Lamberti (detto anche Lamberteschi) era podestà di Reggio e godeva di pieni poteri proprio a causa della guerra. Durante la sua podesteria egli si guadagnò la stima e la riconoscenza dei cittadini reggiani, tanto che a sostituirlo fu poi un suo consorte, ovvero proprio il Lamberti.
Alla fine del 1242 il L. fu chiamato a ricoprire la carica di podestà di Reggio, e in questa città morì, mentre era ancora nell'esercizio delle sue funzioni, il 27 genn. 1243.
L'apprezzamento dei Reggiani per la sua figura e il suo pur breve operato è indirettamente testimoniato dal fatto che essi gli dettero adeguata sepoltura presso il locale convento dei domenicani.
Fonti e Bibl.: Mon. Germ. Hist., Epist. saec. XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, a cura di G.H. Pertz - C. Rodenberg, I, Berolini 1883, p. 115; A. Millioli, Liber de temporibus, a cura di O. Holder Egger, ibid., Scriptores, XXXI, Hannoverae 1903, p. 115; R. Malispini, Storia fiorentina, Firenze 1816, pp. 27, 80, 84; Documenti dell'antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze 1895, pp. 39, 194; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1990, pp. 267-269; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, III, Berlin 1901, nn. 11, 1169; IV, ibid. 1908, pp. 29 s., 558, 560; E. Fiumi, Fioritura e decadenza dell'economia fiorentina, in Arch. stor. italiano, CXV (1957), p. 404; A. D'Addario, Lamberti, in Enc. dantesca, III, Roma 1971, pp. 557 s.; U. Bosco, L., M. de', ibid., pp. 558-560; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1977, I, pp. 888, 949, 1018; II, pp. 63, 69, 81, 93, 108 s., 241 s., 294, 381 s.; III, p. 227; V, p. 296; F. Cardini, A proposito delle sepolture dei Lamberti, in Id., Storie fiorentine, Firenze 1994, pp. 287-295; I podestà nell'Italia comunale, I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec. - metà XIV sec.), a cura di J.-C. Maire Vigueur, Roma 2000, I, p. 636 n. 72.