MOTORE (XXIII, p. 954; App. II, 11, p. 358)
Motori a combustione interna. - Motori alternativi. - Il progredire di questo tipo di m. termico è attualmente piuttosto lento, come capita di tutte le macchine che hanno ormai raggiunto un grado elevato di maturità che ne stabilizza le concezioni di funzionamento e di costruzione. D'altra parte l'avvento della turbina a gas ne ha ridotto alquanto i settori di applicazione, eliminandolo progressivamente dalla grande navigazione aerea ed esponendolo ad una seria concorrenza nel campo delle centrali termoelettriche di media potenza (cioè dell'ordine dei 10 MW), dove esso è in grado di sostenere quella delle turbine a vapore.
Non per questo è diminuita l'importanza e la diffusione del m. alternativo a combustione interna nell'una o nell'altra delle sue numerose specie, a 2 e a 4 tempi, a carburazione (o, come oggi si preferisce dire, "ad accensione a scintilla") o diesel. Infatti le sue doti finora ineguagliate di leggerezza, facilità di condotta e adattamento a fornire potenze comunque piccole, congiunte con altre, fra cui l'assoluta indipendenza non solo da reti di distribuzione, ma anche dalla presenza di acqua (potendosi provvedere alla sua refrigerazione mediante l'aria atmosferica) gli riservano l'esclusività di alcune applicazioni.
Non solo è incontrastato il suo dominio nel campo, che il progresso moderno dilata ogni giorno più, della trazione stradale e della piccola navigazione (motonautica, barche da pesca), ma esso si estende anche in quello ferroviario, nonostante la concorrenza della trazione elettrica, e mantiene un costante equilibrio con la turbina a vapore nelle navi di media potenza. Pure esclusive o quasi sono altre sue applicazioni in qualche modo minori, come nei gruppi portatili per compressori d'aria, generatori elettrici, pompe, e negli ausiliarî di bordo.
Negli ultimi quindici anni, pur non potendosi registrare invenzioni di carattere fondamentale, si sono evolute certe forme strutturali sia per ragioni tecnologiche, sia per migliorare le prestazioni, e si sono accentuate certe tendenze già prima manifestatesi.
Sull'architettura generale del m. pluricilindrico ricordiamo che esigenze di ingombro di vario genere, ad es. quelle di sistemare il motore posteriormente in certe automobili, o sotto il pavimento in automotrici ferroviarie e autobus e anche in qualche autovettura, hanno determinato il diffondersi di costruzioni a cilindri non verticali. Troviamo così parecchi motori a cilindri più o meno inclinati (fig. 1 a), fino ad arrivare ai tipi esattamente orizzontali, sia a una sola linea (m. coricato, fig. 1 b), sia a due linee opposte (motore a sogliola, figg. 1 c, d). In questo secondo caso per intervallare regolarmente i cicli dei varî cilindri e così ridurre l'irregolarità periodica della coppia motrice, nei motori a 4 tempi si adottano cilindri veramente opposti, articolando quindi a ogni manovella due bielle, se i cilindri sono 8 0 12 (fig. 1 c), mentre si scalano lungo l'asse di rotazione i cilindri di una banda rispetto a quelli dell'altra, sistemando tante manovelle quanti sono i cilindri, se il loro numero è 4 o 6 (fig. 1 d).
Per venire incontro alle esigenze di impieghi speciali (per talune centrali elettriche e per mezzi navali eccezionali) di m. diesel leggeri, veloci e di grande potenza e perciò necessariamente con molti cilindri, parecchi costruttori hanno fatto ricorso a disposizioni complesse, come quelle di m. a 2 tempi stellari ad 11 cilindri con albero verticale (Nordberg, 1700 CV a 400 giri al minuto), o di un 18 cilindri, pure a 2 tempi, a stantuffi opposti, cosiddetto "a delta" per avere gli assi dei cilindri disposti secondo i lati di un triangolo equilatero, e 3 alberi di manovelle sui vertici del triangolo (Napier, fig. 2), o dei m. ad X (es. Fiat, 32 cilindri su 4 file, 3600 CV a 1600 giri).
A quanto già è stato detto a proposito dell'equilibramento delle forze d'inerzia che si manifestano nei m. pluricilindrici, aggiungiamo l'osservazione che si sono moltiplicati i casi in cui a questo equilibramento, altrimenti impossibile, si provvede con contrappesi applicati su alberi ausiliarî. Gli schemi della fig. 3 ne mostrano due esempî. Il primo (fig. 3 a) è relativo ad un quattro cilindri in linea a 4 tempi, le cui forze d'inerzia alterne hanno come risultante una forza del secondo ordine agente nel piano trasversale medio dell'albero; per equilibrarla, due contrappesi, situati nello stesso piano, ruotano in verso contrario l'uno dell'altro con velocità doppia dell'albero a gomiti, mantenendosi simmetrici rispetto al piano longitudinale medio del motore. Nel secondo esempio (fig. 3 b), le forze alterne di un quadricilindro a 2 tempi hanno come risultante una coppia del primo ordine; essa viene equilibrata con due coppie di contrappesi rotanti con velocità eguale, l'uno, opposta, l'altro, alla velocità delle manovelle.
Passando alla evoluzione funzionale, è degna anzitutto di nota, nella classe dei m. da automobili con accensione a scintilla, la corsa verso rapporti di compressione sempre più alti. Oggi anche per vetture utilitarie e da turismo si adottano rapporti intorno a 7,5 in Europa e 8,5 in America, mentre nei m. più spinti si oltrepassa il rapporto 10.
La maggior potenza conseguibile a parità di cilindrata, passando ad es. dal rapporto 6 ad 8 o, rispettivamente, a 10, se fossero realizzabili interamente i benefici che per il rendimento limite (cioè del ciclo senza perdite) si possono calcolare con la formula (1) (v. motore: m. a combustione interna, XXIII, p. 956 c), sarebbe dell'11 o, rispettivamente, del 19% circa, e il risparmio di combustibile ammonterebbe al 10 o al 16%. Si riteneva un tempo che questi vantaggi sarebbero stati frustrati in pratica dalle maggiori resistenze passive dovute ai forti carichi sugli organi del manovellismo. I progressi nella costruzione dei sopporti e dei cilindri e nella loro lubrificazione hanno fatto sì che questi timori fossero sorpassati e che i benefici suddetti venissero praticamente acquisiti.
Rimangono invece gli ostacoli costituiti dal pericolo delle combustioni ed accensioni anormali e non controllate. Esse assumono varî aspetti: il più temuto fino a poco tempo fa era la "detonazione", e poiché essa è legata in primo luogo alla natura del combustibile, parallelamente alla corsa agli alti rapporti di compressione, da parte dei progettisti, si è avuta la "corsa agli ottani" (cioè agli alti numeri di ottano, N.O.) da parte dei produttori di benzine (v. carburanti, in questa App.).
Ma mentre l'uso di questi carburanti, congiunto a miglioramenti nel disegno di camere di combustione compatte, permetteva di evitare la detonazione, un altro pericolo si è profilato, quello delle accensioni cosiddette "a superficie", che producono il caratteristico "rombo" e possono condurre alla distruzione delle parti meno refrigerate, come valvole e stantuffi.
Si tratta di accensioni innescate dai depositi carboniosi derivanti sia da imperfetta combustione di miscele ricche, sia da proiezioni di lubrificante sulle parti più calde. I depositi, che si formano sul manicotto isolante che avvolge l'elettrodo centrale della candela, danno luogo piuttosto a mancate accensioni per le scariche superficiali fra elettrodo e corpo della candela, che impediscono lo scoccare della scintilla. I depositi sulle altre parti della camera di combustione costituiscono punti secondarî di accensione che fanno salire pressione e temperatura assai più rapidamente del normale e a valori notevolmente maggiori, donde vibrazioni delle parti meno rigide (rombo) e surriscaldamenti locali (bruciature di valvole e stantuffi).
I progressi motoristici nella prevenzione di questo fenomeno riguardano sia il disegno del m., per evitare la presenza di superfici insufficientemente refrigerate e per irrigidire le strutture, sia il lubrificante e il carburante. Per il lubrificante, in attesa di trovare additivi idonei, si ritengono preferibili i tipi di olî "multigrade", privi di componenti non volatili. Per il carburante, oltre a rivedere la scala di bontà dei varî idrocarburi (con un certo declassamento degli aromatici a vantaggio degli iso-paraffinici), si sono introdotti, non senza qualche riserva su possibili effetti secondarî, additivi organo-fosforici (es. tricresilfosfato).
Naturalmente, sotto il riguardo delle accensioni a superficie, i numeri di ottano R.M. ed M.M. (metodo motore, ingl. Motor Method) non sono significativi. Essi del resto non sono ritenuti sufficienti a caratterizzare il comportamento del m. nemmeno riguardo alla detonazione; non possono rispecchiare infatti tutte le condizioni di impiego, che variano non solo da motore a motore, ma anche da vettura a vettura. Si è tentato quindi di definire un numero di ottano "strada" (ingl. Road Octane Number), ma non si è ancora giunti a darne un metodo di determinazione normalizzato.
In definitiva si ritiene che nel prossimo futuro il m. leggero con accensione a scintilla verrà portato verso il rapporto 12, non molto inferiore dunque a quello attuale del diesel. Probabilmente però non oltre, perché a mano a mano che si riduce il volume dello spazio morto, sempre minore risulta la porzione che si riesce a raccoglierne intorno alla candela, dove la propagazione della fiamma è controllata, mentre il resto della miscela, schiacciata nel gioco, insopprimibile, che rimane al punto morto fra i fondi affacciati della testa e dello stantuffo, brucia lentamente e perde molto calore.
Un'altra tendenza delineatasi nel campo dei m. con accensione a scintilla per automobili è quella della sostituzione del classico sistema di carburazione a getti aspirati, cioè per mezzo di zampilli di carburante risucchiati dalla stessa aria in quel tronco di tubazione aspirante che costituisce il diffusore "venturi" del carburatore, con sistemi di iniezione sotto pressione.
L'iniezione può praticarsi all'interno o all'esterno del cilindro. L'iniezione esterna a sua volta dà luogo a due sistemi, secondo se avviene nel tronco comune a più di un cilindro (iniezione collettiva), oppure immediatamente a monte della valvola di ciascun cilindro (iniezione singola). Mentre nei m. per aeromobili di media e grande potenza, da oltre vent'anni sono impiegati soprattutto i primi due sistemi e precisamente, l'iniezione interna nei m. il cui compressore aspira pura aria, come lo sono specialmente quelli a cilindri disposti in una o più linee, e l'iniezione esterna collettiva a monte del compressore nei m. a cilindri radiali (a stella semplice o doppia), nel campo automobilistico la tecnica si è orientata verso l'iniezione esterna singola. Diciamo "orientata", perché la diffusione della carburazione a iniezione in questo campo, pur progredendo, è ancora piuttosto limitata.
I vantaggi dell'iniezione sono in massima quelli stessi dichiarati a proposito dei m. per aeromobili (v. appresso, p. 172). Si riassumono in un miglior riempimento dei cilindri, perché si possono impiegare tubazioni aspiranti ampie, senza pericoli di depositi liquidi, e prive di riscaldamento, senza pericolo di brinatura, e in un minor consumo specifico, grazie alla maggiore uniformità del rapporto aria carburante (dosatura) nei varî cilindri. Contro questi vantaggi sta la complicazione necessaria per assicurare, entro una larga gamma di potenze, quella conservazione automatica della dosatura, che è una preziosa prerogativa del carburante a getti aspirati. Essa discende, com'è noto, dall'eguaglianza di due cadute di pressione che si stabiliscono nel movimento dell'aria fra l'ambiente esterno e la sezione ristretta del "venturi" e l'altra in quello del carburante fra la vaschetta a livello costante e la medesima sezione del "venturi", in cui effluisce. Tale eguaglianza viene conservata anche nei sistemi a iniezione esterna; soltanto che nel percorso del carburante si sceglie, per eguagliarla a quella dell'aria, una caduta fra due punti differenti da quelli sopra ricordati, e il confronto con la caduta provocata dal moto dell'aria si realizza con un gioco di stantuffi o membrane e, se occorre, di leve.
Il sistema schematizzato nella fig. 4 (General Motors) comprende precisamente una leva ABC, su cui agisce in C la depressione esistente nel "venturi" 9, riportata per mezzo del tubicino 7 sulla membrana 1, e in A la pressione di efflusso del carburante spinto dalla pompa 5, riportata e regolata dallo stantuffo 2, che ottura più o meno, a questo ultimo scopo, la luce 3 di riflusso verso il serbatoio 6. L'equilibrio della leva ABC si stabilisce così per un rapporto costante tra la depressione in 9 e la sovrapressione in 4; il rapporto risulta dal quoziente delle aree degli elementi 2 e 1, moltiplicato per il quoziente dei bracci di leva AB e BC (nel caso in questione circa 200). La dosatura della miscela può essere facilmente variata spostando il fulcro B. Dal nodo 8 il carburante viene smistato verso l'iniettore (10) di ciascun cilindro (11).
Progressi sono stati compiuti negli ultimi decennî nel campo dei m. policarburanti. Viene dato questo nome ai m. che possono bruciare indifferentemente carburanti volatili o gasolî o miscele qualunque dei due. Per ragioni di semplificazione dei rifornimenti, il m. policarburante è stato sempre oggetto di richieste da parte degli enti militari; anche dal punto di vista degli usi civili, però, presenta interesse, specie per il consumo di petrolî grezzi e quindi contenenti frazioni di disparata volatilità, solo grossolanamente depurati, che, se non intervenissero questioni fiscali o del mercato dei prodotti petroliferi, sarebbe più economico bruciare al posto della benzina o del gasolio.
Sono note le difficoltà che si frappongono alla realizzazione di un tale m.: difettosa carburazione e detonazione se si alimenta a gasolio un m. ordinario ad accensione a scintilla; forte ritardo di accensione e quindi battimenti se si alimenta con benzina un diesel. Le vie percorse per risolvere il problema possono essere allora due: si può adattare allo scopo un m. a scintilla, ovviando al difetto di volatilità delle frazioni pesanti col ricorso alla iniezione interna ritardata fin quasi all'istante dell'accensione, ed ovviando al pericolo di detonazione diminuendo alquanto il rapporto di compressione. Viceversa, si può adattare un m. diesel cercando di ridurre il ritardo di accensione e i battimenti che ne conseguono, mediante un aumento del rapporto di compressione o l'uso di camere di combustione separate, con zone poco refrigerate e quindi funzionanti da "testa calda".
Una notevole ripresa della costruzione di m. policarburanti è attualmente in atto in tutti i Paesi. La tecnica odierna è orientata per la seconda delle vie sopraccennate. Così in alcuni m. il rapporto di compressione è stato portato fino a 21 (il passaggio da 14 a 20 riduce il ritardo di circa 5%); in altri, come quello rappresentato dalla fig. 5 (M.W.M.), il condotto di comunicazione fra la precamera e il cilindro è quasi completamente isolato dalle pareti e quindi mantenuto ad alta temperatura.
Si può anche correggere l'insufficiente numero di cetano, causato dalle frazioni leggere e aromatiche, con additivi promotori di accensione, quali gli esteri organici dell'acido nitrico. Questa pratica richiede però manipolazioni che non rispondono all'esigenza dell'intercambiabilità.
Nel campo dei grandi m. diesel marini, oltre a progressi nel disegno, rivolti in complesso a semplificare le forme degli organi, e nella lavorazione, come l'impiego di acciaio fuso per le testate del cilindro e dello stantuffo e per le staffe degli alberi a gomiti semicompositi, merita di essere ricordato l'interesse crescente che costruttori e armatori dedicano all'uso delle nafte scadenti, le stesse che si bruciano nelle grandi caldaie.
Si tratta generalmente di residui, che i processi moderni di distillazione rendono sempre peggiori. Hanno pesi specifici prossimi a quello dell'acqua, viscosità fino a 100 gradi Engler, a 50 °C, alto tenore di ceneri, di asfalto (fino al 10%) e di zolfo (fino al 5%), con presenza di quel pericoloso catalizzatore dell'ossidazione dello zolfo che è il vanadio. Il combustibile che arriva al m. non ha naturalmente tutte queste impurezze perché viene convenientemente trattato. Esso è anzitutto decantato a caldo (80 °C) in apposite casse, poi passato, ancora caldo, a due depuratori in serie del tipo centrifugo (analoghi ai noti de Laval), e infine immagazzinato nei serbatoi di servizio giornaliero. Prima dell'invio agli iniettori viene nuovamente riscaldato a circa 100 °C.
Il m. non subisce modifiche sostanziali. Si deve raffreddare più intensamente il corpo dell'iniettore e, viceversa, tener più calda la camicia-del cilindro, per evitare le corrosioni da acido solforico facilitate dall'eventuale raggiungimento del punto di rugiada. Si cura maggiormente la lubrificazione del cilindro, ricorrendo anche ad additivi, ad es. emulsionatori (5% col 2% di acqua).
Giova la costruzione, ormai generalizzata nei m. a semplice effetto, di un'incastellatura che tenga integralmente isolato il cilindro dalla camera del manovellismo e permetta così di asportare facilmente le morchie che colano dallo stantuffo.
Particolare rilievo va dato alla sempre più larga diffusione che ha la pratica della sovralimentazione dei cilindri dei m. diesel di media e grande potenza, sia a 4 sia a 2 tempi, allo scopo di aumentare la pressione media effettiva (si è arrivati fino a 15 kg/cm2 in m. di produzione corrente e assai più nei motori sperimentali). Si ottengono con questa pratica m. di peso e ingombro ridotti.
Il sistema di sovralimentazione preferito è quello con un gruppo composto di un turbocompressore centrifugo comandato da una turbina a gas di scarico, assiale o radiale centripeta. Ne sono equipaggiati fra gli altri quasi tutti ormai i m. a molti e relativamente piccoli cilindri delle automotrici ferroviarie e parecchi ausiliarî di bordo.
Due sono i metodi di alimentare la turbina: a pressione costante, raccogliendo gli scarichi di parecchi cilindri in un unico capace collettore, e ad impulsi. Questo secondo è il metodo più fruttuoso, perché tende a mettere a disposizione della turbina, anziché l'energia derivante da un salto di pressione tra monte (collettore di scarico) e valle (atmosfera) - energia potenziale trasformata in cinetica nel dístributore e, se la turbina funziona con un grado di reazione diverso da zero, anche nella girante - l'energia cinetica stessa con cui i gas combusti escono dal cilindro, subito dopo l'apertura della valvola di scarico.
Al limite, la turbina approfitterebbe di tutta e sola l'energia equivalente alla cosiddetta "area triangolare" del diagramma p, v (cioè compresa fra la linea atmosferica e il prolungamento della linea di espansione oltre il punto morto, fino alla linea predetta), e la pressione di espulsione dai cilindri resterebbe la stessa che si avrebbe a scarico libero. Si tratterebbe quindi di un vero ricupero. L'utilizzazione completa dell'area triangolare è impossibile per molte ragioni. Bisognerebbe che il tronchetto di scarico dalla sede della valvola in poi funzionasse da distributore della turbina e fosse profilato ad ugello "de Laval", poiché una parte notevole dell'efflusso avviene in condizioni ipercritiche. Ancora, la variabilità del rapporto tra la velocità periferica della ruota della turbina, che è costante, e la velocità del gas, che è variabile secondo l'evoluzione della pressione nell'interno del cilindro, nuoce in ogni caso al rendimento termodinamico della turbina. In realtà, dunque, il m. risente una certa contropressione allo scarico, ma minore che nel caso dell'alimentazione della turbina a pressione costante.
Per avvicinarsi al caso ideale occorre tener separati gli scarichi dei varî cilindri. Non è per questo necessario installare addirittura tante turbine quanti sono i cilindri; basta avviare gli scarichi a settori diversi di una stessa turbina. In pratica anzi si possono anche riunire le tubazioni di scarico di quei cilindri che hanno i cicli molto sfasati, sicché non si sovrappongono gli intervalli di maggiore attività, e si può ridurre così il numero dei settori. Nei m. a 2 linee di cilindri opposti, per evitare tubazioni molto lunghe in cui più facilmente si smorzerebbero gli impulsi, si installano due turbine, una per ciascuna linea.
Tutto ciò è più facile da realizzare nel funzionamento a 4 tempi che in quello a 2 tempi, ed infatti la sovralimentazione si è affermata per molti anni solo nel campo dei primi, compromettendo grazie alla maggior pressione media così ottenibile, la superiorità che il m. a 2 tempi vanta per la frequenza doppia dei cicli.
Negli ultimi anni però è proprio nel campo dei grandi m. diesel a 2 tempi che la sovralimentazione ha compiuto i progressi più decisivi. Ostacolano la sovralimentazione del 2 tempi le particolari condizioni in cui si effettua in essi il ricambio dei fluidi. La quasi contemporaneità delle due fasi, di entrata dell'aria e di uscita dei gas combusti, frustra infatti ogni tentativo di sovralimentazione che si limiti ad inviare al m., come nel 4 tempi, aria preventivamente compressa, perché la pressione nel cilindro al termine dell'operazione di lavaggio è prossima a quella che regna nel collettore di scarico.
Si era quindi pensato di protrarre assai più del solito, oltre la chiusura delle luci di scarico, la comunicazione fra collettore di lavaggio e cilindro, arrivando a una vera e propria post-alimentazione, mediante l'installazione di due diversi collettori: uno a bassa pressione che distribuisce l'aria alle luci di lavaggio, e uno ad alta pressione per l'aria di sovralimentazione. Ciò però, oltre ad avere efficacia limitata, perché l'immissione di aria durante la corsa di ritorno dello stantuffo verso la testa del cilindro è contrastata dal movimento stesso dello stantuffo, porta ancora la complicazione del comando delle valvole, che intercettano le luci di post-alimentazione fino al momento voluto, cioè fino al termine del lavaggio.
Il problema si può invece ritenere risolto grazie al ricorso ad un concetto diverso, quello di innalzare la pressione anche nel collettore di scarico. Ciò si ottiene ostruendone parzialmente la comunicazione con l'atmosfera mediante i distributori di una turbina, alla quale può essere affidato, come nel 4 tempi, il compito di comandare il turbocompressore di sovralimentazione.
Abbiamo detto "come nel 4 tempi"; le condizioni qui però sono alquanto più difficili. Prima di tutto perché la temperatura dei gas che arrivano alla turbina (temperatura, al valore assoluto della quale è proporzionale il lavoro disponibile) è notevolmente inferiore. Infatti vengono avviati alla turbina, mescolati insieme, non solo i gas combusti, che hanno la stessa temperatura del funzionamento a 4 tempi, ma anche l'aria fredda che si disperde durante il lavaggio e che all'incirca eguaglia la massa dei primi. D'altra parte, temperature non alte non sarebbero ammissibili, quando lo scarico avviene da luci scolpite nel cilindro, per il pericolo di incrostazioni dure in quella zona.
Più complessa poi che nel 4 tempi, è la questione di utilizzare gli impulsi: una sovrapressione allo scarico è di fatto necessario che sussista all'atto della chiusura delle luci di lavaggio. L'alimentazione della turbina si avvicina quindi piuttosto al tipo a pressione costante. Tutto questo può condurre ad un certo difetto della potenza sviluppata dalla turbina rispetto al fabbisogno del compressore. Vi si rimedia intanto risalendo alle cause originarie, e quindi migliorando il rendimento del lavaggio, mediante l'adozione del sistema unidirezionale, con luci di lavaggio scoperte dallo stantuffo e valvole di scarico in testa; poi migliorando, a parità di volume di lavaggio, il rendimento volumetrico (o di carica) mediante la refrigerazione dell'aria mandata dal compressore; infine, procurando con appropriato disegno delle tubazioni di raccordo tra cilindri e turbina, di sfruttare più che è possibile l'effetto di impulso.
In circostanze particolarmente favorevoli si è arrivati ad attribuire al gruppo il compito non solo della sovralimentazione, ma anche del lavaggio, sopprimendo l'ordinaria pompa d'aria a stantuffi, di cui sono muniti i motori non sovralimentati. Ciò esige naturalmente che il compressore riesca a dare all'aria quella eccedenza di pressione rispetto al valore della pressione esistente nel collettore di scarico, che è necessaria nei motori, sovralimentati o meno (circa il 15% nei motori lenti). Più frequentemente, però, la pompa d'aria viene conservata e ci si accontenta di sovralimentare il m. indirettamente, cioè attraverso la sua pompa, che così funziona in serie (più raramente in parallelo) col turbocompressore. Anche qui si può migliorare il rendimento volumetrico del cilindro m. inserendo un altro refrigeratore fra la pompa d'aria e il collettore. Lo schema di un impianto di questo genere è presentato nella fig. 6, mentre nella fig. 7 si vede la sezione di un recente motore in cui la sovralimentazione è organizzata come nello schema (Fiat, diametro 900 mm; 1600 mm; potenza, a 127 giri al minuto, 2650 CV per cilindro).
Motori a turbina. - Anche la turbina a gas, benché tanto più recente del m. alternativo, si è negli ultimi tempi pressoché stabilizzata. La sua incubazione è durata a lungo, almeno trentacinque anni dagli insuccessi ricchi peraltro di ammaestramenti, di Armengaud e Lemale (1903), alla prima promettente affermazione della turbina Brown Boveri di Neuchâtel (1938), e frattanto gli studî teorici dei varî cicli possibili preparavano il campo per il momento in cui le note difficoltà tecniche potessero venir superate. Sicché meno di dieci anni bastarono in seguito a portare la turbina a gas, e in particolare quella a combustione interna, al livello rimasto poi pressoché immutato nell'ulteriore decennio, fino ai giorni nostri. Non molto vi è quindi da aggiungere all'articolo sull'argomento della II Appendice, prescindendo dalle turbine adibite alla propulsione degli aeromobili, diretta, a reazione, o indiretta, ad elica (v. propulsione aerea e spaziale). Scarso seguito hanno avuto le macchine a ciclo chiuso e ancor minore quelle a ciclo semichiuso, o comunque risultante da combinazioni diverse di cicli chiusi e cicli aperti. Continuano invece a svilupparsi le applicazioni di turbine a combustione interna di potenze intorno ai 10.000 kW con punte verso i 30.000. Esse sono dotate di tutti gli artifici atti ad assicurare loro rendimenti competitivi con quelli di turbine a vapore di pari potenza (circa 30%), ossia sono dotate di rigenerazione del calore di scarico, spinta fino all'80%, di refrigerazioni intercalate nella compressione, di combustione ripetuta, e, per conservare un discreto rendimento anche a carichi ridotti, hanno le macchine distribuite su due o tre alberi indipendenti.
Qualche progresso si è realizzato nella tendenza alle alte temperature di ammissione alla turbina, benché negli impianti fissi, per ragioni di economia, si procuri di evitare i materiali, particolarmente costosi in sé e per la lavorazione richiesta, che invece impiega largamente l'aeronautica. D'altra parte continuano gli studî per migliorare la refrigerazione delle palette, senza peraltro che si siano ottenuti sensibili progressi rispetto ai metodi già illustrati in App. II.
Una grande fioritura si è avuta nel campo delle piccole e piccolissime potenze (dai 50 kW in su). Per queste ultime, specialmente, è divenuta normale la costruzione in un unico blocco, che comprende un compressore centrifugo calettato sullo stesso albero del turbomotore radiale centripeto (eccezionalmente, addirittura uno stesso disco porta su di una faccia le palette del compressore e sull'altra quelle della stessa forma della turbina), il riduttore di velocità, generalmente planetario e il combustore a camera unica pressoché cilindrica affiancata alle macchine. La velocità, data la piccolezza della portata, è elevatissima, fino a 50.000 giri al minuto e anche più.
Le prerogative di leggerezza (anche più di 1 CV per ogni kg), di rapidità di carico appena avviate, di indipendenza dal fabbisogno d'acqua o di altro refrigerante, assicurano un certo favore a queste macchine, soprattutto per gruppi di emergenza, nonostante il loro rendimento non superi il 10%. Le turbine di piccola potenza presentano inoltre interesse per l'autotrazione. È noto come la trazione terrestre, svolgendosi su strade di pendenza varia, richieda coppie motrici alle ruote proporzionalmente variate. D'altra parte, se si ammette che il m. abbia un limite di potenza non superabile, per sfruttare sempre questo limite massimo su tutte le strade bisogna che la coppia risulti inversamente proporzionale alla velocità.
I m. alternativi a combustione interna sono ben lontani dal soddisfare a questa esigenza: si rimedia con l'uso del cambio di velocità. Invece la turbina a due alberi indipendenti - un albero del cosiddetto "generatore di gas motore", comprendente il compressore e un primo stadio di turbomotore, che sviluppa solo la potenza sufficiente per il compressore, e un albero col secondo stadio di espansione, detto "turbina di potenza" - ha una caratteristica di coppia (diagramma coppie-velocità angolari) che si avvicina, salvo che alle bassissime velocità, all'andamento iperbolico (fig. 8), e quindi si presta bene all'uso senza cambio di velocità o tutt'al più con un cambio a due soli rapporti, oltre alla retromarcia. Superflua diventa anche la frizione.
Contro questi vantaggi stanno alcuni inconvenienti. Corrispettivo dell'ultimo dei pregi accennati è la mancanza, lamentata specie nelle lunghe discese ripide, dell'azione frenante del m.; strettamente legata alla forte inerzia dei rotori, è la lentezza di accelerazione; non ancora risolti soddisfacentemente sono i problemi del silenziamento, del costo, della durata e soprattutto del consumo specifico, tuttora elevatissimo.
Negli scorsi anni le maggiori case costruttrici di automobili hanno presentato qualche esemplare di vettura mossa da questo nuovo tipo di m., per potenze dell'ordine di 200 CV. La fig. 9 ne mostra un esempio (Fiat) col compressore centrifugo a 2 stadî, montato sullo stesso albero del primo stadio di una turbina assiale a due elementi, e un albero m. indipendente conassico per il secondo stadio di espansione.
Si tratta, per ora, solo dell'affermazione della capacità di costruire automobili a turbina, ma l'avvento di queste non è ancora maturo, nemmeno per i veicoli da corsa o, comunque, che impieghino potenze più rilevanti delle ordinarie vetture da turismo.
Al difetto del basso rendimento dei cicli semplici reali delle turbine a gas, rimedia, com'è stato detto, la rigenerazione del calore di scarico, senonché gli ordinarî scambiatori di calore a tubi sono troppo pesanti e ingombranti per l'installazione su di una vettura. Si studia quindi alacremente l'adattamento di scambiatori rotativi, costituiti da una "matrice" molto permeabile (composta di tubicini, fili, dischi) che, ruotando, passa alternativamente dall'ambiente caldo dov'è attraversata dai gas combusti, all'ambiente freddo, dove l'attraversa l'aria compressa avviata al combustore. Una turbina da autotrazione munita di tale rigeneratore avrebbe consumato solo 200 grammi circa di petrolio ad ogni CV ora, cioè meno degli ordinarî m. da automobile a stantuffi.
L'applicazione della turbina a gas alla trazione ferroviaria è stata pure oggetto di numerosi tentativi, e locomotive di questo tipo, con trasmissione sia elettrica, sia meccanica (idraulica) circolano a titolo sperimentale su varie reti. Quella presentata dalla fig. 10 (Renault) ha la particolarità della sostituzione del turbogruppo, come generatore di gas, con un "generatore a stantuffi liberi" (v. appresso).
Crescente interesse richiamano gli impianti misti gas-vapore, in cui il vapore viene utilizzato soprattutto a scopo di riscaldamento di stabili o di processi industriali, ma eventualmente anche per generare a sua volta lavoro meccanico.
Le direttive fondamentali di tale combinazione sono due: alimentare il focolare del generatore di vapore con i gas scaricati dalla turbina (figg. 12, 13), ovvero alimentare la turbina con i prodotti della combustione uscenti dalla caldaia. In questo secondo caso si assicura il salto di pressione necessario per l'espansione in turbina o creando una sovrapressione nel focolare della caldaia (fig. 13) o mantenendo una depressione allo scarico della turbina (fig. 14). Ulteriori forme di ricupero possono poi essere introdotte negli schemi: così, mentre negli schemi delle figg. 11, 13, 14 il calore di ricupero era utilizzato negli scambiatori S del circuito gas, in quello della fig. 12 (centrale di Rio Pecos), variante della fig. 11, lo è per il preriscaldamento dell'acqua di alimento della caldaia G, negli scambiatori S′, S′′ disposti in serie con i rigeneratori a vapore, spillato dalla turbina Tv, RI, RII, RIII, RIV:
Generatore di gas a stantuffi liberi. - Tra le diverse organizzazioni meccaniche della turbina a combustione interna, particolare favore incontra il tipo che viene denominato "a generatore di gas motore", perché un gruppo composto di compressore-combustore-espansore fornisce il gas ancora caldo e sotto pressione a una seconda turbina ("di potenza"), allo stesso modo che una caldaia, con la relativa pompa di alimentazione, fornisce il vapore a una turbina a vapore.
Nel caso delle turbine destinate alla trazione terrestre un'organizzazione di questo genere (o altra analoga) si impone, come già si è detto. Anche per le turbine destinate ad altro scopo, però, come il comando di eliche di aeroplano o di generatori elettrici nelle centrali di produzione, il sistema in esame offre il vantaggio di un miglior rendimento ai carichi ridotti.
Rimangono i problemi del rendimento a carico normale, sollevati dalle limitazioni di temperatura nella prima turbina. Per risolverli si è fatto ricorso a un tipo di generatore di gas privo di turbine: il cosiddetto generatore "a stantuffi liberi". Esso deriva dall'analogo compressore a stantuffi liberi (detto anche "autocompressore"), a sua volta ispirato alle motopompe a vapore "duplex" e un tempo usate come "cavallini" di alimentazione delle piccole caldaie a vapore.
In tutti i casi si tratta della fusione, in una sola, di due macchine a stantuffo, operatrice e motrice, mediante la soppressione dei rispettivi manovellismi sostituiti dall'accoppiamento rigido dello stantuffo della pompa con lo stantuffo del motore. Nel nostro caso la pompa è un compressore d'aria a semplice o a doppio effetto; il motore è un diesel a 2 tempi, a semplice effetto. Entrambe le macchine possono fare del tutto a meno del comando della distribuzione, perché il compressore fa uso di valvole automatiche e il motore diesel può praticare lo scarico e il lavaggio da luci che sono scolpite nelle pareti del cilindro e che vengono scoperte dallo stesso stantuffo.
A questa estrema semplicità concettuale - un solo equipaggio dotato di moto alterno libero - si apporta nella realizzazione pratica qualche correzione. Anzitutto ragioni di equilibramento consigliano di costituire ciascuna unità con due parti simmetriche; ne deriva al centro della macchina un m. a stantuffi opposti, e a ciascuna delle due estremità un compressore. Per garantire la simmetria dei movimenti dei due equipaggi, si stabilisce fra loro un collegamento, ad es. mediante due bielle articolate a un bilanciere. Questo biellismo, non dovendo trasmettere forze apprezzabili, risulta assai leggero; esso non fissa nemmeno il valore della corsa, perché il bilanciere è semplicemente oscillante, ma lo mantiene entro il limite segnato dalla libertà di oscillazione del bilanciere stesso. L'albero del meccanismo di collegamento serve anche per il comando della pompa di iniezione del combustibile nella camera centrale del diesel.
Si presenta poi il problema del ritorno degli equipaggi mobili verso il centro; di fatto, la fase di compressione del ciclo esige un lavoro che non può essere dato da un volano, qui inesistente. Si è allora ricorso ai cosiddetti "cuscini" d'aria. Precisamente nello spazio morto del compressore, o meglio in apposito cilindro stagno, collocato in tandem al compressore, si accumula durante la corsa di espansione del motore l'energia necessaria alla corsa successiva, sotto forma di aria compressa. Infine bisogna provvedere all'aria di lavaggio per il diesel. Se il compressore è previsto per fornire aria ad alta pressione (circa 6 kg/cm2 nelle ordinarie applicazioni cantieristiche e industriali), non è opportuno usare allo scopo parte di quest'aria, e quindi si aggiunge all'equipaggio mobile uno stantuffo destinato a uno stadio di bassa pressione.
La frequenza dei cicli, che qui sostituisce il numero di giri nell'unità di tempo delle macchine provviste di un albero rotante, è inversamente proporzionale alla radice quadrata della massa per unità di cilindrata degli equipaggi mobili e dipende in maniera più complessa dalla natura dei cicli che si svolgono nelle due parti della macchina (m. e compressore) e dai rapporti delle aree dei varî stantuffi. Se ne può prevedere il valore con un calcolo grafico, dopo aver tracciato i cicli suddetti in modo che le rispettive aree risultino egualí, e il ciclo dell'accumulatore di energia in modo che la linea di espansione sopperisca al difetto di lavoro della corsa di ritorno. Un esempio quasi costruttivo del tipo più diffuso di generatore di gas a stantuffi liberi è visibile nella fig. 15 (SIGMA).
Questo genere di macchina, come si è detto, è particolarmente adatto per l'impiego come generatore del gas da inviare a una turbina. In questo caso, infatti, non è più necessario tener distinta l'aria di lavaggio dalla mandata del compressore, e tutta l'aria fornita da questo viene inviata al m. diesel: una parte partecipa alla combustione e si trasforma in gas combusti, il rimanente invece partecipa solo al lavaggio, ma le due parti mescolate finiscono tutt'e due al distributore della turbina. Dell'abbondanza d'aria di lavaggio trae beneficio la costruzione delle pale della turbina, perché queste vengono esposte a temperature più basse.
Proporzionando convenientemente le dimensioni del compressore-pompa di lavaggio e del distributore della turbina si può ottenere un giusto rapporto tra le pressioni di lavaggio e di scarico del diesel e tra le pressioni di alimentazione e di scarico della turbina. Può tuttavia riuscire utile, talora, anteporre uno stadio di turbocompressore C comandato da una turbina a gas apposita o dalla stessa turbina di potenza T (fig. 16).
Il m. costituito da una turbina a gas e da un generatore a stantuffi liberi ha rendimenti assai elevati, potendo superare il 40%, e ciò senza bisogno di costosi ricuperatori di calore. Non si presta tuttavia per unità di grande potenza, essendo la portata vincolata al passaggio attraverso una macchina volumetrica, né riesce pratico moltiplicare oltre un certo numero i generatori adibiti a uno stesso impianto. A titolo d'esempio ricordiamo che il gruppo da 4000 kW destinato al comando degli ausiliari nella centrale termoelettrica a vapore di Augusta, recentemente entrato in esercizio, ha ben 10 generatori a stantuffi liberi.
Bibl.: A. Capetti, Motori alternativi a combustione interna, Torino 1954; G. De Renzio, Turbine a gas con generatori a pistoni liberi, in L'Elettrotecnica, VIII (1954); J. Dolza, The General Motors fuel injection system, in S. A. E., 1957; A. Capetti, Turbine a gas, Torino 1959; L. Raymond, Mutual problems of american automotive and petroleum researches, in A. T. A. - Ricerche, VII (1959).
Motori elettrici (App. II, 11, p. 362).
I motori elettrici, sia a corrente alternata sia a corrente continua, sono stati ulteriormente perfezionati per meglio adeguarli alle crescenti esigenze delle industrie manifatturiere (metallurgiche, meccaniche, chimiche, ecc.) e della trazione elettrica.
È stato elevato il margine di sicurezza per svolgere i molteplici servizî, spesso severissimi, a cui sono destinati; sono state aumentate, per le piccole e le medie potenze, allo scopo di facilitare l'installazione, le forme costruttive, derivandole da quelle classiche contraddistinte dalle sigle B-3 (motori con piedi di appoggio e montaggio orizzontale), B-5 (motori con flangia di attacco e montaggio orizzontale), V-1 (motori verticali con carcassa cilindrica); è stata migliorata la protezione delle parti interne contro gli agenti esterni; sono stati resi più efficaci i sistemi di lubrificazione e di raffreddamento.
Ha avuto maggiore diffusione il tipo chiuso a ventilazione esterna, in cui l'aria viene spinta a lambire la superficie esterna della carcassa dotata di nervature longitudinali. Accanto poi al noto m. ventilato in circuito chiuso, in cui l'aria, mediante ventilatori proprî del motore o ventilatori esterni, viene fatta circolare in un circuito chiuso e raffreddata in refrigeranti ad acqua in controcorrente, sono stati sviluppati gli altri due seguenti tipi: a) m. raffreddati direttamente ad acqua, che viene in contatto con le parti attive del pacco statorico e ne asporta il calore mediante convezione; b) m. ventilati in circuito chiuso, nei quali però l'aria non è più raffreddata da acqua, ma ancora da aria, con evidente semplificazione di esercizio. Un ventilatore mette in circolazione l'aria interna; questa, dopo aver investito le parti attive della macchina, viene raffreddata dall'aria esterna che, per l'azione di altro ventilatore, fluisce in numerosi tubi di acciaio sistemati sulla corona statorica parallelamente all'asse (in altre costruzioni, l'aria esterna di raffreddamento attraversa canali a sezione rettangolare invece che tubi).
La durata dei m. elettrici, come delle altre macchine elettriche rotanti, dipende dagli avvolgimenti, salvo casi particolari.
lnfatti, i cuscinetti hanno limitata usura, ma comunque possono essere facilmente sostituiti; anche le spazzole nei m. asincroni ad anelli e nei m. a commutazione, possono essere sostituite senza difficoltà; commutatori a lamelle e collettori ad anelli possono essere torniti, quando necessario, almeno fino a che non si raggiunge il diametro minimo oltre il quale non è più possibile tornire, per evitare il pericolo della rottura per forza centrifuga. Danni agli avvolgimenti, invece, mettono i m. fuori servizio e richiedono riparazioni notevoli. Tali danni derivano principalmente dall'usura degli isolamenti, la quale è funzione del tempo e della temperatura.
Recenti ricerche mostrano che per gli isolanti non si può stabilire una temperatura limite, al disotto della quale essi rimangono inalterati per tempo illimitato e al disopra della quale essi vengono rapidamente distrutti. La dipendenza della durata t (in anni) dalla temperatura ϑ (in °C), ad es. per gli isolamenti di classe A, secondo studî recenti è data dalla relazione: t = 7,15 • 104 • e-0,088ϑ dove e indica la base del logaritmi neperiani.
Le precedenti considerazioni giustificano il vivo interesse per i progressi della chimica verso isolanti che meglio resistano al calore. È abbastanza recente, per m. elettrici speciali, l'impiego di materiali isolanti inorganici (ad es., vetro tessile) trattati: 1) con vernici siliconiche; 2) con vernici alchidiche modificate o con poliesteri. I nuovi isolanti hanno dato luogo alle classi di isolamento per le quali l'I. E. C. ha stabilito rispettivamente le sigle H e F e le sovratemperature ammissibili che si rilevano dalla tabellina (per rendere possibile il confronto, sono indicate anche le sovratemperature ammissibili per le altre classi di isolamento A, E, B).
Motori isolati in classe H, a parità di potenza, risultano meno pesanti e meno ingombranti e possono essere utilmente adottati per quei casi particolari, nei quali peso e ingombro hanno preponderante importanza e la loro elevata temperatura (fino a 180 °C) è compatibile con l'ambiente circostante. Isolamenti in classe H sono poi necessariamente da impiegare in quelle applicazioni (industria siderurgica), dove le temperature nei punti di installazione dei motori sono così aumentate che gli isolamenti in classe B verrebbero rapidamente danneggiati, anche con il carico nominale.
Qui di seguito si esamineranno ora separatamente le princîpali diverse categorie nelle quali possono essere suddivisi i varî tipi di m. elettrici.
Motori asincroni. - Il m. asincrono è ancora la macchina elettrica rotante più semplice dal punto di vista costruttivo e più sicura dal punto di vista dell'esercizio; continua a dominare il campo dei comandi che richiedono regolazione nulla o modesta. Nel tentativo d'estendere ulteriormente le sue applicazitini già vaste (circa il 75% dei m. elettrici impiegati è rappresentato da m. asincroni trifasi con avvolgimento indotto a gabbia), si tende a migliorare l'avviamento, a rendere più agevole e ampia la regolazione della velocità, a diminuire le perdite addizionali.
M. con potenze più piccole o più elevate di quelle precedentemente realizzate pongono nuovi problemi, quali sarebbero le sollecitazioni meccaniche e il riscaldamento nei motori di grande potenza, e il comportamento dinamico nei motori con potenza di alcuni watt che vengono utilizzati nei servomeccanismi.
Da segnalare, tra le esecuzioni di piccola potenza, il m. autofrenante, compatta combinazione di un m. e di un freno ad azione rapida ed energica. Esternamente, la macchina si presenta come un normale motore asincrono; il nucleo magnetico (cfr. fig. 17) ha però una superficie di interferro troncoconica. Il suo funzionamento può essere così brevemente descritto: applicato un sistema trifase di tensioni all'avvolgimento statorico e stabilito quindi un campo d'induzione magnetica nel circuito magnetico, la forza meccanica sul rotore R ha una componente assiale. Il rotore effettua un piccolo spostamento assiale (verso sinistra, nel caso della figura), limitato dalla battuta S. La molla F è compressa, il freno B (a superficie leggermente conica) viene aperto. Interrompendo l'alimentazione, la componente assiale si annulla; la molla F riporta il rotore nella posizione iniziale; il freno viene chiuso e il rotore rimane bloccato. Il m. autofrenante è stato applicato in macchine utensili, macchine dell'industria tessile, apparecchi di sollevamento e, in generale, in quelle macchine operatrici che debbono arrestarsi rapidamente o fermarsi in una determinata posizione, dopo che il motore è disinserito, o rimanere bloccate fra un periodo di lavoro e il successivo.
Motori sincroni. - Sono sempre più largamente utilizzati per installazioni di potenza superiore a 50÷100 kw, a velocità costante, a un solo senso di rotazione, senza sovraccarichi frequenti e irregolari (gruppi moto-generatori, ventilatori, soffianti, compressori rotativi, sfibratori per legno, raffinatori conici, molini di cemento, ecc.). La diffusione è dovuta alla loro importante proprietà di poter funzionare con fattore di potenza unitario, e di poter fornire addirittura potenza reattiva per migliorare il fattore di potenza degli impianti, mediante la sola e semplice regolazione della corrente continua di eccitazione.
Il m. sincrono viene ora normalmente avviato ricorrendo all'ausilio di un avvolgimento a gabbia predisposto sul rotore. Si avvia il m. con le modalità dei motori asincroni a gabbia e, secondo la potenza, a tensione normale o a tensione ridotta. Quando il rotore ha raggiunto la sua massima velocità, che con opportuna costruzione differisce poco da quella sincrona, un apposito commutatore permette di aprire il circuito di eccitazione, di inviarvi la corrente continua e, ove necessario, di portare la tensione applicata allo statore dal valore ridotto al valore normale. Il rotore raggiunge il sincronismo eseguendo oscillazioni pendolari più o meno grandi.
Aumenta poi la potenza (fino a 100 MVAR) di quei particolari m. sincroni che funzionano a vuoto, sovraeccitati o sottoeccitati, e costituiscono quindi per la rete un carico rispettivamente capacitivo o induttivo. Essi, denominati compensatori sincroni, trovano impiego per regolare la tensione delle reti di trasmissione. Il raffreddamento a idrogeno, già introdotto in Europa da una diecina di anni per i turboalternatori, si estende anche ai compensatori sincroni, la cui potenza è sufficientemente elevata (circa 50 MVAR), così da renderlo conveniente dal punto di vista economico.
Motori a corrente continua. - Questo tipo di motori si va diffondendo nell'uso in misura crescente per le particolari note caratteristiche che essi possiedono e che bene si adattano alle esigenze fondamentali dell'automazione, in comandi sia a velocità costante sia a velocità controllabile.
Da notare: il minore ingombro (a parità di potenza); le potenze più elevate alla velocità massima e a velocità bassa; la migliore capacità ai carichi di punta; la più bassa inerzia meccanica ottenuta adottando diametro minore e lunghezza maggiore per il rotore o suddividendo, nei casi estremi, la potenza richiesta in più unità; le costanti di tempo ridotte costruendo, se necessario, laminato anche lo statore (giogo, poli principali e ausiliari); la minore e più semplice manutenzione; i portaspazzole di nuovo tipo (a pressione costante); lo sviluppo del più efficace metodo "Null point" per la messa a punto della commutazione, che ha sempre rappresentato un delicato e serio problema per la costruzione e per l'esercizio; i perfezionamenti degli avvolgimenti, in particolare di quelli doppî paralleli, e dei sistemi per il loro isolamento.
Gli equipaggiamenti di m. a corrente continua per le elevate potenze richieste dai laminatoi in uso nell'industria siderurgica sono tuttora in via di evoluzione, in relazione appunto con il rapido sviluppo della tecnica della laminazione.
Bibl.: v. dinamoelettriche, macchine, in questa App.
Motori per aeromobili.
Il m. a combustione interna a stantuffi trova ancora numerose applicazioni nell'aeronautica, nonostante l'avvento della turbina a gas sia come m. di comando di un'elica, sia come componente del gruppo generatore di gas per la propulsione diretta a reazione, e nonostante lo sviluppo che, per impieghi particolari, stanno prendendo i propulsori del tutto privi di "motore" - nel senso tradizionale che si dà a questa parola - quali sono gli autoreattori e gli endoreattori.
Sono provvisti di m. alternativi tutti gli apparecchi da turismo, la maggior parte degli elicotteri, e una parte cospicua, seppure in diminuzione, degli apparecchi da trasporto, civili e militari. A queste diverse applicazioni corrispondono naturalmente tipi diversi. Il ciclo preferito è sempre quello a quattro tempi, con accensione a scintilla. Si sono tuttavia avuti tentativi di introduzione sia del ciclo diesel (a due e a quattro tempi), sia del ciclo a scintilla, ma a due tempi.
In particolare si ricordano qui i m. a una o due stelle di 4 cilindri ciascuna, a due tempi, per potenze fino a 180 CV, attualmente impiegati nel campo militare per aerei teleguidati, piattaforme volanti, elicotteri d'assalto, e in quello civile per velivoli leggeri.
Comune a tutti i m. è ormai l'impiego di cilindri refrigerati ad aria, mentre nel corso dell'ultima guerra le maggiori prestazioni erano raggiunte con la refrigerazione a liquido dimostratasi meglio adatta ad assicurare il flusso di calore necessario a mantenere entro i limiti di sicurezza la temperatura delle pareti di cilindri fortemente sovralimentati, nelle condizioni difficili dell'atmosfera rarefatta delle alte quote.
Tale flusso è oggi assicurato anche a quote molto alte (però con sovralimentazioni minori, quali sono sufficienti per motori non più destinati ai velocissimi caccia), grazie a un ulteriore aumento della superficie dell'alettatura, come mostra nella fig. 18 il confronto tra la sagoma di un cilindro attuale, a sinistra, e quella, a destra, di un cilindro dello stesso diametro, e di corsa alquanto maggiore, costruito durante la guerra, e grazie anche ad artifizî, come quello di riportare sulla canna alette frastagliate e ondulate, che fruiscono di un maggior coefficiente di trasmissione del calore per l'aumentata turbolenza (motore Curtiss-Wright).
Per piccoli apparecchi i tipi preferiti sono quelli con cilindri in linea, pendenti (m. "invertiti"), o con cilindri orizzontali opposti, scalati (m. "piatti"). Per gli elicotteri si ottiene particolare semplicità nella trasmissione del moto alle eliche portanti, ricorrendo a motori ad asse verticale, prevalentemente con cilindri radiali (m. "stellari"). Per le maggiori potenze sono impiegati m. a doppia stella con 14 o 18 cilindri, provvisti sia del tipo di distribuzione tradizionale a valvole, sia di quello a manicotti, cioè con un sottile fodero sistemato nell'interno della canna del cilindro e dotato di moto periodico elicoidale che porta di volta in volta a coincidere le finestre praticate nel manicotto con quelle scolpite sul cilindro (Bristol; tav. f. t. fig. 1). Com'è noto, questo secondo metodo ha soprattutto il pregio di ridurre l'altezza della testata e quindi di diminuire l'ingombro frontale del motore.
Il carburante viene introdotto nel cilindro, o separatamente dall'aria per mezzo di pompe e iniettori, o mescolato con l'aria, ma in carburatori ad iniezione, nei quali i getti sono sottoposti a pressioni di efflusso alte a piacere. Entrambi i metodi consentono una polverizzazione del carburante migliore di quella ottenibile con i tradizionali carburatori a getti aspirati. Il primo poi si impone quando si pratica il "lavaggio" della camera di combustione, sovrapponendo intorno al punto morto superiore le fasi di apertura delle valvole di scarico e di aspirazione. Con questa sovrapposizione si aumenta alquanto la massa che rimane nel cilindro e con essa la potenza resa, ma la parte di gas che inevitabilmente sfugge insieme coi residui della combustione attraverso la valvola di scarico, dopo aver compiuto un'utile funzione di refrigerare le parti più calde della testa, darebbe luogo a una troppo grave perdita di rendimento se il lavaggio fosse eseguito con miscela carburata anziché con aria pura. Le apparecchiature per l'iniezione interna al cilindro possono essere in massima le stesse usate nei motori diesel, completate però da un complicato meccanismo di regolazione della dosatura, in funzione della pressione e della temperatura di alimentazione e della pressione atmosferica.
Più semplice è l'apparecchiatura per l'iniezione esterna: qui la conservazione della dosatura della miscela al variare della potenza è assicurata automaticamente dall'artificio di due stantuffi eguali (in realtà due membrane) dei quali uno è sottoposto alla differenza di pressione originata dal moto dell'aria nel venturi, e l'altro alla differenza di pressione tra monte e valle del getto principale calibrato. Per l'equilibrio dell'equipaggio formato dai due stantuffi, le due depressioni devono essere eguali e quindi l'efflusso dal getto calibrato avviene come se esso fosse in comunicazione con la sezione ristretta del venturi, al modo degli ordinarî carburatori, mentre lo spruzzatore-iniettore, 7, da cui il carburante effluito dal getto calibrato, 6, viene iniettato nel cilindro è qui sottoposto a tutta la pressione della pompa 4 (v. fig. 19).
Il compressore, a uno o a due stadî, riceve il moto dall'albero a gomiti attraverso un cambio di velocità a due o a tre rapporti. Vi corrispondono altrettante quote normali, cioè quote fino alle quali è possibile raggiungere la pressione di alimentazione prestabilita come massima normale.
L'accensione nei m. destinati a funzionare ad alte quote ha pure subìto qualche modifica. La formazione della scintilla è infatti resa problematica dalla grande capacità conferita ai cavi schermati di collegamento del distributore ad alta tensione con le singole candele, dalla presenza del dielettrico isolante e della schermatura metallica esterna, protettiva delle radiotrasmissioni. Si è allora fatto ricorso alla distribuzione a bassa tensione; l'apparato si compone di un ordinario magnete (generalmente del tipo con calamite multiple di lega alnico e a ferro o calamite rotanti) ma con un solo avvolgimento intorno ai nuclei, e distributore a bassa tensione. Ciascuna candela è preceduta da un rocchetto che innalza la tensione fino al livello necessario (fig. 20).
Il riduttore di velocità tra m. ed elica, che nei motori stellari è sempre del tipo epicicloidale e generalmente è composto di ruote dentate cilindriche, funziona anche da torsiometro: l'elemento di misura è inserito tra la ruota fissa ed il suo sistema di bloccamento e permette di far conoscere direttamente la potenza sviluppata dal motore. Il rapporto di trasmissione è di solito oggi inferiore a 0,5 e quindi la ruota fissa è la maggiore.
Sempre nel caso di motori stellari di grande cilindrata (50 e più dm3), vengono ora adottati accorgimenti varî per prolungare la vita del motore. Ad es. l'albero della fig. 21 è scomponibile in tre pezzi in modo da poter usare i cuscinetti delle due bielle madri a testa chiusa, mentre il cuscinetto a rotolamento centrale, tenuto di diametro alquanto maggiore del perno, viene poi adattato ad esso con elementi di riporto (fig. 21). In alcuni motori il carter è costruito d'acciaio fucinato anziché di lega leggera. L'avviamento, un tempo praticato ad aria compressa, è ora sempre elettrico.
Qualche dato caratteristico di m. a stantuffi attuali è elencato nella tabella alla pagina precedente: va peraltro notato che le potenze dichiarate nella tabella stessa sono quelle normali, non quelle assai maggiori al decollo del velivolo, e i consumi specifici sono invece quelli corrispondenti alla potenza ridotta di crociera.
Peso e ingombro non reggono più il confronto coi moderni motori a turbina e a reazione diretta (v. propulsione aerea e spaziale, in questa App.), mentre rimangono inferiori i consumi specifici, salvo che nel funzionamento a quote altissime, per le quali anche in fatto di rendimento il motore alternativo è battuto dalla turboelica. Comunque per migliorare le prestazioni del m. a stantuffi si è anche fatto ricorso con successo ad una pratica da lungo tempo preconizzata, ma non ancora fino a poco fa attuata: quella del motore cosiddetto composito.
I gruppi turbosoffianti di sovralimentazione a gas di scarico, che si affacciarono alla ribalta dei m. per aeromobili durante la prima guerra mondiale ad opera di C. Rateau in Francia e di Moss negli Stati Uniti d'America, non ebbero in realtà sviluppi importanti nel successivo ventennio, poiché si trovò più conveniente ricavare la potenza necessaria per il compressore dall'albero stesso del m., lasciando liberi di scaricarsi nell'atmosfera i gas combusti espulsi dai cilindri.
Durante la seconda guerra invece il gruppo turbocompressore a gas di scarico ricompare, specialmente come mezzo per cooperare col compressore a comando "meccanico" ai fini di una maggiore alimentazione, non di sostituirlo. Questa pratica risponde a due esigenze: prima, realizzare un compressore a due stadî, non essendo più sufficiente l'unico stadio tradizionale centrifugo a far raggiungere le forti pressioni di alimentazione (fino a 3,5 kg/cm2) a quote normali dell'ordine di 7000 m; in secondo luogo, conservare uno stadio strutturalmente immedesimato con il m. e quindi approfittare del diffusore di questo compressore centrifugo in funzione di distributore della miscela alle bocche di aspirazione dei cilindri di motori stellari.
L'indipendenza dell'albero del gruppo dall'albero a gomiti presenta alcuni vantaggi, sia per quanto riguarda la regolazione della pressione di alimentazione dei cilindri, regolazione, che anziché per laminazione della miscela, può essere realizzata deviando verso l'atmosfera parte dei gas combusti destinati alla turbina, sia per la semplificazione costruttiva inerente alla soppressione di ingranaggi moltiplicatori o riduttori di velocità.
Tale indipendenza cinematica però stabilisce un legame tra la pressione di alimentazione e quella di scarico, perché la potenza consumata dal compressore deve essere eguale a quella fornita dalla turbina. Quando il rendimento delle due macchine era molto basso, si rischiava di avere dannose eccedenze della pressione di scarico su quella di aspirazione. Attualmente, grazie soprattutto ai rendimenti molto migliori ma anche alle maggiori temperature tollerate dai materiali impiegati nella costruzione della turbina, si possono ottenere, almeno fino a una certa quota e a un certo grado di sovralimentazione, pressioni di scarico notevolmente inferiori a quelle di aspirazione, senza però che il motore tragga sensibili benefici da questo squilibrio.
Inoltre sono state messe a punto turbine cosiddette "ad impulsi", che, grazie a un opportuno avviamento degli scarichi dei cilindri a settori separati della turbina, e all'impiego di tubazioni brevi e di sezione costante, sono capaci di utilizzare l'energia cinetica stessa con cui i gas escono dalle valvole dei cilindri, senza creare a questi contropressioni superiori all'atmosferica. La potenza raccolta dalla turbina ad impulsi raggiunge valori ancora maggiori di quelli della turbina a pressione costante, e superiori a quello richiesto per alimentare il motore entro i limiti di sovralimentazione che esso può tollerare.
Si è allora deciso di collegare con ingranaggi l'albero della turbina a quello del motore in modo da raccogliere su di esso o l'intera potenza della turbina, se il compressore, come nello schema I della fig. 22, è a sua volta comandato dal motore, o la differenza tra la potenza della turbina e la potenza del compressore, se si continua a tenere un gruppo turbocompressore a gas di scarico distinto da quello del motore benché collegato con esso (fig. 22-II), o, infine, la differenza tra la potenza della turbina e quella di un primo stadio del compressore se si adotta la soluzione, diremo così intermedia, dello schema III della fig. 22.
Si è così realizzato una specie di m. a combustione interna a doppia espansione: la prima espansione nella macchina volumetrica, la seconda nella turbomacchina, pib adatta della volumetrica a sfruttare l'espansione fino alle basse pressioni atmosferiche o l'energia cinetica derivante dalla incompleta espansione nei cilindri. La diversa natura delle due macchine giustifica il nome di "composita" dato a questa unità motrice.
Nella fig. 7 è presentata una fotografia di un tipo di motore composito che, apparso verso il 1948, è tuttora assai diffuso negli aerei di linea (Curtiss-Wright, Turbo Compound). Si tratta di un motore a due stelle di 9 cilindri ciascuna, munito dell'ordinario compressore centrifugo e di tre turbine, ciascuna delle quali riceve, ripartiti su tre diversi settori, gli scarichi di 6 cilindri. Le tre turbine (una delle quali è indicata con T nella figura) hanno gli alberi convergenti verso l'asse del motore, al quale sono collegate, attraverso giunti idraulici, per mezzo di ingranaggi conici. La sovralimentazione permette al motore di raggiungere una pressione media effettiva di 16,5 kg/cm2. Le turbine aggiungono un supplemento di potenza, variabile secondo la quota e il regime: in media si tratta del 20% della potenza sviluppata dai soli cilindri. Il consumo specifico a regime di crociera scende a 177 g/cv. h.
Più complesso è il m. della fig. II della tav. f. t. (Nomad), che è organizzato meccanicamente secondo lo schema II della fig. 22. È un m. diesel a due tempi composto di 12 cilindri distribuiti in due file orizzontali opposte. Su un albero parallelo all'albero a gomiti 3 sono montati un compressore assiale 12 che fornisce l'aria di lavaggio e di alimentazione, e una turbina 9 che riceve gli scarichi di tutti i cilindri, e quindi funziona a pressione costante, non ad impulsi. I due alberi sono collegati con un rapporto di velocità che può essere mutato con continuità, grazie ad uno speciale variatore a dischi di frizione 8. Il consumo specifico, trattandosi di un m. diesel, è ancora più basso di quello del m. composito che è stato precedentemente citato: è dichiarato il valore di 154 g/cv. h, valore che corrisponde a un rendimento globale superiore al 40 per cento. Vedi tav. f. t.