MOTU PROPRIO
. Clausola che, inserita nel preambolo di un atto sovrano, vale ad attestare che questo viene emanato d'iniziativa del principe, esclusa cioè la proposta di ministri o la richiesta di altre autorità o di privati. Tuttavia, la collaborazione di un ministro può risultare, anche in tali atti, se non altro in forma di parere e, in ogni caso, nell'autenticazione della firma sovrana. Può darsi, poi, che un'istanza abbia in fatto provocato il provvedimento (e ciò avviene sempre quando trattasi di rescritti): in tal caso la formula significa che l'atto sarebbe stato emanato egualmente, anche senza la domanda di colui a cui è diretto, e ha per conseguenza di escludere l'azione di annullamento, che contro di esso volesse in seguito proporsi per orrezione o surrezione, cioè per reticenza o parziale falsità dell'istanza nell'esposizione dei fatti. Trattandosi di leggi o altri atti generali, la formula influisce talora sul nome stesso del provvedimento, che da essa è detto motu proprio regio, motu proprio granducale, pontificio, ecc.; altre volte, l'atto conserva il suo nome, restando dalla formula soltanto qualificato: rescritto o decreto emanato di motu proprio del re.
Con l'instaurazione del regime costituzionale, l'uso della clausola è stato ristretto agli atti di regia prerogativa relativi allo stato nobiliare e agli ordini cavallereschi: sia che essa si esplichi in atti generali e legislativi, sia che proceda a particolari concessioni di titoli. Rispetto a queste ultime, essa ha l'effetto di permettere la deroga dalle norme generali, comunemente da quelle che stabiliscono le condizioni subiettive necessarie per la concessione o che limitano il numero delle concessioni che possono farsi annualmente o impongono la necessità di un certo intervallo di tempo fra due decorazioni successive alla stessa persona. Nell'ordine supremo della SS. Annunziata ogni provvedimento viene emanato di motu proprio del re, indipendentemente da ogni intento di deroga.