MOVIMENTI COLLETTIVI
I m.c. concernono un insieme di atteggiamenti e di comportamenti che hanno un carattere sociale diffuso, largamente condiviso (quand'anche in un ambito piuttosto specifico). I m.c. (o sociali) sono spesso studiati per la loro importanza innovativa, anticipatrice, riformatrice o rivoluzionaria. In effetti, attraverso l'analisi delle dinamiche di questi movimenti, si giunge a rilevare indizi significativi e indicatori utili alla comprensione dei fenomeni in atto nelle società contemporanee. Di solito la letteratura specialistica preferisce parlare di ''comportamento collettivo'' (Lapiere 1938; Blumer 1939; Turner e Killian 1957; Smelser 1963; Turner 1964; Alberoni 1966; Galli e Rositi 1968) e di ''movimenti sociali'' (Cantril 1941; Heberle 1951; Hobsbawm 1960). L'uno e gli altri sono tuttavia collegabili direttamente ai m. collettivi.
Opportunamente Alberoni (1977) evita un'analisi dettagliata dei diversi punti di vista e si limita a chiarire che i m.c. sono "qualche cosa che non ha a che fare con le istituzioni", rispetto alle quali dunque essi si differenziano nettamente. Talora però i m.c. sono il punto di avvio di un processo di istituzionalizzazione. Inoltre tra i m.c. non vanno annoverate le folle e le agitazioni sociali, la moda, la guerra, nella misura in cui tali fenomeni presentano molti caratteri istituzionali. In particolare si distingue fra m.c. di aggregato e m.c. di gruppo: nell'aggregato il comportamento dei singoli individui è simile a quello degli altri, ma è gestito in proprio da ciascun soggetto sociale, e ha dimensioni piuttosto ampie ma instabili; nel caso del gruppo, invece, vi è una maggiore identificazione con la dimensione interpersonale, una minore consistenza numerica e una durata più estesa. La distinzione più rimarchevole è però data dall'assenza di solidarietà nel caso dei m.c. di aggregato, mentre nel caso dei m.c. di gruppo il senso della collettività è più sentito e condiviso.
Blumer (1939) dal canto suo aveva già operato una distinzione fra movimenti espressivi (più conservativi e fondati sulla fruizione delle esperienze) e movimenti attivi (più orientati in senso innovativo e meno sensibili a elementi di tipo emotivo-esperienziale). In particolare tale carattere modificatorio (specialmente nell'ambito dei movimenti sociali) è stato poi ribadito ampiamente da Heberle (1951) e Hobsbawm (1960).
Smelser (1963) infine considera quattro componenti come fondanti rispetto alla costituzione dei m. collettivi. Tali componenti sarebbero quella dei valori (in quanto base di riferimento per una determinata società), quella delle norme (che regolano l'applicazione dei valori), quella della motivazione (che orienta l'azione individuale) e quella dei mezzi (cui si ricorre nel corso dell'agire individuale e sociale). Non è detto però che uno o più di tali elementi siano prevalenti rispetto agli altri: sovente possono coesistere tutti e rappresentare il tessuto connettivo dei m.c., rispetto ai quali anche Smelser tiene a escludere altri comportamenti quali feste, cerimonie, pubblico, opinione pubblica, propaganda, crimine, droga e alcolismo, in quanto sono fenomeni privi dei caratteri specifici dei m.c., individuabili solo attraverso le quattro componenti di cui sopra.
Molteplici possono essere i motivi ispiratori dei m.c., di natura religiosa o economica, politica o culturale, etnico-razziale o bellica. Abbastanza condivisa è l'idea che i m.c. siano consapevoli e orientati verso obiettivi generali e/o specifici. In tal senso sono da considerare m.c. il movimento operaio, i movimenti utopico-chiliastici, il movimento femminista, i vari movimenti di liberazione e d'indipendenza. In definitiva i m.c. si basano sull'azione dell'individuo che interagisce con gli altri per una finalità comune.
Bibl.: G. Le Bon, Psychologie des foules, Parigi 1895 (trad. it., Milano 1980); R. T. Lapiere, Collective behavior, New York 1938; H. Blumer, Collective behavior (1939), ora in New outline of the principles of sociology, a cura di A. McClung Lee, ivi 1951; H. Cantril, The psychology of social movements, ivi 1941; R. Heberle, Social movements. An introduction to political sociology, ivi 1951; R. H. Turner, L. M. Killian, Collective behavior, Englewood Cliffs (N.J.) 1957; E. Hoffer, The true believer. Thoughts on the nature of mass movements, New York 1958; E. J. Hobsbawm, Social bandits and primitive rebels. Studies in archaic forms of social movements in the 19th and 20th centuries, ivi 1960 (trad. it., I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Torino 1966); V. Lanternari, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi, Milano 1960; K. e G. Lang, Collective dynamics, New York 1961; N. J. Smelser, Theory of collective behavior, ivi 1963 (trad. it., Il comportamento collettivo, Firenze 1968); R. H. Turner, Collective behavior, in Handbook of modern sociology, a cura di R. E. L. Faris, Chicago 1964; M. Olson, The logic of collective action, Cambridge 1965; A. Touraine, Sociologie de l'action, Parigi 1965; F. Alberoni, Sociologia del comportamento collettivo, in AA. VV., Questioni di sociologia, Brescia 1966; G. Galli, F. Rositi, Cultura di massa e comportamento collettivo, Bologna 1968; F. Alberoni, Statu nascenti, ivi 1970; A. Touraine, Production de la société, Parigi 1973 (trad. it., Bologna 1975); A. Melucci, I movimenti di rivolta, Milano 1976; F. Alberoni, Movimento e istituzione, Bologna 1977; Id., Genesi, Firenze 1989.