Mummia
Un corpo per l’eternità
La parola mummia richiama alla nostra mente l’antico popolo dell’Egitto, che più di ogni altro ha utilizzato la pratica della mummificazione, al fine di conservare i corpi intatti anche dopo la morte. Le numerose mummie egizie giunte sino a noi, insieme ai testi e alle raffigurazioni su papiri e sulle pareti delle tombe, ci raccontano come e perché gli Egizi mummificavano i loro morti
Il naturale disfacimento che segue la morte di ogni organismo vivente non gli permette di conservarsi intatto per lungo tempo. Solo un trattamento particolare del cadavere può fare in modo di preservarlo. Tale trattamento – detto mummificazione – consiste nel privare completamente il cadavere dei liquidi grazie ai quali si sviluppano quei microrganismi che portano al suo deterioramento.
La mummia è quindi un cadavere perfettamente essiccato. La mummificazione può avvenire naturalmente in regioni dal clima particolarmente arido o rigido – e infatti in zone molto fredde dell’Europa (tra le quali le nostre Alpi) il naturale processo di mummificazione ha permesso il ritrovamento di corpi umani risalenti alla preistoria – oppure artificialmente mediante l’uso di sostanze chimiche.
Gli Egizi credevano che esistesse un’altra vita dopo la morte e che solo conservando intatto il corpo fosse possibile accedervi. Quando una persona moriva la sua anima volava via dal corpo sotto forma di uccello e solo dopo che ogni fase della mummificazione era stata portata a termine la vita tornava al corpo. Nell’Antico Regno (circa 2650-2200 a.C.) la mummificazione era riservata soltanto a personaggi reali. A partire dal Medio Regno (circa 2070-1785 a.C.) si cominciò a mummificare anche persone comuni, fino a interessare tutta la popolazione. Ma anche gatti, cani, coccodrilli, scimmie, alcuni uccelli e persino piccoli insetti erano mummificati e seppelliti in cimiteri a loro riservati. Gli Egizi credevano infatti che la divinità si manifestasse in questi animali (ciò spiega anche perché molte divinità erano raffigurate come incroci tra uomo e animale). Attraverso offerte di mummie degli stessi animali, un individuo riteneva di entrare in contatto con le divinità.
Il pianto delle donne era il segnale che qualcuno era morto. Gli imbalsamatori intervenivano immediatamente per preparare il defunto all’eternità. Essi lavoravano sulla riva del fiume Nilo perché avevano bisogno di grandi quantità di acqua per lavare il cadavere. La fase iniziale era la rimozione delle viscere (cervello, cuore, polmoni, fegato, stomaco e intestino), che venivano deposte in quattro vasi chiamati canopi. Il corpo veniva purificato con oli balsamici contenenti resine o bitume; veniva poi ricoperto con una sostanza a base di soda chiamata natron, simile al sapone. Il cuore veniva sostituito con un piccolo oggetto a forma di scarabeo, simbolo della rinascita. Dopo il tempo necessario per consentire al corpo di essiccarsi (35440 giorni), le cavità addominali erano riempite con materiale di vario tipo, come tela di lino, sale, cipolle e resine. Numerosi amuleti venivano inseriti nella mummia con la funzione di proteggere il defunto. Alla fine il corpo veniva ricoperto con bende e deposto dentro il sarcofago.
Oltre agli Egizi, molti popoli hanno mummificato i loro morti. La mummificazione praticata nell’America Settentrionale dalle popolazioni native (Navajos, per esempio) avveniva per essiccamento naturale, favorita dal clima particolarmente secco: era riservata alle persone di alto rango sociale ed economico e ai guerrieri.
In Perù corpi di antenati o capi Inca, venerati come divinità, venivano mummificati (15° secolo) per essiccamento naturale oppure mediante l’uso di sostanze chimiche. La mummificazione naturale era usata anche nei sacrifici, come nel caso dei bambini sacrificati nelle alte zone delle Ande a 6.000 metri di altezza, i cui corpi si sono conservati grazie alle temperature rigidissime. In Australia la mummificazione naturale è praticata dagli aborigeni per preservare il corpo di una persona importante e compensare il dolore della perdita.