Muse
Divinità sorelle, in numero di nove secondo la tradizione prevalente (che risale a Esiodo), figlie di Zeus e di Mnemosine, alle quali fu attribuita la virtù d'ispirare e proteggere le attività artistiche, e in specie la musica e la poesia.
In età ellenistica si distinsero più particolarmente le attribuzioni delle M., legando il nome di ciascuna a un genere letterario o ad altra speciale attività speculativa. Tale distinzione, irrigidita nella prassi retorica e scolastica, giunse al Medioevo nella forma attestata, per esempio, da un diffusissimo carme mnemonico tardo-antico (attribuito talvolta ad Ausonio e persino a Virgilio) che qui si riporta secondo la lezione del Secondo Mitografo Vaticano (cap. 24) quale documento e sintesi delle nozioni sulle M. comunemente accessibili a D.: " Clio gesta canens, transactis tempora reddit. / Melpomene tragico proclamat maesta boatu. / Signat cuncta manu loquiturque Polymnia gestu. / Doctiloquos calamos Euterpe flatibus urget. / Terpsichore affectum citharis movet, imperat, auget. / Uranie caeli motus scrutatur et astra. / Comica lascivo gaudet sermone Thalia. / Plectra gerens Erato saltat pede, carmine ducto. / Carmina Calliope libris heroica mandat ".
Dai nomi dei luoghi ove le M. amavano, secondo il mito, soggiornare, e dov'era più vivo il loro culto, derivarono epiteti o espressioni perifrastiche con cui frequentemente esse sono designate presso i poeti latini. Originarie della Pieria, le M. sono dette ‛ Pieriae ' o ‛ Pierides ' (cfr. Giovenale Sat. IV 35-36 " puellae / Pierides "), e ‛ pierius ' è aggettivo che indica ciò che loro si riferisce (cfr. per es. Stazio Theb. I 3 " Pierius... calor "); donde l'espressione dantesca Pyerio demulsa sinu modulamina, " versi espressi dal seno delle Muse " (Eg II 2). Dalla loro dimora presso le fonti Aganippe e Ippocrene sul monte Elicona nella Beozia (che fu in antico la terra degli ‛ Aones '), deriva alle M. l'epiteto di ‛ Aoniae ' o ‛ Aonides ' (cfr. per es. Ovidio Met. V 333 e VI 2; Giovenale Sat. VII 59), con cui sono indicate anche da Giovanni del Virgilio nel primo carme a D. (Eg I 36). Qui si riconducono anche le parole di D. Montibus Aoniis Mopsus... / se dedit (Eg II 28-30), dove i ‛ montes Aonii ' sono i monti sacri alle M. cioè, per metonimia, le M. stesse e quindi l'attività poetica (per il tipo di figura, v. OLTRE). Assai comune è anche il ricordo di uno dei gioghi di Parnaso: tra i vari riferimenti danteschi a quel monte della Focide lo ricordano espressamente come sede preferita delle M. i luoghi di Pg XXII 104-105 e Pd I 16. In quest'ultimo passo le parole l'un giogo di Parnaso offrono ancora un esempio di metonimia designante le Muse. Sulle pendici del Parnaso sgorgava la fonte Castalia, donde venne alle M. l'epiteto di ‛ Castaliae ' o ‛ Castalides ', ripetuto da Giovanni del Virgilio (Eg I 22) e da D. (Eg II 54 Castalias... sorores). Tra le altre perifrasi meno tipiche adoperate da D. vanno menzionate inoltre sacrosante Vergini (Pg XXIX 37): Polimnïa con le suore (Pd XXIII 56); diva Pegasëa, Musa (Pd XVIII 82; con allusione alla fonte Ippocrene, fatta scaturire da un calcio di Pegaso).
Sono le narrazioni di miti in cui esse appaiono implicate. Di alcune D. ha notizia dai libri V-VI delle Metamorfosi ovidiane: di là derivano gli accenni alla contesa con le Piche di Pg I 10-13 e all'insulto di Pireneo di Eg IV 65-66. Invece che le M. abbiano aiutato Anfione a innalzare le mura di Tebe, com'è detto in If XXXII 10-11, è probabile amplificazione di un racconto staziano (Theb. X 873 ss.; cfr. anche Orazio Ars poet. 394-396).
L'interpretazione allegorica più corrente delle divinità sorelle è che esse rappresentino la forza dell'ispirazione poetica (per altri aspetti dell'esegesi mitografica medievale relativa alle M., cfr. Myth. Vatic. III 8, 17-22); tale interpretazione si traduce sul piano del linguaggio letterario nello scambio metonimico per cui frequentissima è la menzione delle M. (esplicita o con perifrasi) a indicare l'ispirazione e l'attività del poeta ovvero la poesia stessa o un suo genere (cfr. per es. Virgilio Buc. I 2 " silvestrem... musam ", e VI 8 " agrestem... Musam ").
In quest'uso metonimico rientra l'espressione dantesca nostra maggior musa (Pd XV 26), che designa Virgilio o meglio l'alta poesia dell'Eneide (per la figura cfr. Virgilio Buc. III 84); cui sono da accostare Pd XII 7 nostre muse, la poesia terrena, e Pd XVIII 33 musa, poesia. Di questo tipo è anche il passo già ricordato di Eg II 28-30; cfr. inoltre Pg XXI; 102 [Omero] che le Muse lattar più ch'altri mai, dove Muse può valere " ispirazione poetica ".
E appunto con il valore, accettabile anche da un poeta cristiano, di una speciale assistenza divina all'esercizio della poesia (v. anche APOLLO), le M. erano invocate in aiuto, con movenza a carattere topico, sulla soglia di composizioni poetiche generalmente di ampio respiro, ovvero di sezioni o episodi di esse ove più alta si facesse la materia e più ardua la fatica del poeta. Di quest'uso D. offre numerosi esempi, direttamente modellati su antecedenti classici giacché nulla di simile offre, prima di lui, la tradizione della poesia romanza.
L'invocazione alle M. di If II 7, pertinente in senso architettonico (come la protasi) all'intero complesso della Commedia, è riecheggiata in apertura delle cantiche successive, a scandire con formule sempre più solenni il progressivo innalzarsi del tenore stilistico e dottrinale. Così all'inizio del Purgatorio è posta in speciale rilievo un'alta protesta di dedizione (Pg I 8 o sante Muse, poi che vostro sono), mentre al principio del Paradiso il soccorso delle M., pur dichiarato ormai insufficiente e confortato dall'intervento di Apollo (Pd I 16-36), non è invocato ma affermato con tranquilla certezza (II 9 nove Muse mi dimostran l'Orse). Carattere in certo senso topico ha anche il rinnovato ricorso alle M. nell'affrontare l'ardua impresa di discriver fondo a tutto l'universo (If XXXII 7-12); nell'apprestarsi a descrivere la processione simbolica del Paradiso terrestre (Pg XXIX 37-42); nel riferire le evoluzioni delle anime nel cielo di Giove (Pd XVIII 82-87): movenze che si rifanno tutte ad antecedenti antichi (e probabilmente agli esempi virgiliani di Aen. VII 647 ss. e X 163 ss.), ma pure esprimono per la prima volta in volgare una fede.