Musica e musicisti
In un periodo di grande fioritura musicale che si apre simbolicamente con l'arrivo di Adriano Willaert come maestro di cappella a S. Marco nel 1527 (ma già molto prima le premesse per una tale fioritura sono ben in evidenza) per arrivare, nel 1637, all'apertura del primo teatro d'opera pubblico, Venezia, per molti lati, viene a caratterizzarsi come la città più "musicale" d'Italia. Non tanto per l'esercizio d'un monopolio sui migliori musicisti attivi nella penisola (monopolio che Venezia non ha, nonostante la presenza in città di alcuni dei compositori più rinomati d'Europa), quanto piuttosto per alcuni aspetti rientranti, per così dire, nella quotidianità della vita musicale: la massiccia diffusione - nel complesso, forse, senza paralleli a livello europeo - della consuetudine del far musica nelle istituzioni ecclesiastiche e laiche, di Stato e non, e negli ambienti domestici tanto nobiliari quanto di media o più bassa estrazione sociale; l'affermarsi in tutti questi ambienti della figura del musicista di professione (ma grande rilievo ebbe anche il ruolo del dilettante, a quanto sembra, nelle esecuzioni musicali private); il notevolissimo sviluppo che ebbe il commercio musicale veneziano sia nel settore editoriale che in quello della costruzione degli strumenti.
Dalla seguente tabella sinottica che riporta le coordinate essenziali sui momenti di maggior rilievo nella vita musicale veneziana (esclusi alcuni avvenimenti di carattere più o meno ricorrente, quali le principali feste dell'anno liturgico a S. Marco, le cerimonie per le investiture dei dogi e di alcuni altri ufficiali di Stato, i funerali dei dogi, le feste dei santi protettori delle Scuole grandi, ecc.), sembra emergere, pur in modo estremamente indicativo, un primo dato: dopo la metà del Cinquecento la gestione del momento celebrativo, musicale e non, passa dalle mani di alcuni gruppi di patrizi di fiducia (ossia le Compagnie della Calza), delegati dallo Stato, al controllo direttamente statale (1), per essere gradatamente riassorbita soprattutto, forse, a partire dal secondo decennio del Seicento - nel dominio della festa privata.
Esemplari, per i cambiamenti di metà secolo, si presentano i dati riferiti alle visite dei principi stranieri a Venezia. Se tra i festeggiamenti più significativi di questo tipo, avvenuti nei primi anni del periodo qui considerato - quelli per Francesco II Sforza duca di Milano nel 1530, per Renata duchessa di Ferrara nel 1534 -, sono evidenti i segni della presenza organizzativa, "decentralizzata", delle Compagnie della Calza (quelle, rispettivamente, dei Reali e dei Cortesi), in quelli successivi - per Bona Sforza regina di Polonia nel 1556, Alfonso II duca di Ferrara nel 1562, Enrico III re di Francia nel 1574, cinque arciduchi della casa d'Asburgo e don Giovanni de' Medici, nel 1578 e '79 - pesa sempre maggiormente, nell'ambito delle celebrazioni musicali (ma anche non musicali), la centralità del promotore statale. Si vedano le musiche eseguite durante le accoglienze ufficiali sul Bucintoro ("Et sempre che 'l Bucintoro va a levar persona alcuna, li vanno alquanto cantori 6 della capella, et si cantano qualche madrigal", recita il cerimoniale della basilica di S. Marco compilato nel 1564 (38); per Bona Sforza e Alfonso II è documentata l'esecuzione anche di brani strumentali), durante i pasti ("ben fu regalmente trattato nell'alloggiamento con la musica di S. Marco, mentre si mangiava" (39): esecuzioni talvolta vocali, talvolta vocali e strumentali), durante i balli (Giacomo Franco, che nel 1610 raffigura "Le feste o balli, che la Serenissima Republica suol fare di gentildonne, di richissime gioie adornate, per honorar i principi che a Venezia talor capitano", vi include tre suonatori rispettivamente di viola da braccio, viola da gamba, liuto (40)), durante le cerimonie religiose tenute nella basilica di S. Marco (messe e mottetti per voci e strumenti; brani per organo o complesso strumentale) e, nel caso di Enrico III, durante una rappresentazione teatrale (le musiche per la Tragedia di Cornelio Frangipane). A completare il quadro non sono tanto i privati veneziani quanto, semmai, le varie presenze diplomatiche, straniere, in città: per Bona Sforza il cardinal d'Augusta, presente anch'egli a Venezia, "fece far [...> fin alle tre hore di notte passate una bellissima musica per canale" (presente anche, forse, la regina, ma incognita), mentre, durante la messa in S. Marco, "i cantori della capella di Monsignor Reverendissimo di Ferrara cantarono più mottetti suavissimamente"; al seguito di Alfonso II arrivano i 30 cantori e strumentisti della cappella di corte ferrarese che, essendo stati una sera "per Canal Grande da 24. hore sino a tre hor de notte che li tene drieto tuta Vineggia", eseguono poi, presso il palazzo del duca, un gran "concerto", presenti il doge, la signoria, gli ambasciatori stranieri; per Enrico III viene celebrata, presso la Basilica dei Frari (chiesa della comunità francese a Venezia), una "messa et soave concerto di musica", avvenimento ricordato non già nei cerimoniali ufficiali di Stato, bensì nella coeva cronachistica veneziana (41).
Se eloquente testimonianza della "privatizzazione" secentesca del cerimoniale di accoglienza sarà data, nel lontano 1686, dagli spettacoli allestiti in occasione dell'arrivo del duca Massimiliano Guglielmo di Braunschweig, generale della Serenissima, che assiste, a Piazzola presso il teatro di Marco Contarini, alla messa in scena di alcuni drammi per musica e all'esecuzione di serenate all'aperto (42), più immediato può sembrare il confronto tra i vari resoconti delle cerimonie per la creazione d'un procuratore. Mentre per Giovanni Stringa, nel 1604, l'investitura d'un procuratore dà luogo alla celebrazione, presso la basilica ducale (dove Stringa svolge le mansioni di canonico), di una "messa bassa" con "alcuni concerti cantati dai musici di chiesa sì all'Offertorio, come alla levazione della Santissima Hostia, et alla Postcommunione", quella di Giovanni Pesaro nel 1641, descritta ed elogiata in un apposito opuscolo-souvenir, fu anche l'occasione di una festa da ballo allestita nel proprio palazzo e dell'esecuzione di due spettacoli popolari, oltre ad una regata, ad una caccia ai tori, ecc. (43); se nello stesso anno Francesco Rinuccini, ambasciatore fiorentino a Venezia, può commentare in uno dei suoi dispacci che Pesaro, "conforme al solito ha fatto pubbliche feste per 3. giorni", gli sforzi del novello procuratore possono sembrare assai meno eccezionali (44).
Negli ambienti privati la festa da ballo, intesa nel senso formale di festino-intrattenimento, viene sempre più allo scoperto: mentre per tutto il secondo Cinquecento i riferimenti cronachistici a questo tipo di divertimento sono collocati quasi tutti nell'ambito delle cerimonie promosse in qualche modo dallo Stato, nel 1623 l'ambasciatore mantovano a Venezia, Valerio Crova, sotto accusa di esser "stato sopra una festa [in casa propria> con pistole" e d'aver fatto "l'amore con dame nobili", può replicare al suo padrone "che l'haver io permesso di ballare in casa mia [...> il medesimo fanno tutti questi altri signori" e, una settimana più tardi, "che domani si concederà la licenza delle mascare, e si potrà ballare in ogni luogo" (ossia: le feste da ballo sono sempre frequenti nelle case private, ma si balla ancora di più in tempo di carnevale) (45). Del resto, rientra perfettamente in questo quadro ciò che sembra essere stata per Venezia la prima rappresentazione teatrale interamente musicata - La Proserpina rapita (1630) di Giulio Strozzi e Claudio Monteverdi (46) -, allestita non già nel palazzo Ducale in occasione d'un grande festeggiamento di Stato, bensì in casa Mocenigo - e, quindi, in una casa privata - nell'ambito delle celebrazioni per le nozze Mocenigo-Giustiniani. Se al ridimensionato impegno del potere centrale nella promozione dei festeggiamenti "pubblici" corrisponde, in qualche modo, una incrementata partecipazione privata, a quest'ultima sembra corrispondere un netto declino di interesse diretto, dilettantesco, per l'esecuzione musicale e un commisurato aumento delle presenze dei musicisti di professione negli ambienti privati. Relativamente poche, a metà Cinquecento ed oltre, sono le testimonianze riguardanti la partecipazione di professionisti alle esecuzioni nelle case private; spicca, nel 1542, la dedica da parte di Antonio Gardano, stampatore, a Marcantonio Trevisano, futuro doge, del primo libro dei mottetti a sei voci di Adriano Willaert, laddove si afferma che "nel vostro honoratissimo ridutto, [...> ogni sorte di stromenti musicali in buona quantità tenete, et ove le più eccellente cose, che altri cantano, sono continoamente da i più perfetti musici cantate, et suonate, et quindi u' li più nobili personaggi che di canto, di suono si dilettano, molto volentieri si riducono"; simili parole, indirizzate a Pietro Antonio Diedo, si leggono nella dedica, a firma dello stampatore Giacomo Vincenti, delle Canzon di diversi per sonar [...> libro primo pubblicate a Venezia nel 1588; tra i frequentatori del palazzo di Antonio Zantani erano "gli eccellenti cantori e musici della compagnia de' Fabretti" nonché Girolamo Parabosco, Annibale Padovano, Claudio Merulo, Baldassarre Donato, Giulio Abondante dal Prestino (47); presso la residenza veneziana di Neri Capponi, gentiluomo fiorentino, Antonfrancesco Doni ebbe l'occasione di ascoltare la voce di "Polisena Pecorina [...> tanto virtuosa e gentile [...>; io ho udito una sera un concerto di violoni, et di voci, dov'ella sonava, et cantava in compagnia di altri spiriti eccellenti: il maestro perfetto della qual musica era Adriano Willaert [...>. Questo M. Neri dispensa l'anno le centinaia de ducati in tal virtù" (48).
Più tipica, forse, anche se un po' idealizzata nella migliore tradizione boccaccesca, è la situazione evocata ne Le piacevoli notti del letterato Giovan Francesco Straparola, che descrive gli intrattenimenti creati dagli stessi partecipanti durante le quattordici notti del carnevale 1536 all'incirca, allorché Ottaviano Maria Sforza, vescovo designato di Lodi, e sua figlia Lucrezia, recatisi a Venezia per godersi la stagione, prendono alloggio in un palazzo vuoto, dall'appartenenza non meglio precisata, sull'isola di Murano, dove invitano come partecipanti ai passatempi serali una decina di giovani donne di buona educazione e alcuni gentiluomini tra cui Antonio Bembo, Bernardo Cappello, Antonio Molino (suonatore di viola oltre che poeta) e Benedetto Trivigiano (anch'egli suonatore di viola) (49). Ebbene, se alcuni madrigaletti - sempre a detta di Straparola - sono cantati proprio dai due musicisti di professione, che però, in un caso, si accompagnano non alla viola ma al liuto (e comunque non sono cantanti di mestiere), altri sono cantati da cinque donne che s'accompagnano anch'esse ai loro strumenti (rispettivamente, nei tre casi documentati: i viola, 5 lironi, 5 generici "strumenti"), altri ancora da tre donne o da una donna sola (l'accompagnamento non viene precisato). Cantante-protagonista della decima serata è Bembo che, "non potendosi scusare, così soavemente cominciò, tacendo ciascuno" (50). Alcune danze sono accompagnate da flauti, liuti e/o viole, a volte suonati anch'essi da amatori.
Pur nell'impossibilità di dimostrare la concretezza storica degli avvenimenti descritti da Straparola - le sue serate si riallacciano ad una ormai lunga tradizione di invenzioni novellesche che non di rado accennano agli intrattenimenti musicali -, la tipologia sociale delle esecuzioni qui raccontate potrebbe trovare una conferma, ma in senso lato, nell'autobiografia di Lodovico Zacconi, laddove egli accenna alle sue attività didattiche (e a quelle, prima di lui, di Claudio Merulo) "insegnando [...> ad una giovine di ca' Grimani di cantare, e sonare che dovea andar monica" (51). Anche i dati ricavati dai tanti inventari di mobili ed altri oggetti ritrovati nelle case private, aristocratiche, cittadine e popolane, di Venezia (per il periodo 1525-1600 ne sono stati rinvenuti ben 130 in cui sono citati gli strumenti musicali) (52) fanno pensare a quanto dovessero essere frequenti le esecuzioni musicali da parte di dilettanti.
Tuttavia un'eloquente testimonianza della progressiva professionalizzazione del mestiere dell'esecutore, almeno in un settore, potrebbe trovarsi nei dati - pur scarsi ai fini statistici - riguardanti la famiglia dei liuti. Se, per gli anni 1525-1530, su un totale complessivo di 9 inventari contenenti riferimenti agli strumenti musicali, ben 8 fanno menzione di questo tipo di strumento; e se la situazione cambia poco negli anni immediatamente successivi (5 inventari su 8 per il quinquennio 1531-1535, 5 su 6 per il quinquennio 1541-1545: per il 1536-1540 i dati non sono statisticamente rilevanti); in seguito sembra intravedersi una progressiva riduzione delle presenze dei liuti negli ambienti privati: 6 inventari su 13 per il 1551-1555, 4 su 10 per il 1556-1560, 2 su 6 per il 1561-1565, 1 su 9 per il 1566-1570 (che contiene notizie su ben tre liuti, ma tutti vecchi e uno rotto), 2 su 17 per il 1571-1575 (per un totale di quattro liuti, di cui tre vecchi), ecc. Un analogo processo di professionalizzazione (o comunque miglioramento del livello medio di conoscenza tecnica) sembra caratterizzare il repertorio liutistico nella coeva stampa musicale (la quale, però, è mirata al pubblico veneziano sì, ma anche, e principalmente, a quello italiano ed europeo). Mentre le prime intavolature stampate (i due volumi di Francesco Spinacino pubblicati nel 1507, quelli di "Giovan Maria" nel 1508, di Franciscus Bossinensis nel 1509 e 1511, di Cara e Tromboncino nel terzo decennio del secolo) sono tutte corredate di una serie di "regula pro illis qui canere nesciunt", mentre 5 su 20 nuove pubblicazioni di intavolature per liuto comparse fra il 1546 e il 1549 contengono anch'esse delle regole per suonare, già le intavolature de Il Fronimo (1568) di Vincenzo Galilei sono apertamente indirizzate a musicisti di professione altamente specializzati e, in seguito, la relativa scarsità delle pubblicazioni di intavolature per liuto suggerisce un'effettiva difficoltà di diffusione di massa d'un repertorio ormai tecnicamente avanzato. (Ma non rientrano in questo schema le parole con cui Giacomo Franco presenta, ancora nel 1614, una sua incisione di gentildonna: "Oltre le tante, e rare virtù, che possedono le gentildonne venetiane per la maggior parte sogliono haver quella del suonar di lauto [...>" (53). Si deve pensare, forse, alla continuata presenza dilettantesca del liuto nelle esecuzioni di repertori "facili" e ben diffusi quali le canzonette, villanesche, ecc.?).
Del resto, Venezia, già nel Cinquecento, è la città per eccellenza dei musicisti di professione (e della specializzazione professionale in genere), rivaleggiata soltanto dalla Roma delle tante famiglie cardinalizie: in una parrocchia apparentemente del tutto "normale" come quella di S. Polo, per esempio, nel secondo Cinquecento su 584 capifamiglia caratterizzati in termini del preciso tipo di lavoro da essi svolto -il 70% circa, per un totale di ben 159 mestieri - si distinguono un musico, sei suonatori, un organista (54). Spicca anche il grado di organizzazione "sindacale" del lavoro. Nel 1553, i cantori di S. Marco si formarono in un'apposita compagnia (al posto dei due raggruppamenti precedentemente registrati), allo scopo di autoregolamento in occasione delle molte loro prestazioni professionali fuori della basilica ducale (nelle altre chiese e per conto delle Scuole grandi e piccole) e, presumibilmente, di autotutela nei confronti di ogni concorrenza esterna. Il loro statuto viene rinnovato nel 1579 e ancora nel 1601, ma nel 1613 il doge interviene su istanza della compagnia stessa per limitare l'autorità del vice maestro di cappella di S. Marco alle sole funzioni della basilica ducale (altro segno, forse, della sempre maggiore indipendenza del "privato" nei confronti delle istituzioni centrali); questa sorte, nel 1617, tocca anche al maestro di cappella Monteverdi, e nello stesso documento si legge della presenza, in seno alla compagnia, di non pochi cantori non compresi nella cappella ducale (il doge li esclude dalla compagnia, se non per integrare l'organico in casi di necessità) (55). Intanto, anche i "pifferi del doge" si organizzarono in modo analogo; ad essi, suddivisi in tre sezioni uguali chiamate a vicenda a partecipare alle feste principali, nel 1614 venne concesso di suonare "nelle chiese, come nelle scole grande in Venezia et fuori di Venezia". Operante da oltre un secolo, era inoltre l'"arte di sonadori"; essa, che riuniva tutti i suonatori della città, aveva la sua sede presso la chiesa di S. Silvestro (56).
L'aumentata presenza del musicista di professione è, poi, da mettersi in rapporto a ciò che è stato definito il vero tracollo, che si fa duro nel campo musicale a partire dal secondo decennio del Seicento, di quell'ideale cinquecentesco dell'armonia sociale - aristocratica - evocata, dilettantescamente, attraverso l'esecuzione musicale in corte, in accademia, in casa, ad opera di personalità rappresentanti l'esercizio di cultura e cavalleria come forme simboliche di esercizio del potere e dell'autorità, e l'affermarsi della musica come "arte pubblica, strumento dimostrativo favorito della dimensione autorevole (o autoritaria) che l'esercizio politico o religioso del potere invoca": arte d'effetto, non più esoterica, atta a colpire il grande pubblico ammirato (57). Ossia, a Venezia (come dappertutto), fallisce il madrigale e s'innesta, di lì a poco, il fenomeno dell'opera pubblica, pur usufruita dai soli ceti sociali più alti che, però, diventano dei veri e propri consumatori, sempre meno partecipanti diretti. Il rapido declino del madrigale, abbinato al generale crollo economico degli stessi anni, porta al suo definitivo tramonto l'editoria musicale veneziana (e, in grado minore, quella italiana in generale), che cala dal primato di 366 pubblicazioni raggiunto nel quinquennio 1586-1590 e ancora nel 1606-1610 alle 215 circa del 1621-1625, 180 circa del 1626-1630, 62 appena del 1631-1635 (anni, questi, in cui agli effetti della depressione economica si aggiungono quelli, disastrosi, della peste diffusasi in tutta l'Italia del Nord: per il 1631 non risulta neppure un'edizione stampata a Venezia) (58): la musica gira sempre maggiormente in forma manoscritta, proprietà di relativamente pochi professionisti, istituzioni o grandi mecenati, il cui numero è comunque troppo esiguo per permetterne la diffusione massiccia a mezzo stampa (e che, anzi, sembrano talvolta orientati a conservarne l'esclusività). Naturalmente, fra i repertori profano e sacro - destinato in prevalenza, quest'ultimo, all'uso delle cappelle ecclesiastiche costituite, per lo più, da musicisti di professione - intercorrono alcune differenze nei modi in cui si affermano le nuove correnti. Al modo tipicamente cinquecentesco di simboleggiare gerarchicamente la relativa importanza delle varie categorie di solennità religiose o solennizzazioni religiose di avvenimenti temporali, mediante il numero delle composizioni fatte eseguire, la presenza o meno di organisti e strumentisti accanto ai cantori, il numero complessivo degli esecutori in organico, il numero delle parti polifoniche costituenti i brani eseguiti - a S. Marco, per esempio, ai molti principi stranieri di poco conto, cui viene concesso di visitare il tesoro, ma senza alcuna dimostrazione di accoglienza in senso musicale, si contrappongono, fra gli altri, il duca di Nivers, ricevuto nel 1594 con "un pocho di musica con suono dell'organo", il nunzio pontificio portatore nel 1577 d'una Rosa d'oro, il cui arrivo diede luogo alla celebrazione di una messa "cantata solennemente dalla capella" (ma senza strumenti per non dargli quell'importanza che non gli appartiene), i cinque arciduchi accolti nel 1579 con l'esecuzione di tre brani affidati all'organo (il primo), ai "doi organi et sonatori, et li cantori" (il secondo e, forse, il terzo) - subentra la caratterizzazione delle singole occasioni attraverso l'impiego di stili diversi: la polifonia tradizionale, più volte favorita da Monteverdi nell'acquisizione di nuove composizioni per la cappella, adoperata soprattutto - ma non esclusivamente - per i giorni feriali e le feste liturgiche di rango inferiore; le grandi composizioni concertate, idonee per le più vistose delle feste liturgiche e per le grandi solennità occasionali (per esempio, il Te Deum fatto eseguire durante la messa solenne con cui, nel 1638, ad istanza dell'ambasciatore francese a Venezia, si festeggiava, nella chiesa di S. Giorgio Maggiore, la nascita del futuro re Sole); il mottetto solistico idoneo sì ad essere usato in tutte le occasioni, ma tanto più espressivo (come, per esempio, nell'esibizione del tenore Francesco Monteverdi, figlio di Claudio, durante la messa da requiem per Cosimo II de' Medici, fatta celebrare nel 1621, presso la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, dalla comunità fiorentina a Venezia), tanto più virtuosistico (come quella del cantore "sopranomato il Mantovano", forse di nuovo Francesco Monteverdi, durante il succitato festeggiamento del 1638) - insomma, tanto più professionalmente qualificato -, in corrispondenza agli avvenimenti più di spicco, che più debbono colpire i sensi di chi ascolta.
Quanto alle istituzioni, pur nel contesto degli sviluppi e delle tendenze cui si è già accennato, la cappella musicale della basilica di S. Marco mantiene incontrastata la sua egemonia istituzionale ed artistica a Venezia fino almeno al quarto decennio del Seicento (59). Essa infatti si sviluppa con tutte le caratteristiche di una grande cappella di Stato. Le sue dimensioni sono considerevoli: il maestro di cappella, i due organisti, la cappella dei cantori (che, calando dalle 29 unità elencate nel 1562 al punto più basso dei 13 cantori registrati nel 1589 e 1595, cresce poi in modo costante per arrivare ai 24 elementi documentati per il 1616 e ai ben 35 che compaiono nei libri-paga per il marzo-aprile 1643) (60), i cosiddetti "giovani di coro" (i quali avevano l'obbligo della maggior parte delle esecuzioni di canto liturgico), il gruppo degli strumentisti (che, dai 4 cornettisti e trombonisti assunti alle dipendenze della Basilica nel 1568, è cresciuto nel 1616 a ben 16 elementi fra archi e ottoni), il "capo dei concerti" (ossia degli strumentisti), i "pifferi del doge" (sei suonatori, forse anch'essi di cornetti e tromboni, che accompagnavano il doge in processione e che talvolta suonavano anche in chiesa). Ottime sono le condizioni di servizio: incarico "a vita" o comunque a lunga durata (sono davvero pochi i licenziamenti ricordati negli atti della procuratia), le tante possibilità di aumentare il proprio guadagno effettuando prestazioni straordinarie al servizio delle altre chiese, Scuole grandi e piccole e palazzi privati, la provvisione di una qualche pensione per la vecchiaia e, forse soprattutto, gli stipendi ragionevolmente alti (sono proprio questi che, non più reggendo il confronto con i guadagni offerti da alcune prestigiose cappelle straniere e dai teatri d'opera veneziani, determinano una vera crisi della cappella negli anni '50, tanto più nel contesto del notevolissimo aumento degli obblighi dei cantori avvenuto in seguito alla peste del 1630-1631). Ottimo, a partire dall'elezione nel 1527 del celebre Adriano Willaert all'incarico di maestro di cappella (parla da sé il suo trattamento finanziario, che dai 70 ducati annui alla data della sua assunzione viene aumentato, già nel 1529, a 100 e, pochi anni più tardi, a ben 200), il personale, che conta molti tra i nomi più celebri d'Europa: Jacques Buus (organista 1541-1550), Girolamo Parabosco (organista 1551-1557), Annibale Padovano (organista 1552-1565), Cipriano de Rore (maestro di cappella 1563-1564), Gioseffo Zarlino (maestro di cappella 1565-1590), Claudio Merulo (organista 1557-1584) Girolamo dalla Casa (cornettista, poi capo dei concerti 1567-1601), Andrea Gabrieli (organista 1566-1585), Giovanni Gabrieli (organista 1584-1612), Giovanni Bassano (capo dei concerti 1601-1617), Giovanni Croce (maestro di cappella 1603-1609), Claudio Monteverdi (maestro di cappella 1613-1643), Francesco Cavalli (organista 1639-1668, poi maestro di cappella). Quasi costante è la presenza della cappella musicale durante le funzioni liturgiche della messa e del vespro: manca il canto figurato nei soli giorni di giovedì e venerdì feriali. Quanto al repertorio, quell'immagine di esclusività che più si addice ad una grande cappella di Stato si definisce non solo per la secolarità d'un cerimoniale, d'una liturgia ducale, d'un canto liturgico di carattere davvero unico (61), accanitamente difesi dai responsabili della Chiesa e dello Stato contro la politica "centralizzante" della Santa Sede nei suoi sforzi di uniformare il rito sul modello tridentino, ma anche attraverso lo sviluppo di alcune singolarissime prassi di composizione ed esecuzione del repertorio polifonico cinquecentesco. Non proprio esclusivo, forse, ma abbastanza peculiare è il modo di eseguire a doppio coro - "quatuor cantores in uno choro, et reliqui omnes in altero" - i salmi vesperali nelle feste principali, basato, forse, su una più antica tradizione di esecuzione del relativo canto liturgico (62). Spostando l'attenzione sulle composizioni per grandi organici, eseguite in occasione delle più importanti cerimonie di carattere "politico-religioso" e nelle principali ricorrenze liturgiche, si può constatare non solo, forse, una certa precocità di sviluppo del repertorio veneziano rispetto agli altri centri italiani, ma soprattutto la tendenza a riallacciarsi stilisticamente al modello di alcune altre celebri cappelle di Stato (quella monacense dei duchi di Baviera, quella imperiale di Vienna). In alcuni dei testi prescelti per questo tipo di trattamento musicale si riscontrano, in modo più o meno esplicito, certi temi riconducibili a quell'immagine "mitica" di Venezia che mette in evidenza, tra l'altro, l'unitarietà di governo temporale e governo spirituale, con ricorso a temi quali l'origine divina della città, l'ispirazione divina delle sue leggi e delle sue costituzioni, la protezione speciale che essa riceve dall'alto, il carattere di razza prediletta del suo popolo (63). Eloquenti in tal senso sono, soprattutto, le composizioni degli anni '70, anni di fervida resistenza alle riforme tridentine e, come s'è detto, di rigida sorveglianza da parte degli organi centrali sull'organizzazione del momento celebrativo, pubblico. Un esempio per tutti: il mottetto a otto voci di Andrea Gabrieli, Benedictus Dominus Deus Sabaoth (64), che si riferisce con evidenza alla vittoria di Lepanto avvenuta nel 1571, caratterizza Venezia come erede di Sansone, Gedeone e, presumibilmente, l'intera tradizione del popolo eletto, ebreo ("Pugnavit Sanson, pugnavit Gedeon: vicit Sanson, vicit Gedeon. Pugnaverunt nostri in nomine Domini [...>"), ma anche come particolare benefattrice della divina provvidenza ("[...> pugnavit Dominus pro nobis, et vicit Dominus inimicos eius") e, infine, come messaggera di Dio, ad immagine di Cristo (attraverso l'evidente parallelismo tra le parole di apertura, "Benedictus Dominus Deus Sabaoth. Benedicti qui pugnant in nomine Domini" e il Sanctus/Benedictus della messa).
Mediamente meno sfarzosa si presenta la situazione quotidiana nelle altre istituzioni promotrici di esecuzioni musicali - le Scuole grandi e le altre confraternite, le chiese parrocchiali e dei religiosi, gli Ospedali - che però, come s'è detto, offrono notevoli possibilità di impiego e di sostentamento ai numerosissimi musicisti residenti in città: basti pensare ai ben 143 organi accreditati all'insieme delle chiese di Venezia da Thomas Coryate, viaggiatore inglese di passaggio a Venezia nel 1608 (65), oppure agli 8-9 cantori (divisi fra veri musicisti di professione e, forse, confratelli bisognosi) e 4-6 suonatori che trovano impiego, per quasi tutto il periodo, presso ciascuna delle sei Scuole grandi (66). Sulle attività musicali nelle chiese si dispone, in base alle più recenti ricerche, di una discreta documentazione. Jean Baptiste du Val, segretario dell'ambasciatore francese a Venezia, assistette il 25 marzo 1608 - festa dell'Annunciazione - ad una Messa celebrata nella chiesa francescana dei Frari, cui parteciparono "trombones, espinettes, basses de violles, dessus de viollons, luths et haults bois"; l'anno successivo, durante la compieta, egli osserva la presenza nella chiesa di "deux jeux d'orgues portatifs, [...> trombones, luths, theorbes, cornets a bouquins et basses de violon" (67). Dai frontespizi e dalle dediche di alcune pubblicazioni musicali si ricavano i nomi di sei maestri di cappella dei Frari (di non poco conto) - Antonino Barges (1550), Lodovico Balbi (1576, 1578), Orazio Colombani (1587, 1588, 1590), Giulio Belli (1595, 1606), Alvise Balbi (1606), Giacomo Finetti (1613-1630) -, conosciuti anche per la loro attività presso il duomo di Treviso, il primo, e la basilica del Santo di Padova, gli altri. Inoltre, i frontespizi documentano la presenza di maestri di cappella presso le chiese di S. Marciliano (Francesco Guami, 1592), S. Maria della Carità (Agostino Corona, 1579), S. Pietro di Castello (Simone Balsamino, 1594), SS. Giovanni e Paolo (Ippolito Ciera, 1561). Sono conosciuti i nomi di alcuni organisti in carica presso le chiese di S. Spirito (Florentio Mascara, 1557; Girolamo Lamberti, 1580), S. Geremia (pre Francesco Bebba, 1541-1547; Andrea Gabrieli, 1555-1557), S. Salvatore (ser Antonio, 1557), S. Francesco della Vigna (ser Vincenzo, 1557), S. Pantalon (ser Battista, 1557), S. Iseppo (pre Mambrian, 1557), S. Marcuola (Girolamo Vicentino, 1549-1563), S. Pietro di Castello (Paolo Giusti, 1586 circa), S. Stefano (Vincenzo Bellaver, 1585; Carlo Milanuzzi, 1622-1643), SS. Giovanni e Paolo (Francesco Cavalli, 1620-1630), S. Maria dei Frari (Giovanni Picchi, 1606-1643), di Murano (Tommaso de Verdellis, 1557; Marcantonio Mazzone, 1593). Lodovico Zacconi è attivo presso la chiesa di S. Stefano nei primi anni '80 (68), e Gregorio Zucchini a S. Giorgio Maggiore da non più tardi del 1602 a prima del 1616. Ciò che stupisce, però, è la massiccia presenza delle compagnie di cantori, e anche di strumentisti, presso le chiese parrocchiali e monastiche in occasione delle feste principali di tali chiese -soprattutto in corrispondenza delle ricorrenze dei santi titolari - e delle confraternite ad esse legate, per un totale d'un centinaio di presenze all'anno inequivocabilmente documentate (ma, se nel 1598 una convenzione fra la Scuola della Beata Vergine della Cintura e gli agostiniani di S. Stefano stabilisce, circa la celebrazione della festa della Scuola, il diritto dei confratelli, a fronte di ogni eventuale obiezione da parte dei monaci, di "poter tuor cantori et sonatori come è consueto, et uso della città", questo numero andrebbe notevolmente incrementato) (69).
Quanto alle Scuole grandi, i loro musicisti avevano l'obbligo di intervenire in occasione dei funerali (i soli cantori più modesti), come anche di "tutte le prime dominiche de tutti li mesi messa granda et procession; [...> tutte le procesion ordinate per la Illustrissima Signoria; le visittacion delle Schuole Grande, a tutte le sue feste" (i musicisti di professione) (70). Negli ultimi due casi, le esecuzioni potevano assumere un non trascurabile rilievo artistico-cerimoniale. Due esempi per tutti. Nel 1598, per la processione in festeggiamento della pace tra Francia e Spagna, ordinata dalla signoria, le Scuole grandi e piccole contribuirono, fra i tanti carri allegorici, uno con "un maraviglioso, et nobilissimo concerto di liuti", un altro con "cinque valenti musici, che cantavano", un altro ancora con "quattro figliuoli, che cantavano musicalmente", un quarto "con tre giovani, che sonavano uno con spinetta, l'altro con viola da gamba, e l'ultimo con violino" (71). Nel 1608, presso la Scuola grande di S. Rocco, in occasione della festa del santo patrono ebbe luogo un concerto di ben tre ore, eseguito da quattro cornetti, dieci tromboni, un violino, due viole da gamba, sette organi positivi e un numero imprecisato di cantori (72). E però, nel 1622, proprio in corrispondenza della grande crisi economica, la musica per questa festa - eseguita, secondo la consuetudine, dai cori uniti di tutte le Scuole - viene a mancare del tutto. Nel 1627, di nuovo, la musica per la festa di S. Rocco si avvale dei servizi dell'intera cappella musicale di S. Marco, due gruppi di strumentisti, i quattro cantori della Scuola, cinque organisti e altri 24 musicisti tra cantori e strumentisti (73), ma nel 1630, anno della peste che tanto nuoceva al proprio santo protettore, la Scuola licenzia la sua cappella musicale. Se, in seguito, un po' le Scuole si riprendono, gli stipendi percepiti dai musicisti sono calati notevolmente; il livello delle esecuzioni musicali è ben inferiore di quello di una volta.
3. Per una descrizione della visita, cf. ibid., LVII, a cura di Guglielmo Berchet - Nicolò Barozzi - Marco Allegri, Venezia 1902, coll. 104-120. Sul mottetto, che compare in Adrian Willaert, Musica quinque vocum [...> liber primus, Venetia 1539, e sulla sua collocazione cerimoniale, cf. Albert Dunning, Die Staatsmotette, 1480-1555, Utrecht 1970, pp. 284-289.
4. Marino Sanuto, I diarii, LVIII, a cura di Guglielmo Berchet - Niccolò Barozzi - Marco Allegri, Venezia 1903, coll. 182-183.
5. Sulla visita cf. Modena, Archivio di Stato, Cancelleria estera: ambasciatori a Venezia, b. 18, lettere in data 10 e 28 marzo, 16, 21 e 27 aprile, 6 e 12 maggio 1534.
6. Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, Venetia 1581, p. 152.
7. Cf. Anonimo, La venuta della Serenissima Bona Sforza et d'Aragona reina di Polonia [...> nella magnifica città di Padova, [...> con l'entrata nella inclita città di Vinegia il dì 26 aprile 1556, Vinegia 1556, pp. [11-12>; cf. anche il dispaccio dell'ambasciatore mantovano Lodovico Nelli, in data 3 maggio, al suo padrone (Mantova, Archivio di Stato, Carteggio estero, carteggio ad inviati, b. 1489).
8. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. cl. III. 172 (= 2276), il Rituum ecclesiasticorum cerimoniale della basilica di S. Marco compilato nel 1564 dal maestro di cerimonie Bartolomeo Bonifacio, c. 95r.
9. Per la cronaca del soggiorno cf. la relazione di anonimo intitolata La intrata de Sua Ecc. in Ven.a, ms. in Modena, Archivio di Stato, Archivio segreto estense, carteggio estero (ambasciatori a Venezia), b. 51. Il mottetto di Zarlino compare nel Primo libro de gli eterni mottetti di Orlando Lasso, Cipriano Rore, et d'altri [...> musici a 5. et a 6. voci, Venetia 1562.
10. Lodovico Dolce, Marianna tragedia [...> recitata in Vinegia nel palazzo dell'Eccellentiss. S. Duca di Ferrara, Vinegia 1565.
11. Cf. Anonimo, Il bellissimo et sontuoso trionfo fatto nella magnifica città di Venetia, nella publicatione della Lega, s.l. (ma Brescia) 1571, p. 3.
12. Rocco Benedetti, Ragguaglio delle allegrezze, solennità, e feste fatte in Venetia per la felice vittoria, Venetia 1571, p. [8>.
13. Ibid., pp. [13-14>; Raffaello Thoscano, Le feste et trionfi de li honorati mercanti della seta, con il superbo apparato fatto in Rialto Nuovo. Per l'allegrezza della vittoria, ottenuta contra Turchi, Venezia 1571, strofa 10.
14. Cf. Angelo Solerti, Le rappresentazioni musicali a Venezia dal 1571 al 1605 per la prima volta descritte, "Rivista Musicale Italiana", 9, 1902, pp. 509-510 (pp. 503-558).
15. Cf. Ordine et dichiaratione di tutta la mascherata fatta nella città di Venetia la domenica di carnevale MDLXXI per la gloriosa vittoria contra Turchi, Venetia 1572. Tra la musiche eseguite in quest'occasione fu un madrigaletto a quattro voci di Andrea Gabrieli - Asia felice hor ben posso chiamarmi - pubblicato tra i suoi Madrigali e ricercari a quattro voci, Venetia 1589.
16. Rocco Benedetti, Le feste et trionfi fatti dalla [...> Signoria di Venetia nella felice venuta di Henrico III, Venetia 1574; Tommaso Porcacchi, Le attioni di Arrigo terzo re di Francia [...> descritte [...>: nel quale si raccontano [...> le feste, con le quali è stato ricevuto in Venetia, Venetia 1574.
17. A.S.V., Collegio, Cerimoniali, I, c. 48r.
18. Ibid., c. 51 r.
19. Ibid., c. 76v, per le feste ordinate dallo Stato; sul banchetto in Ca' Cappello, cf. Firenze, Archivio di Stato, Archivio mediceo 2986 (lettere di Ottaviano Abbioso residente fiorentino a Venezia: anni 1578-1579), cc. 143v-144r (lettera in data 4 luglio 1579).
20. Sulla messa, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. cl. III. 172 (= 2276), c. 102r; sugli intrattenimenti musicali durante i pasti, A.S.V., Commemoriali, reg. XXIV, c. 76v.
21. A. Solerti, Le rappresentazioni, pp. 512-519.
22. Sulla messa, A.S.V., Collegio, Cerimoniali, I, c. 101v; sugli intrattenimenti durante i pasti, cf. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. it. cl. VII. 393 (= 8647), c. 211v.
23. Francesco Sansovino - Giovanni Stringa, Venetia città nobilissima et singolare, Venetia 1604, c. 306r. Si tratta di uno dei numerosissimi aggiornamenti rispetto alla prima edizione, introdotti dal canonico marciano Giovanni Stringa.
24. A. Solerti, Le rappresentazioni, pp. 520-553. Cf. anche Jonathan Shiff, Are the Grimani Banquet Plays "Rappresentazioni Musicali"? A Reappraisal, "Studi Musicali", 19, 1990, pp. 71-89.
25. Dario Tutio, Ordine et modo tenuto nell'incoronazione della [...> Morosina Grimani dogaressa, Venetia 1597, pp. 16-18.
26. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. it. cl. VII. 553 (= 8812), p. 176.
27. Anna Laura Bellina - Thomas Walker, Il melodramma: poesia e musica nell'esperienza teatrale, in AA.VV., Storia della cultura veneta, 4/I, Il Seicento, Vicenza 1983, p. 413 (pp. 409-432).
28. Ibid., p. 413.
29. Giulio Cesare Vergaro, Racconto dell'apparato, et solennità fatta nella Ducal Chiesa de San Marco di Venetia [...> li 28 maggio 1617, Venetia 1617, pp. 6-13.
30. Giulio Strozzi, Esequie fatte in Venetia dalla Natione Fiorentina al Ser.mo D. Cosimo II, Venetia 1621, pp. 19-20.
31. Per il testo musicale cf. Claudio Monteverdi, Madrigali guerrieri ed amorosi con alcuni opuscoli in genere rappresentativo [...> libro ottavo, Venetia 1638, n. 13 dei "Canti guerrieri".
32. Luca Zoppelli, Il rapto perfettissimo: un'inedita testimonianza sulla "Proserpina" di Monteverdi, "Rassegna Veneta di Studi Musicali", 2-3, 1986-1987, pp. 343-345.
33. James H. Moore, "Venezia favorita da Maria": Music for the Madonna Nicopeia and Santa Maria della Salute, "Journal of the American Musicological Society", 37, 1984, pp. 319-321 (pp. 299-355).
34. Ibid., pp. 320-322.
35. Ibid., pp. 320, 323-326.
36. Benedetto Ferrari, L'Andromeda [...> rappresentata in musica in Venetia l'anno 1637, Venetia 1637 (libretto).
37. Fausto Ciro, Venetia festiva, Venetia 1638, pp. 22-37.
38. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. cl. III. 172 (= 2276), c. 83v.
39. Ivi., ms. it. cl. VII. 393 (= 8647), c. 211v.
40. Giacomo Franco, Habiti d'huomeni et donne venetiane con la processione della Ser.ma Signoria et altri particolari cioè trionfi, feste et cerimonie publiche della nobilissima città di Venetia, Venetia [1610>.
41. T. Porcacchi, Le attioni, c. 34r.
42. A. L. Bellina - T. Walker, Il melodramma, p. 429.
43. Cf., rispettivamente, F. Sansovino - G. Stringa, Venetia città nobilissima, cc. 211r-212v, e Domenico Vincenti, Gli apparati veneti ossia Le feste fatte nell'e-lezione a Procuratore dell'Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Giovanni da Pesaro cavalier, Venetia 1641, pp. 38-51.
44. Firenze, Archivio di Stato, Carteggio ambasciatori (Venezia), f. 3022, dispaccio in data 29 giugno 1641. Si ringrazia John Whenham per la segnalazione di questo documento, così come di quelli citati alla n. 45.
45. Mantova, Archivio di Stato, Carteggio estero, carteggio ad inviati, b. 1555, lettere in data 28 gennaio e 4 febbraio 1623.
46. L. Zoppelli, Il rapto perfettissimo.
47. Ulteriormente su Zantani come mecenate di musica e musicisti cf. Rebecca Edwards, An Expanded Musical and Social Context for Andrea Gabrieli: New Documents, New Perspectives, in Andrea Gabrieli e il suo tempo: Atti del convegno internazionale (Venezia, 16-18 settembre 1985), a cura di Francesco Degrada, Firenze 1987 ("Studi di musica veneta", 11), pp. 55-56 (pp. 43-57), che riporta Orazio Toscanella, I nomi antichi e moderni delle provincie, regioni, città, castelli, monti, laghi, etc., Venetia 1567.
48. Alfred Einstein, The Italian Madrigal, I, Princeton 1949, p. 198, che cita dalle lettere di Antonfrancesco Doni.
49. Giovanni Francesco Straparola, Le piacevoli notti, I, Venetia 1550; II, Venetia 1553, ediz. moderna a cura di Giuseppe Rua, Bari 1927 (Scrittori d'Italia, 97-98); sugli intrattenimenti musicali descritti da Straparola cf. Cathy Ann Elias, Musical Performance in 16th-Century Italian Literature: Straparola's "Le piacevoli notti", "Early Music", 17, 1989, pp. 161-173.
50. G. F. Straparola, Le piacevoli notti, a cura di G. Rua, p. 123.
51. Lodovico Zacconi, Vita con le cose avvenute, in Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 563, c. 63v.
52. Stefano Toffolo - Gastone Vio, La diffusione degli strumenti musicali nelle case dei nobili, cittadini e popolani nel XVI secolo a Venezia, "Il Flauto Dolce", 17-18, 1987-1988, pp. 33-40.
53. Giacomo Franco, La città di Venetia con l'origine e governo di quella, Venetia [1614>.
54. Cf. Gino Benzoni, Venezia al tempo d'Andrea Gabrieli, in Edizione nazionale delle Opere di Andrea Gabrieli [1533> - 1585, Introduzione storico-critica, I, Gli anni di Andrea Gabrieli, biografia e cronologia, a cura di Id. - David Bryant - Martin Morell, Milano 1988, p. 20 (pp. 19-31).
55. A.S.V., Cancelleria inferiore, reg. 80 (atti del doge, 1615-1623), cc. 64-68, citato in James H. Moore, Vespers at St Mark's: Music of Alessandro Grandi, Giovanni Rovetta and Francesco Cavalli, I, Ann Arbor 1981, pp. 250-252.
56. Ibid., pp. 79-82.
57. Lorenzo Bianconi, Il Seicento, Torino 1982 (Storia della musica, 4), pp. 27-32.
58. Angelo Pompilio, Editoria musicale a Napoli e in Italia nel Cinque-Seicento, in Musica e cultura a Napoli dal XV a XIX secolo, a cura di Lorenzo Bianconi - Renato Bossa, Firenze 1983, pp. 79-102. Sull'editoria musicale veneziana nel Cinquecento cf. Mary S. Lewis, Antonio Gardano, Venetian Music Printer, 1538-1569, I-IV, New York 1988; e Jane A. Bernstein, Girolamo Scotto and the Venetian Music Trade, in Trasmissione e recezione delle forme di cultura musicale (Atti del XIV congresso della Società Internazionale di Musicologia, Bologna 1987), a cura di Lorenzo Bianconi - F. Alberto Gallo - Angelo Pompilio - Donatella Testani, I (Round Tables), Torino 1990, pp. 295-305.
59. Più in dettaglio sulla storia e sulla struttura della cappella musicale di S. Marco cf. Giulio Ongaro, The Chapel of St Mark's under Adrian Willaert (1527-1562): a Documentary Study, tesi di dottorato, Chapel Hill 1986; Id., The Chapel of St Mark's under Adrian Willaert, "Early Music History", 7, 1987, pp. 128-176; J. H. Moore, Vespers at St Mark's, I.
60. Il calo di fine secolo, mentre illustra un'effettiva riduzione dell'organo salariato, è in gran parte compensato dal ricorso che si ebbe, in occasione delle più grandi ricorrenze liturgiche e cerimonie di Stato, all'impiego straordinario di molti cantori e strumentisti; in ogni caso, i 29 avevano cantato insieme alla sola messa del sabato e, su richiesta del maestro di cappella, a quelle delle feste principali in presenza del doge.
61. Giulio Cattin, Musica e liturgia a S. Marco, Venezia 1990.
62. David Bryant, The "Cori Spezzati" of St Mark's: Myth and Reality, "Early Music History", I, 1981, pp. 65-87; James H. Moore, The "Vespero delli Cinque Laudate" and the Role of "Salmi Spezzati" at St Mark's, "Journal of the American Musicological Society", 34, 1981, pp. 249-278.
63. David Bryant, Liturgia e musica liturgica nella fenomenologia del "mito di Venezia", in Mitologie, a cura di Giovanni Morelli, Venezia 1979, pp. 205-214.
64. In Concerti di Andrea, et di Gio. Gabrieli, Venetia 1587, p. 20.
65. Thomas Coryate, Crudities, Hastily Gobled Up in Five Moneths Travells in France, Savoy, Italy, Rhetia [...>, London 1611, pp. 251-253.
66. In generale sulle Scuole, cf. Jonathan Glixon, Music at the Venetian Scuole Grandi 1440-1540, in Music in Medieval and Early Modern Europe, a cura di Iain Fenlon, Cambridge 1981, pp. 193-208; Id., Music at the Scuole in the Age of Andrea Gabrieli, in Andrea Gabrieli e il suo tempo: Atti del convegno internazionale (Venezia 16-18 settembre 1985), a cura di Francesco Degrada, Firenze 1987 (Studi di musica veneta, 11), pp. 59-74.
67. Jean Baptiste du Val, Les remarques triennales, Paris, Bibliothèque Nationale, ms. fr. 13977, cc. 86r, 274v.
68. L. Zacconi, Vita, c. 63v.
69. A.S.V., Provveditori di Comun, reg. U, p. 444. Si ringrazia Elena Quaranta per la segnalazione di questo documento. In generale sulle attività musicali nelle chiese di Venezia - organizzazione, personale, compagnie di giro, prassi musicali - cf., della stessa, Le consuedudini musicali delle chiese "minori" a Venezia nel Rinascimento, tesi di laurea di prossima presentazione presso l'Università degli Studi di Pavia, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale.
70. A.S.V., Scuola Grande di S. Rocco, 2a consegna, reg. 720, c. 11v, in data 28 dicembre 1553, citato in J. Glixon, Music at the Scuole, p. 64.
71. F. Sansovino - G. Stringa, Venetia città nobilissima, pp. 434-438.
72. T. Coryate, Crudities, pp. 251-252.
73. Denis Arnold, Francesco Cavalli: Some Recently Discovered Documents, "Music and Letters", 66, 1965, pp. 53-54 (pp. 50-55).