Musical
Quando la vita è tutta in musica
Spettacolo musicale – teatrale, cinematografico o televisivo – che prevede l’utilizzo di musica, dialoghi (parlati e cantati) e danze, il musical si afferma negli Stati Uniti tra il 19° e il 20° secolo. È indiretto discendente dell’operetta europea, dalla quale si differenzia non solo per il ricorso a materiale musicale popolare e per l’ampio uso di recitativi non accompagnati dalla musica, ma soprattutto per la sua costante aderenza alla realtà sociale americana, anche in presenza di riferimenti storici o letterari
Il musical deriva per vie traverse dall’operetta europea, intreccio di canto lirico con numeri brillanti e canzoni popolari, che ebbe il suo momento di maggiore successo nella seconda metà dell’Ottocento – specie in Francia con Jacques Offenbach e in Austria con Johann Strauss II – e che aveva trovato a sua volta origine nelle commedie teatrali settecentesche dell’inglese John Gay, animate da satira, canzoni popolari e composizioni colte riscritte a uso del grande pubblico. L’operetta giunse negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento come forma di intrattenimento per l’emergente classe media newyorkese che disdegnava gli spettacoli scollacciati e volgari dei teatri della zona della Bowery, ma si sentiva anche esclusa dagli ambienti aristocratici dell’opera lirica.
L’antesignano del musical fu lo spettacolo teatrale di Broadway The black Crook (1866), feuilleton fantastico a lieto fine liberamente ispirato al Faust di Wolfgang Goethe, con parti recitate e cantate e un imponente corpo di ballo femminile con funzioni di coro.
Negli anni Ottanta dell’Ottocento Ned Harrigan e Tony Hart contribuirono invece a definire una farsa musicale dai toni popolari che per la prima volta aveva come sfondo la New York contemporanea, mentre in Inghilterra un’altra coppia di autori, William Gilbert e Arthur Sullivan, creava spettacoli di enorme successo, come Il mikado (1885). Nel 1903 lo scrittore Frank L. Baum adattò per le scene il suo libro Il mago di Oz, produzione ricca di effetti speciali che anticipava il musical maturo.
Ispirandosi alla rivista parigina delle Folies Bergère, il produttore Florenz Ziegfeld tra il 1907 e il 1932 diede vita alle Ziegfeld Follies.
Fondatore del nuovo genere musicale può essere considerato l’irlandese Victor Herbert, giunto a New York nel 1886 e attivo in decine di musical per oltre un trentennio. La centralità dell’elemento musicale nell’economia del musical si deve a Jerome Kern, che – a partire dalla seconda metà degli anni Dieci – avvicinò le trame lineari dei musical al vissuto quotidiano dei newyorkesi, e a Irving Berlin, che con Watch your step (1914) introdusse i ritmi sincopati del ragtime nell’immaginario della musica popolare statunitense.
A partire dagli anni Venti si imposero compositori come Richard Rodgers (in coppia con il paroliere Lorenz Hart), George Gershwin (coadiuvato dal fratello Ira come paroliere) e Cole Porter, che portarono le commedie musicali a un livello di altissima qualità, introducendo sofisticati arrangiamenti jazz.
Nel 1927 andò in scena uno dei più grandi successi di tutti i tempi, Show boat, con musiche di Kern su un libretto di Oscar Hammerstein II. Nello stesso anno la casa di produzione cinematografica Warner Bros sperimentò con successo per la prima volta il cinema sonoro con un riuscito tentativo di musical per il grande schermo, The jazz singer, interpretato da Al Jolson. Fu l’inizio di un felice matrimonio che dura fino ai giorni nostri e che vide produzioni nate per il teatro approdare poi nelle sale cinematografiche e in seguito anche sul piccolo schermo.
Negli anni Trenta Broadway si pose come antidoto alle amarezze della Grande depressione. I Gershwin allestirono Porgy and Bess nel 1935 (colto tentativo di fondere opera, musical e jazz), Rodgers e Hart presentarono Babes in arms due anni dopo, mentre Ole Olsen e Chuck Johnson lanciarono il folle Hellzapoppin nel 1938.
In quegli anni avvenne un’autentica rivoluzione nel genere. Il musical cambiò faccia: se prima era un semplice canovaccio legato da canzoni, da allora la struttura narrativa assunse maggior peso e le parti cantate divennero parte integrante di impianti narrativi più elaborati, con personaggi di maggiore spessore psicologico. Nacquero anche nuove professionalità, come nel caso dei coreografi e dei direttori di scena, ma soprattutto dei produttori esecutivi, ai quali spettava il compito di reperire e gestire i sempre maggiori finanziamenti necessari all’allestimento del musical.
A completamento di questa trasformazione, tra la metà degli anni Venti e la metà degli anni Trenta, il musical trovò nuovi veicoli di diffusione nei dischi, che sostituirono definitivamente gli spartiti come strumento di riproduzione, e nella radio, che ormai raggiungeva ogni angolo degli Stati Uniti e dell’Europa. Ma il mezzo più importante fu sicuramente il cinema sonoro, quando il mondo di Hollywood iniziò ad assumere i migliori talenti di Broadway trasponendo sul grande schermo successi già sperimentati in teatro o creandone di nuovi.
Negli anni Quaranta gli strascichi della Grande depressione continuarono a imporre a librettisti e musicisti toni leggeri e leggerissimi, ma, una volta entrati gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale nel 1941, prese piede il musical a sfondo patriottico, come This is the army di Irving Berlin. Fu tuttavia un dramma sentimentale a decretare l’inizio della stagione aurea dei musical nel 1943; il lavoro era Oklahoma di Rodgers e Hammerstein che diedero coesione alla trama integrando musiche e danze nel vivo del contesto narrativo.
Gli anni Cinquanta videro il musical misurarsi con la commedia brillante, come in My fair lady (1956) su musiche di Frederick Loewe e parole di Alan Jay Lerner, e con le istanze sociali di una società in veloce mutamento, mentre nel 1957 West side story di Leonard Bernstein – su testo di Arthur Laurents e parole di Stephen Sondheim – fece rivivere, nella moderna chiave di uno scontro tra bande rivali, il Romeo e Giulietta di William Shakespeare.
Leggerezza della comicità e ambizioni realistiche continuarono a essere i tratti caratteristici del genere negli anni Sessanta, quando il musical perpetuò il ruolo di mero intrattenimento leggero come dimostrano l’enorme successo di diversi lavori andati in scena nel 1964: Hello, Dolly! di Jerry Herman e Michael Stewart; Funny girl con musiche di Jule Styne; e la produzione Disney Mary Poppins, musicata dai fratelli Richard e Robert Sherman. Tuttavia il musical fotografava anche gli eventi del decennio della contestazione con Hair (1968), una produzione off Broadway, estranea al grande circuito dei musical, che suscitò forte impressione per il suo liberatorio messaggio pacifista e che inaugurò l’era dei musical rock insieme a Jesus Christ superstar (1971) con musiche di Andrew Lloyd Webber e testi di Tim Rice.
Il musical compiva un passo introspettivo in A chorus line (1975) con musiche di Marvin Hamlisch su testo di Nicholas Dante e James Kirkwood e versi di Edward Kleban. In questo lavoro la riflessione sui meccanismi del successo e dell’ambizione conduce a un’ulteriore evoluzione del genere, quella del concept musical, basato su uno psicodramma. Lo stesso filone continuò nell’autobiografico All that jazz (1979) di Bob Fosse, curatore nel 1972 della riduzione cinematografica di Cabaret (1966) su testi di Fred Ebb e musiche di John Kander.
Alcune tra le produzioni più prestigiose a partire dagli anni Ottanta e fino ai giorni nostri sono state europee: Andrew Lloyd Webber ha curato Evita (1979), biografia teatrale di Eva Perón, Cats (1982) da Old Possum’s book of practical cats del poeta Th. S. Eliot, e The phantom of the Opera (1988); mentre i francesi Claude-Michel Schoenberg e Alain Boubil hanno firmato l’adattamento di Les misérables (1987), tratto dal romanzo di Victor Hugo, e Miss Saigon (1998), rilettura dell’opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini ambientata durante la guerra in Vietnam.
Negli anni Ottanta e Novanta caratteristiche degli spettacoli europei sono stati il gigantismo delle produzioni e l’utilizzazione di effetti speciali meccanici dal vivo. È il modo per il musical di sopravvivere allo strapotere della televisione e del cinema in un periodo in cui il teatro subisce una brusca battuta d’arresto in termini di afflusso di spettatori. Più di recente, gli Stati Uniti sono tornati alla loro posizione egemone con i musical animati della Disney, Beauty and the beast (1994) e The Lion King (1997), e con i musical cinematografici Moulin rouge, diretto da Baz Luhrmann (2001) e Chicago (2002), diretto da Rob Marshall, tratto dall’omonimo musical di Bob Fosse del 1975.