Mutamento socioculturale
La sociologia è nata come studio del mutamento sociale e culturale. I fondatori della sociologia - Auguste Comte, Herbert Spencer, Karl Marx, Max Weber, Émile Durkheim - cercavano di comprendere l'ascesa e il trionfo della modernità: la trasformazione epocale della società e della cultura europee verificatasi col passaggio da forme tradizionali di tipo agrario a un ordinamento capitalistico urbano e industriale. A questo scopo tali autori avevano sviluppato due potenti immagini: l'idea delle società come sistemi simili a organismi, e l'idea di una evoluzione continua di tali sistemi, modellata sul processo della crescita organica (v. Nisbet, 1969). Entrambe le immagini erano strettamente legate all'assunto assiologico che il cambiamento comporti un miglioramento. La fede nel progresso della società umana costituiva il terzo pilastro di quello che sarebbe divenuto il paradigma dominante nello studio delle dinamiche sociali. Per più di un secolo la maggior parte delle teorie del mutamento sociale - l'evoluzionismo, il neoevoluzionismo, il materialismo storico marxiano, la teoria della modernizzazione, la teoria della società postindustriale e altre ancora - sono state formulate nei termini di questo paradigma.
Il XX secolo è stato testimone di una serie di mutamenti nella sfera socioculturale senza precedenti per portata e rapidità, ma raramente tali mutamenti hanno seguito il modello previsto dalle teorie dominanti. La nozione di progresso divenne estremamente problematica e fu rimpiazzata dall'idea di una crisi cronica (v. Alexander e Sztompka, 1990). L'idea di evoluzione venne contraddetta dall'esperienza di improvvise inversioni di tendenza, di reazioni violente, di effetti collaterali inaspettati e di limiti prevedibili alla crescita. La fiducia nei confronti di sistemi solidi e persistenti fu minata da conflitti endemici, da fenomeni di disgregazione e di sfacelo, che spesso creavano profonde spaccature nella società. I tre pilastri del paradigma basato sulle nozioni di sistema, di evoluzione e di progresso si andavano dunque sgretolando.
Il vero e proprio cambiamento di paradigma nella sociologia del mutamento socioculturale si verifica alla fine del XX secolo. Le società non sono più viste come sistemi reificati, bensì piuttosto come reticoli fluidi di azioni interrelate, come campi socioculturali di varia estensione che si contraggono e si espandono. Le trasformazioni di tali campi non sono più concepite come uno sviluppo lineare, bensì come un emergere contingente o un divenire sociale: ovvero come un processo di costruzione attiva di culture e società da parte dei membri di queste ultime, nelle condizioni create dai precedenti sforzi costruttivi - sia di loro stessi che dei loro predecessori. L'esito di questi sforzi, il mondo sociale che emerge ('diviene'), non è necessariamente improntato al progresso; vi è al più una possibilità di progresso. Il risultato dipende interamente dalle decisioni e dalle scelte umane, e, ne siano o meno consapevoli, gli individui sono posti di fronte a una determinata gamma di opzioni alternative.
L'attenzione dei sociologi si incentra ora sugli agenti umani: le nozioni di campo socioculturale, di divenire sociale e di opzioni contingenti degli agenti rappresentano i tre fondamenti del nuovo paradigma (v. Sztompka, 1994). Una serie di teorie sono già state elaborate all'interno di tale schema concettuale: la teoria della figurazione di N. Elias, la teoria della strutturazione di A. Giddens, la teoria della morfogenesi di M. Archer, la dottrina storicistica di A. Touraine, la teoria del divenire sociale di P. Sztompka e altre ancora.
La configurazione delle società future, nella prospettiva del nuovo paradigma, dipende interamente dagli attori umani, che agiscono individualmente o collettivamente in base ai loro ideali e alle loro conoscenze. Un elemento cruciale di tali conoscenze è la comprensione del mutamento sociale e dei suoi meccanismi causali: l'accurata valutazione delle opzioni, la corretta percezione delle condizioni in atto, la visione realistica di ciò che è possibile e di ciò che non lo è, di ciò che può o non può essere fatto. Di conseguenza la sociologia del mutamento sociale può influenzare in misura significativa le direzioni effettive che seguirà il mutamento, ed è per questa ragione che tale campo di studi assume una grande importanza non solo al livello accademico, ma anche sul piano pratico.
I concetti impiegati nello studio del mutamento sociale sono derivati da entrambi i paradigmi descritti. Gran parte di essi ha le sue radici nel paradigma evoluzionistico tradizionale; alcuni acquistano un significato diverso nel nuovo paradigma, e nuovi concetti sono stati introdotti dai sostenitori del paradigma costruttivista. Nel loro complesso essi ci forniscono l'apparato concettuale, il linguaggio in cui formulare una riflessione sociologica sul mutamento sociale.
Il concetto basilare è ovviamente quello di mutamento sociale, che è stato sviluppato nel contesto dell'analogia sistemico-organica caratteristica degli autori classici. La nozione di sistema organico denota una totalità complessa, che si compone di una molteplicità di elementi uniti da varie interrelazioni e separati dall'ambiente esterno da un confine. Gli organismi sono esempi evidenti di sistemi, ma tali sono anche le molecole, i pianeti, le galassie. Una nozione tanto generalizzata può essere applicata alla società umana a vari livelli di complessità. Al macrolivello l'intera società (l'umanità) può essere concepita come un sistema; al mesolivello gli Stati nazionali, le alleanze regionali di tipo politico o militare possono essere visti anch'essi come sistemi; al microlivello le comunità locali, le associazioni, le aziende, le famiglie o i vicinati possono essere trattati come sistemi su scala ridotta. Anche segmenti della società qualitativamente distinti come l'economia, la politica e la cultura possono essere descritti in termini sistemici. Così come viene impiegata dagli esponenti della teoria sistemica, ad esempio da Talcott Parsons, tale nozione è dunque non solo generalizzata, ma anche universalmente applicabile.
In questa prospettiva il mutamento sociale è visto come il cambiamento che si verifica all'interno del sistema sociale o che investe quest'ultimo nella sua globalità. L'idea stessa di mutamento implica la temporalità, la durata nel tempo. Per servirci della formulazione particolarmente perspicua di Pitirim Sorokin (v., 1937-1941, vol. I, p. 156): "Ogni divenire, cambiamento, processo, moto, movimento o stato dinamico, a differenza dell'essere, implica la dimensione del tempo". E la nozione di mutamento implica anche l'idea della differenza. Assommando questi tre elementi, il mutamento sociale può essere definito come la differenza tra diversi stati di uno stesso sistema nel corso del tempo.
A seconda di quale sia la realtà che cambia - quali aspetti, segmenti, dimensioni del sistema sono investiti dalla trasformazione - si possono distinguere diversi tipi di mutamento. Lo stato complessivo di un sistema infatti non è semplice, unidimensionale, ma si configura piuttosto come il risultato combinato, aggregato, dello stato di varie componenti ('variabili di stato') quali: gli elementi ultimi (ad esempio i singoli individui e le loro azioni); le interrelazioni tra gli elementi (ad esempio i vincoli sociali, i rapporti di fedeltà e di dipendenza, i legami personali, le interazioni, gli scambi); le funzioni degli elementi nel sistema complessivo (ad esempio i ruoli occupazionali rivestiti dagli individui, o l'impatto delle istituzioni sociali ai fini della preservazione dell'ordine sociale); i confini (ad esempio i criteri di inclusione e di esclusione, le condizioni di accettazione o di rifiuto degli individui nel gruppo, i principî di reclutamento nelle associazioni, le regole di accesso alle organizzazioni, ecc.); i sottosistemi (ad esempio i diversi segmenti, sezioni, sottodivisioni specializzate, distinguibili all'interno del sistema più ampio); l'ambiente (ad esempio le condizioni naturali, l'ambiente di altre società, la posizione geopolitica). Solo attraverso la complessa interrelazione di tali componenti emergono le caratteristiche globali del sistema: l'equilibrio o lo squilibrio, il consenso o il dissenso, l'armonia o l'attrito, la cooperazione o il conflitto, la pace o la guerra, la prosperità o la crisi, la ricchezza o la povertà e via dicendo.
Una volta scomposto nei suoi elementi ultimi e nelle sue dimensioni primarie, il modello sistemico implica i seguenti possibili tipi di cambiamento: il mutamento nella composizione (ad esempio la migrazione da un gruppo all'altro, il reclutamento in un gruppo, lo spopolamento determinato dalla carestia, la smobilitazione di un movimento sociale, la dispersione di un gruppo); il cambiamento nella struttura (ad esempio la comparsa di ineguaglianze, la cristallizzazione del potere, la formazione di legami di amicizia, l'instaurarsi di relazioni improntate alla cooperazione o alla competizione); il mutamento di funzioni (ad esempio la specializzazione e la differenziazione delle attività lavorative, il declino del ruolo economico della famiglia, l'assunzione della funzione di socializzazione da parte delle istituzioni scolastiche); il cambiamento di confini (ad esempio la fusione di gruppi, l'affermarsi di criteri liberali e democratici di appartenenza, la conquista e l'assorbimento di un gruppo da parte di un altro); il mutamento nelle relazioni tra i sottoinsiemi (ad esempio l'influenza del regime politico sull'organizzazione economica, il controllo della famiglia e dell'intera sfera privata da parte di governi totalitari); il mutamento nell'ambiente (ad esempio il deterioramento ecologico, i terremoti, la comparsa della 'morte nera' o del virus HIV, la scomparsa del sistema internazionale bipolare).
In un modello alternativo rispetto a quello sistemico la società (il gruppo, l'organizzazione, ecc.) non è più vista come un sistema rigido, ma piuttosto come un campo di relazioni 'fluido'. La realtà sociale è una realtà interindividuale (interpersonale), ovvero ciò che esiste tra gli individui: una rete di vincoli, legami, scambi, rapporti di dipendenza e di fedeltà. In altri termini, si tratta di uno specifico tessuto o struttura sociale che unisce gli individui. Questo campo interindividuale è costantemente in movimento: si espande e si contrae (ad esempio quando gli individui si uniscono o si separano), si rafforza e si indebolisce (quando cambia la qualità dei rapporti e si passa ad esempio dalla semplice conoscenza all'amicizia, dall'amore all'odio), si amalgama e si disintegra (ad esempio all'apparire o al dissolversi di una leadership), si mescola o si separa da altri segmenti del campo (ad esempio quando compaiono coalizioni o federazioni, o si verificano secessioni). Esistono particolari fasci o nodi di relazioni sociali che abbiamo imparato a distinguere in quanto rivestono un'importanza cruciale per la nostra vita, e che tendiamo di conseguenza a reificare, parlando di gruppi, comunità, organizzazioni, istituzioni, Stati nazionali come se si trattasse di entità oggettive. Si tratta però di una illusione: ciò che esiste realmente - nel senso ontologico forte - sono costanti processi di aggruppamento e riaggruppamento, piuttosto che strutture stabili denominate gruppi; processi di organizzazione e riorganizzazione piuttosto che organizzazioni stabili; processi di 'strutturazione' (v. Giddens, 1984) piuttosto che strutture; processi di formazione piuttosto che forme; 'figurazioni' fluttuanti (v. Elias, 1939) piuttosto che schemi rigidi.
Quando la società viene concepita non come un sistema, bensì come un campo socioculturale fluido, la nozione di mutamento sociale acquista un nuovo significato e indica la differenza tra i vari stati del campo nel corso del tempo. Lo stato del campo non è altro che l'evento, di portata più o meno ampia a seconda di come viene circoscritto il campo. Detto in altri termini, il mutamento sociale è la differenza tra eventi distinti sul piano temporale che si verificano all'interno di uno stesso campo socioculturale. La principale novità di questo modello rispetto a quello sistemico è costituita dal fatto che i mutamenti e i processi vengono concepiti come realmente continui, mai discreti, frammentati o interrotti. Tra due punti nel tempo, per quanto vicini, il movimento non ha soluzioni di continuità. Comunque si restringa la scala di grandezza, limitando l'intervallo temporale tra due 'istantanee' della società, tale intervallo è sempre colmo di cambiamenti. Il flusso dei mutamenti è incessante, e non esistono due stati del campo socioculturale, siano essi remoti o quasi coincidenti nel tempo, che non siano differenti tra loro. Viene in mente a tale proposito l'antica e ben nota metafora eraclitea del fiume nel quale è impossibile bagnarsi due volte, perché non sarà più lo stesso fiume. Solo per convenzione 'congeliamo' concettualmente determinati stati importanti per le nostre esigenze pratiche trattandoli come singoli eventi, e parliamo di cambiamento o di processo come se si trattasse della sequenza di questi punti 'discreti'. (L'approccio qui delineato potrebbe essere definito neo-eracliteo).
La nozione di campo socioculturale può essere ulteriormente specificata. Proporremo qui la seguente tipologia quadripartita (nota anche con l'acrostico 'schema INIO': v. Sztompka, 1991, pp. 124-126) per distinguere quattro dimensioni o aspetti del campo: la dimensione ideale, quella normativa, quella interazionale e la dimensione delle opportunità. Sinora, semplificando, abbiamo affermato che le relazioni sociali legano gli individui tra loro. Si tratta ora di specificare che cosa tali relazioni uniscano di fatto, e in che modo. Oggetti di tali legami sono le idee, i pensieri, le credenze dei singoli individui, che possono essere simili o differenti; oppure le regole che guidano la loro condotta, che possono concordare o contraddirsi a vicenda; oppure le loro azioni concrete, che possono essere amichevoli o ostili, improntate alla cooperazione o alla competizione; oppure ancora i loro interessi, che possono coincidere o essere in conflitto. A seconda del genere di entità collegate dalle reti di relazioni, si possono distinguere quattro tipi di tessuto o struttura sociale che fanno della società un insieme coeso: il tessuto delle idee e quello delle regole, la struttura delle azioni e quella degli interessi. Le reti interconnesse di idee (credenze, convinzioni, definizioni) costituiscono la dimensione ideale del campo, ovvero la coscienza sociale. Le reti interconnesse di norme (regole, valori, precetti, ideali) costituiscono la dimensione normativa del campo, ovvero le istituzioni sociali. Sia la dimensione ideale che quella normativa contribuiscono a formare ciò che viene definito tradizionalmente cultura. Le reti interconnesse di azioni costituiscono poi la dimensione interazionale del campo, ovvero l'organizzazione sociale. Infine le reti interconnesse di interessi (opportunità di vita, chances, accesso alle risorse) costituiscono la dimensione delle opportunità del campo, ovvero le gerarchie sociali. Sia la dimensione interazionale che quella delle opportunità contribuiscono a formare ciò che può essere definito tessuto sociale in senso stretto. Per mettere in evidenza la multidimensionalità del campo ci serviremo d'ora innanzi dell'espressione 'campo socioculturale'.
A ciascuno dei quattro livelli il campo socioculturale è soggetto a incessanti mutamenti. Assistiamo a una costante formulazione, legittimazione e riformulazione di idee; all'apparire e scomparire di ideologie, credenze, dottrine e teorie. Assistiamo a una incessante istituzionalizzazione, riaffermazione o rifiuto di norme, valori e regole; all'emergere e al dissolversi di codici etici e sistemi giuridici. Assistiamo a una costante elaborazione, differenziazione e ristrutturazione di canali interattivi, vincoli organizzativi e legami di gruppo; all'emergere e al dissolversi di gruppi, cerchie, reti di rapporti personali. Assistiamo a un'incessante cristallizzazione, pietrificazione e redistribuzione di chances, interessi, opportunità di vita; all'apparire e al dissolversi, all'estendersi e al livellarsi di gerarchie sociali.
L'effettiva complessità della vita che si svolge nel campo socioculturale si può cogliere appieno se si tengono presenti i seguenti punti. In primo luogo, i processi ai quattro livelli non si svolgono indipendentemente gli uni dagli altri, ma sono collegati da vari legami interdimensionali: si pensi al legame studiato dalla sociologia della conoscenza tra la dimensione delle opportunità e la dimensione delle idee (in che misura le opportunità di vita determinano le credenze), o al legame studiato dalla sociologia della devianza tra la dimensione normativa e quella interazionale (in che modo le norme influenzano o meno le azioni). In secondo luogo, il campo socioculturale opera a vari livelli di complessità: macro, meso e micro. Si tratta di una nozione applicabile ai fenomeni sociali di ogni scala. Il campo socioculturale può manifestarsi nella famiglia, ma anche - in forma qualitativamente diversa - nelle corporazioni, nei partiti politici, negli eserciti, nelle comunità etniche, negli Stati nazionali, e persino nella società globale. E queste varie manifestazioni non sono isolate, ma unite da interrelazioni estremamente complesse. Le cristallizzazioni e le fluttuazioni del campo socioculturale che si concretano in eventi sociali di tipo globale, regionale, locale e persino strettamente personale si codeterminano reciprocamente in misura significativa. Il problema dei macroeffetti dei microeventi e quello opposto dei microeffetti dei macroeventi richiedono un'analisi approfondita e accurata.
A volte i mutamenti sono parziali, di portata limitata e privi di ripercussioni significative su altri aspetti del sistema. In questi casi il sistema nella sua totalità resta intatto, non si verifica alcun mutamento globale del suo stato nonostante i cambiamenti frammentari che intervengono al suo interno. Ad esempio, la forza del sistema politico democratico risiede nella sua capacità di far fronte a nuove rivendicazioni, di mitigare i motivi di scontento, di disperdere i conflitti attraverso riforme frammentarie, senza mettere in pericolo la stabilità e la continuità dello Stato nella sua globalità. Questo tipo di modificazioni adattive costituisce un esempio di mutamenti nel sistema. In altri casi però il mutamento può investire tutti gli aspetti (o perlomeno aspetti essenziali) di quest'ultimo, producendo una trasformazione globale che ci induce a considerare il nuovo sistema come sostanzialmente differente dal precedente. È quanto accade ad esempio in tutte le grandi rivoluzioni sociali. Questo tipo di trasformazioni radicali può essere definito a buon diritto cambiamento del sistema. Il confine tra questi tipi di cambiamento talvolta è incerto. I mutamenti nel sistema spesso si accumulano sino a investire l'essenza stessa di quest'ultimo, trasformandosi così impercettibilmente in cambiamenti del sistema. Abbastanza spesso nei sistemi sociali si osservano direttamente soglie al di là delle quali l'estensione, l'intensità e la velocità di cambiamenti frammentari e isolati trasformano l'identità globale del sistema e sfociano in un'innovazione non solo 'quantitativa', ma autenticamente 'qualitativa'.
Nei termini del modello di campo, la stessa distinzione è espressa dai due concetti contrapposti di funzionamento e di trasformazione. Il funzionamento del campo lascia intatte sul piano qualitativo le strutture delle interrelazioni. La trasformazione per contro altera le strutture stesse di idee, norme, interazioni e opportunità. Tali cambiamenti possono essere considerati tali da investire l'essenza stessa della realtà sociale in quanto le loro ripercussioni si fanno sentire di solito in tutti gli ambiti della vita sociale trasformandone il carattere complessivo. Esempi di cambiamento strutturale sono: la comparsa di una leadership e di una gerarchia di potere nel gruppo, la burocratizzazione di un movimento sociale, la sostituzione di un governo autocratico con uno democratico, il livellamento delle ineguaglianze sociali attraverso una riforma del sistema fiscale. Esempi di cambiamento funzionale sono invece: l'introduzione dell'autogestione nelle aziende con il conferimento di poteri decisionali al consiglio dei dipendenti, l'assunzione di un ruolo politico diretto da parte della Chiesa, il passaggio delle funzioni educative dalla famiglia alle istituzioni scolastiche.
Il concetto di mutamento sociale coglie gli elementi ultimi e irriducibili, gli 'atomi' delle dinamiche sociali, singoli cambiamenti nello stato del sistema sociale o nella costituzione del campo sociale. Tuttavia i singoli cambiamenti raramente si verificano isolatamente: di solito sono collegati ad altri, e la sociologia ha elaborato concetti più complessi per descrivere le forme tipiche di queste connessioni.
Il più importante di tali concetti è quello di processo sociale, che descrive la sequenza di cambiamenti causalmente interrelati in uno stesso sistema, o in uno stesso campo. Più precisamente, il concetto denota l'insieme dei molteplici mutamenti che: a) si riferiscono allo stesso sistema o campo (si verificano all'interno di esso o lo trasformano globalmente); b) sono causalmente collegati gli uni agli altri (nel senso che un cambiamento è una condizione causale, o almeno una condizione causale parziale dell'altro, e non semplicemente un fattore concomitante o antecedente); c) succedono gli uni agli altri in una sequenza temporale (si susseguono nella dimensione del tempo).
Esempi di processi - andando dal macro al microlivello - sono: l'industrializzazione, l'urbanizzazione, la globalizzazione, la laicizzazione, la democratizzazione, l'escalation della guerra, la mobilitazione di un movimento sociale, la liquidazione di un'azienda, lo scioglimento di un'associazione volontaria, la cristallizzazione di una cerchia di amicizie, la crisi della famiglia. Ancora una volta l'elemento cruciale sul piano teorico è rappresentato dal legame tra microprocessi e macroprocessi.
Tra i processi sociali i sociologi hanno evidenziato due forme specifiche, che per molti decenni sono state al centro della loro attenzione. Una è lo sviluppo sociale, ossia il dispiegarsi di determinate potenzialità intrinseche al sistema. Più precisamente il concetto di sviluppo sociale denota un processo che ha tre ulteriori caratteristiche: a) è direzionale, ossia in qualunque stadio nessuno stato del sistema si ripete; b) lo stato del sistema in ogni momento successivo rappresenta un livello più alto di una data proprietà (ad esempio una crescente differenziazione strutturale, o una maggiore produttività economica, o un avanzamento tecnologico, o un incremento demografico), oppure in ogni momento successivo lo stato del sistema si avvicina a un determinato stato globale (ad esempio la società si avvicina alla condizione di eguaglianza sociale, o di prosperità universale, o di rappresentanza democratica); infine c) tale processo è stimolato dalle tendenze immanenti - interne, endogene, autodinamiche - del sistema (ad esempio l'espansione demografica e il conseguente aumento della densità della popolazione; la soluzione di contraddizioni interne attraverso l'instaurazione di forme di vita sociale qualitativamente nuove; la canalizzazione della creatività innata dell'uomo verso significative innovazioni organizzative). La nozione di sviluppo implica alcuni assunti 'forti': quello dell'inevitabilità, quello della necessità e quello dell'irreversibilità del processo che descrive. Essa degenera facilmente in una concezione meccanicistica del cambiamento, che viene visto come un processo che si svolge indipendentemente dalle azioni degli uomini, per così dire al di sopra di essi, ed è indirizzato verso un fine ultimo predeterminato (questa concezione è analizzata da Popper - v., 1957 - sotto l'etichetta di 'storicismo').
Un'altra forma di processo sociale è il ciclo sociale. In questo caso il processo non è più orientato in una direzione, ma non è nemmeno casuale. Esso presenta due caratteristiche: a) segue uno schema circolare, nel senso che ogni stato del sistema in un dato momento tende a ricomparire in qualche momento futuro, ed è esso stesso una replica di ciò che è già accaduto in qualche momento del passato; b) questa ripetizione è determinata da una qualche tendenza immanente al sistema, che per sua stessa natura segue questo particolare andamento ondulatorio o oscillatorio. Di conseguenza nel breve periodo vi sono cambiamenti, ma nel lungo periodo tutto resta immutato, in quanto il sistema ritorna al suo stato iniziale.Un esempio di questa concezione è dato dalla teoria delle tre fasi ricorrenti della civiltà umana - 'idealistica', 'ideativa' e 'materialistica' - elaborata da Sorokin (v., 1937-1941). Secondo Sorokin l'esaurirsi e gli eccessi della modernità improntata al materialismo segneranno un ritorno dell'idealismo nella vita sociale.
Un altro concetto, forse assai discutibile ma che ha avuto una notevole importanza nella storia del pensiero umano (e non solo nella storia della sociologia), è quello di progresso sociale (v. Nisbet, 1980). Esso aggiunge una dimensione assiologica, valutativa alla categoria più obiettiva e neutrale dello sviluppo sociale, e comporta quindi un passaggio dalle spiegazioni rigorosamente scientifiche e neutrali alla sfera normativa, prescrittiva. In linea di principio, per progresso si intende un processo direzionale che avvicina costantemente il sistema allo stato preferenziale, ottimale (o, in altri termini, alla realizzazione di determinati valori selezionati in base a motivazioni etiche, quali ad esempio la felicità, la libertà, la prosperità, il benessere, la giustizia, la dignità, la conoscenza, ecc.), oppure al raggiungimento di una società ideale definita globalmente, nella sua configurazione complessiva, attraverso una qualche utopia sociale (la Nuova armonia, il Millennio, la Società comunista, ecc.). Molto spesso l'idea di progresso indica come dovrebbe essere la società secondo un determinato autore o la Weltanschauung di cui questi si fa portavoce. Chiaramente in questo modo si va al di là del dominio della scienza, che si occupa solo di ciò che è, non di ciò che dovrebbe essere. Il progresso è sempre relativo ai valori presi di volta in volta in considerazione. Non si tratta di un concetto puramente descrittivo, distaccato, obiettivo, ma piuttosto di una categoria valutativa. Un medesimo processo può essere interpretato o meno come un progresso a seconda delle opzioni assiologiche di partenza. E queste differiscono notevolmente tra i singoli individui, gruppi, classi, nazioni: ciò che per gli uni costituisce un progresso può non essere ritenuto tale dagli altri. Occorre sempre chiedersi: progresso per chi, e progresso rispetto a che cosa? Non esiste un progresso in quanto tale, ma è sempre necessario specificare i valori adottati come misure o criteri del progresso. Ciò non significa peraltro che la scelta di tali valori sia completamente soggettiva, convenzionale e arbitraria. Occorre evitare la trappola del relativismo assoluto, tenendo presente che esistono vari gradi di relatività dei valori. Da un lato esistono criteri sui quali la maggior parte degli individui probabilmente si troverebbe concorde, e che possono essere considerati l'approssimazione più vicina ai criteri assoluti del progresso. Poniamo come valore supremo la vita umana. Agli scettici e ai relativisti che negano il progresso nella società moderna si potrebbe obiettare che incontrovertibilmente la durata media della vita nel XX secolo è raddoppiata rispetto al Medioevo, e ciò grazie ai progressi della medicina. Evidentemente, è difficile mettere in dubbio che l'allungamento della vita sia qualcosa di universalmente desiderabile. Il fatto di aver debellato determinate malattie endemiche e letali è un altro esempio innegabile di progresso della medicina.
Un altro valore relativamente non problematico può essere l'efficienza, o il rapporto ottimale costi-benefici. Nessuno negherà che sia meglio attraversare l'oceano in sei ore anziché in sei mesi, come ci consente di fare il progresso tecnologico, o che sia preferibile mandare un fax anziché aspettare settimane per gli scambi epistolari, un altro esempio di traguardo tecnologico. Un terzo valore universale potrebbe essere l'estensione del sapere. È senza dubbio un fatto positivo che la nostra conoscenza dei meccanismi della natura e della società sia molto più estesa e approfondita rispetto al passato, ed è senz'altro un progresso che le nostre conoscenze relative alla società o alla sua storia si basino su indagini accurate e disciplinate, anziché essere frutto dell'immaginazione e della fantasia e fondate su miti oppure su stereotipi. Difficilmente si può mettere in dubbio il progresso scientifico.
Dall'altro lato esistono ambiti in cui i criteri del progresso sono estremamente discutibili. Nel XIX secolo, e per buona parte del XX, fenomeni quali l'industrializzazione, l'urbanizzazione e la modernizzazione sono stati considerati sinonimo di progresso. Solo in tempi recenti è risultato che può esservi un eccesso di una cosa positiva (città sovrappopolate, località turistiche affollate, caos negli aeroporti, autostrade intasate, spiagge stipate di gente, eccesso di merci, spreco consumistico) e che anche le cose positive possono produrre effetti collaterali assai negativi (inquinamento, esaurimento delle risorse, distruzione dell'ambiente, malattie portate dalla civilizzazione).
Si è visto inoltre che il progresso in un determinato ambito spesso si ottiene a prezzo di un regresso in un altro. Gli attuali processi di transizione al postcomunismo nei paesi dell'Europa centro-orientale forniscono una quantità di esempi in proposito. La democratizzazione, l'apertura delle società, l'affermarsi del libero mercato e dell'imprenditoria privata si accompagnano a un aumento della disoccupazione e della povertà, a un allentarsi della disciplina sociale e ad altissimi tassi di criminalità e delinquenza, al conflitto tra fazioni e all'ingovernabilità, al dilagare di una cultura di massa di infimo livello. Come calcolare in questo caso il rapporto tra costi e benefici, tra funzioni e disfunzioni?
Per orientarci nella complessa sfera del mutamento sociale è opportuno introdurre una tipologia dei processi sociali basata sui seguenti sei criteri: a) la forma dei processi; b) i loro esiti; c) la consapevolezza dei processi sociali da parte degli individui; d) la forza propulsiva dei processi; e) il livello di realtà sociale al quale operano i processi; f) l'estensione temporale di questi ultimi.
Se si osservano i processi da una prospettiva esterna, distaccata, questi si presentano in diverse forme. In primo luogo possono essere direzionali o non direzionali. I primi sono irreversibili e spesso cumulativi; ogni stadio successivo è differente da quello precedente e ne incorpora gli effetti, mentre ogni stadio precedente fornisce i prerequisiti per quello successivo. La nozione di irreversibilità mette l'accento sul fatto che nella vita umana esistono azioni, pensieri, sentimenti ed esperienze che non possono essere revocati (v. Adam, 1990), in quanto una volta verificatisi lasciano tracce inestirpabili e influenzano inevitabilmente gli stadi futuri del processo, si tratti del corso dell'esistenza personale o dell'acquisizione di una conoscenza, dell'innamoramento o della lotta per la sopravvivenza. Come esempi di processi direzionali si possono menzionare la socializzazione dei bambini, l'espansione urbana, lo sviluppo della tecnologia industriale, la crescita demografica. In questo senso ampio sia la biografia individuale che la storia sociale sono processi prevalentemente direzionali.
Esistono però determinati sottotipi di processi direzionali che sono tali in senso più stretto. Alcuni di questi possono essere teleologici o finalistici, in quanto si avvicinano costantemente, da diversi punti di partenza, a un determinato scopo o stato finale come se fossero sospinti verso di esso. Ne sono un esempio i fenomeni di convergenza, per cui diverse società, caratterizzate da tradizioni completamente diverse, alla fine raggiungono analoghi traguardi di civilizzazione o di progresso tecnologico (meccanizzazione della produzione, regime democratico, trasporto automobilistico, telecomunicazioni, ecc.). Altri esempi di questi processi abbondano nella letteratura struttural-funzionalista, che mette l'accento sulla tendenza teleologica del sistema sociale a raggiungere uno stato di equilibrio attraverso meccanismi interni per la compensazione di ogni disturbo esterno. Esistono però anche processi direzionali di forma diversa, che possiamo definire evolutivi in quanto sviluppano costantemente determinate potenzialità intrinseche, come se fossero sospinti dall'interno. Ad esempio l'illimitata espansione tecnologica è spesso considerata frutto dell'intrinseca capacità innovativa o creativa dell'uomo; le conquiste territoriali vengono ricondotte a un impulso innato di conquista. Se lo stato finale viene valutato positivamente, il processo si configura come un progresso (ad esempio l'eliminazione di certe malattie o l'accresciuta longevità della popolazione). Se invece il processo si discosta dallo stato finale preferenziale, valutato positivamente, lo definiremo regressivo (ad esempio la distruzione ecologica, la commercializzazione dell'arte). I processi direzionali possono essere graduali, incrementali oppure, come a volte si dice, lineari. Quando seguono un'unica traiettoria, o passano attraverso una sequenza di stadi necessari, vengono definiti unilineari. La maggior parte dei sostenitori dell'evoluzionismo sociale ad esempio ritiene che tutte le culture umane debbano attraversare la stessa sequenza di stadi: alcune prima e altre dopo, ma seguendo tutte il medesimo percorso. Le culture che hanno iniziato prima il processo o lo hanno compiuto più rapidamente indicano a quelle più arretrate o più lente come sarà il loro futuro. Queste ultime a loro volta mostrano a quelle più avanzate come si configurava inevitabilmente il loro passato.
Quando invece i processi seguono traiettorie diverse, saltano alcuni stadi, ne sostituiscono altri, o aggiungono stadi ulteriori che di solito non si riscontrano, vengono definiti multilineari. Ad esempio, quando gli storici descrivono le origini del capitalismo indicano i vari scenari del medesimo processo nelle diverse parti del mondo: Europa occidentale, America, Giappone, Sudest asiatico, ecc. O ancora, quando gli studiosi della modernizzazione analizzano i paesi del Terzo Mondo, distinguono i diversi percorsi che ciascuno di essi segue per arrivare alla civiltà urbano-industriale.Sono invece processi non lineari quelli che procedono per salti qualitativi, dopo periodi prolungati di crescita quantitativa, oltrepassando soglie specifiche o dando luogo a determinate 'funzioni a gradino'. Per i marxisti, ad esempio, la sequenza delle cosiddette 'formazioni socioeconomiche' passa attraverso epoche rivoluzionarie - improvvise, radicali trasformazioni della società intera - che fanno seguito a lunghi periodi di accumulazione di contraddizioni, conflitti, tensioni. I processi non direzionali (o fluidi) possono essere di due tipi. Alcuni sono meramente casuali, caotici, privi di un qualunque schema. Si pensi ad esempio alle correnti di eccitazione - o di 'effervescenza', per servirci della terminologia weberiana - nelle folle rivoluzionarie, o ai processi di mobilitazione e smobilitazione nei movimenti sociali, o ancora alle dinamiche dei giochi infantili. Altri processi hanno invece un andamento oscillatorio, seguono schemi identificabili di ripetizione o almeno di somiglianza, in quanto certi stadi consecutivi sono identici o perlomeno qualitativamente analoghi ad altri precedenti. Quando si osserva una effettiva ricorsività il processo è definito circolare, o a ciclo chiuso. Si pensi ad esempio alla tipica giornata lavorativa di una segretaria, al lavoro stagionale di un agricoltore, oppure - in una prospettiva più a lungo termine - alle routines di uno studioso che si accinge a scrivere il prossimo libro. Al macrolivello, i cicli economici di espansione e recessione, di boom e stagnazione, o il rialzo e il ribasso del mercato seguono spesso questo schema.
Quando la somiglianza è osservabile a livelli diversi di complessità il processo si configura come una spirale, o come un ciclo aperto. Ne sono esempi il procedere degli studenti attraverso i vari livelli della scuola o dell'università: l'iscrizione, i semestri, le vacanze, gli esami si ripetono ogni volta, ma a un livello di volta in volta superiore; oppure, su scala diversa, i cicli economici, ma in una situazione di crescita generale (il proverbiale 'due passi avanti e uno indietro'); oppure ancora, in un arco di tempo più esteso, la concezione marxiana della progressiva emancipazione dell'umanità attraverso la 'valle di lacrime', che procede per cicli consecutivi di crescente sfruttamento, alienazione, povertà seguiti da rivoluzioni. Se il livello raggiunto dopo ciascun ciclo è superiore, come negli esempi citati, si può parlare di ciclo evolutivo (o anche progressivo); se è inferiore in misura significativa, definiremo il processo come ciclo regressivo.
Un caso limite, noto come 'stagnazione', si ha quando il trascorrere del tempo non coincide con alcun cambiamento nello stato del sistema. Un altro caso limite è dato da quei processi che si possono definire casuali, in quanto i cambiamenti non seguono alcuno schema riconoscibile.
Il secondo criterio in base al quale costruire la tipologia dei processi riguarda i loro risultati ultimi. Alcuni processi sfociano in condizioni, stati, strutture sociali, ecc. completamente nuovi. Si tratta di processi autenticamente creativi, che apportano innovazioni radicali. Il termine morfogenesi può essere applicato a tutti i processi di questo tipo. Ne sono esempi: la mobilitazione di un movimento sociale; la creazione di nuovi gruppi, associazioni, organizzazioni, partiti; la fondazione di una nuova città; la costituzione di un nuovo Stato; la diffusione di una nuova moda o di un nuovo stile di vita; la messa a punto di una nuova invenzione tecnologica con tutte le sue ripercussioni. I processi morfogenetici sono all'origine di tutte le conquiste della civiltà, di tutti i traguardi culturali, sociali, tecnologici dell'umanità, dalla società primitiva sino alla moderna era industriale.
Tali processi vanno distinti da quelli di mera trasmutazione, che producono risultati meno radicali e non comportano un'innovazione sostanziale. Alcuni di essi non danno luogo ad alcuna novità, altri sfociano in una semplice modificazione, o riforma, o ristrutturazione degli ordinamenti sociali esistenti. I processi del primo tipo, noti come processi di mera riproduzione (o compensativi, adattativi, omeostatici, di equilibrio e di conservazione), hanno come risultato la conferma delle condizioni preesistenti, la preservazione dello status quo, la salvaguardia della persistenza e della continuazione della società in forma immutata. Su tali processi si è incentrata l'attenzione della scuola struttural-funzionalista, interessata principalmente ai prerequisiti della stabilità, dell'ordine sociale, dell'armonia, del consenso e dell'equilibrio. Non sorprende pertanto che i funzionalisti abbiano analizzato a fondo tutta una serie di processi meramente riproduttivi: ad esempio la socializzazione, che trasmette il patrimonio culturale di una società (valori, norme, credenze, conoscenze, ecc.) da una generazione all'altra; oppure il controllo sociale, che elimina la minaccia al funzionamento della società rappresentata dalla devianza; o ancora l'adattamento e l'aggiustamento, che garantiscono la continuità e la stabilità del sistema nonostante il mutamento dell'ambiente; o ancora l'ineguale distribuzione di privilegi e benefici tra gli strati sociali, che salvaguarda il regolare reclutamento in ruoli e condizioni di status preesistenti, teorizzata dalla cosiddetta 'teoria funzionale della stratificazione' di K. Davis e W.E. Moore (v., 1945); infine, la definizione e la ratifica di sistemi di etichetta, regole di deferenza e di condotta, ecc., quali mezzi per riaffermare le gerarchie di status tradizionali.
Laddove la semplice riproduzione lascia tutto immutato, la riproduzione ampliata comporta un arricchimento quantitativo senza che intervenga alcuna sostanziale modificazione qualitativa. Ne sono esempi la crescita demografica, l'estendersi delle zone suburbane, l'aumento della produzione di automobili in una determinata fabbrica, l'incremento degli studenti iscritti alle università, l'accumulazione di capitale mediante il risparmio. Viceversa l'impoverimento quantitativo, anche in questo caso senza modificazioni qualitative, può essere definito riproduzione ridotta. Ne sono esempi il consumo delle riserve finanziarie senza alcuna forma di risparmio, la cosiddetta 'crescita negativa' della popolazione, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
Quando, a prescindere dalle modifiche quantitative, si verifica un sostanziale mutamento qualitativo, non si ha più una riproduzione bensì una trasformazione. Non è sempre facile fissare un confine stabilendo quali cambiamenti possono già essere considerati qualitativi. Come regola puramente empirica si può porre come condizione il mutamento delle strutture - una significativa modificazione nella rete di relazioni che interviene nel sistema sociale o nel campo socioculturale - e/o il mutamento di funzioni - una significativa modificazione delle modalità di funzionamento del sistema o del campo. La trasformazione comporta un insieme di quelli che abbiamo definito cambiamenti del sistema, laddove la riproduzione comporta tutt'al più cambiamenti nel sistema.
In tutti i cambiamenti che si verificano nel mondo umano un fattore importante è costituito dalla consapevolezza dei processi da parte degli individui interessati, e in particolare dalla consapevolezza degli esiti dei processi. Introducendo questo fattore soggettivo nella nostra tipologia possiamo distinguere altre tre forme di cambiamento. Ovviamente tali distinzioni intersecano quelle fatte in precedenza e possono essere trattate come sottocategorie rispettivamente della morfogenesi, della riproduzione e della trasformazione.In primo luogo, i processi possono essere riconosciuti, previsti e intenzionali. Parafrasando la terminologia di R.K. Merton, li definiremo processi manifesti. Ne sono esempi la riduzione del tasso di incidenti determinata dalla riforma delle norme del traffico stradale, l'eliminazione del mercato nero grazie alla legalizzazione degli scambi, l'aumento dell'offerta di beni di consumo a seguito della privatizzazione del commercio al dettaglio.In secondo luogo, i processi possono essere non riconosciuti, non previsti e non intenzionali. Utilizzando ancora una volta la terminologia mertoniana, li definiremo latenti. In questo caso il cambiamento stesso e i suoi esiti appaiono inattesi, e a seconda delle circostanze possono essere accolti come positivi o negativi. Ad esempio, per lungo tempo gli individui sono stati in gran parte inconsapevoli dei danni ambientali provocati dall'industrializzazione. La cosiddetta 'coscienza ecologica' è un fenomeno relativamente recente.
In terzo luogo, gli individui possono riconoscere i processi, prevederne il corso e proporsi effetti specifici, ma possono sbagliarsi completamente sotto tutti i riguardi; in questo caso il processo contraddice le aspettative e produce risultati diversi o addirittura opposti a quelli voluti. Servendoci del termine coniato da Merton e da Kendall (v., 1944), parleremo in questo caso di processi boomerang. Ad esempio, una campagna di propaganda può rafforzare gli atteggiamenti che intende scoraggiare facendo scattare meccanismi di difesa e reazioni negativistiche; una riforma fiscale mirata a frenare l'inflazione può causare al contrario una recessione e un aumento dell'inflazione; i tassi di profitto possono calare a seguito della maggiore competizione indotta dal desiderio di aumentare i profitti.
Il terzo, importante criterio di differenziazione tra i vari tipi di processi sociali riguarda le forze propulsive di questi ultimi, i fattori causali che li innescano. La distinzione principale in questo caso è quella tra fattori o forze interni all'ambito in cui interviene il mutamento, e fattori o forze esterni a esso. Nel primo caso parleremo di processi endogeni (processi che hanno una causa intrinseca, immanente), nel secondo di processi esogeni (determinati da cause esterne o estrinseche). I processi endogeni dispiegano determinate potenzialità, propensioni o tendenze insite nella realtà che muta. Quelli esogeni sono invece reattivi, adattativi, rispondono a pressioni, stimoli o sfide che provengono dall'esterno.Il principale problema nel distinguere i processi endogeni da quelli esogeni è quello di demarcare ciò che rientra all'interno e ciò che cade all'esterno della sfera sociale. La soluzione apparentemente ovvia è quella di considerare la natura come esterna alla società, definendo pertanto esogeni tutti i processi sociali che costituiscono una reazione agli stimoli naturali, ambientali. I cambiamenti determinati dalla 'morte nera' nelle società medievali europee (o dalle epidemie di colera nel XIV secolo) sono esogeni, così come lo sono i cambiamenti nei modelli di condotta sessuale imposti in California dal virus HIV, o i mutamenti nei modi di vita determinati da trasformazioni climatiche, oppure ancora le reazioni delle comunità umane alle catastrofi naturali.
Si può restringere ulteriormente la scala dei fenomeni analizzati e tracciare un confine non più tra società e natura bensì tra diversi sottosistemi, segmenti o dimensioni della società. Partendo da una relativizzazione di questo tipo, i cambiamenti di regime politico determinati dalle insufficienze del sistema economico possono essere considerati esogeni, anche se si tratta chiaramente di cambiamenti interni alla società. Analogamente, la laicizzazione della vita imposta da un regime politico autocratico può essere considerata un processo esogeno. La classificazione di un processo come esogeno o endogeno dipende quindi ovviamente dal livello di analisi, ma anche dalla cornice temporale in cui si considera un determinato processo. Consideriamo ad esempio un disastro ecologico che cambia i modelli di consumo e la vita quotidiana di intere popolazioni. In un determinato momento del presente, si tratta chiaramente di una reazione a fattori naturali, ambientali, e quindi di un processo esogeno. Ma la catastrofe stessa è originariamente il prodotto di azioni umane, e in questa forma mediata il cambiamento degli stili di vita può essere considerato un processo endogeno, causato indirettamente, e ovviamente in modo non intenzionale (come un processo latente), dagli uomini stessi. Oppure si consideri il caso di uno psicopatico che uccide i bambini, provocando una mobilitazione delle difese della comunità: le scuole vengono chiuse, le madri restano a casa, ecc. Si tratta di processi esogeni nella misura in cui la loro causa è una malattia in ultima analisi psicologica, di ordine 'naturale'. Ma se la psicopatia è causata originariamente da una socializzazione manchevole o dal rifiuto da parte della comunità ('stigmatizzazione') - e si tratta di cause chiaramente sociali - i processi che si verificano nella comunità minacciata possono essere considerati endogeni, in quanto determinati dal suo precedente atteggiamento nei confronti del deviante.
A prescindere dal problema formale della loro collocazione rispetto al processo, le cause del mutamento possono essere diverse anche dal punto di vista sostanziale, qualitativo: distingueremo allora cause naturali, demografiche, politiche, economiche, tecnologiche, culturali, religiose e via dicendo. I sociologi hanno sempre avuto l'ambizione di scoprire i fattori più importanti nel provocare il cambiamento, i 'motori primi' dei processi sociali. Tra le innumerevoli versioni di 'determinismo sociale', ognuna delle quali considera cruciali fattori di volta in volta diversi, emergono due categorie principali di processi. La prima è quella dei processi materiali, messi in moto da pressioni 'concrete' di ordine tecnologico, economico, ambientale o biologico. La seconda categoria comprende i processi ideali, in cui all'ideologia, alla religione, alle usanze, ecc. viene riconosciuto un ruolo causale indipendente. Attualmente si tende ad abbandonare tali distinzioni e a considerare la causazione dei processi come qualcosa di concreto e contingente, che comporta la complessa interrelazione di una pluralità di forze o fattori - materiali, ideali o di altro tipo - in configurazioni specifiche. Nessuno di tali fattori viene più considerato la causa ultima dei processi sociali.
La sociologia moderna non solo rifiuta di assolutizzare singoli fattori privilegiati di cambiamento, ma cerca anche di de-reificarli. È ormai convinzione diffusa che parlare di cause culturali, tecnologiche o economiche del cambiamento è un'abbreviazione fuorviante, in quanto la vera causa efficiente che si cela dietro tutte queste categorie è costituita dalle azioni umane, ed esclusivamente da esse. A seconda della posizione dell'agente causale umano si possono distinguere due tipi di processi. Nel primo rientrano quei processi che si configurano come un aggregato non intenzionale e spesso non riconosciuto (latente) di una moltitudine di azioni individuali, compiute per varie ragioni e motivazioni private che nulla hanno a che fare col processo da esse avviato. Definiremo tali processi spontanei (o 'dal basso'). L'esempio tipico al riguardo è la molteplicità delle singole azioni di consumatori e produttori, venditori e compratori, lavoratori e datori di lavoro, che di fatto provocano inflazioni, recessioni o altri processi macroeconomici. Nel secondo tipo rientrano i processi avviati intenzionalmente, finalizzati a un determinato scopo, progettati e controllati da un qualche ente dotato di potere: li definiremo processi progettati (o imposti 'dall'alto'). Nella maggior parte dei casi tali processi sono messi in atto attraverso leggi. Ne sono un esempio l'incremento del tasso di crescita della popolazione causato dalle politiche governative di incentivazione della natalità, l'eliminazione di impianti industriali inefficienti attraverso la politica di privatizzazione che ha fatto seguito alle rivoluzioni anticomuniste del 1989.
Per concludere la nostra tipologia è opportuno ricordare che, come abbiamo già osservato e come mostrano gli esempi riportati, i processi sociali si verificano a tre livelli di realtà sociale: macro, meso e micro. Parleremo allora di macroprocessi, mesoprocessi e microprocessi. I macroprocessi si svolgono al livello più generale della società globale, degli Stati nazionali, delle regioni e dei gruppi etnici e coprono un arco di tempo più esteso: si verificano, come direbbe Braudel, nella longue durée. Il processo di globalizzazione, la recessione a livello mondiale, la distruzione ambientale, le ondate di movimenti sociali, la democratizzazione dei sistemi politici, il progresso dell'istruzione, l'omogeneizzazione della cultura, la laicizzazione sono tutti esempi di macroprocessi. I mesoprocessi riguardano ampi gruppi, comunità, associazioni, partiti politici, eserciti, burocrazie. I microprocessi investono la vita quotidiana dei singoli individui, i piccoli gruppi, le famiglie, gli istituti scolastici, gli ambienti di lavoro, le cerchie di amici.
I processi sociali di qualunque tipo si presentano in diverse forme temporali: possono avere una durata lunga o breve (si confrontino ad esempio le battaglie con le guerre, le riforme legislative con la più vasta erosione della morale corrente, la mobilitazione rivoluzionaria con la crescita economica); possono essere rapidi o lenti (si confrontino l'andamento veloce dell'inflazione con la lenta emancipazione delle donne, le carriere fulminee nella pop art con il graduale avanzamento professionale nella medicina); possono avere una scansione ritmica oppure casuale (le ondate di prosperità e declino economico e le fasi di espansione e di recessione da un lato, le disordinate fluttuazioni delle mode e delle tendenze artistiche dall'altro); possono essere suddivisi mediante circostanze naturali o sociali in unità qualitativamente differenziate - si pensi ai periodi di lavoro e di svago da un lato, e al succedersi naturale del giorno e della notte dall'altro, oppure alle fasi del lavoro nell'agricoltura, segnate dal succedersi anch'esso naturale delle stagioni, e alle distinzioni socialmente istituite tra tempo sacro e tempo profano, che si riflettono nelle differenze tra giorni festivi e giorni feriali, periodi di lutto e di luna di miele, giorni di mercato e di ramadan, sessioni di esami e vacanze nelle università.
Abbiamo cercato di delineare i principali concetti elaborati dalla tradizione sociologica per comprendere e interpretare il mutamento socioculturale. Tali concetti hanno avuto origine in diverse scuole teoriche, hanno seguito diversi percorsi evolutivi, ma alla fine si sono distaccati dalle ortodossie 'parrocchiali' per entrare a far parte del canone universale del pensiero sociologico. La speranza è che questo apparato concettuale possa aiutarci a comprendere una delle caratteristiche essenziali del mondo in cui viviamo: la sua dinamica incessante e in incessante accelerazione. (V. anche Progresso; Sociologia; Sottosviluppo; Sviluppo economico).
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