NATO
(App. III, ii, p. 191; IV, ii, p. 544)
Strutture e organizzazione
La NATO è un'alleanza preposta alla cooperazione politica ed economica tra gli Stati membri (art. 2 del trattato di Washington); a favorire la consultazione multilaterale in materia di sicurezza (art. 4); alla difesa collettiva (art. 5), per cui i membri sono impegnati a considerare un attacco contro uno di essi come un attacco contro tutti. Agli Stati fondatori (Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti) si sono aggiunti in successivi allargamenti Grecia e Turchia (1952), Germania (1955, ma fino al 1990 la sola Germania occidentale), Spagna (1986), Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca (1999). Nessun paese membro è mai uscito dalla NATO.
La NATO è un'alleanza di carattere misto, politico e militare, a cui i paesi contribuiscono in modo diverso: l'Islanda non possiede alcun tipo di forza armata; alcuni dei paesi membri non fanno parte della struttura militare integrata (Francia, dal 1966 in poi; Spagna fino al 1998); alcuni (Norvegia, Danimarca, Spagna), pur facendone parte, non accettano lo spiegamento di forze nucleari sul proprio territorio in tempo di pace. La Grecia lasciò la struttura militare integrata nel 1974 a seguito della crisi di Cipro, ma vi rientrò nel 1980. Tutti i paesi membri prendono comunque parte a pieno titolo alle decisioni politiche della NATO, non esistendo in essa lo status intermedio di 'membro associato' od 'osservatore' come invece avviene nell'Unione Europea e nell'Unione dell'Europa Occidentale (UEO).
Il massimo organo decisionale della NATO è il Consiglio atlantico, presieduto dal Segretario generale, che si riunisce settimanalmente al livello dei rappresentanti permanenti (ambasciatori) dei paesi membri, almeno due volte all'anno a livello di ministri degli Esteri e della Difesa, e occasionalmente a livello di capi di Stato e di governo. Il Consiglio raggiunge le proprie decisioni per consenso; non sono previste votazioni a maggioranza. Al Consiglio sono subordinati vari comitati, tra cui il Comitato militare (formato dai rappresentanti militari dei paesi membri, tranne che per l'Islanda che vi è rappresentata da un civile); il Comitato politico; i Comitati economico, emergenza civile, informazione ecc. Il Segretario generale è coadiuvato da un Segretariato internazionale civile composto da cinque divisioni - affari politici, pianificazione difesa e operazioni, supporto alla difesa (armamenti), infrastruttura e logistica, affari scientifici e ambientali - e da altri uffici amministrativi (informazione e stampa, amministrazione, sicurezza, controllo finanziario), mentre il Comitato militare dispone di un proprio Stato Maggiore internazionale. L'insieme di tutte queste strutture costituisce il Quartiere generale della NATO, a Bruxelles. Dal 1974, si sono succeduti nella carica di Segretario generale J. Luns (1971-84, Paesi Bassi); Lord P.A.R. Carrington (1984-88, Regno Unito); M. Wörner (1988-94, Germania); W. Claes (1994-95, Belgio); J. Solana (1995-99, Spagna); G. Robertson (dal 1999, Regno Unito). Nel periodo in esame, gli alleati convennero tacitamente che il ruolo di Segretario generale sarebbe stato assegnato a un rappresentante politico europeo, mentre i vertici militari a ufficiali statunitensi.
Al Comitato militare rispondono i due comandanti supremi alleati (per le regioni dell'Europa e dell'Atlantico), che sono anche i comandanti in capo delle forze statunitensi nelle due rispettive regioni di competenza. La NATO non ha infatti una capacità militare autonoma; in tempo di pace, le sue forze armate propriamente dette sono composte solo da alcuni limitati contingenti permanentemente assegnati dai paesi membri all'Alleanza (soprattutto aerei da ricognizione e avvistamento lontano), mentre le restanti forze rimangono sotto comando nazionale e anche sotto giurisdizione nazionale quando stanziate in un altro paese alleato. In caso di crisi o di guerra, sono predisposti meccanismi per cui i paesi membri della struttura militare integrata assegnerebbero le proprie forze nazionali a una struttura di comando comune.
La NATO dispone infine di una serie di agenzie specializzate, dislocate in vari paesi membri; tra le principali si ricordano quelle per i rifornimenti e la manutenzione (a Lussemburgo); per la manutenzione del sistema di oleodotti e depositi di combustibile della NATO (a Parigi); per la ricerca e la tecnologia (a Parigi); per la standardizzazione (a Bruxelles); per l'avvistamento aereo (a Brunssum, Paesi Bassi); per i sistemi di comando e controllo (a L'Aia); per la ricerca sottomarina (a La Spezia). Si ricordano anche i due istituti di istruzione: il Collegio della NATO (con sede a Roma), che svolge corsi e seminari su svariate materie nel settore della sicurezza internazionale per ufficiali e funzionari civili dei paesi membri dell'alleanza e anche, dal 1991, per frequentatori di altri paesi europei e mediterranei; e la Scuola della NATO (con sede a Oberammergau, in Germania), i cui programmi sono piuttosto focalizzati su materie militari.
La NATO nella guerra fredda (1974-85)
La più importante e controversa decisione della NATO nella seconda metà degli anni Settanta fu di spiegare in Europa alcune centinaia di missili nucleari statunitensi a medio raggio (comunemente chiamati euromissili), in grado di colpire il territorio sovietico. Il Consiglio atlantico ne deliberò lo schieramento nel dicembre 1979, in seguito alla comparsa di analoghi missili sovietici (SS-20), e contestualmente all'offerta di rinunciarvi qualora i Sovietici avessero smantellato i propri, onde il riferimento alla 'doppia decisione' (dual-track). Gli euromissili, pur integrati nella struttura militare NATO, erano in dotazione alle sole forze statunitensi, dal momento che gli Europei non avevano voluto accollarsi i costi dei vettori, come avviene per altre armi nucleari della NATO cosiddette a doppia chiave (testata nucleare statunitense e vettore, missile o aereo, europeo). Questo suscitò un ampio dibattito all'interno dell'alleanza, prima per decidere in quali paesi dislocarli, poi riguardo al ruolo che i governi di questi paesi avrebbero avuto su un'eventuale decisione di lanciare le armi nucleari dal loro territorio. Il governo tedesco, che avrebbe dovuto ospitare il maggior numero di missili, esitava ad attuare la doppia decisione da solo; fu determinante in questa circostanza il ruolo dell'Italia, che per prima si offrì di affiancare la Germania ospitando alcuni euromissili nella base di Comiso, in Sicilia. Un altro aspetto controverso era quello riguardante il processo decisionale per un eventuale uso degli euromissili: sulla carta, le forze armate statunitensi addette al loro controllo operativo avrebbero sempre dovuto aspettare un ordine del Consiglio atlantico, e cioè di tutti i paesi NATO; specifici accordi prevedevano inoltre consultazioni bilaterali con i paesi che ospitavano i missili. In pratica, però, le forze USA avrebbero anche avuto la capacità di agire in modo unilaterale.
I nuovi missili acquisirono dunque presto una valenza soprattutto politica, in un contestuale acuirsi delle tensioni Est-Ovest provocate dalla guerra fredda (invasione sovietica dell'Afghānistān del dicembre 1979, stato d'assedio in Polonia nel dicembre 1981). Infatti, più che un nuovo strumento militare (giacché gli obiettivi degli euromissili avrebbero comunque potuto essere colpiti da altri sistemi d'arma già esistenti), essi rappresentavano soprattutto, simbolicamente, una riaffermazione della presenza militare statunitense in Europa. La valenza politica era inoltre esasperata nei paesi sul cui territorio i missili furono spiegati (Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Regno Unito), paesi che vedevano i governi spesso in difficoltà di fronte a estese manifestazioni di protesta organizzate dai movimenti pacifisti e dalle sinistre, soprattutto in concomitanza con l'arrivo dei primi missili nel 1983. Contemporaneamente allo spiegamento degli euromissili, la NATO decideva di avviare una riduzione generalizzata dell'arsenale nucleare in Europa tramite lo smantellamento delle armi più obsolete.
Politicamente più che militarmente significativa anche la richiesta della Spagna, nel 1982, di entrare a far parte della NATO, avanzata peraltro dal nuovo governo guidato dal Partito socialista che si era battuto per anni contro di essa, e uno dei cui maggiori esponenti, J. Solana, sarebbe divenuto addirittura Segretario generale della NATO nel 1995. La Spagna democratica postfranchista vedeva infatti l'adesione all'alleanza atlantica non tanto come uno strumento di difesa, ma soprattutto come uno dei tasselli fondamentali della propria reintegrazione nel sistema internazionale. L'adesione spagnola veniva formalizzata nel 1986, dopo un referendum nazionale in cui il governo di Madrid, per consolidare il consenso interno, la condizionava alla non installazione di armi nucleari in Spagna, alla riduzione delle forze statunitensi già ivi presenti e al non inserimento delle forze armate spagnole nella struttura militare integrata della NATO (che sarebbe poi comunque avvenuta in seguito, nel 1998).
La fine della guerra fredda (1985-90)
L'accessione di M. Gorbačëv alla carica di Segretario generale del Partito comunista sovietico nel 1985 segnava un netto miglioramento nei rapporti Est-Ovest, che avrebbe avuto profonde ripercussioni sulla NATO.
Il primo segnale si ebbe nei negoziati sulle cosiddette misure di fiducia e sul disarmo convenzionale, entrambi a lungo bloccati dal rifiuto sovietico di fornire dati accurati sulle proprie forze armate e di accettare ispezioni di verifica in loco. Accordi conclusi a Stoccolma nel 1986 nell'ambito della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) prevedevano la notifica anticipata reciproca delle esercitazioni militari più estese (almeno 13.000 soldati) e l'obbligatorietà di invitare osservatori se le manovre avessero coinvolto oltre 17.000 soldati. Fondamentale era che tutte le informazioni trasmesse fossero verificabili: gli osservatori dovevano infatti avere la possibilità di controllare personalmente i dati loro forniti, anche mediante ispezioni in loco e senza preavviso.
Nel 1987 Gorbačëv e il presidente statunitense R. Reagan firmarono il trattato che stipulava il ritiro simultaneo e lo smantellamento sia degli SS-20 sia degli euromissili (operazioni che sarebbero state completate nel 1991). Nel novembre 1990 si giungeva anche alla conclusione del trattato sulle forze convenzionali in Europa (CFE, Conventional Forces in Europe), in cui i ventidue Stati firmatari si impegnavano a drastiche riduzioni delle loro forze d'artiglieria, corazzate e aeree, in modo tale, fra l'altro, che si rendessero uguali i tetti massimi di forze per i due 'gruppi di Stati' (alleanze), comprendenti rispettivamente i sedici membri della NATO e i sei del Patto di Varsavia (URSS, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria, essendo la Repubblica Democratica Tedesca già stata assorbita nella Repubblica Federale di Germania il mese precedente), e anche le sottoquote per ciascuno Stato all'interno del proprio gruppo.
Allo scopo di rafforzare la fiducia reciproca, i firmatari del CFE concordarono anche di provvedere allo scambio regolare di informazioni sulle proprie forze armate, ivi comprese le dottrine, i piani operativi e i bilanci della difesa. Infine, il trattato prevedeva anche tetti massimi di spiegamento di forze per aree geografiche definite all'interno del territorio di ciascuna alleanza, e strutturate in modo da impedire a ciascuna parte di concentrare armamento pesante in prossimità dei confini dell'altra. Erano esentate dall'applicazione del trattato le aree della Russia a est degli Urali e ai confini meridionali della Turchia. Il trattato è stato generalmente rispettato da tutti gli Stati firmatari, se si eccettua un tentativo di elusione della Russia che aveva cercato di non applicare tagli di forze corazzate dislocate in Europa trasportando le armi in eccesso alla quota a lei consentita a est degli Urali, fuori dalla zona geografica di applicazione del trattato. A seguito delle proteste dei paesi della NATO, la Russia ha poi consentito alla distruzione di queste armi. Tutti questi accordi sono stati accettati nel 1992 dai nuovi Stati successori dell'URSS, con l'eccezione peraltro militarmente non significativa dei tre Stati baltici (con la motivazione che essi non ritenevano di essere mai stati parte dell'Unione Sovietica, ma occupati da essa, e di non dover quindi essere considerati come Stati successori). Tuttavia, con la dissoluzione del Patto di Varsavia, cadeva il principio dell'equilibrio tra i due blocchi, o 'gruppi di Stati', NATO e Patto; inoltre, la prospettata accessione alla NATO di alcuni Stati già membri del Patto di Varsavia avrebbe inficiato la ragion d'essere delle quote di armamenti che erano state appunto concordate, per garantire un equilibrio, dai due blocchi durante la guerra fredda. Consci di ciò, tutti i paesi firmatari del trattato avviarono negoziati di revisione del trattato CFE per passare da una logica 'di blocchi' a limiti di armamento per ciascuno Stato firmatario, negoziati conclusisi con l'adozione di un nuovo accordo a Istanbul nel 1999.
La NATO dopo la fine della guerra fredda (1990-99)
Il periodo che va dalle rivoluzioni democratiche in Europa centro-orientale (1989) alla dissoluzione del Patto di Varsavia (marzo 1991) e quindi dell'URSS (dicembre) portò a un radicale ripensamento sia dei fini sia, conseguentemente, dei mezzi della NATO, evidenziato dalle misure adottate dal Consiglio atlantico nelle Dichiarazioni di Londra (luglio 1990) e di Roma (novembre 1991). Al vertice di Londra, gli alleati si dichiararono pronti a intraprendere rapporti non più conflittuali ma di cooperazione, anche formali, con le nuove democrazie centro-europee e con l'URSS; si moltiplicarono i contatti diplomatici tra rappresentanti della NATO e dei paesi del Patto di Varsavia, che fino ad allora erano stati espressamente vietati.
Al successivo vertice di Roma, la NATO adottò un nuovo 'Concetto strategico', per la prima volta reso pubblico, che da una parte poneva le basi per un rapporto istituzionalizzato con gli ex avversari del disciolto Patto di Varsavia, e dall'altra, date l'instabilità e le enormi incertezze geopolitiche generate dalle trasformazioni in Europa, ribadiva la continua necessità di una difesa convenzionale e nucleare comune contro eventuali, anche se imprevedibili, minacce future. Convenendo che la fine della guerra fredda riduceva le esigenze militari in termini quantitativi, il Concetto strategico stipulò una riduzione delle forze spiegate, un abbassamento del loro livello di allerta, maggiore interoperabilità internazionale e multinazionalizzazione delle stesse unità, il tutto allo scopo di potenziare le economie di scala e l'efficacia militare. Gli alleati convennero comunque sulla necessità di una permanenza militare degli USA in Europa, a livello sia convenzionale sia nucleare.
La NATO sviluppò quindi un rapporto di cooperazione in campo militare e politico con i paesi ex avversari tramite il Consiglio di cooperazione dell'Atlantico del Nord (NACC, North Atlantic Cooperation Council, ridenominato Euro-Atlantic Partnership Council, o EAPC, nel 1997), che ai sedici membri associava tutti gli Stati ex membri del Patto di Varsavia ed ex membri dell'Unione Sovietica. Coincidenza simbolica di un'epoca che cambiava, nello stesso giorno (20 dicembre 1991) in cui il NACC si riuniva per la prima volta nel quartier generale della NATO a Bruxelles, l'Unione Sovietica cessava formalmente di esistere con la creazione ad Alma-Ata (Kazakistan) della Comunità degli Stati indipendenti (CSI). Al NACC/EAPC si sarebbero aggiunti, successivamente, svariati paesi neutrali (Finlandia, Austria, Svezia, Svizzera e Irlanda) ed ex iugoslavi (Slovenia, Macedonia) in veste di osservatori. Malta aderì nel 1995 ma ne uscì l'anno successivo con l'avvento al potere del Partito laburista.
A seguito dell'adozione del Concetto strategico, nel corso degli anni Novanta si verificò una progressiva riduzione delle forze militari NATO: drastici tagli vennero applicati ai livelli di forze convenzionali dei paesi NATO in Europa, sia in base al summenzionato trattato CFE, sia unilateralmente, e infatti nel corso degli anni Novanta le forze operative dei paesi NATO furono spesso inferiori ai limiti previsti dal trattato; dopo il 1991 le forze nucleari NATO in Europa vennero ridotte di oltre l'80% (più del 90% rispetto ai livelli massimi raggiunti negli anni Settanta consistenti in circa 10.000 testate), e nel 1999 non restavano che alcune centinaia di bombe aerotrasportate, mentre venivano definitivamente ritirati tutti i tipi di missili, l'artiglieria, le mine e i sistemi antiaerei nucleari; furono ritirate anche tutte le armi nucleari dalle unità di superficie delle marine militari; fu effettuata una riduzione delle basi NATO in Europa - così come del numero dei quartieri generali subordinati, da sessantaquattro a ventidue -, e delle truppe statunitensi stanziate in Europa, che da oltre 350.000 scesero a meno di 100.000 uomini negli anni Novanta. Riduzioni generalizzate furono adottate nella durata del servizio militare di leva, che fu abolito in Belgio, Paesi Bassi e Francia. Conseguentemente in calo, se pur in misura variabile, la spesa militare in tutti i paesi NATO, con le sole Grecia e Turchia che mantennero un livello di spesa paragonabile a quello dei tempi della guerra fredda a causa del contenzioso bilaterale, legato al Mare Egeo e alla questione di Cipro, sul cui territorio rimasero dislocate le forze armate turche sbarcatevi nel 1974. La continua tensione tra Grecia e Turchia non impedì peraltro ai due paesi di cooperare in seno alla NATO, pur non disponendo l'alleanza di strumenti formali di mediazione tra di loro; informalmente, i vari Segretari generali succedutisi alla guida della NATO hanno continuativamente operato per sedare i dissidi greco-turchi.
Alle riduzioni militari si affiancò un acceso dibattito politico sul futuro dell'alleanza. A nuove tendenze isolazioniste negli USA (specie nella destra repubblicana) si affiancarono, in Europa, i sostenitori (paradossalmente nell'estrema sinistra) dell'obsolescenza della NATO e della necessità della sua abolizione. Tuttavia, solo pochi mesi dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia, il fallito colpo di Stato di Mosca dell'agosto 1991 ripropose, soprattutto agli occhi dei paesi che si erano appena affrancati dall'URSS nel corso delle rivoluzioni del 1989, lo spauracchio di una nuova minaccia militare da Est. Contemporaneamente, lo sfaldarsi violento della Iugoslavia socialista portava, per la prima volta dal 1945, un conflitto armato sulla soglia dei confini della NATO. Questi eventi avrebbero avuto un duplice effetto sull'alleanza: da una parte, essi avrebbero acuito la percezione di 'vuoto di sicurezza' nei paesi dell'Europa centro-orientale (usciti dal Patto di Varsavia e ritrovatisi senza un sistema di sicurezza di riferimento) accentuando la determinazione di questi paesi a divenire membri della NATO per garantirsi l'indipendenza appena ritrovata; dall'altra, avrebbero accelerato la presa di coscienza nei paesi della NATO che l'alleanza avrebbe dovuto far fronte a nuovi rischi per la propria sicurezza, meno apocalittici della guerra nucleare temuta durante la guerra fredda, ma più imprevedibili e non meno pericolosi per la spirale di violenza e caos internazionale che avrebbero potuto innescare nel cuore dell'Europa. Questi sviluppi si traducevano in una pressione politica contraddistinta da una duplice tipologia: l'esigenza di colmare il vuoto di sicurezza attraverso estesi rapporti di cooperazione con gli Stati ex avversari e la loro graduale integrazione nella NATO stessa; la proiezione dell'alleanza verso nuovi obbiettivi consistenti non più soltanto nella difesa collettiva del territorio degli Stati membri ma anche nel supporto a missioni internazionali di pace in zone di crisi.
Dal 1992 la NATO ha anche ufficialmente messo la propria struttura militare integrata a disposizione dell'ONU e della CSCE (dal 1995 ridenominata OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) per azioni di 'supporto alla pace'. In questo modo, per la prima volta, la NATO si predisponeva a operare 'fuori area', cioè al di là del territorio degli Stati membri così come era stato previsto dal trattato di Washington. Già durante il 1992 navi della NATO, di concerto con l'UEO, pattugliavano l'Adriatico per far rispettare l'embargo ONU contro la Serbia e il Montenegro, prima in guerra contro la secessionista Croazia e poi coinvolti nella guerra civile in Bosnia ed Erzegovina.
Al vertice di Bruxelles del gennaio 1994, la NATO prese quattro decisioni di principio: avviare il processo per invitare nuovi paesi ad accedere all'alleanza; avviare un programma di partenariato militare (PfP, Partnership for Peace) con tutti gli Stati europei interessati; sviluppare l'identità europea di difesa all'interno dell'alleanza, e avviare un dialogo su questioni di sicurezza con alcuni paesi non europei del Mediterraneo. La NATO riaffermò inoltre la propria disponibilità a intervenire in operazioni di pace su richiesta ONU o della CSCE.
Sul finire degli anni Novanta proprio in questo campo si sarebbe svolto il ruolo principale della NATO nel dopo guerra fredda. Nel febbraio 1994 aerei da combattimento e da ricognizione NATO entrarono in azione per far rispettare la 'zona di non volo' decretata dall'ONU in Bosnia. Era questa anche la prima volta che le forze dell'alleanza entravano in azione in area di guerra in quanto tali, sotto una catena di comando integrato. Con gli accordi di pace di Dayton (novembre 1995), che ponevano fine alla guerra civile in Bosnia ed Erzegovina, la NATO predisponeva poi una forza di interposizione per far attuare dalle parti in causa gli impegni presi, la IFOR (Implementation Force), che sarebbe stata dislocata dalla NATO in Bosnia ed Erzegovina (dicembre 1995-giugno 1997), allo scopo di assicurare l'attuazione degli accordi di pace da parte degli ex belligeranti. Alla IFOR, che all'apice del suo dispiegamento contava oltre 60.000 uomini, contribuivano, oltre a tutti i paesi della NATO, anche le forze armate di altri diciotto paesi, tra cui la Russia. Dal giugno 1997 la IFOR è stata sostituita dalla SFOR (Stabilization Force), che con circa 30.000 soldati ha come obbiettivo prefissato di garantire le condizioni per la continuata applicazione degli accordi di Dayton.
Anche se la maggior parte delle attenzioni della NATO nel dopo guerra fredda si volgeva verso la cooperazione con gli ex avversari dell'Est, il vertice di Bruxelles del 1994 avviò anche un 'Dialogo Mediterraneo'. Negli anni successivi, questo sarebbe consistito in periodiche consultazioni su questioni politiche e di sicurezza, presso il quartier generale della NATO, tra rappresentanti dell'alleanza e dei paesi mediterranei invitati (Israele, Egitto, Tunisia, Giordania, Marocco e Mauritania). Nel 1997 queste consultazioni furono istituzionalizzate con l'inaugurazione del Gruppo di lavoro del Mediterraneo.
Il Consiglio Atlantico riunito al vertice a Madrid nel luglio 1997, attuando le decisioni di principio prese a Bruxelles nel 1994, invitò la Polonia, la Repubblica Ceca e l'Ungheria a iniziare i negoziati di accessione alla NATO, conclusi i quali, e a seguito della ratifica degli Stati alleati, i tre paesi divennero membri a pieno titolo nel marzo 1999, circa un mese prima del vertice di Washington convocato per celebrare il cinquantesimo anniversario della fondazione della NATO. A latere del processo di allargamento da una parte, e della collaborazione con gli Stati ex avversari nella PfP dall'altra, la NATO istituzionalizzò nel 1997 i propri rapporti con i due principali Stati eredi dell'URSS, Russia e Ucraina. I rapporti della NATO con il governo postsovietico di Mosca, e specie con le gerarchie militari russe, restavano infatti caratterizzati da un retaggio di sospetto reciproco. La Russia non riusciva ad accettare l'idea che la NATO, dopo aver acquisito tutto il territorio e le risorse della Germania unificata nel 1990, si allargasse ancora accogliendo nuovi Stati ex membri del Patto di Varsavia. La NATO che si allargava, peraltro, era politicamente e militarmente diversa da quella della guerra fredda, e con essa la Russia si trovava già a collaborare in azioni congiunte, come per es. nelle forze di pace in Bosnia ed Erzegovina. Di questo era cosciente il governo di Mosca che, pur continuando a criticare l'allargamento, concludeva con la NATO un accordo, l'Atto fondatore sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza tra NATO e Federazione Russa, che fu firmato dai sedici capi di Stato e di governo della NATO e dal presidente B. El´cin a Parigi in occasione di un vertice speciale nel maggio 1997. L'Atto fondatore prevedeva la costituzione di un Consiglio permanente congiunto, che si riunisce mensilmente a livello di ambasciatori e almeno quattro volte all'anno a livello ministeriale. Il Consiglio permanente si propone di favorire ove possibile le consultazioni e l'azione comune di NATO e Russia nell'interesse di promuovere la stabilità e la sicurezza in Europa.
Diverso il rapporto con l'Ucraina, che dopo l'indipendenza acquisita nel 1991 si trovava, geograficamente e politicamente, stretta da una parte dalla NATO in espansione, e dall'altra dalla Russia, in crisi ma fermamente intenzionata a mantenere una sua sfera d'influenza nei paesi ex sovietici, cui Mosca si riferiva col termine estero vicino. Il governo di Kiev cercava di gestire un equilibrio delicato tra la necessità di mantenere buoni rapporti con Mosca e il desiderio di utilizzare un rapporto sempre più stretto con la NATO (e, più in generale, con l'Occidente) per affrancarsi dall'influenza russa. Nel 1996 il presidente L.D. Kučma dichiarava la "scelta strategica" del suo paese di "integrarsi nelle strutture europee e transatlantiche", e avviava i negoziati che avrebbero portato alla firma, nel luglio 1997, al margine del vertice NATO di Madrid, della 'Carta sul partenariato speciale tra NATO e Ucraina'. La Carta prevedeva la creazione di una Commissione NATO-Ucraina, che si riuniva quattro volte all'anno a livello ministeriale come il Consiglio permanente NATO-Russia, ma meno frequentemente a livello di ambasciatori, e provvedeva a coordinare una vasta gamma di consultazioni politiche (in materia di sicurezza europea, disarmo nucleare, gestione delle crisi) e di programmi di cooperazione pratica (nei settori più diversi, come l'emergenza civile, l'informazione, l'interoperabilità militare ecc.). Inoltre, nel 1997 la NATO apriva un proprio ufficio informazioni a Kiev, affiancato nel 1999 da un ufficio di rappresentanza. La linea politica di graduale avvicinamento dell'Ucraina alla NATO veniva riaffermata dopo la rielezione del presidente Kučma nel 1999.
Sul finire del periodo preso in esame, la NATO, a mezzo secolo dalla fondazione, era un'organizzazione in fase di profonda trasformazione, nella quale rimanevano aperte sei questioni fondamentali, la cui risoluzione ne poteva determinare il futuro. In primo luogo, era necessaria un'accurata riflessione sulla tipologia delle minacce e dei rischi futuri che la NATO doveva essere in grado di affrontare, per es. quello della proliferazione delle armi di distruzione di massa. In secondo luogo, si dovevano ridefinire i limiti geografici di azione della NATO, già allargati oltre la difesa del territorio degli Stati membri con operazioni di pace nella ex Iugoslavia, ma che pochi volevano veder estendere fino a far diventare la NATO una sorta di poliziotto mondiale cui fare appello ogni qual volta e ovunque venisse a crearsi una situazione di crisi. In terzo luogo, era necessario definire la base giuridica per eventuali azioni di pace: nel 1998 la NATO interferiva nella crisi del Kosovo senza un esplicito mandato dell'ONU, e nel 1999 interveniva direttamente con attacchi aerei contro la Iugoslavia; si poneva la questione se questa avesse dovuto rimanere un'eccezione o invece divenire un precedente. In quarto luogo, il ruolo delle armi nucleari era divenuto meno rilevante ai fini delle nuove missioni di pace, e per alcune forze politiche al governo in certi Stati membri (Germania, Canada) appariva necessario un ripensamento sulla deterrenza nucleare, quale l'adozione di un impegno ufficiale della NATO a non usare in nessun caso per prima, neanche se attaccata, le armi nucleari. Le potenze nucleari membri dell'organizzazione, invece, erano piuttosto inclini a sostenere che le profonde riduzioni già attuate e il Concetto strategico del 1991, che vede le armi nucleari come strumento politico e non più come arma militare, rendevano superflue ulteriori disamine. In quinto luogo, si riproponeva la questione del ruolo dei paesi europei della NATO e la creazione di un 'pilastro europeo della difesa' che, senza inutili duplicazioni, rendesse possibili però iniziative europee in occasioni in cui gli Statunitensi non volessero intervenire (come accadeva nella crisi albanese del 1997, risolta con un intervento militare europeo, a guida italiana, ma al di fuori della struttura NATO). Nel periodo in esame, tra Europei e Statunitensi continuava anche il dibattito su spese militari e responsabilità di comando: i primi erano recalcitranti ad aumentare il proprio contributo finanziario e militare ma chiedevano maggiori responsabilità (e perciò falliva nel 1997 il negoziato sul rientro della Francia nella struttura militare integrata, abbandonata trent'anni prima); i secondi non ritenevano di dover continuare a finanziare la sicurezza di paesi alleati ormai autosufficienti in tutto, ma cercavano di mantenere il proprio ruolo preponderante nelle strutture dell'alleanza. Il problema qui riguardava non solo la NATO ma anche e soprattutto l'Unione Europea, che all'unificazione di mercati e monete non faceva corrispondere quella delle politiche estere e di difesa e che al suo interno contava oltretutto Stati non appartenenti alla NATO (Svezia, Irlanda, Austria e Finlandia). Un passo ulteriore verso la costituzione di un'identità europea di difesa, però, veniva compiuto nel 1999 con la creazione della figura del rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune (carica alla quale veniva nominato lo spagnolo J. Solana, già Segretario generale della NATO), che assumeva anche l'incarico di Segretario generale della UEO. In sesto e ultimo luogo, la NATO accoglieva i tre nuovi membri nel 1999, ma si poneva il problema dei limiti di allargamento dell'organizzazione. In principio, gli alleati avevano concordato una politica della 'porta aperta', per fare della NATO non una fortezza chiusa verso l'esterno ma un'area di stabilità che sia interesse di tutti allargare. Su queste basi si poneva il problema dei paesi baltici, che avevano chiesto l'accesso, dell'Ucraina, che lo ipotizzava per un futuro più lontano, o, in previsione, della Russia. L'art. x del trattato costitutivo prevede la possibilità che tutti gli Stati europei siano, in linea di principio, possibili candidati; ma un'alleanza basata sul consenso poteva avere problemi a funzionare con una così diversa rappresentanza di Stati al suo interno. La NATO dovrà dunque continuare anche per i prossimi anni ad adattarsi a una situazione internazionale fluida: se durante la guerra fredda per la NATO difendere la stabilità e la sicurezza in Europa equivaleva a difendere lo statu quo, in futuro stabilità e sicurezza potranno ottenersi solo con l'accurata gestione di un inevitabile cambiamento.
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