NATO
La fine della guerra fredda e la scomparsa del 'nemico sovietico' pose la NATO (North Atlantic Treaty Organization) in una condizione contraddittoria. Da un lato essa aveva realizzato con successo la propria missione storica: preservare la sicurezza dei suoi Paesi membri; difenderne la struttura politica; evitare lo scoppio di una nuova guerra mondiale sul continente europeo. Dall'altro, si poneva forte la necessità di ridefinire gli scopi e la funzione dell'Alleanza, di cui più di un commentatore nei primi anni Novanta preconizzò l'inevitabile tramonto.
Questa ridefinizione fu promossa sia attraverso un aggiornamento di molte delle motivazioni che avevano portato alla creazione della NATO, sia intraprendendo uno sforzo di revisione strategica che adeguasse l'Alleanza e le sue strutture al mutato contesto internazionale. Alcune delle ragioni per le quali la NATO era nata apparivano ancora valide: essa serviva per legare gli Stati Uniti all'Europa, garantendo il loro impegno alla sua sicurezza, per contenere la Germania - poi nuovamente unificata - e per tutelare l'Europa da un eventuale ritorno della minaccia rappresentata dalla Russia, potenza indebolita e in crisi, ma ancora gigante militare e rilevante attore geopolitico. Il processo di allargamento intrapreso dall'Alleanza nell'ultimo decennio del Novecento - che nel 1999 avrebbe portato all'ingresso nella NATO dell'Ungheria, della Repubblica Ceca e della Polonia - fu altresì letto in una chiave tradizionale. Serviva per consolidare le democrazie in transizione dei più importanti e avanzati Paesi dell'ex blocco comunista; offriva all'Alleanza punti di appoggio nuovi; rifletteva, secondo alcuni esperti, una logica d'ostilità nei confronti della Russia che non era venuta del tutto meno.
Alla riaffermazione e all'aggiornamento di alcune matrici tradizionali della NATO corrispose il tentativo, più faticoso e meno riuscito, di ripensarne la funzione e il significato strategico. Questo obiettivo fu perseguito attraverso l'istituzione di una serie di accordi ad hoc, di consultazione e cooperazione militare, con vari Paesi non membri inclusa la stessa Russia (Partnership for Peace, varata nel 1994). La revisione strategica degli anni Novanta produsse numerose dichiarazioni, dal contenuto assai vago, e il tentativo di giungere a una nuova definizione globale della sicurezza, capace di definire, in assenza di nemici precisi, quali potessero essere le principali minacce all'ordine e alla stabilità internazionale. La crisi apertasi nei Balcani - e la nuova legittimazione della guerra come strumento con cui ripristinare la pace e la stabilità - offrirono un'importante opportunità all'Alleanza. Nel 1994-95 essa promosse un primo intervento armato intervenendo in Bosnia-Erzegovina, dove gli aerei della NATO bombardarono le postazioni serbo-bosniache. Pochi anni più tardi, nel 1999, l'Alleanza condusse la prima vera e propria guerra della sua storia, intraprendendo un'azione militare su ampia scala (i bombardamenti aerei durarono quasi ottanta giorni) contro la Serbia, accusata di promuovere un'azione sistematica di violenza contro la popolazione civile nella sua provincia meridionale del Kosovo.
Tale guerra costituì un importante momento di svolta. Fu presentata come l'esempio tangibile di quale potesse e dovesse essere la nuova missione strategica della NATO; ma evidenziò anche le sue crepe e le contraddizioni, che allontanavano gli Stati Uniti e i membri europei. Soprattutto, l'operazione rivelò lo scarto impressionante tra le capacità militari statunitensi e quelle dell'Europa. Utile politicamente, la NATO lo era stata meno da un punto di vista operativo: una parte preponderante dello sforzo militare era stato infatti compiuto dagli Stati Uniti. L'amministrazione democratica di B. Clinton ritenne allora che tale scambio fosse necessario: che l'appoggio politico europeo valesse una minor efficacia operativa. Una parte del mondo politico statunitense, soprattutto di orientamento conservatore, trasse invece una lezione diversa e cominciò a maturare una forte sfiducia nei confronti dell'Alleanza e della sua utilità. L'elezione di G.W. Bush nel 2000 contribuì a dare voce a questa sfiducia; nella crisi che si sarebbe aperta di lì a poco nei rapporti tra gli Stati Uniti e alcuni loro partner europei, il ministro della Difesa statunitense D.H. Rumsfeld non esitò a contrapporre criticamente la 'vecchia Europa' atlantica, incapace di agire di fronte alle sfide del nuovo millennio, alla 'nuova Europa' composta dai Paesi dell'ex blocco comunista, pronti a sostenere lealmente gli Stati Uniti.
I processi avviati dopo il 1989 sono continuati anche agli inizi del 21° secolo. Una seconda fase dell'allargamento è stata completata nel 2004, con l'ingresso nell'Alleanza di sette nuovi stati: la Lituania, la Lettonia, l'Estonia, la Slovacchia, la Slovenia, la Romania e la Bulgaria. Sono stati potenziati o ripensati i programmi di cooperazione con Paesi non membri: nel 2002 è stato istituito un consiglio permanente NATO-Russia, finalizzato a facilitare la cooperazione nell'ambito della sicurezza; negli anni successivi sono state inoltre attivate nuove iniziative di partnership strategica e di cooperazione nell'ambito dell'intelligence e della lotta al terrorismo. Soprattutto, la NATO ha vieppiù ampliato il proprio raggio d'azione, intraprendendo missioni fuori dall'area atlantica. È questo il caso dell'Afghānistān, dove a partire dall'agosto del 2003 la NATO ha assunto il comando della missione internazionale (International Security Assistance Force, ISAF) istituita dall'ONU nel 2001 e responsabile per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza nel Paese. La missione NATO in Afghānistān ha ampliato i propri compiti estendendo il suo raggio d'azione dalla sola Kābul a gran parte del territorio afghano. Infine è stata promosso un riassetto organizzativo delle strutture dell'organizzazione che recepisse il mutamento della sua missione strategica. È stata quindi istituita una forza di azione rapida capace di essere dispiegata in tempi molto brevi e si è proceduto a ristrutturare il sistema dei comandi dell'Alleanza, che ha modificato l'articolazione geografica del passato.
Questo dinamismo operativo e burocratico non ha però nascosto la profonda crisi politica che la NATO attraversa ormai da alcuni anni. L'elezione di Bush e, soprattutto, gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 hanno costituito un momento di svolta. Alcuni esponenti dell'amministrazione repubblicana statunitense, in particolare all'interno del dipartimento della Difesa, hanno da subito espresso critiche all'Alleanza e alle sue modalità di funzionamento. Nel 2001 gli attacchi alle Twin Towers e al Pentagono sembrarono aprire una nuova fase, nella quale la NATO sarebbe potuta tornare a svolgere un ruolo fondamentale. Per la prima volta nella storia, fu invocato il fondamentale articolo 5 del trattato istitutivo l'Alleanza: quello relativo alla difesa collettiva, secondo il quale l'attacco contro uno dei Paesi membri è considerato come un attacco diretto contro tutte le parti. In conseguenza di questa decisione, la NATO promosse una serie d'iniziative; quella più significativa, per rilevanza simbolica e significato politico, fu l'Operation eagle assist, durata dall'ottobre 2001 al maggio 2002, con la quale alcuni Paesi NATO s'impegnarono a rendere operativo l'articolo 5 e a dare dimostrazione concreta di solidarietà atlantica, attraverso un'azione di sorveglianza dei cieli statunitensi svolta dai loro aerei radar AWACS (Airborne Warning and Control System).
L'invocazione dell'articolo 5 e le misure adottate per darvi corso avevano un alto valore simbolico. Tuttavia non riuscirono a prevenire la successiva crisi nei rapporti euroamericani e l'aprirsi di una frattura che avrebbe colpito la stessa NATO. Memori della lezione del Kosovo, gli Stati Uniti preferirono agire autonomamente e unilateralmente: sia nell'operazione militare che portò all'abbattimento del regime tālibān in Afghānistān sia nel processo che avrebbe portato all'intervento militare in ̔Irāq. La NATO fu progressivamente marginalizzata; all'interno della comunità atlantica si aprì una frattura profonda tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna da una parte (inizialmente appoggiati dalla Spagna e dall'Italia) e la Francia e la Germania dall'altra. L'asprezza dello scontro indusse molti a prospettare la prossima fine dell'Alleanza. Nelle settimane che precedettero l'inizio delle ostilità in ̔Irāq, Francia, Germania e Belgio si opposero all'attivazione dei progetti della NATO per la difesa della Turchia, un altro membro dell'Alleanza, in caso essa fosse stata attaccata dall'Irāq: una decisione, questa, che non aveva precedenti e che evidenziava la portata dello scontro in atto.
Poi la crisi è parzialmente rientrata, anche in conseguenza delle difficoltà incontrate dagli Stati Uniti in ̔Irāq. Entrambe le parti hanno cercato di riavviare forme di cooperazione multilaterale che trovano nell'Alleanza uno dei suoi forum e dei suoi strumenti principali. Rimangono però valide le ragioni che avevano portato in prima battuta allo scontro del 2002-03 e che riflettono per certi aspetti fattori strutturali, non legati solo alle diverse posizioni rispetto alla possibilità di rovesciare con la forza il regime di Ṣ. Ḥusayn. Il divario in termini di potenza e di capacità tra gli Stati Uniti e i loro alleati europei alimenta infatti recriminazioni reciproche e rende precaria e poco efficace la collaborazione all'interno della NATO. A dispetto degli sforzi compiuti, l'Alleanza fatica a trovare una sua nuova dimensione strategica in assenza di un nemico preciso e definibile quale era l'Unione Sovietica durante la guerra fredda. Più di tutto, il collante ideale e culturale del secondo dopoguerra - comunemente definito come atlantismo - sembra aver perso molta della sua forza coesiva: Europa e Stati Uniti, e le loro opinioni pubbliche, sono spesso assai lontani nel loro approccio alle questioni internazionali, nella loro definizione delle minacce alla sicurezza e delle modalità con cui rispondervi, nel loro atteggiamento verso l'uso della forza.
bibliografia
A. Colombo, La lunga alleanza: la NATO tra consolidamento, supremazia e crisi, Milano 2001, 20022.
La nuova NATO: i membri, le strutture, i compiti, a cura di M. de Leonardis, Bologna 2001.
M. Clementi, La NATO, Bologna 2002.