Nazionalismo religioso
nazionalismo religióso locuz. sost. m. – In termini generali, la tendenza ideologica che considera una determinata religione come matrice dell’identità nazionale di un popolo. Di solito, il riferimento alla religione si accompagna all’esaltazione di tutti quei tratti culturali, linguistici e fisiognomici che distinguono un gruppo umano da un altro, tratti che vanno a comporre le differenze etniche di un popolo rispetto a un altro. L’idea delle origini etniche delle nazioni moderne viene fatta risalire alla pace di Westfalia (1648), quando furono definite le regole del nuovo ordine internazionale, dopo trent’anni di guerre, stragi e contese teologiche che avevano lacerato l’Europa. Una delle più note regole fu quella del cuius regio eius religio: i sudditi devono seguire la religione di chi comanda in un determinato territorio. Nell’epoca contemporanea, soprattutto dopo l’attentato alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001, si parla di un nuovo ordine internazionale post Westfalia. Con tale formula s’intendono, da un lato, il diritto d’ingerenza negli affari di uno Stato che minaccia con la sua politica (anche interna) l’ordine internazionale e, dall’altro, la crisi degli stati nazionali, che pretendono di fondare la loro legittimità su basi etnoculturali o etnoreligiose. I processi – cosiddetti di globalizzazione – favoriscono, infatti, la circolazione non solo di merci e capitali a livello mondiale, ma soprattutto l’elevata mobilità di persone che si trapiantano con i loro diversi corredi culturali e religiosi in molte società del pianeta. Il rapporto fra nazionalità e cittadinanza si altera: aumentano le società in cui i cittadini non condividono la stessa storia nazionale o non appartengono alla stessa etnia. Tutto ciò, invece di mettere in crisi definitivamente l’idea dell’unità religiosa e morale di una nazione, ha favorito il risorgere dei n. r., animato da un progetto politico che può essere riassunto con la formula 'un terra, una lingua, una religione'. Le conseguenze che ne discendono sono ben illustrate da tutti quei movimenti e gruppi politici che, dal 2001 ai giorni nostri, hanno cercato di tradurre in azione concreta tali propositi. In verità l'Europa è stata il teatro dove queste idee si sono materializzate, ben prima del 21° sec., in violenti conflitti: per es. con la guerra dei Balcani del 1991-95. È in quella guerra, infatti, che i n. r. hanno assunto forza sia sotto forma di pulizia etnica sia con l'attacco esplicito ai simboli religiosi delle parti avverse. I n. r. immaginano il territorio come una terra sacra, non solo perché considerato storicamente la patria di un popolo da generazioni e generazioni, ma anche e soprattutto perché depositario di un’unica eredità spirituale e religiosa che ha alimentato le virtù civiche e morali di quel popolo. È questa la retorica che oggi troviamo in alcuni movimenti d’opinione o in gruppi politici di nuova formazione. L’esplicita rivendicazione della difesa della civiltà cristiana europea minacciata dall’invasore musulmano si accompagna sovente alla mobilitazione contro l’apertura di nuove moschee: il musulmano singolo, tuttavia, è il bersaglio minore, giacché il vero obiettivo è contrastare un modello di società caratterizzata da alta differenziazione socioculturale e religiosa. Il mito di una società omogenea si alimenta proprio grazie al riferimento a una sola religione, quella cristiana, dimenticando quanto sangue è stato versato fra cattolici e protestanti in età moderna. Tale retorica ha armato la mano del norvegese Anders Breivik, autore della strage dell’isola di Utoya, in Norvegia, il 22 luglio 2011, condannato a 21 anni di carcere. Fuori dell’Europa movimenti nazional-religiosi sono vivacemente presenti, ancora oggi, sulla scena politica in India (dove è sempre attivo quello che rivendica l’India agli hindu), in Iran (dove lo sciismo, divenuto religione di Stato dopo la rivoluzione del 1978-79, si è trasformato in un’ideologia nazionalista), in Israele (dove il sionismo religioso contrasta ogni forma di trattativa con i palestinesi), tra i palestinesi (dove in tempi più recenti Ḥamās ha unito istanze religiose e istanze politico-nazionali) e, infine, nello Sri Lanka (dove l’esercito del governo cingalese e filobuddista ha definitivamente sconfitto, fra il novembre del 2008 e il maggio 2009, la resistenza della minoranza tamil, non buddista e di lingua tamil). Accenti nazional-religiosi echeggiano pure in alcuni movimenti della galassia evangelica fondamentalista negli Stati Uniti. Il tema della nuova Gerusalemme non è del resto nuovo nella storia statunitense: è presente, per es., sin dalle origini nel movimento mormone, trasformatosi nel tempo in potente chiesa-stato (l'Utah con la sua capitale Salt Lake City), che ha avuto un ruolo importante nelle ultime elezioni presidenziali del 2012 (il candidato sconfitto Mitt Romney è, infatti, mormone). L’idea, inoltre, dello scontro fra le forze del Bene (incarnate dalla nazione statunitense) contro quelle del Male (rappresentate dai movimenti terroristici di matrice musulmana) ha raggiunto il massimo grado di drammatizzazione durante la presidenza di George W. Bush, in occasione delle guerre in Afghanistan prima, e in Iraq dopo. Bush ha ripreso il linguaggio messianico e apocalittico dei movimenti evangelici fondamentalisti, ottenendo il risultato di dare una veste sacra alla missione politica statunitense nel nuovo ordine internazionale sorto dopo il crollo del Muro di Berlino del 1989 e l’attentato alle Torri gemelle del 2001. Un n. r. a vocazione mondiale.