NAZIONALISMO
. Dato il significato specifico assunto dalla parola nazionalismo, non si può intendere con questo nome ogni dottrina politica che ponga al suo centro la nazione, perché tutta la storia dell'Ottocento, da quando trionfò il principio degli stati fondati sull'indipendenza e sovranità nazionale, potrebbe essere in questo senso, considerata una storia di nazionalismi. Ma quel moto ideologico e sentimentale, affermatosi in Europa con le vittorie di Napoleone I e ripreso e bandito come principio e sostanza degli stati di nuova formazione (Italia e Germania) negli anni del Secondo Impero, venne più giustamente chiamato da alcuni teorici, come A. Pagano, nazionalitarismo, e cioè dottrina fondata sul principio di nazionalità. Essa si accordò poi con i principî del liberalismo politico: e poté così essere posta a fondamento delle nuove concezioni del diritto internazionale di P.S. Mancini, proprio in pieno Risorgimento ítaliano. Quando gli stessi principî furono portati con la democrazia al loro eccesso - e perciò si corruppero - il "nazionalitarismo" smarrì i suoi contorni e si venne confondendo con l'universalismo della compiuta democrazia.
Come reazione a un tale processo di decadenza politica e come antidoto ai partiti accennati, sorse, allora, nei primi anni del secolo, il nazionalismo, che fu movimento e dottrina di tutta l'Europa, nello stesso tempo che movimento e dottrina d'ogni singola nazione: con alcuni caratteri comuni e con altri caratteri particolari e corrispondenti al genio e alla tradizione storica dei varî popoli.
Si può dire che in Europa il nazionalismo abbia inizio, come tendenza ad un ulteriore potenziamento della nazione, con la gara di acquisizione d'un impero coloniale apertasi in Europa dopo il Congresso di Berlino (1878). Le dottrine e i movimenti politici vennero, naturalmente, in seguito: e furono più vivaci dove più profondo e più pericoloso fu l'indirizzo democratico dello stato. L'Inghilterra di Disraeli e della regina Vittoria, come la Germania di Bismarck e, poi, di Guglielmo II, non si può dire che avessero bisogno d'un movimento politico ad hoc per realizzare una vigorosa politica nazionale. La Francia della terza repubblica non fu davvero scarsamente attiva nella conquista d'un impero coloniale ma il guasto democratico era profondo all'interno e toccava vivamente la coscienza religiosa di vasti ceti rurali. Sorse, quindi, primo, in ordine di tempo, un nazionalismo francese.
Il nazionalismo francese cominciò a prendere volto e nome dal lorenese Maurice Barrès (v.), che dall'individualismo letterario più accentuato, espresso nella sua prima opera di scrittore, giungeva all'esaltazione della terra e della patria, al culto della tradizione, mettendo questi valori a fondamento e centro della sua opera successiva. Partigiano nel 1888 del generale G. Boulanger (v.), il Barrès fu deputato di Nancy dal 1889 al 1903. Nei suoi romanzi Les déracinés (1897), L'appel au soldat (1900), Leurs figures (1902) è contenuto il suo nazionalismo, tutto glorificazione della civiltà francese.
Si era avuto intanto, al tempo dell'affare Dreyfus, quel forte movimento di opinione pubblica che portò all'unione dei conservatori cattolici e dei vecchi boulangisti nella Ligue de la patrie française. Nel 1898 un gruppo di giovani, senza separarsi dalla lega, fondò per impulso del Vaugeois, un Comité d'action française "con lo scopo di rifare della Francia repubblicana un libero e forte stato organizzato all'interno e forte all'esterno come era con il vecchio regime, senza bisogno di ricorrere alle forme politiche del passato". Nel luglio 1899 nacque l'Action française, che divenne quotidiana nel 1908. Il carattere saliente del Vaugeois e dei principali suoi collaboratori era l'antidreyfusismo e l'antisemitismo. Solo Ch. Maurras, che collaborava anche alla Gazette de France, faceva professione di fede monarchica e sosteneva il ritorno degli Orléans al trono di Francia. La prima edizione dell'Enquête sur la Monarchie, del Maurras, è del 1900. Alla fine del 1901, il Vaugeois aderì alla tesi del Maurras e così, da allora, l'Action française divenne un organo monarchico. Le origini filosofiche del movimento sono duplici: cattoliche e positiviste. Da un canto, J. de Maistre e L. de Bonald; dall'altro il Comte e il Taine.
La comune origine antidemocratica e la priorità cronologica del movimento francese indussero alcuni studiosi, e massimamente B. Croce, a considerare il movimento italiano come derivato da quello francese. Ciò non è esatto. Del fondamento comune abbiamo già detto. Ogni nazionalismo posa sul principio d'un primato nazionale: britannico, germanico, francese, italiano. Ogni nazionalismo tende all'esaltazione della nazione eletta. Più particolarmente, i nazionalismi europei della fine dell'Ottocento e del primo decennio del Novecento nacquero come reazione alla democrazia imperante. Ma profondo è il divario tra il nazionalismo francese e quello italiano.
Il fondatore del nazionalismo italiano, Enrico Corradini (v.), non ebbe mai dimestichezza con gli autori francesi suoi contemporanei. Egli si trovò dinnanzi a due realtà tutte italiane: la sconfitta coloniale ad Adua, con l'abbandono della politica crispina (ecco perché il Crispi e l'Oriani, pur di origini democratiche, si possono considerare come anticipatori del nazionalismo); l'emigrazione, con cui tanto vigore e tanto sangue italiano si disperdevano per il mondo ad arricchire altri popoli. Due realtà che non trovavano alcun riscontro nella vita francese. Non solo; ma il nazionalismo francese è fondato sulla libertà, sulla pace, sul decentramento, oltre che sulla restaurazione monarchica. Proprio sulla libertà e sulla pace: perché - nella teoria di quegli scrittori - la rivoluzione francese, che decapitò il re, fu tirannica e Napoleone fu tirannico e l'una e l'altro fecero di tutta la vecchia Francia un'immane rovina e costruirono a servizio dello stato un'immensa macchina che lascia solo e indifeso l'individuo; perché la rivoluzione e Napoleone, sempre secondo quei teorici, dopo quasi un secolo e mezzo di totale tranquillità e di egemonia della Francia in Europa sotto il glorioso regno dei Luigi, portarono alla guerra e all'invasione, e non una, ma cinque volte, nel 1793, nel 1814, nel 1815, nel 1870, nel 1914. Il nazionalismo italiano ha domandato, dalle sue origini, non la libertà e la pace, ma l'autorità dello stato, per impedire la disgregazione, e la guerra per riassumere i fini storici del Risorgimento e per iniziare la nuova fase della potenza e del prestigio italiano nel mondo.
Di nazionalismo, come d'una nuova dottrina e d'un nuovo movimento politico, parlò per primo il Corradini. Colpito dalla notizia della sconfitta di Adua nel marzo del 1896, egli si sentì "comunicare violentemente" con l'animo della sua gente e iniziò un'attività letteraria tutta volta a creare personaggi animati da uno spirito duro e solitario contro l'andazzo "sociale" del tempo. Nel suo Giulio Cesare (1902) egli esalta il genio e la forza di Cesare insieme col genio e con la forza di Roma, in totale antitesi con la visione democratica positivistica, allora in voga, della formazione dell'impero. Ma d'un vero e proprio movimento politico con il nome di nazionalismo egli parlò fondando il giornale: Il Regno (7 novembre 1903). "Io e gli amici miei", scriveva egli nel programma del periodico, "abbiamo un solo scopo: di essere una voce tra tutti coloro i quali si dolgono e si sdegnano per la viltà della presente ora nazionale.... E prima di tutto contro quella dell'ignobile socialismo.... E una voce altresì per vituperare quelli che mostrano di fare di tutto per essere vinti. Per vituperare la borghesia italiana che regge e governa". Potremo dunque dire che il nazionalismo italiano nacque nel novembre del 1903, per la voce di E. Corradini. Visse alcuni anni come tendenza e movimento, trovando la sua espressione, sempre più determinata, in riviste e giornali. Poi, nel dicembre 1910 sboccò nell'Associazione nazionalista italiana (v. sotto), che ebbe dodici anni d'intensa vita, fino alla sua fusione col Partito nazionale fascista.
Bibl.: Ch. Maurras, Enquête sur la Monarchie, Parigi 1900; J. Bainville, Histoire de trois générations, Parigi 1918; id., Histoire de France, Parigi 1924; A. Thibaudet, Les idées de Ch. Maurras (Trente ans de vie française), I, Parigi 1920; L. Daudet, Vers le roi, Parigi 1921; M. Barrès, Scènes et documents du nationalisme, ed. definitiva, voll. 2, Parigi 1925; U. D'Andrea, Corradini e il Nazionalismo, Roma 1928; id., Posizioni ed errori del nazionalismo francese, Roma 1930. Per quel che riguarda movimenti similari, come il pangermanismo e l'imperialismo britanico, v. britannico, impero; pangermanismo.
L'Associazione nazionalista italiana.
La corrente di sentimenti e d'idee suscitata dall'opera precorritrice di Enrico Corradini si manifestò più chiaramente dopo il 1908, anno dell'annessione all'Austria-Ungheria della Bosnia-Erzegovina, quando più vivo fu sentito in Italia, accanto agli altri problemi dello stato da restaurare, della politica estera da fortificare, dell'espansione coloniale da promuovere, il problema irredentista e adriatico. Sorse allora l'idea d'un convegno, promosso da un comitato composto di uomini come Enrico Corradini, che nell'esame dei problemi storici e sociali del tempo aveva conciliato idea nazionalista e imperialista e principî del sindacalismo rivoluzionario Luigi Federzoni, già noto per vivaci polemiche irredentiste e specialmente per una documentata campagna contro la penetrazione tedesca non solo nel Trentino ma perfino nel Lago di Garda; Vincenzo Picardi, poi gloriosamente caduto in guerra, che della Rassegna contemporanea aveva saputo creare un organo vivo di critica italiana; Gualtiero Castellini, giovanissimo e morto poi anch'egli in guerra, nel cui animo operavano potentemente le tradizioni del Risorgimento, rappresentato in particolar modo dall'avo Nicostrato Castellini, caduto nella campagna garibaldina del Trentino (1866). Il convegno, a cui partecipavano giovani e non giovani, nuovi alla politica o provenienti dal liberalismo e dal sindacalismo, fu aperto a Firenze nella Sala dei Duecento in Palazzo Vecchio il 3 dicembre 1910. E discusse sul socialismo, classi proletarie, nazionalismo, nazioni proletarie (relatore Corradini); sul movimento nazionalista e i partiti politici (relatore Maraviglia); sulla politica delle alleanze (relatore Federzoni); su irredentismo e nazionalismo (relatore Sighele); sul problema dell'Adriatico (relatore G. Chiggiato); sul nazionalismo e l'emigrazione (relatore Luigi Villari); sulla preparazione militare (relatore Michele P. Negrotto); sulla politica economica della grande Italia (relatore Filippo Carli); sul problema della scuola (relatore Maffi); sull'organizzazione nazionalista (relatore Corradini). Da quel convegno uscì l'Associazione nazionalista italiana: e volle essere un ammonimento ai vecchi partiti e alla classe di governo di avere presente l'interesse nazionale sopra ogni altro interesse sia individuale sia di gruppo o di classe. Tre mesi più tardi, e precisamente il 10 marzo 1911, in coincidenza voluta con l'anniversario della battaglia di Adua, iniziava le sue pubblicazioni il giornale settimanale l'Idea nazionale, con un comitato di direzione composto di E. Corradini, L. Federzoni, F. Coppola, R. Forges Davanzati, M. Maraviglia. Il giornale si proponeva: a) di richiamare gl'Italiani al sentimento e alla conoscenza del genio di Roma e dell'Impero; b) di liberare la cultura universitaria dalla vuota imitazione straniera; c) di rinvigorire il senso e l'autorità dello stato opponendosi all'azione disgregatrice dei partiti, come delle classi, e al ribellismo cronico dell'individualismo tutto italiano; d) di risollevare il prestigio della monarchia e di considerare la Chiesa cattolica non con gli occhi della setta avversa, ma come l'istituto secolare e glorioso della vita religiosa nazionale e insieme universale; e) di rafforzare l'organismo militare dello stato; f) d'indirizzare subito tutte le energie alla conquista coloniale in Africa, per farne il campo di un'emigrazione italiana non servile; g) di combattere nel parlamentarismo e nella democrazia massonica la corruzione e l'estremo decadere degl'istituti e delle forze politiche ereditate dal Risorgimento; h) di combattere nel socialismo la perversione di tutto un popolo fatto nemico della patria ed estraneo e avverso allo stato; i) di combattere nella democrazia parlamentare e massonica, come nel socialismo, due internazionalismi: l'uno borghese e l'altro proletario, ma ambedue nemici della nazione; l) di considerare la politica estera (non la politica interna dei gruppi e del parlamento così cara all'esperienza giolittiana) come il compito primo e maggiore dello stato; m) di propugnare la solidarietà di tutte le classi per il raggiungimento d'un maggior benessere collettivo nella gara economica e politica tra le nazioni. Insomma, programma di rafforzamento e di esaltazione della nazione italiana, con due fini immediati: l'irredentismo e l'espansione coloniale. In tal modo, l'Associazione nazionalista ebbe parte notevole nella formazione di quello stato d'animo popolare che impose l'occupazione della Libia.
Il nazionalismo intanto venne sempre più formando e differenziando la propria dottrina. Nel 1912, l'Associazione nazionalista proclamava, al congresso di Roma, la differenziazione e l'antitesi fra il principio nazionale e quello democratico, e, mentre sembrava che la democrazia trionfasse dovunque nei cosiddetti blocchi popolari, affermava antinazionale l'universalismo democratico, pacifista, internazionalista, egualitario, e, per necessaria conseguenza, dichiarava l'incompatibilità tra nazionalismo e massoneria. Della massoneria il nazionalismo rigettava non soltanto le forme sorpassate e il segreto e la gerarchia occulta, ma lo stesso spirito informatore democratico internazionalista e pacifista, cioè ciecamente e bassamente individualistico.
Tale professione di fede allontanò dall'Associazione nazionalista non pochi, democratici e massonici, ma fece più omogenea e compatta l'associazione stessa che, nel dicembre 1912, con un ordine del giorno del suo comitato centrale, iniziò la campagna antimassonica. E si ebbe, nella primavera 1913, quell'inchiesta sulla massoneria che costituì un vero plebiscito nazionale contro la setta, nello stesso momento che Benito Mussolini denunziava l'azione corruttrice di questa entro il partito socialista. Contemporaneamente si affermava sempre più la campagna irredentista, che, pur essendo totalitaria, si volgeva con particolare amore a Trieste anche per l'adesione attivissima di Spiro Xydias Tipaldo, che cadde poi gloriosamente in guerra, meritandosi la medaglia d'oro al valor militare, e di quel mirabile giovanetto che fu un redivivo Mameli, Ruggero Timeus, caduto anch'egli da prode come sottotenente degli alpini, il quale con lo pseudonimo di Ruggero Fauro combatté per un quadriennio una formidabile battaglia nazionale, sviluppando l'idea, già propugnata da Luigi Federzoni, essere l'irredentismo non solo un movimento di sentimentale amore verso fratelli separati dallo stato italiano, ma un dovere nazionale per compiere l'unità della patria e darle le frontiere nazionali come presupposto e condizione indispensabili al suo futuro sviluppo imperiale: teoria questa che, dopo la vittoria, fece del nazionalismo il più tenace assertore del programma massimo alpino e adriatico. E nel nome di Federzoni, candidato nelle elezioni politiche dell'autunno 1913, il nazionalismo combatté a Roma democrazia, sovversivismo, massoneria, impegnando nell'ardita battaglia la migliore gioventù romana, onde i nazionalisti si rivelarono veramente, come ebbe poi a dire Benito Mussolini nel 1923, "antesignani in tempi oscuri della grande riscossa". Così il nazionalismo italiano ebbe in Luigi Federzoni e nel veneziano Piero Foscari i primi suoi attivi rappresentanti alla camera. Intanto, nel congresso di Milano (maggio 1914) si concludeva per la differenziazione tra nazionalismo e liberalismo, proclamandosi l'incompatibilità dell'appartenenza all'associazione da parte di quelli che erano iscritti a un altro partito politico. Il liberalismo era respinto non solo come dottrina politica ma anche come dottrina economica, cioè come liberismo: e si ebbe, nel medesimo congresso del 1914, la relazione di Alfredo Rocco, che fu decisiva in questo senso. Seguì altro esodo di nazionalisti dall'associazione; e in varie città d'Italia sorsero gruppi nazionali-liberali che ebbero nell'Azione, pubblicata prima a Bologna e poi a Milano, il loro giornale.
Quando scoppiò la guerra mondiale e l'Italia proclamò la sua neutralità, l'Associazione nazionalista affermò immediatamente (6 agosto 1914) che questa non poteva essere se non preparazione al necessario intervento, per salvare l'Adriatico e i diritti nazionali italiani, ricusando così la motivazione francofila dell'interventismo democratico: da ciò l'accusa, rivolta ai nazionalisti, di triplicismo iniziale. Il nazionalismo fu tra i primi a iniziare la campagna per l'intervento, per l'istruzione militare, per gli arruolamenti volontarî, dando al suo interventismo un carattere e una finalità strettamente nazionali e differenziandosi così, pur nella collaborazione contro le tendenze neutraliste del socialismo ufficiale e di una parte della borghesia, da altri partiti o gruppi interventisti. Alla guerra il nazionalismo diede una schiera nobilissima di combattenti e di caduti: basterà ricordare le medaglie d'oro Decio Raggi, Spiro Xydias Tipaldo, Giacomo Venezian, Fulcieri Paulucci di Calboli e altri ancora. Dopo la guerra, il nazionalismo italiano fu tutto impegnato nel fronteggiare i pericoli che minacciavano la vittoria: pericoli derivanti dall'inettitudine della classe di governo a trattare la pace e pericoli derivanti dal minaccioso straripare dei partiti sovversivi i quali urtavano contro le deboli dighe dello stato. Ma dai giorni dell'intervento il nazionalismo non era più solo nella lotta. Sempre nella difesa della guerra, della vittoria, dell'italianità della Dalmazia; nel servire la buona causa di D'Annunzio a Fiume nel fustigare la debolezza dei governi del dopoguerra, il nazionalismo ebbe al suo fianco un più vasto e più profondo moto, nato nelle stesse giornate del maggio 1915, con un più genuino stampo popolare: il fascismo. Disse Mussolini, nel memorando discorso di Udine del 20 settembre 1922: "I nazionalisti divergono da noi su certe questioni. Ma la verità va detta ed è questa: in tutte le battaglie che abbiamo combattuto, li abbiamo avuti al nostro fianco". Di quel fortunoso periodo va ricordata la fondazione dei "Sempre pronti", le camicie azzurre che fiancheggiarono costantemente le camicie nere ed ebbero i loro martiri, a cominciare dall'operaio torinese Mario Sonzini, suppliziato atrocemente dai sovversivi torinesi durante l'occupazione delle fabbriche (settembre 1920); l'azione inflessibile, svolta nel paese specialmente a mezzo dell'Idea nazionale (trasformata in quotidiano il 4 ottobre 1914; vissuta fino al 31 dicembre 1925, quando si trasfuse nella Tribuna) e alla camera, per l'instaurazione d'un nuovo ordine nazionale contro il parlamentarismo e la demagogia; l'opera di Enrico Corradini, orientata sempre più verso il corporativismo. E sempre, forze nazionaliste e forze fasciste procedettero in fraterno accordo, specialmente nella capitale, che si preparò così ad accogliere nell'ottobre 1922 le schiere della Marcia su Roma. Non passarono molti mesi e il patto di fusione dei due movimenti (marzo 1923) unificava i due partiti (v. fascismo).
Bibl.: L. Federzoni (G. de Frenzi), Per l'italianità del "Gardasee", Napoli 1909; id., Il trattato di Rapallo, Bologna 1921; id., Presagi alla Nazione, Milano 1924; id., Paradossi di ieri, Milano 1925; E. Corradini, L'ora di Tripoli, Milano 1911; id., Il volere d'Italia, Napoli 1911; id., Discorsi politici (1912-1924), 2ª ed., Firenze 1925; id., Nazionalismo e democrazia, Roma 1913; id., Il nazionalismo italiano, Milano 1914; id., Il regime della borghesia produttiva, Roma 1918; id., L'unità e la potenza delle nazioni, Firenze 1922; Il nazionalismo italiano, Atti del Congresso di Firenze, a cura di G. Castellini, Firenze 1911; P. Arcari, La coscienza nazionale in Italia, Milano 1911, frutto d'una inchiesta; R. Fauro, Trieste, Roma 1914; id., Scritti politici, Trieste 1929; Inchiesta sulla massoneria, Milano 1925; F. Coppola, La crisi italiana, Roma 1916; G. Volpe, L'Italia in cammino, Milano 1927; S. Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia, IV, Milano-Roma, 1934.