Nazione
(XXIV, p. 470)
Un mondo di nazioni
Durante il 20° secolo, la n., lo Stato nazionale e il nazionalismo, creazioni della civiltà europea, sono divenuti un fenomeno universale. Infatti, quasi tutti gli aggregati umani in cui si divide la popolazione mondiale sono definiti o tendono a definirsi come nazioni. Quasi tutti gli Stati esistenti si considerano interpreti e rappresentanti della n.; quasi tutti derivano dalla n. non solo la legittimità del loro potere, ma la ragione stessa della loro esistenza e della loro funzione. Anche se 'nazione' e 'Stato' sono entità storicamente e concettualmente differenti, è significativo che le due principali organizzazioni internazionali di Stati sovrani, istituite nel corso del Novecento per garantire la pace e la sicurezza, siano state denominate Società delle Nazioni (1920-46) la prima, Organizzazione delle Nazioni Unite (costituita nel 1945) la seconda, quasi a voler conferire, in questa forma, un riconoscimento ufficiale al primato della n. sia come principale forma di aggregazione dei popoli sia come principio universale di legittimazione dello Stato.
All'attuale mondo di n. e di Stati nazionali l'umanità è giunta attraverso un processo storico, che si è svolto nel corso degli ultimi due secoli del secondo millennio, sebbene, come accade per qualsiasi processo storico, premesse e condizioni che ne hanno favorito la nascita e lo sviluppo possano essere ricercate anche più indietro nel tempo. Così, nello stesso senso, è possibile rintracciare fin nell'antichità, presso diversi popoli e civiltà (per es. i Greci e gli Ebrei), espressioni di una qualche forma di sentimento nazionale, quale si manifesta nel mito di una comune discendenza etnica o nella coscienza di appartenere a un'entità collettiva, distinta da un'unità linguistica, culturale, religiosa, anche se questo sentimento nazionale non si concretizza nell'unità politica, né aspira a costituirsi in un'unità politica. Più frequenti queste manifestazioni appaiono nell'Europa moderna, per es. nell'Inghilterra o nell'Olanda del 17° e del 18° secolo, dove le espressioni di una consapevole identità nazionale, per quanto limitata a gruppi politici e culturali ristretti, appaiono già collegate all'esistenza di uno Stato indipendente e sovrano. Anche nei movimenti religiosi ereticali e riformatori dell'età moderna emergono talvolta tracce di un sentimento nazionale. Ma è tuttavia solo nell'età contemporanea che sia la n., come aggregato umano distinto da una propria identità, sia lo Stato nazionale, come organizzazione politica, giuridica e militare che deriva dalla n. la sua legittimità, sia, infine, il nazionalismo, come movimento culturale e politico fondato sul primato della n., sono emersi e si sono imposti, quali massimi protagonisti degli eventi politici e militari che, dalla fine del 18° secolo a oggi, hanno dominato e trasformato la vita interna e internazionale, svolgendo, inoltre, un ruolo decisivo nelle grandi trasformazioni economiche, sociali e culturali, che hanno forgiato il mondo attuale.
Il fenomeno nazionale ha raggiunto una dimensione planetaria nella seconda metà del Novecento. È in questo periodo, infatti, che si registra il più alto indice di natalità di nuovi Stati, come dimostra l'aumento dei membri delle Nazioni Unite: erano 51 nel 1945, all'atto della sua costituzione; divennero 82 nel 1960, 135 nel 1973, 159 nel 1988, fino ad arrivare, nel 1997, a 187, su un totale di 192 Stati allora esistenti. Dopo il 1989, un imprevisto incentivo alla nascita di nuovi Stati nazionali, indipendenti e sovrani, è provenuto dal crollo dell'impero sovietico e dalla fine dei regimi comunisti nell'Europa orientale, cui hanno fatto seguito la dissoluzione dell'URSS (dicembre 1991), la disgregazione della Iugoslavia (1991-92), la divisione della Cecoslovacchia (gennaio 1993).
È in riferimento a questa realtà del mondo contemporaneo che si può parlare del nazionalismo come di un fenomeno universale. Con il termine nazionalismo, qui impiegato nel senso più generale in uso nella storiografia e nell'analisi teorica (e quindi senza attribuirgli una connotazione morale o politica pregiudizialmente positiva o negativa), si intende denominare qualsiasi sentimento, mito, ideologia e movimento che: a) afferma l'esistenza delle n. come realtà di fatto e ne auspica la conservazione; b) sostiene e promuove il primato della n. nella vita collettiva, e tende a realizzarlo principalmente nell'istituzione di uno Stato indipendente e sovrano; c) colloca al vertice dei valori civici del cittadino il dovere di lealtà e fedeltà verso lo Stato nazionale, circondando la n. di un'aura di sacralità.
Il nazionalismo postula l'esistenza della n., di cui si considera espressione, anche se in molte situazioni storiche la n. appare essere piuttosto il risultato, che non il presupposto, del nazionalismo. Ciò si verifica quando la n., come individualità collettiva, non è un'entità umana già esistente, ma è un mito o una creazione culturale e politica del nazionalismo, che questo tende a tradurre in realtà agendo come forza unificante in un aggregato umano eterogeneo e per nulla consapevole di una propria identità comune e ancor meno di una propria distinta individualità storica. Anche se vi sono legittimi motivi per distinguere concettualmente e storicamente la n. dal nazionalismo, inteso in senso proprio come movimento culturale e politico, nelle vicende della storia contemporanea, come pure nelle riflessioni teoriche, 'nazione' e 'nazionalismo' appaiono così intrecciati, da rendere impossibile trattare della n. senza dover chiamare in causa il nazionalismo, la forza principale che ha plasmato il mondo politico contemporaneo configurandolo, appunto, come mondo di n. e di Stati nazionali. Lo Stato nazionale e il nazionalismo sono creazioni della cultura europea. Essi si fondano su una concezione della n., che si è venuta formando nel corso del 19° secolo. Prima dell'età contemporanea, il termine nazione era variamente adoperato per definire un qualsiasi aggregato umano distinto da una o più caratteristiche comuni, etniche, linguistiche, territoriali o religiose, anche se il più delle volte si trattava di aggregati di composizione e con contorni fluidi e cangianti, perché mancava a essi il fattore coesivo di una consapevole e attiva volontà unitaria, quale si afferma, generalmente, nella coscienza politica. In effetti, prima dell'età contemporanea, molto raramente la n. era concepita come una popolazione unita dalla coscienza di una comune identità storica e culturale, che trovava poi attuazione in una comune coscienza e volontà politica.
Fino al 18° secolo, la presenza di una coscienza nazionale, comunque fondata, era fenomeno che riguardava soltanto circoli ristretti della cultura o della politica. A questo proposito, è stata utilmente introdotta una distinzione tra le n. culturali, fondate su una forma di unità linguistica e culturale ma sprovviste di coscienza e volontà politiche, e le n. politiche, coincidenti con la coscienza politica dei ceti privilegiati, dell'aristocrazia e della dinastia regnante, solo occasionalmente accompagnata dal proposito di condividere con la popolazione dei sudditi una comune identità nazionale (spesso non esisteva nemmeno una lingua comune). In tale forma, dunque, il fenomeno nazionale, prima dell'età contemporanea, non coinvolgeva né mirava a coinvolgere, in alcuna forma, la totalità della popolazione di uno Stato: non mirava, cioè, a promuovere la formazione di una coscienza nazionale comune a governanti e governati, e ancor meno si proponeva di realizzare una sintesi tra n. 'culturale' e n. 'politica'.
Il fenomeno nazionale prese questa direzione soltanto alla fine del 18° secolo, assumendo però, rispetto alle sue precedenti manifestazioni, caratteri originali corrispondenti a una nuova idea della n., nuova soprattutto per la sua connessione con lo Stato e il principio della sovranità popolare. All'elaborazione di questa nuova concezione contribuirono, in diversa maniera, vari movimenti culturali e politici. Certamente importante fu, in primo luogo, la riscoperta illuministica del patriottismo civico dell'età classica, che divenne il nucleo di un nuovo senso della cittadinanza, insieme con una intensificata laicizzazione dello Stato. Più decisiva ancora fu l'identificazione fra n. e totalità dei cittadini, affermata dalle rivoluzioni democratiche del 18° secolo, e soprattutto dalla rivoluzione americana e dalla Rivoluzione francese, che attuarono il trasferimento della sovranità dal principe alla n., identificata con il popolo, composto da cittadini aventi eguali diritti ed eguali doveri, affratellati dall'amore 'sacro' della patria, e a essa fedeli, con lealtà e dedizione totale, fino al sacrificio della vita. E altrettanto importante fu, specialmente nel versante tedesco, la cultura del Romanticismo, che elaborò l'idea della n. come individualità spirituale, 'anima' di un popolo unito dalla lingua, dai costumi, dalle tradizioni, dalla storia. Principalmente da questi movimenti culturali e politici sono derivati gli elementi costitutivi dell'idea di n. che ha impregnato di sé la politica interna e internazionale negli ultimi due secoli, e che tuttora sono considerati fondamentali nella definizione della nazione.
Ma, come sarà mostrato, nel dibattito tuttora in corso sul fenomeno nazionale, l'esistenza della n. come realtà di fatto e, quindi, la validità della concezione su cui si fonda la legittimità e la stessa configurazione politica e territoriale dello Stato nazionale, nonché l'esistenza dei nazionalismi, sono stati rimessi radicalmente in discussione di fronte alle grandi trasformazioni che sembrano plasmare un mondo diverso dall'attuale, un mondo nel quale n. e Stati nazionali, secondo quanto alcuni profetizzano, non saranno più protagonisti né principali, né forse secondari, della vita interna e internazionale.
Nazione, Stato nazionale, nazionalismo
La n., secondo la concezione ancora prevalente, è un aggregato umano che condivide un'identità collettiva, risultante da un complesso di fattori unificanti, sia oggettivi sia soggettivi, quali l'etnia, la lingua, il territorio, la tradizione, la cultura, la religione, i costumi, le istituzioni. Come tale, la n. ha una propria individualità, che diviene consapevole di sé perpetuandosi nel tempo attraverso la memoria e la volontà di quanti ne fanno parte, nella successione delle generazioni. Corollario di questa concezione è divenuto, fin dalla metà dell'Ottocento, il principio di nazionalità, cioè il diritto della n. a organizzarsi politicamente in modo autonomo, in uno Stato indipendente e sovrano. In tal modo, nell'età contemporanea, 'Stato' e 'nazione' sono stati progressivamente accostati fin quasi a diventare necessariamente complementari nell'istituzione dello Stato nazionale, sintesi fra n. 'culturale' e n. 'politica'.
Nei vari modi in cui questa idea di n. è stata interpretata nel corso dell'Ottocento e del Novecento, si è dato maggior risalto, nell'indicazione dei suoi elementi generatori e costitutivi, ora ai fattori naturali, come la razza, la stirpe, l'etnia; ora ai fattori culturali, come la lingua, la religione, i costumi, la tradizione, le istituzioni; ora - ed è il caso più frequente - a una varia combinazione di questi fattori, con l'accentuazione dell'uno o dell'altro. Fra i teorici e gli storici attuali del fenomeno nazionale, i quali considerano le n. come realtà di fatto, in quanto formazioni storiche di specifici aggregati umani, prevale comunque l'opinione che le n. non siano riconducibili a entità biologiche. Le n., cioè, non vanno considerate alla stregua di organismi naturali, che, in quanto tali, sono sempre esistiti nel passato e sempre continueranno a esistere nel futuro, come è stato sostenuto, per es., dai teorici che privilegiano la razza, l'etnia, o altri fattori naturali nel definire l'origine e l'essenza della nazione. Le n. e gli Stati nazionali non rientrano nell'ordine naturale dell'esistenza biologica, ma appartengono all'ordine umano dell'esistenza storica. Le n. sono formazioni storiche prodotte da un complesso di fattori naturali, biologici, psicologici, etnici, ambientali, ma sui quali prevalgono nettamente i fattori propriamente umani, storici, culturali, politici. L'esistenza plurisecolare di uno Stato territoriale sotto una monarchia unitaria, che tende alla concentrazione del potere, può costituire una delle condizioni principali che favoriscono la formazione di uno Stato nazionale, come è accaduto in Francia o in Inghilterra.
Al di là delle divergenze di opinione sull'essenza della n. o sui fattori che la producono, nel fenomeno nazionale contemporaneo un ruolo decisivo appartiene alla volontà politica, che non solo conferisce alla n. la compiutezza di una realtà istituzionale, ma risulta essere il fattore preminente nella formazione della moderna coscienza nazionale, quale si manifesta nei movimenti nazionalisti, che sorgono e lottano principalmente per assicurare alla n. l'indipendenza e l'unità o per rendere 'nazionale' lo Stato esistente. Per il nazionalismo, la funzione dello Stato nazionale non è solo di assicurare, regolare e proteggere lo svolgimento della vita collettiva della popolazione che esso governa: lo Stato nazionale ha altresì il compito fondamentale di coltivare, preservare e perpetuare l'identità nazionale nella coscienza dei cittadini, affratellandoli nell'amor di patria. In tal modo, anche la patria viene a identificarsi con lo Stato nazionale, che assorbe in sé il patriottismo, inteso come amore per il luogo natio, la terra dei padri, e conservazione delle tradizioni di identità collettiva che il territorio 'naturale' della patria evoca e rappresenta nella memoria.
Dal nazionalismo e dall'identificazione della n. con lo Stato ha avuto maggiore impulso un altro carattere peculiare del fenomeno nazionale contemporaneo, cioè la sacralizzazione politica della n., collocata al massimo vertice dei valori civici del cittadino, oggetto di culto laico, istituito con l'invenzione di liturgie di massa incentrate sulla 'religione della patria'. La volontà di rendere sempre più effettiva l'asserita identificazione della n. con lo Stato attraverso la nazionalizzazione delle masse; l'adozione di riti, simboli e feste nazionali; l'incremento della monumentalità patriottica; l'intensificazione di una pedagogia statale impregnata di nazionalismo, e impartita alle masse attraverso l'esercito e la scuola; la partecipazione della cultura, e soprattutto della storiografia, alla costruzione di una moderna epica nazionale: tutte queste, in maniera più o meno accentuata, sono divenute le caratteristiche degli Stati nazionali, democratici e autoritari, di antica e di recente formazione.
In effetti, la coincidenza fra la n. e lo Stato, nella realtà dello Stato nazionale attuale, è più un postulato ideologico, un progetto politico, un'aspirazione ideale che un'effettiva realtà. Non solo, infatti, gli Stati nazionali attualmente esistenti sono in numero notevolmente inferiore rispetto alle aggregazioni umane che ritengono di possedere una propria individualità nazionale, ma di fatto molto spesso lo Stato nazionale - come la Spagna, l'Inghilterra, la Francia - è, in realtà, multinazionale, contiene, cioè, entro i suoi confini, delle minoranze etniche, linguistiche e religiose, che in molti casi rivendicano una nazionalità diversa dalla n. dominante, e quindi aspirano a costituirsi in uno Stato proprio, o reclamano una sostanziale autonomia, per preservare e perpetuare la loro peculiare identità. Inoltre, va considerato che, nella storia contemporanea, lo Stato ha esercitato ovunque un ruolo decisivo nel formare - o nel tentare di formare - una coscienza nazionale in popolazioni che non solo ne erano sprovviste, ma spesso condividevano ben pochi elementi comuni, che potessero indicarle già come aggregazioni costituenti una nazione, nel senso moderno.
Lo Stato nazionale può essere considerato, in molti casi, non la creatura di una n. preesistente, ma il creatore della nazione. Questa considerazione va tenuta presente per Stati nazionali sia di più antica origine, come la Francia e l'Inghilterra, sia di più recente formazione, come l'Italia e la Germania, e specialmente per quegli Stati nazionali formati da popolazioni quanto mai eterogenee per etnia, lingua, religione, tradizioni e costumi, come per es. la Svizzera o gli Stati Uniti, per i quali si è parlato di una 'nazione di nazioni'. E ciò va tenuto presente soprattutto per l'analisi del fenomeno nazionale nel Terzo Mondo, per gli Stati che sono nati dai movimenti anticoloniali di liberazione in Africa e in Asia. Questi Stati sorgevano sulla base territoriale dei possedimenti coloniali, dove convivevano popolazioni diversissime per etnia, lingua, religione, casualmente assembrate insieme dal colonialismo, generalmente prive di sentimenti e aspirazioni unitari, e piuttosto coinvolte in secolari conflitti tribali, che riesplosero con violenza nei nuovi Stati postcoloniali. Questi sono, in massima parte, creazione di nazionalismi senza nazione, come possono essere definiti, dove la n. è effettivamente niente più che un mito e un'aspirazione, che stenta a essere tradotta in realtà.
La moderna concezione della n., sia come realtà sia come mito, è connessa con l'idea dello Stato nazionale, e in tal modo essa costituisce il nucleo del nazionalismo, in quanto movimento politico fondato sull'ideologia della n. e dello Stato nazionale. Così inteso, il nazionalismo è da considerarsi fenomeno prettamente moderno, e non va confuso con altre forme di identità nazionale, pur presenti in epoche precedenti della storia umana. In un'accezione più particolare, specialmente dopo la seconda metà dell'Ottocento, il termine nazionalismo è stato adoperato per definire unicamente le ideologie e i movimenti che affermano una concezione autoritaria, aggressiva e imperialista della n., che possiamo sinteticamente definire ideologia della nazione organica. Nazionalista, cioè, sarebbe solo chi concepisce la n. come un organismo che subordina a sé gli individui che lo compongono, i quali gli appartengono indipendentemente dalla loro coscienza e volontà, e che si proietta verso l'esterno come un animale da preda, pronto alla guerra e alla conquista per espandere il proprio territorio e sottomettere le n. più deboli. Da una tale definizione emerge anche una particolare forma di Stato nazionale: esclusivo, geloso della propria integrità etnica o razziale, culturalmente chiuso in se stesso, diffidente od ostile verso lo straniero, bramoso di conquista e di espansione a danno di altre nazioni. Il nazionalismo, inteso in questo modo, è pertanto considerato un movimento geneticamente e sostanzialmente differente, e persino opposto, rispetto ai movimenti nazionali che hanno origine da una concezione della n. - che possiamo chiamare ideologia della nazione volontaria - fondata sulla libera adesione dei suoi membri, sul principio di nazionalità, sul riconoscimento della libertà e dell'uguaglianza delle n., facenti tutte parte, con pari dignità, del consorzio umano, nel quale ciascuna coopera, con il contributo della propria individualità e della propria civiltà, al progresso dell'umanità.
Nella rappresentazione storica e ideologica, la distinzione fra due concezioni della n., geneticamente e sostanzialmente contrapposte, è stata riferita alla cultura francese e occidentale (n. volontaria) da una parte, e alla cultura tedesca ed europeo-orientale (n. organica) dall'altra. Questa distinzione, tuttavia, pur non priva di fondamento, limitando l'applicazione del concetto di nazionalismo (connotato pregiudizialmente come un fenomeno moralmente e politicamente negativo) unicamente a un particolare aspetto del fenomeno nazionale, quello bellicoso e autoritario, non ha trovato molti consensi nella storiografia e nella teoria del fenomeno nazionale, anche per motivi linguistici.
Per es., fra gli studiosi di lingua inglese o di lingua tedesca, il termine nazionalismo viene adoperato, nel suo significato più generale da noi utilizzato in apertura di questa trattazione, per definire qualsiasi tipo di fenomeno connesso con la n. e lo Stato nazionale, specificando con aggettivi appropriati la varietà, la diversità e anche la contrapposizione tra i vari nazionalismi, a seconda delle ideologie con le quali il nazionalismo entra in simbiosi. Pertanto, si fa distinzione fra 'nazionalismo umanitario', 'nazionalismo giacobino', 'nazionalismo liberale', 'nazionalismo risorgimentale', 'nazionalismo integrale', 'nazionalismo totalitario', 'nazionalismo populista', e via dicendo, secondo l'ideologia che li caratterizza, e in considerazione anche delle diverse esperienze storiche e geografiche nelle quali essi si sono affermati, come vedremo in seguito. In effetti, il nazionalismo può coesistere e combinarsi con ideologie diverse, producendo sintesi di vario genere, nelle quali tuttavia, come mostra la storia degli ultimi duecento anni, l'impronta del nazionalismo appare quasi sempre predominante. È accaduto, per es., che anche ideologie internazionaliste, come il socialismo e il comunismo, siano state contagiate dal nazionalismo, specialmente quando sono divenute ideologie di Stato, e abbiano a loro volta generato forme peculiari di nazionalismo, come è accaduto nell'Unione Sovietica e in altri regimi comunisti. Si potrebbe parlare, a questo proposito, di una nazionalizzazione delle ideologie, che talvolta coinvolge le religioni, quando anch'esse tendono a identificarsi con una causa nazionale. Ma si può anche parlare di una ideologizzazione della nazione, che si verifica tutte le volte che un movimento politico tende a identificare la concezione della n. con la propria ideologia. Quest'ultima tendenza, che è tipica di qualsiasi movimento politico, può generare, all'interno di uno Stato nazionale, profonde lacerazioni e conflitti quando sono in competizione movimenti politici che hanno concezioni opposte della n., dello Stato e del rapporto fra governanti e governati. È accaduto, per es., sia nell'Ottocento sia nel Novecento, in Francia, dove si è svolta quella che è stata definita una lunga guerra franco-francese, che sarebbe stata superata solo dopo la Seconda guerra mondiale. Ancor più forte è stata l'esperienza di 'ideologizzazione della nazione' nella storia dell'Italia contemporanea, che ha portato spesso gli Italiani, nella prima metà del Novecento, alle soglie o nel pieno di una guerra civile, come è accaduto negli anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale.
Anche dal punto di vista sociale, il nazionalismo, più di qualsiasi altra forza politica, ha rivelato una straordinaria plasticità di adattamento e un potente fascino di mobilitazione. Da movimento e ideologia originariamente tipici dell'aristocrazia e della borghesia liberali e progressiste, il nazionalismo si è sviluppato spesso, per la sua stessa logica, come forza interclassista, anche se con prevalenza dei ceti medi, quale appare nella storia europea, e come forza populista, quale appare specialmente nell'America Latina e nel Terzo Mondo. Infine, il nazionalismo conferma la sua plasticità nell'adattarsi a essere forza di mobilitazione sia per il tradizionalismo sia per il modernismo: agisce come fattore di accelerazione del progresso e del cambiamento oppure come fattore di riattivazione e di rinvigorimento della difesa intransigente della società tradizionale.
Il nazionalismo è, dunque, un fenomeno proteiforme e ambiguo. Esso sfugge tuttora a una teorizzazione univoca, imbarazza il giudizio etico e politico, e continuamente sfida le valutazioni sulla sua natura e le previsioni sulla sua sorte. Secondo le ideologie con le quali entra in simbiosi e le situazioni storiche in cui opera, il nazionalismo può essere forza di liberazione o di oppressione, di emancipazione o di conformismo, di solidarietà o di odio: ma può essere anche l'una e l'altra cosa insieme, come è accaduto sia nella storia dei nazionalismi europei, sia nella storia dei nazionalismi di altri continenti. La storia della Francia e dell'Italia contemporanea, per es., mostra come, da un'originaria concezione volontaristica della n., si siano poi sviluppate e affermate forme differenti e contrapposte di nazionalismo, a seconda delle ideologie con le quali l'idea di n. era associata. Altri e più frequenti esempi di ciò si trovano nelle vicende dei nazionalismi anticolonialisti: movimenti di liberazione e di emancipazione, nella maggior parte dei casi, si sono trasformati, una volta conquistato il potere, in regimi di oppressione e di conformismo. Per non parlare del caso più frequente nelle vicende che hanno portato al crollo dell'impero sovietico e alla disintegrazione della Iugoslavia: la vittoria del nazionalismo antisovietico, da fattore di liberazione e di emancipazione, si è spesso tramutata in strumento di oppressione, di odio e di sterminio, riattizzando i miti e i comportamenti del nazionalismo razzista e belluino, causa di guerre fra gruppi etnici, come è accaduto, dopo il 1989, in talune regioni della ex Iugoslavia o della ex Unione Sovietica.
Dall'intreccio di n., Stato nazionale e nazionalismo è sorto il fenomeno nazionale contemporaneo, assumendo l'efficacia e la potenza della principale forza politica, capace di influenzare, condizionare e trasformare tutte le altre forze con le quali entra in collaborazione o in competizione, riuscendo a trapiantarsi e a svilupparsi in ogni continente, adattandosi alle più varie culture e civiltà, combinandosi con le più diverse ideologie e religioni, dando così origine, nella concreta vicenda della storia contemporanea, a una complessa varietà di nazionalismi.
Il fenomeno nazionale nella storia contemporanea
Lo sviluppo del fenomeno nazionale non è un processo storico unitario, lineare e omogeneo, ma si presenta con una notevole varietà di manifestazioni e diversità nei ritmi e nei modi di attuazione, a seconda dei tempi, dei luoghi, delle situazioni e delle circostanze in cui si è svolto, e viene tuttora svolgendosi. La guerra di indipendenza americana e la Rivoluzione francese furono le prime manifestazioni del nazionalismo democratico che, identificando il popolo con la n., attuò il principio della sovranità popolare come fondamento del moderno Stato costituzionale, insieme con l'affermazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Questo nazionalismo è il nucleo essenziale e permanente delle varie manifestazioni del fenomeno nazionale nella cultura e nella politica liberal-democratica dell'Ottocento e del Novecento.
Nel corso dell'Ottocento, il fenomeno nazionale si sviluppò principalmente attraverso i nazionalismi risorgimentali, miranti ad attuare il principio di nazionalità con la liberazione delle n. assoggettate a potenze straniere e la loro costituzione in Stati indipendenti. Di questo nazionalismo, che si intrecciava generalmente con il liberalismo e la democrazia, o quanto meno professava un'adesione formale al principio della sovranità popolare e del governo costituzionale, furono espressione i movimenti di indipendenza e di unificazione che, nel corso dell'Ottocento, in America Latina e in Europa, portarono alla creazione di nuovi Stati nazionali, mentre in gran parte dei vecchi Stati monarchici il principio della n. si affermava come nuovo fondamento della legittimità del potere politico. Il nazionalismo risorgimentale, coniugando l'idea di n. con l'idea di libertà, vedeva nella realizzazione dello Stato nazionale la conquista di una condizione di vita collettiva necessaria, nel mondo moderno, per garantire l'emancipazione e lo sviluppo delle masse secondo l'ideale di una personalità umana libera e consapevole.
Ai nazionalismi risorgimentali si affiancarono, alla fine dell'Ottocento, i nazionalismi imperialisti degli Stati colonialisti europei, sia democratici sia autoritari, cui si aggiunsero, spinti dall'ambizione al rango di potenza mondiale, gli Stati Uniti e il Giappone: tutti professavano una propria ideologia nazionalista, che esaltava le qualità e la superiorità della propria n., proclamava il diritto all'espansione e alla conquista per necessità vitali della razza e per svolgere nel mondo una missione di civiltà, e tutti erano egualmente proiettati verso una politica di potenza, di espansione e di conquista, per l'egemonia politica ed economica e, in senso lato, per imporre il modello della propria civiltà nazionale. Nel nazionalismo imperialista, il mito della n., anche quando rimaneva associato con ideali democratici e liberali, era tuttavia mescolato ai miti del razzismo, del darwinismo sociale, del militarismo, della missione civilizzatrice, e si compendiava nella visione del mondo come campo di perpetua lotta fra le n. per la supremazia, nell'apologia della guerra come benefica forza di rigenerazione e di progresso, nell'esaltazione delle virtù marziali come espressione massima dell'etica nazionale.
Nello stesso periodo, tra la fine dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, le crisi sociali e politiche provocate dall'accelerato ritmo dei processi di modernizzazione e di industrializzazione, insieme all'ascesa politica delle masse e all'avanzata del socialismo internazionalista, favorirono, in molti paesi europei, la formazione di nuovi movimenti culturali e politici accomunati dall'esaltazione del primato della n., ma con atteggiamenti ideologici contrastanti nei confronti dello Stato e della modernità. Alcuni, infatti, manifestavano un nazionalismo tradizionalista, conservatore, autoritario, spesso antisemita, che temeva e osteggiava l'industrializzazione e la modernizzazione e, nelle concezioni statali, palesava affezione o nostalgia per ordinamenti gerarchici tramontati o comunque consacrati dalla tradizione. Altri, invece, proponevano un nazionalismo modernista, che univa all'esaltazione delle forze produttive moderne l'aspirazione alla creazione di uno Stato nuovo, per adeguare la n. alle esigenze della vita moderna e alle sfide della competizione mondiale, propugnando un più spedito rinnovamento delle classi dirigenti. Questi movimenti, pur con prospettive differenti, volevano comunque rendere effettivo il primato della n. sulla società, e miravano ad accelerare l'integrazione delle masse nello Stato nazionale, anche in vista di una più attiva e aggressiva politica estera nei confronti delle altre nazioni.
Dalle tradizionali rivalità di potenza, dall'antagonismo imperialista fra i maggiori Stati europei, dalla mobilitazione dei nuovi movimenti nazionalisti e, non ultimo, dalle aspirazioni delle nazionalità, racchiuse entro il mosaico etnico dell'Impero austro-ungarico, all'indipendenza o al congiungimento a un proprio Stato nazionale, ebbe origine la guerra del 1914-18, il primo conflitto mondiale combattuto da una larga parte dell'umanità in nome della n. e dello Stato nazionale. Per tutti i paesi belligeranti, i valori nazionali furono la principale motivazione dell'intervento, anche se accanto ai valori nazionali, nell'uno e nell'altro fronte, furono professati ideali più universali, come la difesa del diritto o la salvezza della civiltà. In nome dei valori nazionali e in difesa del diritto e della civiltà entrarono in guerra anche gli Stati Uniti, idealisticamente convinti di scendere in campo, obbedendo alla missione del 'manifesto destino', per difendere il diritto dei popoli alla libertà e sostenere il trionfo del principio di nazionalità nella vita internazionale.
Il primo conflitto mondiale fu effettivamente l'apogeo del nazionalismo. L'entrata in guerra, avvenuta in un clima di iniziale euforia patriottica alimentata dall'illusione della breve durata del conflitto, provocò in quasi tutti gli Stati combattenti l'immediata sospensione delle divisioni e delle lotte politiche, la 'unione sacra' dei partiti, compresi i socialisti internazionalisti, nonché l'arruolamento spirituale degli intellettuali al servizio della propaganda patriottica, alla quale contribuirono anche, nelle forme proprie delle diverse religioni, i cattolici, i protestanti e gli ebrei: tutti, politici e religiosi, salvo poche eccezioni, schierati a sostegno della patria in guerra, impegnati a predicare la santità della causa nazionale e il dovere del sacrificio per il conseguimento della vittoria. Inoltre, la mobilitazione totale, l'accresciuto controllo statale su ogni aspetto della vita sociale, civile ed economica e l'intensificazione della propaganda nazionalista fra i soldati e i civili conferirono al primato dei valori nazionali una forza e un'autorità, politica e morale, fino ad allora sconosciute. La guerra rappresentò, sotto molti aspetti, il trionfo del nazionalismo, accrescendo smisuratamente il potere dello Stato nazionale e accentuando, attraverso l'esperienza bellica, la sacralizzazione della nazione. Il nazionalismo divenne effettivamente una religione laica, consacrata dal sacrificio di milioni di combattenti e perpetuata attraverso il culto dei caduti.
La guerra delle nazioni, come fu chiamata, si concluse con il trionfo delle nazioni. Essa provocò il crollo degli imperi multinazionali e, sulla base del principio di nazionalità, diede vita a nuovi Stati in Europa orientale. Il diritto delle nazionalità all'autodeterminazione parve trionfare anche in Russia, dove la rivoluzione bolscevica, altra conseguenza della guerra, gettò le fondamenta di uno Stato ideologico federale e multinazionale. Lo Stato sovietico condannava il nazionalismo come ideologia borghese, considerava la divisione dell'umanità in Stati nazionali una struttura legata al capitalismo e quindi destinata a essere superata dalla rivoluzione comunista, ma riconosceva l'esistenza delle n. come formazioni storiche, professava il principio dell'autodeterminazione dei popoli e condannava la politica di russificazione forzata praticata dallo zarismo nei confronti delle nazionalità non russe. La Costituzione dell'URSS del 1923 conteneva le clausole di un 'contratto nazionale', che stabiliva l'uguaglianza dei popoli che facevano parte del nuovo Stato federale e il rispetto delle loro identità nazionali, e riconosceva il diritto di libera secessione. L'istituzione della Società delle Nazioni (1920) parve coronare la speranza e la fiducia nell'avvento di un nuovo ordine internazionale basato sulla pacifica convivenza fra n. libere e indipendenti. In questo clima cominciarono a diffondersi in Europa anche i primi appelli a superare il nazionalismo e gli antagonismi degli Stati nazionali che avevano condotto i popoli europei alla reciproca carneficina, vagheggiando la costruzione di un'unione sovranazionale fondata sulla comune appartenenza alla civiltà europea.
In realtà, l'assetto europeo e mondiale deciso dai vincitori recava già in sé le condizioni per una nuova guerra, perché innescò nel continente europeo i potenziali esplosivi di nazionalismi umiliati, delusi, repressi o frustrati, da cui ebbero origine i nazionalismi totalitari del fascismo e del nazionalsocialismo.
Tratti comuni di questi nazionalismi erano: la militarizzazione della n., derivata dall'esperienza bellica; l'integralismo dell'ideologia totalitaria come religione politica; l'organizzazione dello Stato nazionale in un regime fondato sul monopolio del potere politico da parte del partito unico, che pretendeva di identificarsi con la n. e di esercitare, in nome di questa identificazione, un controllo assoluto, materiale e morale, sulla vita pubblica e privata del cittadino, per forgiare un 'uomo nuovo', concepito secondo i canoni della cultura marziale e della militanza fideistica. Il nazionalismo totalitario, di conseguenza, trattava e perseguitava come nemici della n. i cittadini che, pur facendone parte, si opponevano al partito unico o erano considerati appartenenti a razze diverse dalla presunta razza nazionale. Il razzismo e l'antisemitismo furono il fulcro del nazionalsocialismo fin dalle sue origini, mentre solo in un secondo tempo divennero capisaldi del fascismo e parte integrante della sua concezione della nazione.
Negli anni Trenta, il fenomeno nazionale, nella versione dei nazionalismi totalitari, appariva aver preso il sopravvento sui nazionalismi liberali e democratici. In molti paesi europei e in America Latina sorsero vari movimenti e regimi imitatori del fascismo e del nazionalsocialismo, o comunque fautori di un nazionalismo autoritario, mistico, palingenetico, anticomunista e, in molti casi, razzista e antisemita. Ma fu anche l'Unione Sovietica, sotto Stalin, a elaborare un proprio nazionalismo totalitario, unendo la celebrazione del valore di un patriottismo sovietico a una rinnovata esaltazione delle glorie della Russia zarista e del ruolo missionario della Russia nella rigenerazione dell'umanità contro l'Occidente capitalista. Inoltre, la politica accentratrice e terroristica dello stalinismo, negando qualsiasi valore al 'contratto nazionale', ridusse drasticamente l'autonomia delle nazionalità non russe, perseguitò ed eliminò fisicamente le loro élites culturali, deportò interi gruppi nazionali sradicandoli dalle loro terre, e impose una massiccia campagna di russificazione che avrebbe dovuto contribuire alla creazione, oltre le differenze di nazionalità, dell'uomo nuovo del comunismo, l'homo sovieticus. Negli anni fra le due guerre, inoltre, l'ideologia della n. e dello Stato nazionale cominciò a far proseliti anche in Asia e in Africa. Trapiantato attraverso la cultura europea, il nazionalismo si propagò fra le minoranze colte delle popolazioni coloniali, inculcando in esse la coscienza di una propria identità nazionale, da difendere contro la 'occidentalizzazione' e, quindi, la volontà di ribellarsi al dominio coloniale per conquistare l'indipendenza e dar vita a un proprio Stato nazionale.
Nel periodo fra le due guerre, dunque, il fenomeno nazionale, con le novità che abbiamo visto, conservò, accentuò ed estese il ruolo di principale protagonista nella politica europea e mondiale, sebbene emergessero, nei paesi democratici, i primi appelli per una unificazione europea o tendenze umanitarie e universalistiche, auspicanti il superamento dei nazionalismi e degli Stati nazionali, perché causa di antagonismi destinati a sfociare in disumani conflitti armati, che ponevano le condizioni per altri antagonismi e altre guerre. Con tutt'altra prospettiva, anche nei regimi totalitari di Italia e di Germania - i quali esaltavano gli antagonismi nazionali e predicavano la necessità della guerra come attuazione della volontà di potenza delle razze superiori - si disegnavano, alla vigilia e durante la Seconda guerra mondiale, progetti di una 'nuova Europa', prefiguranti il superamento degli Stati nazionali nelle nuove comunità imperiali degli Stati totalitari. Anche la guerra del 1939-45 appartiene al processo storico del fenomeno nazionale, nonostante fossero presenti, nelle diverse ideologie dei due eterogenei schieramenti, appelli a valori e a ideali che, in qualunque misura, trascendevano la n. e lo Stato nazionale.
Il nazionalismo mantenne comunque un ruolo di primo piano in tutti gli Stati belligeranti. Per l'Unione Sovietica, la guerra contro l'invasione tedesca fu combattuta come una 'grande guerra patriottica'. In Estremo Oriente, il Giappone si presentò come il liberatore delle n. asiatiche dall'imperialismo britannico e francese. Le potenze dell'Asse cercarono di minare gli imperi coloniali francesi e inglesi atteggiandosi a paladini dell'indipendenza delle n. islamiche. Sul fronte opposto, Gran Bretagna e Stati Uniti rilanciarono, con la Carta Atlantica (14 agosto 1941), il principio del diritto all'autodeterminazione dei popoli, ribadito nella dichiarazione delle Nazioni Unite (1° gennaio 1942). I valori nazionali, infine, furono i principali motivi unificanti degli eterogenei schieramenti dei partiti politici che diedero vita alla resistenza antifascista in Europa. Principalmente in nome dei valori nazionali fu combattuta in Italia, dal 1943 al 1945, la guerra civile tra fascisti e antifascisti, dopo il crollo dello Stato nazionale e la divisione del territorio italiano fra il Regno del Sud e la Repubblica sociale fascista.
Per la storia del fenomeno nazionale, tuttavia, le conseguenze della Seconda guerra mondiale furono molto diverse rispetto al conflitto precedente. L'esito della guerra decretò innanzi tutto l'annientamento del nazionalismo in Germania e in Italia. Le due maggiori creazioni del fenomeno nazionale dell'Ottocento pagarono duramente il fallimento delle loro ambizioni imperialiste. La Germania, militarmente ed economicamente annichilita, condannata politicamente e moralmente come responsabile di aver provocato, per la seconda volta in vent'anni, una guerra mondiale, e ancor più per aver compiuto, con pianificata ferocia, lo sterminio di milioni di Ebrei e di altre popolazioni vittime del razzismo nazista, non solo fu sottoposta a sostanziose amputazioni territoriali, rispetto ai confini del 1939, con la deportazione forzata di circa 12 milioni di Tedeschi dai territori assegnati ad altri Stati, ma perse l'unità nazionale con la divisione in due Stati, politicamente e ideologicamente nemici. Anche l'Italia subì amputazioni territoriali, sia pure di minore entità, ma poté conservare l'unità politica, liquidando definitivamente le aspirazioni al ruolo di grande potenza che avevano accompagnato lo Stato italiano dall'unità al fascismo. Nonostante lo spirito patriottico che aveva animato la resistenza antifascista nella guerra di liberazione, la commistione dei valori nazionali con l'ideologia totalitaria ebbe come conseguenza, dopo la guerra, un rapido declino del primato etico e politico dei valori nazionali nella vita collettiva degli Italiani. Nella nuova Italia repubblicana, il nazionalismo perse qualsiasi prestigio politico e morale, e fu confinato fra le ideologie nostalgiche dei residui movimenti monarchici e neofascisti, mentre agli ideali nazionali furono sostituiti, in vario modo, nella coscienza e nelle aspirazioni degli Italiani, gli ideali di una nuova democrazia sociale, che non collocava più la n. e lo Stato nazionale al vertice dei valori civici e politici.
Ma anche negli altri popoli europei, dopo la Seconda guerra mondiale, ci fu un ridimensionamento, se non proprio un declino, del nazionalismo. Nell'Europa devastata e distrutta si levarono ancora più numerose e autorevoli le voci di politici e intellettuali, i quali non solo condannavano la follia delle ambizioni imperialiste, ma reclamavano la fine di ogni nazionalismo e il superamento dello Stato nazionale, considerati principali responsabili delle guerre e degli stermini inflitti all'umanità in meno di mezzo secolo. Anche se queste voci non ebbero l'effetto sperato, è certo tuttavia che nella coscienza dei popoli europei, principali vittime, per la seconda volta, di una carneficina senza precedenti, la Seconda guerra mondiale operò una profonda trasformazione culturale e morale nei confronti del nazionalismo. La mentalità razzista o tendenzialmente razzista dell'imperialismo europeo, la cultura marziale che esaltava i valori militari come essenza del patriottismo, il mito della politica di potenza associata alla forza delle armi e all'estensione dei domini territoriali, tutto ciò, insomma, che era stato associato al nazionalismo europeo, dalla metà dell'Ottocento alla Seconda guerra mondiale, sembra essere stato effettivamente sepolto, insieme al primato mondiale e imperiale dell'Europa.
Gli effetti di questa radicale trasformazione di mentalità e di valori, nella coscienza europea, appaiono evidenti nella storia della seconda metà del Novecento. Dalla fine della Seconda guerra mondiale alla fine del 20° secolo, il continente europeo - fino alla nuova esplosione di guerre nei Balcani dopo il 1989 - non è stato più teatro di conflitti armati provocati dagli antagonismi di potenza, che avevano dominato per secoli. Le ambizioni e le esibizioni di grandezza e di potenza degli Stati nazionali, che avevano dominato e tormentato la vita del continente per secoli, furono relegate definitivamente fra le memorie di un tragico passato, anche se qualcuno degli Stati più grossi fra i vincitori del secondo conflitto mondiale, come la Francia e la Gran Bretagna, mantenne ancora atteggiamenti da grande potenza sulla scena mondiale. Ma anche per Francia e Gran Bretagna, con la liquidazione dei loro imperi coloniali, apparve presto evidente la decadenza dal rango di potenza mondiale, e l'inadeguatezza a contrastare, per risorse e forze, la supremazia mondiale degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica. Le due superpotenze esercitarono un'effettiva egemonia sugli Stati europei, schierati dietro di esse, durante la 'guerra fredda', sotto le bandiere di due blocchi antagonisti per visioni del mondo, principi, valori, sistemi economici e politici. In tal modo, l'egemonia militare delle superpotenze nucleari condizionava notevolmente, sia pure in modi differenti, l'indipendenza e la sovranità nazionale degli Stati europei. Per parte loro, Stati Uniti e Unione Sovietica non si astenevano dal coltivare ed esibire, l'una contro l'altra, un orgoglioso nazionalismo imperiale di un nuovo genere, giustificato dallo spirito missionario delle rispettive ideologie universalistiche, e soprattutto sorretto dalla forza smisurata di nuovi e più micidiali armamenti.
In questa prospettiva, l'emergere di una più vigorosa aspirazione a superare antichi odi e rivalità fra le nazioni europee, riscoprendo comuni matrici culturali e tradizioni spirituali, sembrò incoraggiare i tentativi miranti alla riduzione e alla limitazione della sovranità degli Stati nazionali entro nuove strutture politiche ed economiche di dimensioni europee, attraverso forme più o meno accentuate di federalismo. E ciò non solo per prevenire la rinascita di odii nazionalistici, ma anche per dare soluzione alla manifesta inadeguatezza rivelata dallo Stato nazionale a far fronte alla nuova realtà mondiale emersa dalla guerra, con l'affermazione delle grandi potenze continentali. Ripudiare il nazionalismo che divideva i popoli europei fu considerata la sola via per preservare all'Europa, nella nuova epoca degli Stati continentali, la sua identità culturale, e per dare agli Europei la capacità di controllare e decidere il proprio destino.
Con questo spirito furono gettate le basi per la costruzione di una comunità europea che, nell'intento dei suoi promotori, avrebbe dovuto portare alla fine del nazionalismo e al superamento dello Stato nazionale nello stesso continente nel quale il fenomeno nazionale era nato e si era sviluppato. La costruzione di questa nuova entità europea è stata tutt'altro che rapida e priva di ostacoli. Fra questi, la complessità degli interessi collettivi consolidati nella realtà degli Stati nazionali, e la resistenza, da parte di questi ultimi, a rinunciare ai capisaldi della loro sovranità. Le peculiarità delle culture, dei valori, delle tradizioni storiche dei singoli popoli europei si sono rivelate più tenaci dei ben più tenui richiami a una comune unità ideale. Infine, vi è stata l'opposizione a un più spedito processo di integrazione da parte di Stati con un più antico sentimento di individualità nazionale, come la Gran Bretagna e la Francia, che non credevano alla possibilità di realizzare un'effettiva unione europea in grado di fondere e superare le n. tradizionali, e neppure ne auspicavano la realizzazione. Nonostante ciò, è pur vero che, dall'epoca della Seconda guerra mondiale, c'è stato un declino del nazionalismo: la n. e lo Stato nazionale non sembrano più occupare, nella coscienza dei popoli europei, il vertice nella scala dei valori individuali e collettivi.
Ridimensionato in Europa, il fenomeno nazionale, dopo la Seconda guerra mondiale, ha trovato nuovi e più vasti territori di espansione in Asia, in Africa, in Oceania, dove si è affermato con il successo dei movimenti rivoluzionari anticolonialisti, che hanno posto fine ai possedimenti imperiali europei, accrescendo notevolmente il numero degli Stati nazionali. Dall'esperienza dei movimenti di liberazione anticolonialista sono sorte varie forme di nazionalismo, ognuna recante tracce della tradizione nazionale europea combinata con predominanti motivi della cultura indigena, nella ricerca di una formula nuova, volta a esaltare l'originalità della n. in costruzione. Questo nazionalismo anticolonialista, antimperialista, populista, socialista o socialisteggiante, in gran parte creazione di élites indigene occidentalizzate, ha sviluppato una sua originalità innanzi tutto nell'avversione, più o meno radicale, per l'Occidente e la civiltà occidentale, e, quindi, nell'esaltazione delle proprie tradizioni, spesso però accompagnata da un'ideologia modernizzatrice, variamente associata a forme di socialismo e di collettivismo, entro regimi a partito unico che avevano notevoli analogie con i nazionalismi totalitari, compresa una spiccata componente razzista e xenofoba. Con questi mezzi, i nazionalismi anticolonialisti, dopo la liberazione, si proponevano di creare una nuova n. dall'eterogeneo aggregato di popolazioni ereditato dal colonialismo. Da questo punto di vista, le vicende dei nazionalismi anticolonialisti sembrano ripercorrere, in situazioni completamente differenti, ma avendo comunque presente l'esperienza occidentale, il cammino dei nazionalismi europei, dal nazionalismo risorgimentale a quello totalitario. Le credenze religiose - soprattutto la religione islamica - hanno altresì avuto un ruolo decisivo nella formazione di questi nazionalismi e nella rivolta contro l'Occidente, ma si sono rivelate anche un ostacolo insormontabile ai progetti di modernizzazione e di laicizzazione che i nazionalismi anticolonialisti intendevano realizzare. Nello stesso senso, il prevalere del tradizionalismo etnico e dei violenti antagonismi tribali, la scarsità o lo sperpero delle risorse, il predominio di nuove caste militari hanno reso quanto mai incerta e precaria la costruzione della 'nuova nazione'.
Un futuro per la nazione?
La forza e la celerità espansiva del fenomeno nazionale costituiscono uno dei più complessi e affascinanti problemi del mondo contemporaneo. Sempre più numerosi sono diventati, dopo la Prima guerra mondiale e soprattutto nella seconda metà del 20° secolo, i tentativi fatti per analizzare e interpretare l'origine e la potenza di questo fenomeno. Centrale, in questi tentativi, è innanzi tutto la questione della n., che riguarda non solo la sua definizione concettuale, ma il problema stesso della sua natura: se la n. è da considerarsi una realtà perenne, un'entità primordiale e insopprimibile, perché ha le basi nella natura stessa dell'essere umano, e quindi è e sarà costantemente presente nel suo divenire, oppure se si tratta di una realtà temporanea, cioè di una forma di aggregazione collettiva, che è apparsa in un'epoca recente della storia, ha avuto origine da esigenze e necessità economiche e politiche dello Stato moderno, dalla centralizzazione, dalla burocratizzazione, dall'industrializzazione, e che pertanto, in tempi più o meno prossimi, andrà incontro a un superamento, se non proprio all'estinzione, in seguito al cambiamento delle circostanze storiche da cui la n., lo Stato nazionale e il nazionalismo hanno avuto origine.
Molto schematicamente, le interpretazioni contemporanee del fenomeno nazionale possono essere distinte in due orientamenti principali. Nel primo caso, che potremmo chiamare teoria della nazione reale, la n. è considerata una realtà di fatto, un'entità veramente esistente, che precede la nascita dello Stato nazionale, e ne costituisce la matrice. Secondo questa teoria, lo Stato nazionale sarebbe effettivamente l'espressione di una individualità collettiva, che si è formata nel tempo, e che diviene consapevole della propria identità attraverso il nazionalismo. In questo senso, si è parlato, per l'origine del fenomeno nazionale nell'epoca contemporanea, di 'risorgimento' e di 'risveglio' della n.: la n., realtà di fatto, attraverso le sue élites culturali e politiche acquista coscienza di sé, e di tale coscienza permea lo Stato, se già esiste, trasformandolo appunto in Stato nazionale, come è accaduto in Francia o in Inghilterra, oppure dà impulso alla creazione di uno Stato nazionale attraverso la lotta di indipendenza e di unificazione, come è accaduto in Italia e in Germania. Nel secondo caso, che possiamo chiamare teoria della nazione immaginaria, la n. è considerata non una realtà di fatto, ma una mera costruzione culturale, un mito, un progetto politico, insomma un artificio ideologico, di cui si sono avvalsi i ceti dominanti dello Stato centrale attraverso la loro 'nazionalizzazione'. Partendo da queste due differenti prospettive, gli interpreti del fenomeno nazionale hanno valutato ovviamente in modo contrastante il ruolo del nazionalismo e dello Stato nazionale nella storia contemporanea e nel prossimo futuro. Per i sostenitori della teoria della n. immaginaria, il fenomeno nazionale è il residuo di un'epoca ormai al tramonto: gli Stati nazionali sono destinati a scomparire nel nuovo mondo già in avanzato stadio di formazione, nel quale dominano i processi sovranazionali e internazionali della globalizzazione, dell'interdipendenza economica, della generalizzazione uniforme di culture, di valori e di costumi.
L'ideologia e l'organizzazione dello Stato nazionale, secondo alcuni, non appaiono più funzionali alle nuove forme di organizzazione sociale e politica che scaturiranno da questi processi sovranazionali in rapido sviluppo, e saranno perciò inevitabilmente accantonate, insieme con i confini territoriali e la sovranità assoluta dello Stato nazionale, a favore di organizzazioni politiche più ampie, come l'Unione Europea. Allo stesso modo, la globalizzazione culturale e le migrazioni dei popoli, tendendo a dissolvere le artificiali costruzioni delle identità nazionali, condannano il nazionalismo stesso a una prossima estinzione, anche se preceduta dalle fiammate di una sua residua vitalità. A tale previsione paiono recare ulteriore conferma i sintomi evidenti di una crisi dello Stato nazionale nel mondo occidentale e in particolare in Europa. L'avversione generalizzata per lo Stato burocratico centralizzato; l'impulso a una sempre maggiore particolarizzazione della democrazia entro dimensioni locali; l'attivazione politica di rivendicazioni etniche secondo una logica esclusivistica; la spinta individualistica a rivendicare spazi sempre più ampi ai propri diritti, a scapito dei tradizionali doveri civici connessi con lo Stato nazionale: tutto ciò, unito ai processi internazionali accennati, può effettivamente accelerare la crisi dello Stato nazionale e dell'idea che lo sostiene, nella forma derivata dalla tradizione ottocentesca. Ma, nelle più recenti vicende del mondo contemporaneo, anche i sostenitori dell'altra interpretazione traggono elementi di verifica e di conferma. I sostenitori della teoria della n. reale, pur non negando la realtà di un nuovo mondo in formazione, sono tuttavia convinti che le n., in quanto realtà di fatto e non mere costruzioni ideologiche, non siano destinate a scomparire, come mostrano il risveglio delle nazionalità e dei nazionalismi dopo il crollo dell'impero sovietico e il perdurare delle tensioni e dei conflitti etnici, anche se l'attuale organizzazione dello Stato nazionale dovesse essere superata entro configurazioni politiche nuove.
Il dibattito sulla natura della n. coinvolge inevitabilmente la valutazione del suo stato di salute nel presente e le previsioni della sua presenza nel futuro. Il dibattito teorico è in corso, continuamente alimentato dai sempre nuovi, talora imprevisti, precipitosi e sconvolgenti eventi, che riportano al centro dell'attenzione la n. e il fenomeno nazionale. Alla fine del secondo millennio, l'umanità continua tuttora a vivere divisa in n. e in Stati nazionali, e non sembra affatto prossimo un loro effettivo superamento. Neppure pare che il nazionalismo abbia perso il suo fascino, la forza di mobilitazione politica, la capacità di adattamento, di metamorfosi e di simbiosi. La riattivazione di movimenti xenofobi, e spesso razzisti, nelle più sviluppate società occidentali, specialmente per reazione a fenomeni migratori di massa dai paesi poveri dell'Africa e dell'Asia; la ricerca di identità culturali entro confini regionali e su basi etniche; il risveglio o la nascita di movimenti di micronazionalismo separatista negli Stati nazionali europei possono predisporre le condizioni per un'ulteriore metamorfosi del nazionalismo, in forme e dimensioni nuove. Non si può esser certi che la n., come realtà o come mito, abbia esaurito la sua fecondità produttrice di nuovi Stati. In molte regioni del mondo sono vivi, e spesso animosi e violenti, i sentimenti, le passioni, e i conflitti attivati da varie forme di nazionalismo. In tutti i continenti, all'interno di Stati di antica o di recente costituzione, si agitano minoranze etniche, religiose o linguistiche che, affermando di possedere una propria nazionalità, si considerano sottoposte e sfruttate dalla n. dominante, e, di conseguenza, si agitano per rivendicare l'autonomia o la sovranità politica oppure aspirano a congiungersi allo Stato al quale, per affinità nazionale, ritengono di appartenere. Alla fine del 20° secolo, anche se da tempo è stato ripetutamente annunciato come imminente e inevitabile il superamento dello Stato nazionale, della n. e del nazionalismo per effetto delle trasformazioni della vita economica e sociale contemporanea, dove sempre più si impongono relazioni collettive sovranazionali e si diffonde l'adozione di valori, conoscenze, atteggiamenti, comportamenti, mentalità e costumi internazionali e uniformi, non sembra affatto che il fenomeno nazionale e gli elementi che lo compongono - la n., lo Stato nazionale e il nazionalismo - siano destinati a scomparire in un prossimo futuro.
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