Santos, Nelson Pereira dos
Regista cinematografico brasiliano, nato a San Paolo il 22 ottobre 1928. Tra i più importanti registi brasiliani, si è distinto per la capacità di aprire nuove strade, poi seguite anche da altri cineasti. La sua opera, autentico work in progress, è una riflessione sulla cultura brasiliana realizzata attraverso differenti formati e linguaggi, dal film di finzione al documentario. Come per molti registi latinoamericani attivi negli stessi anni, anche per S. l'impegno nel cinema ha acquistato un significato profondamente politico: nella sua opera risulta fondamentale la priorità di testimoniare l'esistenza di una cultura autenticamente brasiliana e di diffonderne la conoscenza per mezzo della macchina 'cinema', che diventa così per il regista un vero e proprio laboratorio antropologico.
Figlio di un sarto, studiò giurisprudenza all'università. I suoi esordi, fortemente influenzati dal Neorealismo italiano, risalgono alla fine degli anni Quaranta, quando girò in 16 mm il primo documentario, Juventude (1950) e lavorò come assistente alla regia di Alex Viany in Agulha no palheiro (1952) e poi di Rodolfo Nanni in O saci (1953). Proprio su invito di Viany si trasferì subito dopo a Rio de Janeiro e, insieme a lui, sostenne, nel corso dei due congressi nazionali sul cinema del 1952 e del 1953, la tesi innovativa secondo cui per il cinema nazionale si doveva individuare una strada genuinamente brasiliana. A Rio de Janeiro collaborò con i quotidiani "Jornal do Brasil" e "Diário carioca" e si dedicò alla realizzazione di documentari da lui concepiti come una sorta di taccuino di appunti per la realizzazione dei lungometraggi coevi. Tra i documentari vanno ricordati Soldados do fogo (1958), Um moço de 74 anos (1963), O rio de Machado de Assis (1965), Fala Brasilia (1966) e Alfabetização (1970). Negli anni Cinquanta S. si dedicò a drammi urbani quali Rio, quarenta graus (1955), che divenne uno dei film di riferimento del nascente Cinema Nôvo, e Rio, zona norte (1957); mentre negli anni Sessanta lo sguardo del regista si spostò verso il mondo rurale nordestino e il film che inaugurò questo viaggio geografico e umano fu Mandacaru vermelho (1961). Segnò una pausa rispetto a questo percorso intrapreso il successivo Bôca de ouro (1962), in cui S. tornò alla geografia della favela.
Nei primi anni Sessanta S. prese parte al movimento del Cinema Nôvo, non solo come regista ma anche in qualità di montatore per Barravento (1961) di Glauber Rocha; Pedreira de São Diogo di Leon Hirszman, episodio del film collettivo Cinco vezes favela (1962) e Maioria absoluta (1964) sempre di Hirszman. Il 1963 fu l'anno di Vidas secas, opera di fondamentale importanza e vero e proprio trattato sulla dimensione sociale e morale dell'uomo brasiliano. Tratto dall'omonimo romanzo di G. Ramos e girato in economia, il film utilizza assai bene risorse naturali ed etniche (gli esterni, le canzoni e la luce del Nordeste); anche gli attori sanno fare economia di gesti e di parole drammatizzando, per sottrazione, quel contesto umano e geografico conosciuto come il 'poligono della siccità'. L'incontro con la prosa secca di Ramos (le cui opere fornirono i soggetti anche per Insônia, 1982 e Memórias do cárcere, 1984) portò a maturazione il cinema umanista e critico del regista. Nel 1967 S. realizzò una commedia di costume, O justiceiro, tratta da un romanzo di J. Bethencourt; mentre il successivo Fome de amor (1968) mette in scena due coppie su un'isola deserta, personaggi legati da sentimenti di reciproco amore e odio, in un processo di autodistruzione che costituisce l'archetipo di una società in decomposizione. Si tratta di un'opera 'aperta', che evidenzia l'incisività di alcune scelte registiche sia sul piano formale (lo stridente contrasto tra le immagini nitide e lucide e la recitazione quasi in trance degli attori), sia sul piano di una rappresentazione della realtà sempre più apertamente ironica e carica di humour.
Questo aspetto divenne più evidente nel film successivo, Azyllo muito louco (1970), tratto da un romanzo di M. de Assis, e ancor più nelle opere degli anni Settanta contrassegnate da una netta scelta 'antropologica'; basti pensare alle tre opere più importanti di questa decade: Como era gostoso o meu francês (1971), O amuleto de Ogum (1974) e Tenda dos milagres (1977). In tutti questi lavori S. cercò una strada originale per interpretare la realtà brasiliana, liberandosi delle ideologie in quanto strumenti interpretativi preconcetti e realizzando con Azyllo muito louco quasi un film metafisico. L'idea di Como era gostoso o meu francês aveva preso corpo già all'epoca di Vidas secas quando, lavorando nella zona del Nordeste, S. era entrato in contatto con la popolazione indigena e contemporaneamente aveva scoperto il primo romanzo di Ramos, Caetés, tentativo di recuperare la brasilianità e le sue radici, in base al presupposto che tutti i brasiliani sono anche indios. Proprio nella scelta del punto di vista antropologico, Como era gostoso o meu francês risulta molto vicino a Vidas secas, di cui costituisce in questa prospettiva quasi una continuazione. Il film si avvalse della collaborazione di Humberto Mauro, cui furono affidati i dialoghi in lingua tupi. Anche in O amuleto de Ogum, S. mette al centro della sua analisi quelle popolazioni che vivono ai margini della cultura ufficiale perché economicamente emarginate, ma mantengono vivi i propri miti e credenze: l'elemento di novità non è quindi nel tema ma piuttosto nell'impostazione. Se in tutti i film precedenti il regista aveva cercato una messa a fuoco del problema attraverso un allontanamento sociologico, qui invece c'è una sorta di identificazione totale con la realtà culturale che viene fotografata. Il discorso iniziato nelle due precedenti opere venne continuato anche in Tendas dos milagres, tratto dal romanzo di J. Amado. Nel 1984 S. tornò a ispirarsi a Ramos in Memórias do cárcere, film politico fortemente critico verso la società brasiliana che racconta la vita dello scrittore (interpretato da Carlos Verza), iniziando dal suo primo lavoro come insegnante nel Nordeste del Brasile, e proseguendo con l'arresto da parte della polizia politica di G. Vargas, fino alla prigionia nel carcere di Ilha Grande per motivi politici dopo il fallito tentativo di insurrezione del 1935 da parte della Aliança Nacional Libertadora, in una sorta di grande metafora della società brasiliana.
Nella seconda metà degli anni Ottanta si è aperta in Brasile una fase di coproduzioni internazionali, tra le quali vanno ricordate due franco-brasiliane dirette da S.: Jubiabá (1987), dal romanzo di J. Amado, e A terceira margem do rio (1994), tratto da J.G. Rosa. Nel 1995 S. è stato chiamato a realizzare un film sul cinema latinoamericano nel quadro delle iniziative dedicate ai cento anni dalla nascita della settima arte organizzate dal British Film Institute; il risultato è stato il commovente Cinema de lágrimas, sceneggiato assieme a Silvia Oroz. Nel 1998 ha girato Guerra e liberdade ‒ Castro Alves em São Paulo, biografia del poeta brasiliano C. Alves e storia del suo tormentato amore per Eugenia Câmara. È stata poi la volta di Casa grande e senzala (2000), primo lavoro televisivo del regista, una serie in stile docudrama girata in 16 mm e tratta da G. Freyre sulla base di un progetto di Joaquim Pedro de Andrade interrotto dalla sua prematura morte. Va infine ricordato un cortometraggio di dodici minuti girato in video, Meu compadre Zé Ketti (2001), omaggio al grande compositore Zé Ketti scomparso nel 1999, una delle figure più popolari della samba e attore in vari film del regista.
M. Salem, Nelson Pereira dos Santos. O sonho possível do cinema brasileiro, Rio de Janeiro 1987; Bye bye Brasil. Il cinema brasiliano fra tradizione e rinnovamento, 1970-1988, a cura di V. Caparra, F. Norci, D. Ranvaud, XXV Incontri internazionali del cinema di Sorrento, Firenze 1988.