Almendros, Nestor
Direttore della fotografia spagnolo, nato a Barcellona il 30 ottobre 1930 e morto a New York il 4 marzo 1992. È stato uno dei protagonisti della Nouvelle vague, alla quale diede un contributo decisivo con il suo gusto per la luce naturale, organico alla poetica di Eric Rohmer e di François Truffaut. Il rifiuto delle tradizionali tecniche di illuminazione, basate sull'uso di mezzi artificiali, unitamente a una solida formazione umanistica, lo portarono a definire uno stile assai personale, volto a sfruttare, con vari espedienti (specchi, pannelli ecc.), le fonti di luce esistenti sulle scena, creando in tal modo immagini in grado di esprimere il contenuto emozionale del film. La New Hollywood, che ne rilanciò il talento dopo gli anni Settanta, consacrò in lui uno dei più grandi operatori del panorama mondiale, consentendogli di vincere l'Oscar nel 1978 per Days of heaven (I giorni del cielo) di Terrence Malick. Due anni più tardi, il César assegnatogli per Le dernier métro (L'ultimo metrò) di Truffaut, ne premiò idealmente il rilevante contributo dato al cinema francese.
Nato in una famiglia di ferventi repubblicani, all'età di diciotto anni abbandonò la natìa Spagna, raggiungendo il padre, oppositore di Franco ed esiliato a Cuba. Continuò quindi gli studi frequentando la facoltà di Lettere e filosofia presso l'università di La Havana e nel 1948, insieme a Tomás Gutiérrez Alea, German Puig, Carlos Clarens e altri, fondò il primo cineclub della città. Con Gutiérrez Alea un anno più tardi iniziò a girare cortometraggi a passo ridotto, come Una confusión cotidiana, tratto da F. Kafka. La passione per il cinema lo indusse a frequentare corsi specifici, prima al City College di New York, poi al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Dopo la parentesi italiana, tornò come insegnante di lingua spagnola a New York, dove frequentò gli ambienti del cinema underground, in particolare Maya Deren e i fratelli Mekas, e pubblicò i suoi primi scritti su "Film culture". Probabilmente sarebbe diventato un esponente del New American Cinema se non avesse deciso di tornare a Cuba, dove la rivoluzione castrista aveva appena rovesciato il regime di F. Batista. Dopo i primi entusiasmi e alcuni cortometraggi realizzati come regista (tra cui Gente en la playa, 1961), entrò in conflitto con gli ambienti più legati al governo, soprattutto a causa dei giudizi espressi in qualità di critico cinematografico per il settimanale "Bohemia". Si avviò quindi verso un nuovo esilio, questa volta in Francia, dove Gente en la playa gli aprì le porte dei circoli nei quali si teorizzava il cinéma vérité. Grazie a Jean Rouch, si avvicinò ai cineasti della Nouvelle vague e cominciò a lavorare come direttore della fotografia (e operatore) per il film collettivo Paris vu par… (1965), che gli diede la possibilità di farsi apprezzare da Rohmer e dal suo produttore, Barbet Schroeder, i quali gli affidarono la fotografia di La collectionneuse (1967; La collezionista) e Ma nuit chez Maud (1969; La mia notte con Maud). Nei primi anni parigini A. alternò il lavoro per il cinema all'attività di operatore per documentari didattici della televisione francese. Fu il successo del film More (1969; Di più, ancora di più), diretto da Schroeder, ad aprirgli le porte dell'industria del cinema, segnando così un importante punto di arrivo per quello che era stato un anomalo percorso professionale.
Negli anni Settanta A. lavorò intensamente, dividendosi fra i tre registi con i quali aveva stretto un sodalizio artistico e umano. Per Rohmer, che gli affidò la fotografia della serie dei cosiddetti Contes moraux, esplorò pagine e pagine della storia della pittura: in Le genou de Claire (1970; Il ginocchio di Claire) fotografò le alture attorno al lago di Annecy con l'occhio rivolto a P. Gauguin; in La marquise d'O (1975; La marchesa von…), forse il suo capolavoro, si ispirò al neoclassicismo francese e in alcune scene usò le candele come fonte di luce, come contemporaneamente stava facendo John Alcott per Barry Lyndon di Stanley Kubrick; in Perceval le gallois (1978; Perceval) ricreò le atmosfere medievali lavorando sui colori pieni. Risultati altrettanto rilevanti arrivarono dalla collaborazione con Truffaut, iniziata con il granuloso bianco e nero di L'enfant sauvage (1969; Il ragazzo selvaggio), proseguita con Domicile conjugal (1970; Non drammatizziamo… è solo questione di corna), Les deux anglaises et le continent (1971; Le due inglesi), e culminata con L'histoire d'Adèle H. (1975; Adele H., una storia d'amore), La chambre verte (1978; La camera verde) e Le dernier métro; tre film claustrofobici, questi ultimi, in cui A., oltre a confermare la sua grande capacità di illuminare gli interni, si rivelò raffinato ritrattista di figure femminili, fotografando con sensibilità i volti luminosi di Isabelle Adjani e Catherine Deneuve. Per Schroeder, ormai diventato regista, illuminò altri tre film, La vallée (1972), Maîtresse (1976) e Koko (1977).
Il primo contatto con Hollywood lo ebbe grazie a Roger Corman, che lo chiamò a lavorare per un film diretto da Monte Hellman, Born to kill ‒ Cockfighter (1975; dove A. si firmò John Nestor, per motivi sindacali). Ma il vero trampolino di lancio negli Stati Uniti fu per lui costituito da Days of heaven, film che gli procurò l'unico, meritato Oscar: per questo racconto epico, ricco di suggestioni visive e pittoriche (J. Vermeer, ma anche E. Hopper e A. Wyeth), A. inventò splendide scene notturne, illuminate con la sola luce dei falò.
Da quel momento fu conteso dai registi statunitensi più attenti alla qualità visiva dei loro film, raccogliendo altre quattro candidature all'Oscar e imponendosi in particolare come raffinato ritrattista di star, grazie soprattutto allo straordinario lavoro compiuto sul volto di Meryl Streep, in Kramer vs. Kramer (1979; Kramer contro Kramer), Still of the night (1982; Una lama nel buio), entrambi di Robert Benton, Heartburn (1985; Heartburn ‒ Affari di cuore) di Mike Nichols, e soprattutto in Sophie's choice (1982; La scelta di Sophie) di Alan J. Pakula, in cui la fotografia sottolinea con grande efficacia la sofferta dinamica interiore del personaggio.
Contemporaneamente, in Francia, fotografava l'ultimo film di Truffaut, Vivement dimanche! (1983; Finalmente domenica!), confermando quello che resta uno dei più straordinari sodalizi artistici del cinema del dopoguerra. Sempre in Francia, nel 1980, aveva pubblicato l'autobiografia, Un homme à la caméra, la cui introduzione era stata firmata proprio da Truffaut. Scrisse anche diversi articoli di cinema su molti periodici specializzati, da "Positif" a "Cinématographe", da "Film comment" a "Films & filming", dai "Cahiers du cinéma" a "American cinematographer". Nel 1984 era inoltre tornato a dirigere documentari, firmando insieme al cubano Orlando Jiménez Leal Mauvaise conduite, duro attacco all'ostilità dimostrata dal regime castrista nei confronti degli omossessuali; tema che ripropose in un documentario di quattro anni dopo, Nobody listened. Il suo ultimo lavoro da direttore della fotografia lo vide ancora una volta a fianco di Benton, per Billy Bathgate (1991; Billy Bathgate ‒ A scuola di gangster), film che portò a termine poco prima che sopraggiungesse una morte prematura.
H. Béhar, Nestor Almendros: un directeur de la photographie, à quoi ça sert, in "Image et son", 1978, 330, pp. 51-78.
M. Ciment, Mauvaise conduite, in "Positif", 1984, 279, pp. 72-73.
J. Fieschi, C. Najman, Nestor Almendros et Orlando Jiménez Leal, in "Cinématographe", 1984, 98, pp. 23-26.
J. Posada, Photography as a passion, in "Sight & sound", 1984, 2, pp. 124-29.
D. Curry, P. Lehman, Interviews with Nestor Almendros, in "Wide angle", 1985, 1-2, pp. 118-25.