neutralità
Il tema della n. (o dello stare di mezzo) è affrontato da M. in prospettiva esclusivamente politica, non giuridica. I suoi primi accordi si fanno sentire nella corrispondenza diplomatica: in particolare – ed è cosa suggestiva – nei documenti che riferiscono di incontri con il Valentino; per mezzo di M., questi intimava ai governanti fiorentini: «tra voi e me non ha ad essere mezzo: o bisogna mi siate amici, o nimici» (lettera del 26 giugno 1502, LCSG, 2° t., p. 241); «E di nuovo – il 9 ottobre 1502 – mi ricordò al partir mio da lui, che io ricordassi alle Signorie vostre che, se le si staranno di mezzo, le perderanno ad ogni modo; accostandosi, potrebbono vincere» (LCSG, 2° t., pp. 347-48).
Nel cap. xxi del Principe, §§ 11-24, l’argomentazione relativa alla n. è incorniciata fra due massime di valore generale, da contarsi fra i ‘princìpi primi’ dell’arte dello stato: è «stimato uno principe quando egli è vero amico e vero inimico, cioè quando sanza alcuno respetto e’ si scuopre in favore di alcuno contro a uno altro» (§ 11; qui sembra di risentire le parole stesse di Cesare Borgia, appena citate); «Né creda mai alcuno stato potere pigliare sempre partiti sicuri, anzi pensi di avere a prenderli tutti dubi [...] la prudenza consiste in sapere conoscere le qualità delli inconvenienti e pigliare el men tristo per buono» (§ 24). Ci troviamo dunque sul piano delle ‘regole’ per l’azione efficace – ripudio della «via del mezzo» («via neutrale», in senso generico, in Discorsi II xxiii 12) e di un pregiudiziale affidarsi al ‘beneficio del tempo’; attento calcolo del rischio – che delineano il modo di «opporsi alla fortuna in universali» «con ripari e con argini» (Principe xxv 6 e 9) – non già nel quadro teoretico del ‘riscontro’ (→).
La questione della n. si pone «se dua potenti tua vicini vengono alle mani». Pur dalla consueta impostazione dilemmatica – «o e’ sono di qualità che vincendo uno di quelli tu abbia a temere del vincitore, o no» (Principe xxi 12) – M. viene a concludere che l’utilità di ‘scoprirsi gagliardamente’ è confermata su entrambi i lati del dilemma (con una riserva). Se almeno uno dei contendenti è potenzialmente pericoloso per lo Stato che si trovi, all’inizio, fuori della mischia, la n. è rovinosa perché «sarai sempre preda di chi vince, con piacere e satisfazione di colui che è stato vinto» (§ 13). Prendere partito comporta un rischio minore. L’alleato di colui che vince, pur finendo con il trovarsi «a discrezione» di quello, si trova protetto da un fattore non razionale (ma, nell’ottica machiavelliana, non irrilevante), come «l’amore» che si è «contratto», e da un fattore razionale: «le vittorie non sono mai sì stiette che el vincitore non abbia mai a avere qualche respetto, e maxime alla iustizia» (§ 18). Ma anche l’alleato del perdente si trova in condizioni migliori del neutrale, perché è diventato «compagno di una fortuna che può resurgere» (§ 19). L’alleanza, quando sia richiesta, funziona di per sé come prova di amicizia: «sempre interverrà che colui che non è amico ti ricercherà della neutralità, e quello che ti è amico ti richiederà che ti scuopra con le arme» (§ 16; con maggiore sottigliezza, l’idea torna in Istorie fiorentine III xxii 7: «Carlo, secondo il costume degli amici vecchi, chiedeva da loro aiuti, e Lodovico dimandava, come fa chi cerca le amicizie nuove, si stessero di mezzo»).
Molto più favorevole è la situazione di chi possa scegliere fra due contendenti «di qualità che tu non abbi da temere di quello che vince» (§ 20). In tal caso, la vittoria è sicura, e l’alleato, pur vincendo, «rimane a tua discrezione» – a specchio di quanto accadeva, nel primo caso, a chi aderiva all’iniziativa del contendente più forte. Da questa curva del discorso, M. è portato a precisare meglio il criterio del rischio calcolato. «Uno principe debbe avvertire di non fare mai compagnia con uno più potente di sé per offendere altri, se non quando la necessità ti constringe», dato che «lo stare a discrezione di altri» è cosa che i principi «debbono fuggire, quanto possono» (§ 21). Nonostante l’indubbia diversità di tono rispetto al § 18, non si ha una contraddizione, ma solo una riserva, una condizione, che trova limpido riscontro negli esempi che subito seguono, e riportano la ‘regola’ al vivo contesto che la definisce attraverso gli ‘errori’ cui si oppone.
Errarono infatti i veneziani nel 1499, quando si unirono a Luigi XII contro Ludovico il Moro, «e potevano fuggire di non fare quella compagnia» (Principe xxi 22, cfr. già iii 32). Al riguardo, è notevole la semplificazione operata da Agostino Nifo, che fissa come unica regola: «neutra inclinatio periculosa est ac plerumque fallax»; e, a spese della verità storica, imputa ai veneziani di essere rimasti neutri fra Luigi e Ludovico, provocando così la sconfitta di quest’ultimo, ma ponendo le premesse per la rovina propria nel 1509, «victi ab ipso rege ad Abduam» (De regnandi peritia iv 13). Il cautissimo Nifo espunge poi il secondo esempio machiavelliano: l’errore dei fiorentini nel 1511, «quando el papa e Spagna andorno con li esserciti a assaltare la Lombardia» (Principe xxi 23). Il paragrafo è allusivo, o elusivo; ma è chiaro che M. rimprovera alla Repubblica soderiniana di essere rimasta ‘neutrale’ tra la lega Santa, bandita da Giulio II, e la Francia. Così già Francesco Guicciardini, nella serie di Ricordi composta nel 1512:
Chi non è bene sicuro [...] che non abbi in caso alcuno da temere, fa pazzia nelle differenzie di altri a stare neutrale, perché non satisfà al vinto e rimane preda del vincitore: e chi non crede alla ragione, guardi allo essemplo della città nostra e a quello che gli intervenne dello stare neutrale nella guerra che papa Iulio e re Catolico di Aragona ebbono con Luigi re di Francia (Q 18).
Il discorso sulla n. rinvia insomma alle cagioni, di ‘politica estera’, che produssero la caduta della Repubblica. Snodo decisivo fu la svolta antifrancese di Giulio II, nel febbraio 1510. Si determinò allora, per Firenze, una situazione anche più delicata di quella in cui si trova il teorico protagonista del Principe, «se dua potenti tua vicini vengono alle mani»; giacché lo ‘stato’ di Soderini era organicamente legato alla Francia, e la n. che M. e Guicciardini gli avrebbero poi rimproverato era, in concreto, la politica ambigua e incerta di chi si trovava alle strette fra un alleato lontano e tradizionalmente avaro di sostegno militare, e una potenza vicina – come la Chiesa – e proprio per questo comunque pericolosa, sia come nemico sia come amico.
Nella sua terza legazione in Francia (20 giugno 24 sett. 1510) M. cerca di mostrare ai ministri del re la pericolosità di una guerra contro il papa; ma, scrivendo ai Dieci, non manca di evidenziare, con toni drammatici, la necessità che la Repubblica scelga risolutamente di sostenere l’alleato:
credino le Signorie Vostre, come le credono el Vangelo, che se fra el papa e questa Maestà sarà guerra, quelle non potranno fare senza dichiararsi in favore d’una parte, posposto tutti e’ rispetti che si avesse ad l’altra (9 ag., LCSG, 6° t., p. 477).
La consapevolezza del rischio conseguente a una posizione indecisa e oscillante è attestata anche da una lettera semiprivata, attribuibile a Marcello Virgilio, che raggiunge M. a Blois il 29 agosto. Lo scrivente ritrae con efficacia il clima d’incertezza regnante nelle stanze del governo: «insomma noi siamo òmini, che il caldo ci stempara e il freddo ci ranichia. Insomma a noi ha a intervenire come a quelli di chi diceva Quinzio: “Sine gratia, sine honore, premium victoris erimus”» (Lettere, p. 220). È questa una citazione da Livio XXXV il (ne abbiamo già colta un’eco nel ‘ricordo’ guicciardiniano), tratta dal discorso di Tito Quinzio Flaminino agli Achei per esortarli a non rimanere neutrali nella guerra fra i Romani e Antioco III di Siria. Essa, evidentemente, circolava già in cancelleria come una auctoritas in tema di neutralità. Su di essa si impernia lo stesso cap. xxi del Principe (§ 15); e la citazione liviana torna a segnare il ragionamento machiavelliano sulla n. in due lettere a Francesco Vettori, appena successive alla stesura dell’opuscolo.
Le due lettere sono entrambe datate 20 dicembre 1514. Può darsi che, nella prima lettera, la data (autografa) risulti da un errore di copia, poiché il testo concretamente inviato a Vettori fu da questi ricevuto il 14 dicembre. Come che sia di ciò, M. sostiene con numerosi e convergenti argomenti l’opportunità che Leone X si schieri con la Francia contro la coalizione tra ispano-imperiali e svizzeri. Già nella prima lettera vi è un capoverso sui danni della n., con espressioni vicinissime a quelle del Principe:
Lo stare neutrale non credo che fussi mai ad alcuno utile, quando egli abbi queste conditioni: che sia meno potente di qualunque di quelli che combattono, et ch’egli abbi li stati mescolati con li stati di chi combatte [...] Io iudico che chi sta neutrale conviene che sia odiato da chi perde e disprezato da chi vince (Lettere, p. 338).
La seconda lettera è dedicata per metà ad approfondire il tema della n. e per l’altra a nuovi argomenti a favore dell’alleanza francese. La pagina sulla n. riproduce parte di quanto detto nella lettera precedente aggiungendovi una premessa ‘storica’: «quanto alla neutralità [...] io non ho memoria, né in quelle cose che ho vedute, né in quelle che ho lette, che fosse mai buono [partito], anzi è sempre suto perniziosissimo, perché si perde al certo»; e, fra l’altro, la citazione: «E Tito Livio in due parole nella bocca di Tito Flamminio dà questa sentenzia, quando disse alli achei, che erano persuasi da Antioco a stare neutrali: “Nichil magis alienum rebus vestris est; sine gratia, sine dignitate premium victoris eritis”» (Lettere, p. 342). Le ripetizioni nelle due lettere, come pure la replica di tesi già esposte nel Principe (ammesso, e non concesso, che Vettori ne avesse già letto il cap. xxi), si spiegano facilmente quando si pensi che lo sperato destinatario ultimo delle lettere era il papa, Leone X.
Lo svolgimento dei fatti, con la vittoria dei francesi a Marignano (13-14 sett. 1515), dette ragione a M., che tornò sul punto in Discorsi II xxii: «Non cedé papa Leone alle voglie del re, ma fu persuaso da quegli che lo consigliavano – secondo si disse – si stesse neutrale [...] E quanto questa opinione fusse falsa si vide per lo evento della cosa». Solo per buona sorte, «o la umanità o la freddezza» indussero Francesco I a non colpire il papa e ad accordarsi con lui (§§ 8-12).
In Discorsi II xv (discusso partitamente da Guicciardini nelle relative Considerazioni) M. stigmatizza un ‘vizio’ politico che spesso si trova implicato con la questione della n.: l’ambiguità o la lentezza nelle deliberazioni. Ma l’esempio moderno e negativo addotto nel capitolo (§§ 18-22) sta nel ritardo dei fiorentini nel ratificare l’accordo con il quale Luigi XII accettava che «si stessino neutrali» fra lui e Lodovico il Moro (a queste trattative si riferisce, senza esprimere idee personali, la lettera di M. a P.F. Tosinghi, 6 luglio 1499: «si va temporeggiando con l’uno e con l’altro, usando el beneficio del tempo. E se in questo mezzo si potessi riavere Pisa [...] potrebbesi sanza tanto pericolo [...] declararsi, o vero sanza avere paura di essere forzati starsi di mezzo e lasciare un poco giucare altri», LCSG, 1° t., p. 267). In Discorsi III xliv 6-8 M. constata il successo di Giulio II, quando, movendo ‘audacemente’ contro Bologna, nel 1506, costrinse i veneziani a restare «neutrali». Nelle Istorie fiorentine la dottrina della n. affiora, come si è visto, in III xxii, a proposito dello scontro fra Lodovico d’Angiò e Carlo di Durazzo: sperando di ingannare Lodovico, i fiorentini si atteggiano a neutrali, ma la loro trama è svelata; e in V xxi: Neri di Gino Capponi propone ai veneziani un’alleanza contro Milano, dicendola fondata sull’antica amicizia, e non su un calcolo razionale, che avrebbe consigliato di «stare di mezzo». Altre occorrenze del termine hanno meno rilievo: in Ist. fior. II xviii 7, neutrali vale ‘imparziali’ («per mostrare di essere in questo giudicio neutrali, confinorono ancora alcuni di parte bianca»); più o meno lo stesso a IV xxvii: «vivendo neutrale», tra la fazione medicea e la albizzesca; e VII xv: «quelli che erano neutrali, a Piero si aderirono».