NEUTRONE (XXIV, p. 704; App. I, p. 897; II, 11, p. 404; III, 11, p. 260)
Ricordiamo che attualmente i protoni (p) e i n. (n) vengono considerati come due stati di un medesimo corpuscolo, il nucleone, che differiscono essenzialmente per il valore della carica elettrica (v. particelle elementari e antiparticelle, App. III, 11, p. 369, tab. 2, p. 373).
La massa del n. è stata misurata studiando il bilancio energetico di semplici reazioni nucleari; più esattamente sono stati presi in esame i processi n + p ⇄ d + γ, n → p + e- + ν̄, dove d, γ, e-, ν̄ indicano, rispettivamente, un deutone, un fotone, un elettrone e un antineutrino (App. III, 11, p. 370). Il valore ora comunemente accettato per tale massa misurata in unità energetiche è mn c2 = (939,5731 ± 0,0027) MeV.
Il n. è leggermente più pesante del protone; si ha infatti (mn − mp)c2 = (1,29344 ± 0,00007) MeV.
Il n., a differenza del protone, non è una particella stabile. Esso si trasforma in un protone nel corso del processo n → p + e- + ν̄ indotto dalle cosiddette interazioni deboli (App. III, 11, p. 372). La vita media τ del n. è stata misurata direttamente contando i protoni e gli elettroni che emergono da un fascio di n. lenti di flusso noto (J. M. Robson, 1951-55). Il valore ora comunemente accettato è τ = (918 ± 14) sec. Per la vita media del protone è stato invece possibile stimare un limite inferiore di 2•1028 anni.
Avendo spin 1/2, i nucleoni non possono avere momenti elettrici e magnetici di 2L-polo con L > 1. I loro momenti di dipolo magnetico sono stati misurati con grande precisione per mezzo di esperienze di risonanza magnetica su fasci molecolari (I. I. Rabi) o su materiali condensati (F. Bloch e E. M. Purcell): v. nucleo, App. II, 11, p. 419. Nel caso dei n. possono essere utilizzati fasci polarizzati ottenuti facendo loro attraversare uno spessore di ferro magnetizzato o facendoli riflettere da uno specchio di cobalto anch'esso magnetizzato. Il risultato dei più recenti esperimenti è μn = − (1,913148 ± 0,000066) μN, dove μN è il cosiddetto magnetone nucleare (App. III, 11, p. 371). Per permettere un confronto, ricordiamo che per il protone si ha μp = + (2,7928456 ± 0,0000011) μN.
Utilizzando la ben nota teoria di Dirac, valida per particelle di spin I/2 prive di struttura, si dovrebbe avere μn = 0,μp = μN. Le deviazioni da tale teoria, espresse dalle quantità δμn/μN ≈ − 1,91 e δμp/μN ≈ + 1,79, sono dette momenti magnetici anomali; la loro spiegazione quantitativa è uno dei banchi di prova più efficaci per i vari modelli della struttura interna dei nucleoni.
I nucleoni possiedono una struttura che può essere messa in luce studiando fenomeni di vario tipo, per es. la diffusione elastica di elettroni di alta energia (≿ 500 MeV) su idrogeno e deuterio. Misurando la sezione d'urto differenziale di diffiusione elastica di elettroni da parte di un qualsiasi nucleo è possibile ottenere delle grandezze (fattori di forma elettrico e magnetico) legate alle trasformate di Fourier delle sue densità di carica e di magnetizzazione. Da queste è possibile ricavare la densità di carica ρc(r) e la densità di momento magnetico ρm(r) del sistema, al variare della distanza r dal suo baricentro. Esperienze di questo tipo effettuate su idrogeno a Stanford (R. Hofstadter, 1960-62) e a Cornell (M. R. Littauer e altri, 1961) hanno permesso di provare che il protone ha distribuzioni di carica e momento magnetico estese, caratterizzate da raggi quadratici medi circa uguali: 〈r²m>p1/2 ≈ 〈r²c>p1/2 = (0,81 ± 0,03)•10-13 cm. Le corrispondenti distribuzioni per il n. sono state ottenute confrontando i dati dell'idrogeno con quelli del deuterio; si è trovato 〈r²m>n1/2 ≈ 〈r²c>p1/2 e 〈r²c>n1/2 ≈ 0,35•10-13 cm. L'andamento qualitativo delle densità ρc(r) e ρm(r) per n. e protone è mostrato in fig.1.
Struttura dei nucleoni. - L'interpretazione tradizionale delle proprietà strutturali dei nucleoni è basata su un modello in cui una "nuvola di mesoni virtuali" circonda un "nocciolo nucleonico nudo". Questi concetti trovano una formulazione matematica appropriata nell'ambito della teoria dei campi. Quando due nucleoni vengono a trovarsi vicini, possono scambiarsi mesoni π0,± delle rispettive nubi o loro aggregati (mesoni ω0, ρ0,±, η0, ...), generando un processo che spiega l'origine e le proprietà delle forze agenti tra loro (App. II, 11, p. 423). In questi ultimi anni tali idee sono state applicate con successo allo studio quantitativo delle forze nucleari: le interazioni che se ne ricavano vengono indicate con la sigla OBEP (One-Boson-Exchange-Potentials). In tale modello l'esistenza di momenti magnetici anomali è attribuita alla presenza di correnti nelle nuvole mesoniche. Anche le estensioni delle due densità ρc e ρm sono fissate dalle proprietà della nube: per es., la struttura estesa del n. è essenzialmente dovuta al fatto che esiste una probabilità finita di trovarlo decomposto in un protone e in una nube di mesoni negativi.
Teorie più moderne sulla struttura interna dei nucleoni, come per tutte le altre particelle elementari, sono basate sul concetto di quark (v. particelle elementari e antiparticelle, in questa Appendice). I quark sono fermioni di spin 1/2 non osservati come particelle singole. In tale modello il protone è formato da due quark di tipo p e da uno di tipo n, il n. da un quark p e da due di tipo n. Esso permette di spiegare in modo semplice i momenti magnetici anomali; questo fatto costituisce uno dei suoi primi successi.
Sorgenti di neutroni. - I fasci di n. vengono convenzionalmente classificati secondo la loro energia. Un possibile schema è il seguente:1) n. termici, di energia dell'ordine di 1/40 di eV; la loro velocità corrisponde all'agitazione termica alla temperatura ordinaria; 2) n. lenti, di energia compresa tra 1 e 100 eV; 3) n. veloci, di energia superiore a 100 eV.
Attualmente le più comuni sorgenti di n. termici e lenti sono costituite dai reattori nucleari. In un moderno reattore di ricerca (come quello di Brookhaven e quello di Grenoble avente una potenza di 57 MW) è possibile ottenere flussi di n. termici dell'ordine di 1015n./(cm2•sec). Tali n. possono poi essere monocromatizzati mediante processi di diffusione su cristalli o con altri metodi. Molto utilizzata è la tecnica di pulsare i fasci di n. generati con i reattori mediante interruttori meccanici (chopper) e di selezionare i n. aventi la stessa energia misurando il tempo impiegato per percorrere una base di volo di lunghezza nota (tecnica del tempo di volo). In fisica nucleare, il campo principale di utilizzazione di tali n. è la spettroscopia neutronica a energie minori di 10 keV.
Dal 1960 sono stati utilizzati come sorgenti di n. anche reattori pulsati (il reattore IBR di Dubna). In tale reattore, effettuando una variazione meccanica della reattività, è stato possibile generare periodicamente intensi impulsi di n. la cui durata è dell'ordine del msec.
Le sorgenti di n. veloci di uso più comune sono costituite da una miscela di un'opportuna sostanza radioattiva (Po, Ra, ecc.) e di un elemento leggero (Be, Bo, ecc.). In essi i n. vengono prodotti sfruttando processi (α, n) o (γ, n). Esempi sono le coppie Po-Be, Pu-Be e Ra-Be. Queste sorgenti sono deboli (le sorgenti di Ra-Be dànno ≈ 107 n. per sec e per g di Ra), ma in compenso sono maneggevoli e d'intensità costante. Recentemente sono state anche utilizzate sorgenti di 252Cf decadente per fissione spontanea.
Fasci di n. veloci di elevata intensità possono essere ottenuti inviando su opportuni bersagli fasci di particelle cariche (p, d, α, ecc.) fornite da macchine acceleratrici (ciclotroni, Van de Graaff, acceleratori tandem, ecc.). Fissando la direzione a cui i n. vengono osservati è possibile ottenere fasci quasi monocromatici. Citiamo come esempio le reazioni esotermiche d + d → 3He + n + 3,27 MeV e d + t → 17,6 MeV. È anche possibile sfruttare reazioni fotonucleari impiegando fotoni generati dal frenamento (bremsstrahlung) di elettroni forniti da acceleratori lineari.
Infine, n. di energia molto elevata (≥ 50 MeV) possono essere ottenuti sia da reazioni (p, n) su nuclei leggeri, sia da reazioni di spallazione o di strappo del deutone (App. III, 11, p. 284).
Reazioni indotte da neutroni (XXV, p. 16; App. II, 11, p. 424). - Lo studio delle reazioni indotte da n. ha contribuito notevolmente allo sviluppo di alcuni dei più noti modelli nucleari. Per es. lo studio dell'interazione dei n. veloci con i nuclei (H.H. Barshall, 1953) ha portato al modello ottico (App. III, 11, p. 284). Tale modello ha permesso di correlare tra loro una grande quantità di dati della diffusione elastica, delle sezioni d'urto di assorbimento e totali e infine di predire sezioni d'urto per bersagli ed energie non ancora misurati. Negli ultimi anni il potenziale ottico è stato notevolmente arricchito dall'aggiunta di termini spin-orbita e spin-spin che permettono di studiare fenomeni di polarizzazione dei prodotti finali di reazione.
Nel seguito riporteremo alcuni dei più interessanti risultati recentemente ottenuti nello studio delle reazioni indotte da neutroni.
a) Reazioni (n, γ) ed (n, n′). Un esempio di processo del primo tipo è costituito dalla reazione n + 35Cl → 36Cl* → 36Cl + γ che può essere indicata in modo più compatto con il simbolo 35Cl(n, γ). La notazione 36Cl* indica che il 36Cl viene formato in uno stato eccitato; esso torna poi allo stato fondamentale emettendo quanti γ. La diseccitazione del nucleo composto può avvenire in più modi, ciascuno dei quali comporta l'emissione di più fotoni in cascata: nel caso della reazione 36Cl(n, γ) con n. termici sono presenti oltre 170 righe γ. Gli spettri γ di struttura notevolmente complessa che seguono la cattura di n. termici e di n. nella regione delle risonanze (App. III, 11, p. 284) sono ora stati analizzati con rivelatori di alta risoluzione (cristalli curvi, spettrometri magnetici, rivelatori al Ge-Li, ecc.) per quasi tutti gl'isotopi naturali. Lo studio dei raggi γ di cattura di n. è divenuto una branca originale e particolamiente fertile della spettroscopia nucleare.
Particolare attenzione è stata dedicata alla spettroscopia neutronica nella regione delle risonanze. La struttura degli stati nucleari di alta eccitazione, come le risonanze eccitate dai n., è particolarmente complessa e non può essere studiata in dettaglio; in altre parole non è possibile prevedere teoricamente le proprietà di una singola risonanza. È però possibile studiare problemi più semplici, come l'andamento con A(Z) e con l'energia di eccitazione delle loro proprietà medie (distanza media D fra le risonanze, larghezza media 〈Γi>, larghezze parziali medie 〈Γiμ>), nonché le funzioni di distribuzione delle loro proprietà intorno ai rispettivi valori medi. Si è trovato che le larghezze Γiμ per il decadimento nel canale μ(≡ γ, n, α, ...) sono generalmente distribuite intorno ai loro valori medi 〈Γiμ> secondo leggi statistiche (distribuzioni del χ2). Sono state anche messe in luce vaste categorie di effetti non statistici. Tutti questi risultati sono stati interpretati per mezzo di concetti propri del modello a shell e delle modenne teorie delle reazioni nucleari.
b) Reazioni (n, p), (n, a). Un esempio di processo del primo tipo è costituito dalla reazione endoenergetica 6Li (n, p) 6He con soglia a 2,7 MeV. Altre reazioni (n, p), per es., la 14N (n, p) 14C, sono esoenergetiche.
Negli ultimi anni sono state compiute misure sistematiche di sezione d'urto di reazioni (n, xi), in cui xi(≡ ni, pi, αi, ecc.) rappresenta un gruppo di particelle uscenti che lascia il nucleo residuo nello stato i. I risultati di tali esperienze vengono analizzati con successo per mezzo di vari metodi teorici (formalismo della matrice −R, formalismo unificato di Feshbach, e altri).
c) Fissione (App. II,1, p. 424; III, 11, p. 583). Negli ultimi anni lo studio della fissione ha dato luogo a scoperte di notevole interesse. Ricordiamo che in origine il fenomeno fu interpretato sulla base di un modello introdotto da Å. Bohr nel 1955. In base a esso il nucleo composto formato in seguito all'assorbimento del n. vibra deformandosi progressivamente come una goccia liquida. Esiste una configurazione per cui la sua energia potenziale ha un massimo; questo effetto è dovuto all'esistenza di una competizione tra l'attrazione dovuta alle forze nucleari e la repulsione coulombiana tra i protoni. Se il nucleo composto viene formato a un'energia inferiore al massimo (soglia di fissione), la sezione d'urto del processo è estremamente bassa.
Il modello precedente non è però in grado di spiegare la scoperta effettuata nel 1962 a Dubna (URSS) che l'242Am, bombardato con particelle cariche, dà luogo a un'attività di fissione ritardata più probabile di un fattore ≈ 1019 dell'usuale fissione spontanea; oggi sono noti circa 30 isomeri di fissione con vite medie comprese tra il pico- e il millisecondo. Inoltre, negli anni 1967-68, a Saclay (Francia) e in Belgio, sono state messe in luce evidenti fluttuazioni nelle sezioni d'urto di fissione neutronica sotto soglia cui non corrispondono analoghe fluttuazioni nelle sezioni d'urto totali; anche tale fatto non può essere spiegato per mezzo della teoria di Bohr. Tali risultati sperimentali sono poi stati interpretati per mezzo di un modello in cui l'energia potenziale ha due massimi (doppia barriera) per due diverse deformazioni (V. Strutinskii, 1967).
Bibl.: J. B. Marion, J. L. Fowler, Fast neutron physics, New York 1960; Nuclear structure study with neutrons (a cura di M. Neve de Mevergnies, P. Van Assche e J. Vervier), Amsterdam 1966; Nuclear data for reactors, in Proceedings of the Conference, Parigi 1966, Vienna 1967; I. E. Lynn, The theory of neutron resonance reactions, Oxford 1968; Neutron capture gamma-ray spectroscopy, in Proceedings of the Symposium, Studsvick 1969, Vienna 1969; Statistical properties of nuclei (a cura di B. Garg), New York e Londra 1972; Experimental neutron resonance spectroscopy (a cura di J. A. Harvey), New York 1970; R. Vandenbosch, J. R. Huizenga, Nuclear fission, New York e Londra 1973; A. Michaudon, Nuclear fission, in Advances in nuclear physics (a cura di M. Baranger, E. Vogt), vol. 6, New York e Londra 1973; A. Mekjian, Nucleon-nucleus collision and intermediate structure, ibid., vol. 7; Nuclear structure study with neutrons (a cura di J. Ero, J. Szucs), in Proceedings of the Conference, Budapest 1972, Londra e New York 1974.
Diffrazione neutronica (v. nucleo, App. III, 11, p. 284). - Negli ultimi anni si è verificato un crescente impiego della diffrazione neutronica, anche grazie all'entrata in funzione dei reattori di ricerca ad alto flusso di Brookhaven (1966), Oak Ridge (1967) e Grenoble (1971). Mediante questi reattori, che dispongono di attrezzature sperimentali per esperienze di diffrazione particolarmente sofisticate, è stato possibile aumentare il flusso neutronico incidente sul campione in esame, di uno e talvolta di due ordini di grandezza, rispetto ai reattori della precedente generazione.
I reattori di ricerca forniscono un flusso continuo di n. con la possibilità quindi di utilizzare tecniche sperimentali sia continue, sia pulsate.
Tuttavia sembrano ormai accertate le enormi difficoltà che s'incontrerebbero nella costruzione di reattori di ricerca a flusso continuo ancora più elevato. D'altra parte, oltre ai reattori pulsati, che per la verità non si sono rivelati di agevole impiego, sono già stati utilizzati con risultati assai "soddisfacenti" i n. ottenuti mediante opportune reazioni nucleari provocate da particelle cariche (elettroni, protoni) provenienti da acceleratori. L'elevato grado di versatilità raggiunto dalla strumentazione pulsata ha già consentito di ottenere risultati confrontabili e in alcuni casi migliori di quelli ottenibili con i reattori continui ad alto flusso.
Tecniche sperimentali. - Oltre al miglioramento della luminosità e del potere risolutivo degli spettrometri tradizionali, dovuto soprattutto all'utilizzazione di monocromatori a più elevata riflettività e alla reciproca ottimizzazione dei parametri determinanti la risoluzione, grande rilievo è stato dato, anche in vista della crescente utilizzazione di sorgenti non continue, al miglioramento della strumentazione per tecniche pulsate che si basa sul cosiddetto metodo del tempo di volo, per determinare l'energia dei n. diffusi dal campione in esame, mediante la misura del tempo t (tempo di volo) che i n. impiegano a percorrere una distanza prefissata l (cammino di volo).
La lunghezza d'onda λ del n. risulterà dalla relazione λ = ht/(ml), ove h e m sono rispettivamente la costante di Planck e la massa del neutrone. N. di diverse energie posseggono differenti velocità e quindi impiegano diversi tempi per percorreie lo stesso cammino di volo. Mediante un analizzatore multicanale viene determinata l'intensità dei vari gruppi neutronici che percorrono il cammino di volo in diversi intervalli di tempo successivi all'istante in cui è stato generato un fascio pulsato di neutroni. Una rappresentazione schematica di un esperimento con la tecnica del tempo di volo è riportata in fig. 2. Il fascio pulsato può provenire da una sorgente pulsata, da un dispositivo meccanico (chopper), o da un cristallo monocromatore rotante. La tecnica del tempo di volo consente un'analisi in energia per cui viene usata prevalentemente in esperimenti di scattering anelastico, in cui cioè il n. scambia con il campione in esame quantità di moto ed energia, ma con particolari accorgimenti può essere utilizzata anche per esperienze di scattering elastico.
Risultati sperimentali. - Negli ultimi anni la tecnica della diffrazione neutronica si è rivelata di fondamentale importanza per lo studio delle proprietà statiche e dinamiche della materia, per alcune delle quali (per es., nel caso di sostanze magnetiche) il n. costituisce una sonda microscopica insostituibile. Risultati notevoli si sono ottenuti nella determinazione della densità di magnetizzazione dei solidi magnetici che ha consentito di mettere in evidenza sia la distribuzione priva di simmetria sferica degli elettroni spaiati, sia la presenza di regioni della cella unitaria in cui la magnetizzazione risulta di segno opposto al valore totale (fig. 3).
Mediante i n. sono state inoltre scoperte strutture magnetiche di tipo elicoidale la cui determinazione è risultata essenziale per la descrizione del magnetismo delle terre rare. I n. hanno inoltre consentito la misura diretta delle curve di dispersione delle eccitazioni magnetiche (onde di spin). Per quel che riguarda la dinamica reticolare e i liquidi, hanno assunto particolare rilievo le misurazioni effettuate in prossimità dei punti critici (scattering critico) che hanno fornito alcuni dei risultati più importanti nella verifica sperimentale delle leggi di scala formulate per le transizioni di fase.
L'abbondanza e l'accuratezza dei dati sperimentali disponibili ha stimolato una cospicua attività teorica per cui si può ormai affermare che la teoria dello scattering neutronico dalla materia è sostanzialmente nota, mentre in alcuni settori della teoria dei solidi (per es., proprietà elettroniche delle leghe) i dati sperimentali stanno provocando un salutare processo di revisione e di aggiornamento dei concetti e dei metodi di calcolo alla base della trattazione dei fenomeni collettivi.
Si può comunque ritenere che lo scattering dei n. termici ha dato il grosso delle informazioni fisiche ottenibili. Di conseguenza in questi ultimi anni si sta costantemente ampliando la sua utilizzazione in problemi di chimica e biologia. La possibilità di localizzare anche atomi leggeri, e in particolare l'idrogeno, di distinguere agevolmente nelle strutture fra atomi di ossigeno, carbonio e azoto, di ottenere informazioni sulla dinamica molecolare mediante esperimenti di scattering anelastico, lascia prevedere un largo impiego dei n. ancora per parecchi anni.
Bibl.: W. Marshall, S. W. Lovesey, Theory of thermal neutron scattering, Oxford 1971; Chemical applications of thermal neutron scattering (a cura di B. T. M. Willis), ivi 1973; G. E. Bacon, Neutron diffraction, ivi 1975.
Applicazione dei neutroni. - La radiazio1ie neutronica trova oggi applicazioni in campi diversi, in stretta analogia con le varie altre radiazioni di origine sia atomica sia nucleare, come le radiazioni X e gamma, i fasci di elettroni e in genere di particelle cariche.
Dal punto di vista delle applicazioni i n. prodotti dai reattori, dalle macchine acceleratrici o dalle sorgenti radioattive possono essere divisi in due gruppi di energia: i n. termici, con energie intorno a 0,025 eV, e i n. veloci, con energie maggiori, che si estendono fino a qualche MeV. Le principali proprietà possono cosi essere schematizzate: a) i n. veloci sono in grado di attraversare notevoli spessori di materiale; b) nelle collisioni con i nuclei dei materiali attraversati, in particolare con i nuclei molto leggeri come i nuclei dell'idrogeno, i n. perdono la loro energia (o come si suol dire vengono moderati); c) i n. termici che si producono nel rallentamento dei n. veloci sono infine catturati dagli atomi presenti, in modo selettivo per alcuni elementi, dando spesso luogo a isotopi radioattivi.
Interagendo con la materia la radiazione neutronica cede quindi energia, modificando per elevati irraggiamenti le proprietà chimiche, biologiche e strutturali dei materiali irraggiati. Applicazioni di questo tipo non sono comuni. In agricoltura l'irraggiamento con n. è impiegato per indurre mutazioni nelle piante al fine di migliorare la qualità dei raccolti. In medicina si sono ottenuti alcuni risultati interessanti nella terapia sperimentale di alcune forme cancerogene.
La proprietà dei n. veloci di essere rapidamente moderati in materiali idrogenati viene spesso utilizzata in sistemi per la misurazione del contenuto di umidità dei materiali o del suolo.
Le applicazioni dei n. che hanno ottenuto maggiore successo riguardano la radiografia con n. e l'analisi per attivazione neutronica.
Radiografia con neutroni. - Il diverso potere di penetrazione dei n. sia termici sia veloci nei diversi materiali permette di caratterizzare la struttura interna di oggetti mediante tecniche di tipo radiografico. Il ruolo della radiografia con n. (o "neutronigrafia") si può considerare simile e complementare a quello delle radiografie con raggi X e gamma. La caratteristica più saliente che differenzia le due tecniche è legata al fatto che mentre l'attenuazione dei raggi X o gamma cresce regolarmente al crescere del numero atomico Z del materiale attraversato, l'attenuazione dei n., e in particolare dei n. termici, fluttua casualmente al variare di Z e può variare molto anche da un isotopo all'altro di uno stesso elemento. Si ha quindi la possibilità di eseguire radiografie neutroniche di materiali idrogenati o leggeri, come per es. il boro, i quali, assorbendo fortemente i n., possono essere messi in evidenza anche se schermati da notevoli spessori di materiali pesanti come il ferro, il piombo o l'uranio, che sono relativamente trasparenti ai n. (tab.1).
Nella maggior parte dei casi le immagini neutroniche vengono rivelate su emulsioni fotografiche. Poiché i n. non sono in grado di sensibilizzare direttamente l'emulsione, vengono impiegati schermi convertitori che consistono in sottili fogli contenenti nuclidi che esposti al fascio neutronicodiventano radioattivi emettendo radiazioni β o γ. Questi schermi sono posti a contatto con l'emulsione fotografica o direttamente durante l'esposizione al fascio neutronico (metodo dell'esposizione diretta) oppure subito dopo l'esposizione (metodo del trasferimento).
Tra le applicazionì di largo impiego della radiografia con n. si possono menzionare: l'ispezione di materiale esplosivo (fig. 4) e di propellenti solidi per razzi in contenitori metallici; l'ispezione di componenti contenenti materiali idrogenati in forma, per es., di gomma o plastica o legno; l'analisi degli adesivi organici e dei polimeri nelle costruzioni aerospaziali; l'ispezione degli elementi di combustibile dei reattori nucleari, anche nel caso di elementi fortemente radioattivi impiegando il metodo del trasferimento.
Analisi per attivazione neutronica. - Nelle analisi per attivazione la radiazione neutronica è utilizzata a scopi analitici per determinare sia la qualità sia la quantità della composizione chimica di campioni.
La cattura dei n., prevalentemente dei n. termici, dà luogo nel campione irraggiato alla formazione di nuclei radioattivi. I nuclidi prodotti sono caratterizzati da una ben definita vita media e da uno spettro caratteristico delle radiazioni emesse. Analizzando sia le vite medie sia le energie delle radiazioni gamma che accompagnano il decadimento radioattivo è quasi sempre possibile identificare i nuclidi radioattivi, risalendo quindi al tipo e alle caratteristiche degli elementi originariamente presenti nel campione. La sensibilità dell'analisi dipende da vari fattori, quali il flusso neutronico Φ (espresso come n. che attraversano una superficie unitaria ogni secondo), la sezione d'urto σ di cattura neutronica dell'isotopo in esame, la vita media τ dell'isotopo radioattivo prodotto, l'efficienza K del sistema di rivelazione (K è la probabilità che il decadimento di un nucleo radioattivo venga "visto" e contato dal sistema di rivelazione). Supponendo d'irraggiare N atomi di un particolare elemento in un flusso neutronico Φ per un tempo t, il numero medio dei conteggi al secondo al termine dell'irraggiamento si dimostra essere pari a C = K N Φ σ [1 − exp(− t/τ)]. Tale relazione permette quindi di determinare il numero N di atomi di una certa specie presenti nel campione e di conseguenza la sua concentrazione. Poiché le sezioni d'urto di cattura neutronica σ e le vite medie τ variano notevolmente da isotopo a isotopo, le minime quantità rivelabili sono fortemente dipendenti dall'elemento analizzato (tab. 2).
La principale caratteristica dell'analisi per attivazione con n. è quella di permettere la determinazione di quantità minime di elementi, in campioni estremamente ridotti, in modo non distruttivo.
Per citare solo alcune delle principali applicazioni ricordiamo l'analisi di elementi in tracce nei tessuti biologíci per studi di metabolismo e a fini diagnostici, il controllo degli elementi tossici che contaminano l'ambiente, l'analisi di elementi in tracce nei reperti in criminologia, l'analisi di impurezze in metallurgia.
Bibl.: Per la radiografia con neutroni: H. Berger, Neutron radiography, Amsterdam e New York 1965; Autori vari, Atomic energy review, vol. 15, n. 2, International Atomic Energy Agency, Vienna 1977. Per l'analisi per attivazione neutronica: J. M. A. Lenihan, S. J. Thomson, Advances in activation analysis, New York e Londra 1969; T. Mulvey, R. K. Webster, Modern physical techniques in materials technology, Oxford 1974. Per le tecniche di misura con impiego di neutroni: R. P. Gadner, R. L. Ely, Radioisotope mesurement applications in engineering, New York 1967; J. F. Cameron, C. G. Clayton, Radioisotope instruments (Parte I), Oxford 1971.