DELLA VALLE, Niccolò
Figlio di Lelio, giurista e umanista, e di Brigida de' Rustici, nacque a Roma il 6 dic. 1444 (cfr. Gatta, p. 630, dove si rimanda a p. 139 del vol. 131 del fondo Della Valle-Del Bufalo dell'Archivio segreto Vaticano).
Sollecitato dal padre ad intraprendere studi grammaticali e retorici, il D. eccelse ben presto nella conoscenza del latino e del greco e, giovanissimo, si cimentò come poeta, mettendosi in luce durante il pontificato di Pio IL Si addottorò, tuttavia, seguendo la tradizione di famiglia, in diritto civile e canonico e con impegno si dedicò alla carriera forense, passato il giovanile entusiasmo per le humanae litterae, forse anche a causa del mutato clima culturale instauratosi a Roma con il papato di Paolo II. Con Sisto IV divenne canonico di S. Pietro e nel 1473 insegnò in qualità di professore straordinario di diritto civile nello Studio romano (Dorati da Empoli).
Un approdo, questo del D., molto normale, la parabola naturale, in quegli anni, per i giovani delle famiglie romane di media e recente nobiltà, molte delle quali sono protagoniste "di una ascesa economica e sociale che si estende ... anche sul piano di una ascesa culturale" (Bianca, p. 556). Proprio la fuga "ad leguleios" del D. e del fratello Berardino, già promettenti poeti, lamenterà Giannantonio Campano nella lettera del 7 ott. 1471 da Würzburg a Gentile Becchi a Firenze (in Opera omnia, Venetiis 1502, f. XLIXr; cfr. Hausmann). Nella scelta obbligata dei due fratelli non sono da escludere motivi di risentimento da parte di Paolo II nei confronti dei Della Valle, se durante il processo contro i presunti congiurati del 1468 Lelio fu il solo a prendere liberamente le difese degli accademici pomponiani (cfr. B. Platina, Liber de vita Christi ac omnium pontificum, in Rerum Italic. Script., 2 ed., III, 1, a cura di G. Gaida, p. 389). Il D. è ricordato in un atto del notaio Giovanni Matteo de Salvettis del 23 genn. 1469, una "refutatio iurium" da parte della sorella Antonina andata sposa a Francesco de Fabiis (cfr. il t. VII dei Repertori di famiglie di D. Iacovacci, Bibl. apost. Vaticana, Ott. lat. 2554, 1, p. 64).
Il D. mori giovanissimo, a nemmeno ventinove anni, a Roma, il 26 sett. 1473 e fu sepolto nella cappella di famiglia in S. Maria in Aracoeli.
Sulla tomba il padre fece scolpire l'epitaffio "D. Nicolao de Valle legum doctori, Basilicae principis apostolorum canonico ... magno et excellenti claruit ingenio, Iliadem Homeri et Hesioduin heroico carmine in latinum vertit. Obiit primo iuventutis fiore maxima omnium moestitia MCCCCLXXIII, VI kal. Octobris" (L. Schrader, MonumentorumItaliae ... libri quatuor, Helmaestadii 1592, f. 148r; cfr ' . anche Casimiro Romano e V. Forcella, 1, p. 145). Prossimo alla morte, il 6 sett. 1473 fece una donazione alla chiesa di S. Sebastiano in via Papae perché in una sua memoria fosse "ornata et picta" una cappella. Se ne conserva il ricordo in due epigrafi passate poi in S. Andrea della Valle (Forcella, VIII, p. 519; Khomentovskaia, p. 112).
Prima che Gatta rinvenisse la data di nascita del D., questa era fissata per convenzione intorno al 1451 (cfr. i vari Laire, Tiraboschi, Renazzi, Vahlen, Mancini, Gregorovius, Pastor, Cosenza, tutti cit. in R. Fabbri, Nota..., pp. 48-52). All'origine dell'errore un passo, forse guasto, del De litteratorum infelicitate di Pierio Valeriano: "Is tamen nondum alterum a vigesimo egressus annum fati quadani inclementia eruditorum omnium spei surreptus est" (Venetiis 1620, p. 55). Fu R. J. Mitchell a sospettare per prima l'inattendibilità dei dati biografici tradizionalmente diffusi sul D., che non poteva essersi affermato come poeta durante il pontificato di Pio II (1458-64) se era nato appena dieci anni prima. Il dubbio della Mitchell, riproposto da R. Avesani, è stato ampiamente documentato dalla Fabbri.
Quasi tutta la produzione poetica del D. è ancora inedita; cronologicamente non va oltre il pontificato di Pio IL Tra le prime prove sono da collocare i distici In disciplinas et earum professores dei codici vaticani ott. lat. 1863, ff. 239r-241r (Künzle), e Reg. lat. 2019, ff. 162r-163v, dalla Fabbri (p. 55) valutati "nulla più che un'esercitazione scolastica giovanile". In occasione della prima nomina cardinalizia fatta da Pio II, il 5 marzo 1460, scrisse l'elegia Quando Pius secundus fecit cardinales, ricopiata dall'amico Mariano de Magistris insieme con il carme Adpaedagogum graecis litteris detrahentem nel cod. Vat. lat. 1690, ff, 375v-388v. La lunga elegia Ad paedagogum è, forse, anteriore al 25 marzo 1461, in quanto la lettera di dedica che l'accompagna (ff. 389r-390r), è indirizzata a Francesco Patrizi, non ancora vescovo; sconosciuto resta invece il pedagogo, cui è rivolta, un maestro e poeta romano denigratore delle lettere greche, che aveva espresso pesanti riserve sulla qualità delle versioni dal greco, chiamando in causa direttamente il D. (v. Bianca, pp. 576-79). Siamo nel vivo del dibattito sulla superiorità tra il latino e il greco e sulla utilità delle traduzioni che percorre tutto l'umanesimo e siamo di fronte ad un documento che ci testimonia l'impegno e la serietà della preparazione letteraria del giovanissimo D., il quale riprenderà la polemica nei confronti di coloro che "nullo greca in honore putant" (v. 10) nella dedica a Pio II della traduzione delle Opere e i giorni di Esiodo intrapresa all'età di diciotto anni: "Sum tamen hoc ausus bisseptem et quattuor annis" (v. 11).
Fu stampata con le Bucoliche di Calpurnio Siculo in appendice al Silio Italico apparso a Roma il 5 aprile 1471 per le cure di Andrea Bussi e per i tipi di B. Sweynheym e A. Pannartz (Indice gen. degli incunaboli d. bibl. d'Italia [ = I. G. I.], V, n. 8972). I diciotto esametri di dedica sono stati trascritti dalla Fabbri (p. 53, n. 44), mentre l'intera versione fu pubblicata da K. Ziegler (in appendice al Catalogus codicumLatinorum classicorum qui in Bibliotheca urbica Wratislaviensi adservantur, Wratislaviae 1915, pp. 249-67) secondo il cod. R 60, ff. 27v-47v, della Bibl. univers. di Breslavia (cfr. pp. 22-26), collazionato con una ristampa della princeps (Liptzik, per Iacopum Thanner, 16 apr. 1499). L'opera è tramandata anche dal ms. J, IX, 2 della Bibl. comun. di Siena e dal ms. Parm. 27, ff- 10v-26v, della Bibl. Palatina di Parma (cfr. Mitchell, A note..., p. 72 e P. McGurk).
Prima fra quelle dell'età moderna, la traduzione latina del D. si mantiene abbastanza fedele all'originale greco di Esiodo, reso con pari eleganza grazie ai numerosi prestiti virgiliani. Più tardi il D. si cimenterà in una traduzione ben più impegnativa, quella dell'Iliade di Omero, limitatamente ai libri III-V, XIII (vv. 1-600), XVIII, XIX (vv. 1-18), XX (vv. 1-503), XXII, XXIII (vv. 1-449), XXIV. Vide la luce postuma il 1° febbr. del 1474 a Roma presso Giovanni Filippo De Lignamine con una epistola prefatoria di Teodoro Gaza a Lelio Della Valle (I. G. I., III, n. 4802). L'impresa sarebbe stata troncata dalla morte, come è detto con rimpianto nella epistola del Gaza e nel tetrastico che chiude la stampa: "Non potui postquam mors iugulavit opus". Sarebbe quindi da collocare verso gli ultimi anni di vita del D.; molto probabilmente, invece, come giustamente sospetta la Fabbri (p. 57), se si considera che nel '71 il Campano già citava la traduzione omerica, il D. "non sarebbe riuscito a completarla per la complessità dell'assunto, per un mutamento di gusti e di interessi, per una minore sollecitazione ambientale, non solo per la precocità della morte".
Della versione, più volte ristampata, sono noti i seguenti mss.: il Vat. Urb. lat. 369, ff. 99v-202r, trascritto da Federico Veterano in memoria di Federico da Montefeltro (un esemplare della princeps era già nella biblioteca del duca: cfr. L. Michelini Tocci), e il Ricc. 741, presumibilmente entrambi copie della stampa. Un frammento del 1.XVIII è nel Ricc. 153, f- 54, il I. XXII nel fasc. 25 del vol. 86 del fondo Della Valle-Del Bufalo dell'Arch. segr. Vaticano (Gatta, pp. 640 ss.). La traduzione omerica del D., che con disinvoltura riassume o amplifica l'originale greco, non manca di pregi di scioltezza e di eleganza rispetto ad altri esperimenti coevi, tanto che recentemente si è supposto che il Poliziano la conoscesse e la consultasse per la sua versione (cfr. Baffi).
Tipici prodotti del pontificato di Pio II, percorso da un romantico spirito da crociata d'altri tempi, sono alcuni carmi del D. sui Turchi, l'Ad Pium II Pont. Maximum contra Turcos exortatio e le due epistole in versi, Constantinopolis Romae suae salutem e Romae Constantinopoli responsio. Ilprimo, probabilmente mutilo (termina con i versi 178 ss.: "At pater Aeneas curarum mole levatus / tantarum, subito ad coelum pia lumina palmis / extulit et tales effudit ab ore loquellas", subito dopo che il cherubino inviato da Dio per intercessione di s. Pietro ha concluso la sua "exortatio" al pontefice), ci è pervenuto nella trascrizione di Carlo Zancaruolo (1548) nel cod. Vat. Ott. lat. 2348, ff. 238r-242r. Circoscrivibile entro il breve arco di sei anni del pontificato piccolominiano, l'Ad Pium II potrebbe risalire al primo periodo, come per la Fabbri (p. 55), un retorico incoraggiamento al papa perché vinca le ultime esitazioni a bandire la crociata contro il Turco (saremmo all'incirca intorno al congresso di Mantova del 1459-60), ma potrebbe appartenere anche agli ultimi anni quando, a causa delle difficoltà create dalle rivalità tra i vari principi e signori, sembrava che il sogno della crociata dovesse naufragare. La struttura sapiente dei carme, d'altra parte, un piccolo poema sui generis, a mezzo tra Omero e Virgilio, che affida al travestimento metaforizzante del mito la sua credibilità, deporrebbe piuttosto a favore di un letterato maturo e scaltrito che di un ragazzo quindicenne, per quanto precoce. Sarebbe, dunque, contemporaneo alle due lunghe elegie in forma di epistola, la seconda delle quali sarebbe stata composta, per Avesani e per la Fabbri (pp. 53 s.), tra il 22 ott. 1463, data della bolla con la quale Pio II rese pubblica la decisione, presa nel concistorio segreto del 23 settembre, di porsi a capo della flotta, e il marzo del 1464, quando ci fu la defezione del duca di Borgogna, che il D. elenca tra i principi presenti alla partenza della crociata. 1 due carmi furono stampati separatamente a Roma da J. Schurener verso il 1470 (Indice d. ediz. romane a stampa. 1467-1500 [I.E.R.S.], Città del Vaticano 1980, 577, 578) e poi insieme da S. Plantick verso il 1490 J.E.R.S., 1161; I. G. I., V, 10 104). Solo la Responsio è tramandata, tra gli Epaeneticorum ad Pium II... libri V, dal cod. Rossetti Piccolomini II, 25, ff. 170r-176r, della Bibl. civica di Trieste, e dal Vat. Chig. J, VII, 260, ff. 179r-186r.
Per la morte del card. Prospero Colonna, avvenuta nel marzo 1463, il D. compose il Carmen lugubre di 194 esametri conservato nel cod. 378 (F, 52), ff. 21r-23r, della Bibl. Augusta di Perugia e pubblicato dalla Fabbri (pp. 60-66) con un ricco apparato di fonti classiche. "Il carme, indubbiamente prolisso e manierato, talora anzi stucchevole nell'insistenza e nell'accumulazione di iperboli di gusto epico, mostra però una discreta disinvoltura compositiva ed una certa abilità nell'utilizzazione delle fonti" (P. 59). Subito dopo (il card. Colonna è morto da poco) dedica ad un altro personaggio di spicco della Roma di Pio II, il cardinal camerlengo, patriarca di Aquileia, Lodovico Trevisan, una elegia di 72 distici (cod. V, E, 18 della Bibl. naz. di Napoli, ff. 150r-152v), ennesima celebrazione del pontificato piccolominiano, pari per grandezza e splendore solo alla Roma dei Cesari.
Della produzione poetica del D. va ricordato, infine, il carme "Lidia formosas inter praeclara puellas", una sorta di rifacimento in forme più rigorosamente classiche della "Lidia bella puella candida" attribuita a Cornelio Gallo (v. Mariotti). Non a caso i due testi sono a fronte nel cod. Vat. ott. lat. 2290, ff. 169v-170r, mentre il secondo ricorre in altri codici contenenti opere del D., nel Reg. lat. 2019, f. 16r (in appendice all'Elegiarum libellus pseudogalliano) e nel ms. V, E, 18, f. 200v, della Nazionale di Napoli. Il carme del D. è tramandato anche dal cod. 277, f. 106, della Bibl. Classense di Ravenna. Se il componimento non fu soltanto una esercitazione letteraria, sotto il nome di Lidia potrebbe celarsi la bella e crudele fanciulla che fece impazzire d'amore il giovane D., il quale sfogò il suo dolore in una lunga lettera, stracolma di topoi classici e moderni (stilnovistici e petrarcheschi), all'amico Francesco Colonna. Ci èpervenuta nel cod. I, B, 6 della Bibl. naz. di Palermo, ff. 54v-61v (ora in Danesi Squarzina, pp. 147-50).
Alcune sue lezioni universitarie furono raccolte col titolo De testamentis ordinandis dal discepolo Mariano de Cuccinis (cod. Vat. Ross. 1028, ff. 313 ss.).
I contemporanei lo ricordarono come traduttore elegante di Esiodo e di Omero, ne lodarono l'ingegno e l'erudizione e ne piansero la morte precoce. Si veda l'elogio del Porcellio nell'elegia a Pio II (Laurenza), di Gaspare da Verona nel De gestis Pauli secundi, del Cortesi nel De hominibus doctis, del Giraldi nel De poetis nostrorum temporum e del Valeriano nel De litteratorum infelicitate.
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