NICOLA d'Angelo
Marmoraro romano attivo nella seconda metà del 12° o forse anche nei primi anni del 13° secolo.
N. appartenne alla più antica delle famiglie note dei Cosmati (v.), che annovera il capostipite Paolo, i fratelli Giovanni, Pietro, Angelo e Sasso della seconda generazione e infine lo stesso artista, figlio del citato Angelo (v. Angelo di Paolo). Dell'esistenza di un marmoraro figlio di N. - già ipotizzata sulla scorta di due distinte iscrizioni, una delle quali, riportata da Ughelli (1717), nel perduto altare del duomo di Sutri, riferita al 1170, e l'altra ancora leggibile nel pulpito del duomo di Fondi - non vi è certezza.
Una sola, ma di grande rilievo nell'ambito della produzione romana, è l'opera superstite accreditabile con sicurezza a N.: il candelabro per il cero pasquale nella basilica di S. Paolo f.l.m. a Roma, firmato insieme a Pietro Vassalletto (v.) e forse databile agli anni del pontificato di Innocenzo III (1198-1216; Noehles, 1966; Bassan, 1982; Claussen, 1987; D'Achille, 1991). Controversa risulta l'attribuzione ai due artisti delle singole parti del lavoro. Rimane tuttavia possibile ancorare la riflessione critica su pochi ma inoppugnabili dati: il ruolo di primo piano ricoperto da N. all'interno della collaborazione, come dovrebbe dedursi dal fatto che egli si presenta nell'iscrizione come maestro ("+ Ego Niconaus de Angilo cum Petro Bassaletto hoc opus co(m)plevi"), e il confronto, in negativo, con altre opere firmate da Pietro Vassalletto o da altri esponenti della stessa famiglia. In esse si constata una maniera antichizzante comune ad altri lavori cosmateschi, ma caratterizzata da una ricerca di definizione tipologica, aggiornata nei partiti architettonici come in quelli decorativi, che porta a soluzioni tanto originali da divenire, negli anni del pontificato di Onorio III (1216-1227), sigla specifica di questa bottega. Nel candelabro ostiense talune anticipazioni in questa direzione sembrano essere indicate dalle parti scolpite del basamento e del primo registro del fusto, mentre denunciano uno svolgimento autonomo, da attribuire pertanto a N., i rimanenti registri e le figure animali che sorreggono il vaso di coronamento, il quale viceversa risulta comune ad altri lavori dei Vassalletto (Bassan, 1982, pp. 119-121, n. 10). Tale delimitazione dell'operato di N. si accorda facilmente con la considerazione che è probabile siano stati assegnati al maestro più anziano i registri centrali, quelli che illustrano il ciclo della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, con particolare risalto visivo, sia formale sia iconografico. I caratteri stilistici che qui si osservano mostrano una cultura figurativa tesa al recupero della piena volumetria, grazie allo studio della scultura funeraria paleocristiana, mentre nel registro più alto a motivi vegetali affiorano soluzioni di gusto altomedievale, a nastri intrecciati su partiture regolari. Nel ciclo cristologico spicca, in particolar modo, la capacità di comporre scene di notevole complessità narrativa, dall'evidente efficacia drammatica, messa talvolta in risalto da una vena espressionistica, presente anche negli animali mostruosi sotto al vaso di coronamento. I singoli episodi vengono creati adattando motivi ripresi da altri contesti figurativi, dei quali si è colta la possibilità di adeguamento al programma iconografico del candelabro, suggerito forse dall'ignoto monaco committente (l'epigrafe che lo nominava risultava frammentaria già nel Seicento): elementi di un linguaggio che, nonostante i citati residui altomedievali - utili, tuttavia, a ipotizzare una datazione dell'opera non distante dallo scorcio del sec. 12° -, si presentano come pressoché inediti per le consuetudini delle botteghe cosmatesche del tempo e come indizio, pertanto, di una personalità profondamente innovativa per la generazione formatasi intorno alla metà del sec. 12°, alla quale è lecito ipotizzare l'appartenenza di Nicola.Contro questa ipotesi attributiva, quella inversa, che, pur riconoscendo al marmoraro un ruolo di protagonista, gli riferisce la concezione generale dell'opera e i rimanenti registri - fatta eccezione proprio del ciclo cristologico (Claussen, 1987, pp. 28-31; 1989; 1992a; 1992b) -, parte da un diverso presupposto metodologico, che considera al centro del corpus di opere attribuibili a N. il perduto portico di facciata della basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma (Claussen, 1987, pp. 22-26), illustrato in un'incisione (Ciampini, 1693), che lo riproduce riportando, sulla destra dell'edificio, la menzione epigrafica di N.: "Nicolaus Angeli fecit hoc opus"; iscrizione trascritta anche, negli anni settanta del sec. 16°, da Alfonso Ciacconio (Madrid, Bibl. Nac., 2008, c. 169r e v; Herklotz, 1989, pp. 39-40, fig. 11). L'aver collegato, senza esitazione, iscrizione e portico (Lauer, 1911; Matthiae, 1958; Hoffmann, 1978), malgrado il silenzio di altre autorevoli fonti antiche e nonostante le alterazioni subìte dall'originario assetto della facciata (della quale il disegno e il testo di Ciampini forniscono comunque un resoconto approssimativo), ha condotto a sottovalutare il carattere a evidenza vassallettiano del portico, così come il peso testimoniale dell'altra iscrizione che vi correva ("Dogmate papali datur ac simul imperiali"), oggi conservata in stato frammentario nel chiostro della basilica, dai caratteri già goticizzanti, in linea con una datazione ormai più addentrata nel sec. 13° di quanto un'attribuzione a N. potrebbe legittimare (Gandolfo, 1983; Pomarici, 1990). Risulta pertanto plausibile, benché non dimostrabile, l'ipotesi secondo la quale la costruzione potrebbe aver subìto un momentaneo arresto, sullo scorcio del sec. 12°, dopo l'intervento di N. e abbia poi registrato una ripresa di poco successiva, con l'apporto conclusivo della bottega dei Vassalletto (Pistilli, 1991).Dall'attribuzione senza riserve a N. del portico lateranense deriva quella allo stesso artista anche dei lati est, sud e ovest del chiostro della basilica di S. Paolo f.l.m. (Claussen, 1987, pp. 31-32): un'ipotesi che - insieme all'altra ancor meno sostenibile, di un'assegnazione a N. del portale maggiore e del portico della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Roma (Claussen, 1987, pp. 32-33) - si basa sulla sola generica affinità tipologica delle opere e finisce per amplificare senza fondamento non solo la consistenza numerica ma, soprattutto, il valore storico delle opere dell'artista.Manca comunque la possibilità di una ricostruzione ampia della figura di N. come eventuale architetto; in tal senso pesa, inoltre, la difficoltà di lettura della controversa epigrafe che affianca la chiave di volta figurata dell'arco di sostegno del piano basamentale del campanile del duomo di Gaeta, sulla scorta della quale comunemente l'opera gli viene attribuita. Essa, pur nella lunga vicenda edilizia, che presenta il 1148 come termine di datazione ante quem non (non una data di inizio lavori, come più volte si è supposto) e che esclude comunque dalla ipotizzata attribuzione i piani superiori al primo - sarebbe stato terminato infatti nel 1276, secondo quanto attestava una perduta epigrafe sul torrino (Cadei, 1978) -, fornirebbe prova di un'intensa capacità costruttiva, nella quale il reimpiego di pezzi classici si sposa con la conoscenza di tecniche murarie evolute, come la costruzione di volte, e di soluzioni stilistiche di tipo campano, come l'arco a sesto acuto. Proprio in considerazione della estraneità di tali modalità operative all'ambiente romano del sec. 12°, sorgono le maggiori perplessità nell'accogliere la paternità di N. del campanile gaetano, paternità che potrebbe eventualmente essere circoscritta alla sola esecuzione dell'aquila scolpita, più conseguente all'accertato iter artistico del marmoraro.In esso rientra invece con sicurezza, ma a una data ignota, qualche perduto lavoro eseguito per la chiesa romana di S. Bartolomeo all'Isola - probabilmente elementi di arredo liturgico - che una trascrizione epigrafica cinquecentesca, riportata in Casimiro da Roma (1744), gli riferiva, accomunando erroneamente il nome di N. a quello di Jacopo di Lorenzo (v.; Gandolfo, 1980).
Bibliografia:
Fonti. - G. Ciampini, De sacris aedificiis a Costantino Magno constructis, Roma 1693, p. 13, tav. I; F. Ughelli, Italia sacra, I, Venezia 1717, col. 1275; Casimiro da Roma, Memorie istoriche delle chiese, e dei conventi dei frati minori della provincia romana, Roma 1744, pp. 309-310.
Letteratura critica. - G. Clausse, Les marbriers romains et le mobilier presbytéral, Paris 1897, pp. 132-133; S. Ferraro, Memorie religiose e civili della città di Gaeta, Napoli 1903, pp. 121-127; P. Lauer, Le Palais de Latran, Paris 1911; P. Fantasia, Sui monumenti medievali di Gaeta e specialmente sul Campanile e sul "Candelabro", Napoli 1919, pp. 256-267, 286-290; R. Jullian, Le candélabre pascal de Saint-Paul-hors-les-Murs, MAH 45, 1928, pp. 75-96; G. Matthiae, s.v. Cosmati, in EUA, III, 1958, coll. 837-843: 839; K. Noehles, Die Kunst der Cosmaten und die Idee der Renovatio Romae, in Festschrift Werner Hager, Recklinghausen 1966; A. Cadei, in L'art dans l'Italie méridionale. Aggiornamento dell'opera di Emile Bertaux, Roma 1978, V, pp. 774-775; V. Hoffmann, Die Fassade von S. Giovanni in Laterano 313/14-1649, RömJKg 17, 1978, pp. 1-46; F. Gandolfo, La cattedra papale in età federiciana, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, "Atti della III Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma, Roma 1978", a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980, I, pp. 339-366: 341 n. 7, 346; E. Bassan, Il candelabro di S. Paolo fuori le mura: note sulla scultura a Roma tra XII e XIII secolo, StArte, 1982, 45, pp. 117-131; F. Gandolfo, Assisi e il Laterano, Archivio della Società romana di storia patria 106, 1983, pp. 63-113: 77-82; P.C. Claussen, Magistri Doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum I) (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 14), Stuttgart 1987; E. Bassan, Il candelabro pasquale, in San Paolo fuori le mura a Roma, a cura di C. Pietrangeli, Firenze 1988, pp. 164-167; P.C. Claussen, Marmi antichi nel Medioevo romano. L'arte dei Cosmati, in Marmi antichi, Roma 1989, pp. 65-80: 73, 75; I. Herklotz, Der mittelalterliche Fassadenportikus der Lateranbasilika und seine Mosaiken. Kunst und Propaganda am Ende des 12. Jahrhunderts, RömJKg 25, 1989, pp. 27-95; F. Pomarici, Medioevo. Architettura, in San Giovanni in Laterano, a cura di C. Pietrangeli, Firenze 1990, pp. 60-72: 63-66; P.F. Pistilli, L'architettura a Roma nella prima metà del Duecento (1198-1254), in Roma nel Duecento. L'arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 1-71: 41-42; A.M. D'Achille, La scultura, ivi, pp. 145-235: 166-170; P.C. Claussen, Nachrichten von den Antipoden oder der mittelalterliche Künstler über sich selbst, in Der Künstler über sich in seinem Werk, "Internationales Symposium der Bibliotheca Hertziana, Roma 1989", a cura di M. Winner, Weinheim 1992a, pp. 19-54: 33; id., Renovatio Romae. Erneuerungsphasen römischer Architektur im 11. und 12. Jahrhundert, in Rom im hohen Mittelalter. Studien zu den Romvorstellungen und zur Rompolitik vom 10. bis zum 12. Jahrhundert. Reinhard Elze zur Vollendung seines siebzigsten Lebensjahres gewidmet, a cura di B. Schimmelpfennig, L. Schmugge, Sigmaringen 1992b, pp. 87-125: 125.